La scuola apre mente e cuore alla realtà

Convegno dal titolo “LA SCUOLA APRE MENTE E CUORE ALLA REALTÀ?” che si terrà il prossimo 15 novembre a Milano, presso la sede dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e in video collegamento in altre città italiane. Il Convegno desidera riprendere i contenuti che Papa Francesco ha consegnato al mondo della scuola il 10 maggio u.s. in piazza san Pietro e si rivolge a tutti coloro che a vario titolo operano nella scuola.
 

Incontro dei Responsabili regionali per l’IRC

Il prossimo mercoledì 7 ottobre  2014 si svolgerà l’incontro dei Responsabili regionali per l’IRC.
Si tratta di una mattinata di dialogo e confronto che cercherà di evidenziare le proposte e le prospettive migliori per accompagnare lo sviluppo dell’IRC.

L’appuntamento è previsto dalle ore 10.00 alle ore 13.30 nella sede CEI “Angeli Custodi”, in via Aurelia 468.

Per iscriversi, è necessario accedere alla procedura online attraverso il seguente link: www.iniziative.chiesacattolica.it/regionaliIRC
 

Ripetere non serve e costa troppo

Settembre. Un nuovo anno scolastico è iniziato e l’attenzione di politici e dell’opinione pubblica si è concentrata sulla scuola. Un po’ per gli annunci di riforma, ma anche perché siamo tutti genitori, figli, zii, nonni o nonne e quindi il mondo della scuola fa parte, nel bene e nel male, del nostro vivere quotidiano o di quello dei nostri cari. Quello che è certo, al di la delle proposte di rivoluzionare la scuola è che molti studenti italiani sentiranno sia sui banchi di scuola che a casa la minaccia “Studia! Altrimenti sarai bocciato”. In teoria la bocciatura dovrebbe servire a permettere a uno studente che è rimasto indietro nel programma di “mettersi in pari” per riuscire poi a proseguire gli studi con profitto. Tuttavia lo studio OCSE PISA che confronta i dati sulle bocciature e sulle competenze scolastiche degli studenti 15-enni in più di 65 paesi nel mondo mostra che far ripetere anni scolastici non è di aiuto per gli studenti che ripetono un anno, comporta costi elevati per il sistema paese e non solo non aiuta a promuovere maggiore equità nel sistema, ma rinforza le differenze tra studenti con un diverso background socio-economico. In Italia ci sono ancora troppi bocciati: il 17% degli studenti quindicenni ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico, rispetto a una media OCSE del 12%.

Gli studenti persi e il mancato recupero

Inoltre, mentre in molti paesi dei Paesi con livelli molto alti di ripetenti il numero di studenti che ha ripetuto una classe è diminuito, in Italia il numero degli studenti ripetenti è aumentato. In Italia tra il 2003 e il 2012, la percentuale di studenti che ha dichiarato di aver ripetuto almeno un anno scolastico è aumentata di 2 punti percentuali, mentre in Francia che nel 2003 registrava il 39% di ripetenti nel 2012 questo era sceso al 28%. Lo studio PISA mostra che purtroppo in Italia, come in molti altri paesi, tra gli studenti che ottengono gli stessi risultati in matematica, comprensione di testi e scienze, gli studenti socialmente svantaggiati hanno più probabilità di ripetere un anno rispetto agli studenti più favoriti. Gli studenti socio-economicamente svantaggiati hanno meno possibilità di ricevere aiuto durante l’anno scolastico grazie a corsi di recupero e lezioni private. Gli studenti svantaggiati spesso hanno maggiori problemi comportamentali, arrivano in ritardo e saltano lezioni o giorni di scuola. Invece che intervenire sui problemi che determinano un allontanamento progressivo di troppi ragazzi dalle classi, il mondo scuola in Italia si basa ancora sull’uso della bocciatura come strumento per punire. Uno dei possibili risultati e’ la scarsa motivazione dei ragazzi e gli alti livelli di dispersione scolastica. L’esigenza di fare ripetere una classe implica costi elevati: alla spesa di un anno aggiuntivo d’istruzione bisogna infatti aggiungere il mancato introito per la società quando si differisce di almeno un anno l’ingresso dello studente bocciato sul mercato del lavoro. In Italia, il costo delle bocciature rappresenta il 6,7% della spesa annua nazionale per l’istruzione primaria e secondaria – ovvero 47.174 dollari (circa 36 mila euro) per studente che ripete l’anno. Prevenire è meglio che curare. Vale nel mondo della sanità pubblica, ma vale anche, e soprattutto, nel mondo della scuola. Prevenire è meglio che curare e le bocciature sono costose e non curano il problema dello scarso profitto e motivazione degli studenti italiani. Ridurre le bocciature potrebbe aiutare a risparmiare risorse da investire nella prevenzione: per aiutare i ragazzi in modo personalizzato durante l’anno affinché’ non si creino lacune nel processo di apprendimento e per affiancare ragazzi demotivati e con scarso attaccamento alla scuola.

di Francesca Borgonovi, analista Ocse

Gesù nelle mani dei giovani

 

L’educazione delle nuove generazioni alla pace

 

 

Il 2011 si è concluso così come era iniziato, segnato da una serie di manifestazioni dei giovani in quasi tutte le capitali europee e in buona parte di quelle del resto del mondo. Nelle nuove generazioni è cresciuto il senso di frustrazione per la crisi che sta assillando la società, il mondo del lavoro e l’economia. E su questo, come su altri versanti, il 2012 si annuncia altrettanto tenebroso all’orizzonte. “Le radici di questo malessere – dice il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in questa intervista rilasciata al nostro giornale – sono anzitutto culturali e antropologiche”. Quello che manca, ritiene in sostanza il porporato, è un’educazione alla solidarietà intergenerazionale. E questo genera il disorientamento dei giovani di fronte a modelli che sentono come propri. Non a caso il Papa nel messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno ha scritto: “Sembra quasi che una coltre di oscurità sia scesa sul nostro tempo e non permetta di vedere con chiarezza la luce del giorno”. Sono questi i motivi “per i quali Benedetto XVI – sottolinea il cardinale – reclama la responsabilità di tutti alla formazione dei giovani, i veri protagonisti del futuro”.

Effettivamente il concetto chiave della Giornata mondiale della pace 2012 sembra ruotare su due cardini indicati dal Papa: il protagonismo dei giovani e la contestualizzazione delle questioni da affrontare come sfide. Il fatto che la Chiesa punti molto sui giovani non è una novità. Cosa c’è in più in questo ulteriore richiamo di Benedetto XVI?

L’attenzione mostrata dal Papa per i giovani è profondamente coerente con quella di tutta la Chiesa nei loro confronti. Essi, infatti, sono da sempre in cima ai pensieri della Chiesa, poiché offrono un formidabile sguardo di speranza verso il futuro e, in questo senso, rappresentano la continuità della famiglia umana. Il Pontefice ha accolto il grido spesso silenzioso di tantissimi giovani e si impegna in prima persona perché essi siano resi protagonisti di un mondo nuovo e, nello stesso tempo, di una nuova evangelizzazione del sociale, di un impegno di trasfigurazione del mondo a partire dalla fede in Gesù Cristo. Quindi, come sostiene Benedetto XVI nella Caritas in veritate, fiduciosi piuttosto che rassegnati, i giovani protagonisti e costruttori di un futuro migliore, sono chiamati a riprogettare il loro cammino e a darsi nuove regole. Il messaggio del Papa, così come la sua omelia del 1° gennaio, sono fortemente calati nella realtà del mondo attuale. Un mondo gravemente segnato non solo dalla crisi economica e finanziaria, con tutte le sue molteplici drammatiche conseguenze, in primo luogo nel mondo del lavoro, ma anche dalla diffusa mentalità nichilista che nega ogni fondamento trascendentale e confina la persona in un orizzonte di solitudine, di materialismo, di egoismo, di disperazione. Il Papa ha voluto esprimere la sua profonda, concreta e accorata vicinanza alle inquietudini che oggi affliggono i giovani e le loro famiglie; ha voluto accogliere e rilanciare le loro giuste richieste di giustizia, da qualunque parte del mondo esse provengano, e certo non per farsi portavoce degli indignados, come hanno suggerito o scritto alcuni giornali.

Tra le cose che influenzano negativamente i giovani, il Papa, già nella Caritas in veritate, denunciava una “carenza di pensiero” nella società odierna. Poi ha continuato a porre l’accento su quella che egli non ha esitato a definire “emergenza educativa”. Oggi torna a indicare l’educazione dei giovani come una sfida da affrontare per conquistare la pace e la giustizia nel mondo. Cosa c’è che non va nel sistema educativo a livello mondiale?

Il sistema educativo non è, per così dire, un organismo isolato, un organismo a sé stante. È piuttosto espressione di una solidarietà intergenerazionale tra passato e presente, tra presente e futuro. È intimamente intrecciato ad altri sistemi che riguardano l’esistenza umana. Soprattutto è intrecciato con la pratica quotidiana, cioè con quel mutevole stile della vita che sembra ormai incapace di sostenere il sistema educativo. Penso per esempio a tutto ciò che discende, in termini culturali e di mentalità, dal consumismo, dall’edonismo e, specialmente, da un’idea di libertà fraintesa. Nel senso che essa viene percepita solo come licenza di seguire all’infinito i propri impulsi e interessi particolari, e non come capacità di legarsi al vero bene, accettando quelle regole che lo tutelano e lo favoriscono. Tale concezione uccide, di fatto, la stessa libertà, generando quell’emergenza educativa, più volte denunciata dal Papa, che è un’emergenza di carattere antropologico ed etico. Questa può essere contrastata efficacemente mediante il serio rilancio di un nuovo pensiero critico, di una cultura aperta alla trascendenza e di un’educazione aperta al compimento umano in Dio. Lei mi domanda cosa non va nel sistema educativo. Io credo che la questione principale riguardi soprattutto la mancanza di una visione allargata, di un ampio orizzonte. Oggi, a mio parere, c’è bisogno di una educazione alla mondialità, che sia interdisciplinare, interculturale, interreligiosa, interetnica.

È stato per richiamare questa necessità di un nuova educazione che il Papa, all’omelia della messa per la Giornata mondiale della pace, ha posto quell’inquietante interrogativo: “Ha ancora un senso educare?”.

Credo che il senso della domanda del Papa sia duplice. Innanzitutto credo abbia voluto focalizzare, con una provocazione, l’attenzione su una questione che ritiene fondamentale. Poi però ha voluto lanciare una sorta di “richiamo educativo” alla solidarietà intergenerazionale che consideri l’educazione come l’espressione e la trasmissione di un “manuale per la vita”, nell’ottica di una rinnovata etica pubblica e di una forte coesione sociale. Il Papa, chiedendo se abbia senso educare, ha sollevato un problema oggi radicale. Riguarda l’intero contesto culturale ed è posto primariamente dalla crisi del pensiero e dell’etica. Se manca ogni fondamento, se l’idea di verità viene messa da parte, si mette da parte anche un orizzonte, un fine al quale educare. L’educazione, infatti, per sua natura proietta e propone, nel costante dialogo, una molteplicità di principi e di cognizioni. Ma se tali principi e cognizioni vengono privati del loro senso, del loro fondamento di verità, ecco che l’intero processo educativo, per così dire, crolla. In questo senso, Benedetto XVI, consapevole della profonda correlazione del sistema educativo con altri sistemi e con altre realtà private e pubbliche, ha voluto appellarsi a tutti i responsabili del processo perché insieme compiano una revisione, una decostruzione dell’assetto attuale e una conseguente ricostruzione in termini, prima di tutto, di responsabilità. I giovani, infatti, spesso si trovano a vivere in contesti e ambienti di vita diseducativi, a fare esperienze che li fanno perdere o frustrare. Tutti i responsabili chiamati in causa sono invitati ad agire. Se, per esempio, il mondo politico non si fa esemplare, non solo nell’elaborazione di politiche eque, ma anche nella condotta del personale politico, o se la politica soggiace interamente alla sola forza degli interessi economici e finanziari stabilendo, così, una sua subalternità rispetto a essi, anche la società degenera. Lo stesso si può dire di tutti gli educatori, compresi i pastori e i formatori ecclesiastici. Credo sia fondamentale richiamare il problema dell’urgente rinnovamento della democrazia partecipativa, sempre più minata da derive populiste o da istanze nazionaliste o regionaliste.

I giovani in effetti non sono entità isolate. Essi vivono in un contesto che sembra spingerli su tutt’altra via rispetto a quella indicata dal Papa. Ancora oggi, violenza, prepotenza, intolleranza si pongono come antagonisti di sentimenti peraltro naturali per le nuove generazioni aperte al dialogo, alla convivenza pacifica, alla fraternità universale. Come metterli al riparo dai non valori che li minacciano?

Attraverso un’azione responsabile e congiunta di tutti i soggetti coinvolti. In primo luogo attraverso l’opera di educatori che siano a un tempo testimoni credibili per una seria educazione e una concreta formazione. E badi bene che i giovani non sono, per così dire, entità passive. Essi sono i primi responsabili. In questo senso, il Papa ha voluto porre l’enfasi sull’ascolto delle istanze giovanili. Ma allo stesso tempo mi sembra abbia voluto incoraggiare i giovani al protagonismo, a rendersi artefici della propria vita, nella valorizzazione dei propri talenti, in libertà e solidarietà con gli altri, a scoprire il progetto che Dio ha su ciascuno di loro.

Il Papa confida molto nell’opera della Chiesa nel campo formativo. Ma i giovani sono antropologicamente molto diversi dai loro maestri. Secondo lei si parla nel modo giusto, o meglio comprensibile, per le nuove generazioni?

Non direi “antropologicamente diversi”. Piuttosto, direi che i giovani sono diversi come mentalità, valori e formazione, così come avviene per ogni generazione rispetto alle precedenti. Se i giovani non vengono ascoltati, se vengono esclusi e non si permette loro di affermare i propri talenti e le proprie vocazioni, o se vengono confinati in un orizzonte di precarietà assoluta che li schiaccia sul presente eliminando qualsiasi progettualità del futuro, allora la risposta è che oggi non si parla ai giovani nel modo giusto. E non solo non si parla, ma non si agisce nel modo giusto, pensando, cioè, al futuro della società. Proclamando all’umanità la via della pace il Papa si è rivolto a tutti i giovani. È vero, essi sono culturalmente diversi. Ma come il Vangelo, così Benedetto XVI va diretto al cuore dei giovani, riesce anche a trascendere i confini nazionali, continentali, culturali, religiosi, superando i cosiddetti “spazi delle civiltà”. Come pastore ghanese, posso testimoniare per esempio l’accoglienza che il messaggio per la Giornata mondiale della pace ha ricevuto dai giovani del mio Paese e di tutta l’Africa, anch’essi molto diversi fra loro. Così è avvenuto in India, in Cina, in Brasile, negli Stati Uniti, in Europa e nelle altre Nazioni del mondo.

Esistono ostacoli di comunicazione per la penetrazione del Vangelo negli ambienti culturali che connotano l’universo giovanile?

Il Vangelo è un messaggio di speranza: una speranza per tutti gli uomini. È una realtà che cambia il cuore. È la buona novella valida per tutti i contesti culturali in ogni tempo. Essa va dritta al cuore delle persone. Se, però, i giovani sono costretti in ambienti, mentalità e stili di vita contrari al bene comune, contrari al loro stesso bene, e dunque contrari al Vangelo, che è un messaggio di vita, libertà, solidarietà, fraternità, accoglienza, amicizia, allora lo sguardo viene distolto dalle cose grandi e belle che l’esistenza loro riserva. Quanto alla questione della comunicazione faccio solo un esempio: per tutto il primo gennaio sono apparsi numerosissimi “cinguettii” su twitter a proposito del messaggio per la pace. È stata una gioia vedere giovani di ogni continente “cinguettare” le parole del Papa con il linguaggio tipico della rete. Sono molto contento di questa condivisione diretta con tanti giovani nel loro linguaggio e su uno dei social network tra i più frequentati dai ragazzi di ogni parte del mondo.

Il Papa ha concluso l’omelia del 1° gennaio con un’indicazione precisa: “Gesù è una via praticabile, aperta a tutti. È la via della pace”. Come il dicastero della Giustizia e della Pace cercherà di rendere visibile a tutti questa via nell’anno appena iniziato?

Innanzitutto ci dedicheremo a una diffusione capillare del messaggio per la Giornata mondiale della pace 2012. Abbiamo poi in programma la celebrazione del cinquantesimo anniversario del concilio Vaticano II. Inviteremo proprio le nuove generazioni a riflettere sui suoi contenuti. C’è poi da preparare con cura la celebrazione del cinquantesimo anniversario della Pacem in terris, nel 2013. Tra gli altri impegni di quest’anno segnalerei la preparazione della conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che, come è noto, si svolgerà a Rio de Janeiro dal 20 al 22 giugno prossimo. Abbiamo anche in programma l’organizzazione, in collaborazione con altri organismi, di una conferenza sulla vita rurale e una serie di tavole rotonde su diversi argomenti: il traffico di esseri umani; la difesa della persona umana dal concepimento alla sua fine naturale; le strategie d’impresa per il bene comune; il rinnovamento della missione e dell’identità della formazione cattolica nel mondo degli affari; e infine le nuove sfide per i cattolici nella costruzione del bene comune. Naturalmente collaboreremo con gli altri dicasteri della Santa Sede per far comprendere che il culto di Dio è fondamentalmente un atto di giustizia, senza il quale non sono possibili gli altri atti di giustizia fra gli uomini. Cercheremo anche di rafforzare l’idea che la fede in Cristo è fondamentale per rinnovare la cultura e la società per il bene di tutti. In questo senso, il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace è pronto ad accogliere l’invito del Papa a intensificare gli sforzi per riaffermare la grande valenza intellettuale, spirituale e morale della fede. Il dicastero si adopererà per far comprendere a tutti che Cristo è la via per la pace, contribuendo così a esplicitare la dimensione sociale della nuova evangelizzazione, in sintonia con le prospettive del Sinodo dei vescovi del prossimo ottobre.

(©L’Osservatore Romano 6 gennaio 2012)

Scienza e fede

LA LECTIO

 

1.      La fede

 

Ogni uomo vive di “fede”, più esattamente di “fiducia”: è infatti un atteggiamento di base, che appartiene alla vita stessa. Ognuno, per vivere, deve fidarsi degli altri, deve accettare moltissime cose senza verificarle di persona. Dall’esperienza, dunque, individuiamo la “struttura assiologia” di questo atteggiamento: per un verso è un “sotto-valore” rispetto al sapere; ma per un altro è un valore basilare dell’esistenza umana, un fondamento senza il quale nessuna società potrebbe sopravvivere, e innanzitutto nessuna persona.  Sempre dall’ esperienza possiamo ricavare anche la “struttura dell’atto”: si intrecciano il riferimento a qualcuno che conosce una cosa e che è persona qualificata e degna, la testimonianza della fiducia di altri, e, infine, una certa verifica nella nostra esperienza quotidiana.

Questa struttura  è in qualche misura presente anche nella fede cristiana: il riferimento primo – rispetto a Gesù Cristo – sono gli Apostoli perché sono loro che hanno vissuto con il Maestro, ascoltato le sue parole, ne hanno per tre anni condiviso i giorni, lo hanno visto soffrire, morto e risorto,  salire al cielo. Dalla sua bocca essi hanno appreso i misteri di Dio-Trinità. Si tratta di valutare, di questi uomini, la testimonianza della vita, l’affidabilità, e questa – poco o tanto – richiede sempre una scommessa dove la libertà di ciascuno si gioca. Ma è una scommessa ragionevole non irrazionale! In essa vi è una plausibilità intrinseca che l’esperienza universale conosce e vive a livello di rapporti quotidiani.

E poi, abbiamo la testimonianza di altri che si sono fidati e hanno creduto sulla loro parola, abbiamo duemila anni di storia, intessuta di opere, di cultura, di arte, di civiltà, di promozione umana, di carità, di santità…in una parola di elevazione e di bene per il mondo. Gli errori non mancano, ma non derivano dalla fede, bensì dalla poca fede.

Infine, ogni uomo ha la possibilità di  toccare con mano, di  provare a vivere il Vangelo sulla propria pelle per verificarne la verità e la congruenza con le aspettative più profonde del cuore umano. Come è chiaro, la fede non riguarda  un sistema di idee e non può essere ridotta a una forma di gnosi; riguarda la persona di Gesù di Nazaret, il Dio che in Cristo  è entrato nella storia umana, è venuto a cercare l’uomo smarrito e lacero, ha posto la dimora in mezzo a noi per stare con noi ed essere per ciascuno amore e salvezza, verità e vita. Per questo la fede cristiana è un incontro, e si incontrano veramente solo le persone: è un rapporto, è vivere riferiti a Cristo, è sapere che Dio è Qualcuno, è intuire che noi esistiamo perché Dio vive. È esserne affascinati, ghermiti, posseduti: “La risposta a Dio esige quel cammino interiore che porta il credente ad incontrarsi con il Signore.

Tale incontro è possibile solo se l’uomo è capace di aprire il suo cuore a Dio, che parla nella profondità della coscienza. Ciò esige interiorità, silenzio, vigilanza” (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al convegno per i Vescovi nominati nell’ultimo anno, 19.9.2005). E Romano Guardini scrive: “C’è in te un silenzio che si ascolta con l’anima. In questo silenzio l’ospite riposa, l’anima si risana” (Romano Guardini, Lettere sull’autoformazione).  Con il battesimo – “vitae spiritualis ianua” –  il cristiano scambia la propria libertà con la libertà di Gesù che è venuto per rigenerare l’umanità con la forza salvifica della grazia, e creare così un nuovo modo di rapportarsi e di vivere, una società nuova. Proprio perché Cristo è il Verbo eterno, Dio indica la strada del bene e del vero, della bellezza e della felicità: per questo entra e c’entra con la nostra vita, non è una divinità vaga, cosmica e muta, così rarefatta  e lontana da essere insignificante per il nostro vivere.

 

A fronte della fede si riscontra la posizione dell’ateismo che nega espressamente l’esistenza di Dio, e dell’agnosticismo che sospende il giudizio, e prende una specie di equidistanza tra l’esistenza e la non esistenza di Dio. A qualcuno sembra essere questa la posizione più corretta e rispettosa. Ma sorge, immediata, la domanda se l’agnosticismo possa realmente rispondere non tanto al problema speculativo, astratto, ma al problema concreto del vivere umano: se l’uomo, cioè, possa mettere tra parentesi la questione di Dio, cioè della sua origine e del suo destino, del significato e del valore del suo esistere e morire. Possiamo accontentarci di vivere sotto la forma ipotetica del “come se Dio non esistesse”, mentre può darsi che Egli esista davvero? La questione di Dio non è come sapere se due rette parallele s’incontrino all’infinito o meno, ma è pratico e coinvolge tutti gli ambiti della nostra vita. Di fatto, l’agnosticismo sembra impraticabile: se, infatti, sul piano teoretico sposassi la tesi agnostica, sul piano pratico dovrei comunque scegliere di vivere secondo una delle due opzioni da cui dichiaro di essere equidistante: o vivere come se Dio non esistesse oppure vivere come se Dio esistesse e fosse la realtà decisiva della mia esistenza. Il riferimento a Pascal è inevitabile: egli raccomandava all’agnostico di rischiare, di scommettere e di vivere come se Dio esistesse (cfr Pensieri, nn. 164-170). Era convinto che attraverso l’esperienza diretta, l’agnostico sarebbe arrivato, ad un certo punto, a riconoscere la giustezza della sua scelta. Mi sembrano incisive e opportune le parole di André Gide: “Non perché mi sia stato detto che eri il Figlio di Dio ascolto la tua parola; ma la tua parola è bella al di sopra di ogni parola umana e da ciò riconosco che sei il Figlio di Dio”!

 

2.        La scienza

 

a)        Non è possibile separare nettamente la riflessione sulla scienza da quella sulla tecnologia in forza della loro intrinseca relazione, anche se la  prima è più di ordine teoretico, mentre la seconda più di ordine pratico. Il Magistero della Chiesa affronta la riflessione distinguendo due ambiti problematici: il rapporto della scienza con la verità e il rapporto tra scienza e fede. Non affronto lo sviluppo della concezione di scienza nella storia, dalla cultura greca – primo passaggio dal mito al logos – al rinascimento, all’illuminismo, al positivismo. Riassumo il dilemma centrale: se la scienza abbia la funzione e la possibilità di scoprire la verità delle cose come sono, oppure se abbia lo scopo puramente pratico di assicurare il controllo, il funzionamento dei fenomeni secondo una  concezione strumentale della scienza. La Chiesa non si pronuncia in modo tecnico su tale questione, però le sue considerazioni si muovono nell’orizzonte di una visione realistica: “La ricerca della verità è il compito della scienza fondamentale” affermò Giovanni Paolo II durante la commemorazione di Albert Einstein, il 10 novembre 1979. Noi siamo convinti che esiste una verità e tale verità è oggetto della ricerca scientifica.

 

b)            L’altro problema riguarda il rapporto con la fede: se la scienza è  rapporto con la verità e anche la fede è rapporto con la verità, quale sarà il rapporto tra loro due?  Sembra opportuno, al riguardo, distinguere tre questioni.

Anzitutto quella della coerenza fondamentale tra le due forme di conoscenza.. Tale coerenza e compatibilità è data dall’unica origine della verità: il Concilio Vaticano II afferma che “la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio” (Gaudium et spes, 36). Galileo Galilei scriveva al Padre Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613 che le due verità, di scienza e di fede, non possono mai contrariarsi “procedendo di pari dal Verbo divino la Sacra Scrittura e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio”.

Una seconda questione, come un passo ulteriore, riguarda lo statuto delle due forme di conoscenza, cioè di rapporto con il reale. Se, come abbiamo visto, la fede e la scienza hanno in comune la ricerca della verità, si deve ricordare però che la verità oggetto di fede non coincide con la verità oggetto di scienza. La prima riguarda le verità soprannaturali, la seconda quelle naturali. Se dunque la categoria della verità è unica, il tipo di verità che i due approcci conoscitivi affrontano è duplice. Alla differenziazione degli oggetti corrisponde una differenziazione dei metodi: ogni approccio ha le sue peculiarità e le sue leggi: “Il Sacro Concilio, richiamando ciò che insegnò il Concilio Vaticano I, dichiara che ‘esistono due ordini di conoscenza’ distinti, cioè quello della fede e quello della ragione, e che la Chiesa non vieta che ‘le arti e le discipline umane (…) si servano, nell’ambito proprio a ciascuna, di propri principi e di un proprio metodo” (GS, 59). Per questo la Chiesa afferma la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze. L’Osservatorio astronomico del Vaticano (Specola Vaticana) e la Pontifica Accademia delle Scienze istituita dal Papa Pio XI nel 1937, e che annovera più di ottanta accademici di fama internazionale, tra i quali un buon numero di Premi Nobel, sono una testimonianza della stima e del sostegno della Chiesa al mondo scientifico e alla ricerca.

Ma si può fare un ulteriore passo al fine di giustificare la distinzione e la collaborazione tra scienza e fede. Non basta richiamare la diversità dei rispettivi oggetti di conoscenza; infatti i due piani delle verità di ordine naturale e di ordine soprannaturale non sempre prevedono oggetti nettamente distinti. Vi sono realtà che possono essere affrontate da due punti di vista diversi pur essendo le medesime realtà. La persona umana, ad esempio, può essere considerata sia dal punto di vista della natura – ed allora sarà indagata col metodo scientifico – oppure dal punto di vista soprannaturale, ed allora sarà guardata con gli occhi della fede. La logica direbbe che l’oggetto materiale è lo stesso, ma l’oggetto formale è diverso: cioè il punto di vista, lo scopo, e quindi il metodo. Quello della scienza non è lo stesso della fede. La fede cristiana – in quanto rapporto vivo con Cristo nella Chiesa – apre l’uomo al mondo di Dio, al suo abbraccio di Padre, lo immette nella vita del suo amore infinito, viene elevato allo stato di grazia, ad una vita nuova di figlio, e in questo orizzonte percepisce gli altri non come estranei, o simili, ma come fratelli. Nella luce della fede, l’uomo scopre la sua origine e il suo destino, giunge al senso di sé, dell’universo e della storia: “Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo (…) Cristo Signore (…) rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22). All’interno di questo orizzonte di fede la vita quotidiana si riempie di una densità che anticipa l’eterno, e nessun frammento, né alcuna esperienza dolorosa o lieta, vittoriosa o perdente, di bene o di male, diventa insensato e inutile, ma tutto fa presentire il cielo. Questo non fa parte della scienza, non è il suo oggetto formale, il suo scopo specifico. Si entrerebbe nella logica dello scientismo che sostiene che l’unica conoscenza valida è quella che proviene dal metodo induttivo delle scienze naturali. Voltaire, che aveva assistito ai funerali ufficiali di Newton nel 1727, scriveva che questo gigante della scienza aveva avuto “la particolare fortuna non soltanto di essere nato in un paese libero, ma in’età in cui tutti gli spropositi della scolastica erano stati banditi dal mondo. La ragione sola era coltivata e l’umanità non poteva che esserne il discepolo”.

Ogni affermazione che riguarda i problemi ultimi è uno sconfinamento di campo, soprattutto è un dire parole che ingannano la ricerca di significato che fa di  ogni uomo un camminatore verso il compimento: “Vi è solamente – scriveva Albert Camus – un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta” (A.Camus, Il mito di Sisifo). Tra l’altro, una ragione dell’impossibilità da parte della scienza di poter elaborare il senso, sta nel fatto che il senso – come senso di un fenomeno, di un evento, della vita – coincide anche con la conformità ad un dover essere, cioè al comportamento etico dell’uomo, e la scienza non ha presa sulla sfera deontica. Anche quando certi aspetti della soggettività sono presi in considerazione dalla scienza, viene messo in atto una specie di naturalizzazione degli aspetti stessi, vengono ridotti quasi ad “oggetti inanimati”: “ L’odierno progresso delle scienze e della tecnica – scrive il Concilio Vaticano II – che in forza del loro metodo non possono penetrare nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno uso viene innalzato a torto a norma suprema della verità totale” (GS, 57). Il discorso della Chiesa diventa decisamente puntuale quando si entra nella riflessione sulla tecnologia. E’ una preoccupazione costante  richiamare il primato dell’etica sulla tecnica, della persona sulle cose, il dovere di commisurare il progresso tecnologico con la dignità e i diritti dell’uomo: il potenziale della tecnologia non è neutro perché può essere usato sia per il progresso che per la degradazione dell’umanità.

 

3.       Scienza e fede, vie della formazione dell’uomo

 

Entriamo ora nell’orizzonte educativo che i Vescovi Italiani hanno scelto come  meta degli Orientamenti Pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo”, e come  sfida del decennio iniziato. Se è vero che a nessuna età  si finisce  di crescere e di aver bisogno di formazione, è anche vero che chi è più avanti negli anni ha il dovere di essere punto di riferimento credibile per le giovani generazioni. I giovani hanno il diritto di trovare negli adulti – tutti – degli interlocutori significativi per la loro formazione, naturalmente avendo il desiderio forte e la disponibilità sincera di giocarsi con serietà e impegno nella costruzione integrale di sé: si tratta della riuscita della loro vita e del futuro del Paese. La Chiesa italiana crede fermamente nella sua vocazione educativa che è parte integrante e irrinunciabile del mandato che ha ricevuto dal Signore: annunciare il Vangelo nel mondo perché l’uomo sia salvo. La salvezza attiene ogni uomo e tutto l’uomo,  riguarda il futuro e il presente, il cielo e la terra.

Ora, ci chiediamo come la scienza e la fede, le due forme di approccio e di conoscenza della realtà, possono partecipare all’educazione integrale della persona. Mi pare che quanto abbiamo detto sopra possa offrirci una pista seppure sintetica per rispondere alla domanda posta.

 

a)         Innanzitutto, abbiamo visto che  la scienza e la fede hanno stretta relazione con la verità. Questo è il primo dato: bisogna educare l’uomo alla verità, al gusto della verità,  al rigore della ricerca, alla gratuità di fronte al reale. Si respira oggi un’aria che non sembra favorire il senso della verità: anziché tender alla verità per il gusto di contemplarla, per sapere il più possibile com’è la realtà che siamo e che ci circonda, per coglierne la bellezza e l’ordine interno,  l’ intelligenza  e la luce che ci avvolgono, la meraviglia dell’universo che non è caos ma razionalità, pare che la tensione dominante sia conoscere per usare, per piegare e sfruttare. L’uso della natura non è male in sé, corrisponde al disegno di Dio, alla gerarchia degli enti – l’uomo è al vertice dell’universo, ne è signore ma non dominatore, custode che deve usare ma non abusare – ma questa funzione della nostra ragione non deve assolutizzarsi fino ad oscurare l’altra funzione della ragione stessa, quella di conoscere per sapere, per capire, per contemplare, per vivere di meraviglia in un universo sorprendente e maestoso. Eistein affermava: “Difficilmente tra i pensatori più profondi nel campo scientifico riuscirete a trovarne uno che non abbia un proprio sentimento religioso (…) Il suo sentimento religioso assume la forma di ammirazione e di contemplazione di fronte all’armonia della natura, che rivela un’intelligenza così superiore che, in paragone, ogni pensiero sistematico o azione umana non è che illusione totalmente insignificante”. In modo incisivo e chiaro, Benedetto XVI, nel Viaggio Apostolico nel Regno unito, ha indicato la questione centrale del sapere umano: “A livello spirituale tutti noi, in modi diversi, siamo personalmente impegnati in un viaggio che offre una risposta importante alla questione più importante di tutte, quella riguardante il significato ultimo dell’esistenza umana (…) All’interno dei loro ambiti di competenza, le scienze umane e naturali ci forniscono una comprensione inestimabile di aspetti della nostra esistenza ed approfondiscono la nostra comprensione del mondo in cui opera l’universo fisico, il quale può essere utilizzato per portare grande beneficio alla famiglia umana. E tuttavia queste discipline non danno risposta, e non possono darla, alla domanda fondamentale, perché operano ad un livello totalmente diverso. Non possono soddisfare i desideri più profondi del cuore umano, né spiegarci pienamente la nostra origine e il nostro destino, per quale motivo e per quale scopo noi esistiamo, né possono darci una risposta esaustiva alla domanda: ‘Per quale motivo esiste qualcosa, piuttosto che il niente?’” (Benedetto XVI, Viaggio Ap. Nel Regno Unito, Incontro con i Rappresentanti di altre Religioni, 17.9.2010). L’uomo, infatti, è domanda e nostalgia: domanda di senso sulla realtà e su se stesso; nostalgia di una risposta che sia il compimento al suo sentirsi incompiuto, al suo riconoscersi un paradosso sul misterioso confine tra il finito e l’infinito, l’umano e il divino.

 

La smania invece di dominare e manipolare fino all’estremo della vita umana, nel sacrario del suo principio e nel mistero del suo concludersi, alimenta un atteggiamento strumentale che, mentre non rispetta correttamente la natura, umilia anche se stessa. L’educazione si colloca nell’ambito della contesa tra “utilitas” e “veritas”: l’utilità non è malvagia in se stessa a condizione che non diventi un assoluto, nel tal caso l’utilità si nega e si elimina da sé . Il senso dell’utile è più appariscente, ha una consistenza e una presa più diretti sulla sensibilità dell’uomo rispetto al più discreto senso del vero: per questo motivo quest’ultimo ha bisogno di aiuto e di sostegno. Ciò avviene nell’ambito dell’educazione dell’ intelligenza al senso del vero e del bello, e della coscienza morale al senso del bene. Perseguire quest’opera significa mantenere ampi gli spazi della ragione umana, aiutarla a non restringersi in un orizzonte angusto seppur suo, quello della ragione strumentale che cerca solo il “come” non il “che cosa” della realtà. A ben vedere, per educare al senso e alla ricerca della verità – qualunque ne sia la natura – è necessario maturare un atteggiamento complessivo che è di ordine ascetico e morale:  si tratta, infatti, di maturare  un atteggiamento di umiltà non di arroganza, di rispetto non di dominio. Non solo: si tratta di essere disponibili alla verità, quella che studia le scienze sperimentali e che richiede l’adesione a ciò che scopre; e quella che è oggetto della fede e che tocca la capacità di giudizio sull’essere e sull’esistere, tocca i comportamenti. Lasciarsi giudicare dalla verità significa dunque essere disponibili a correggere o mutare modi di pensare e di agire che possono essere acquisiti e la cui revisione può costare fatica e sacrificio. Se il soggetto non è disposto a questo cammino interiore, sarà difficile qualunque approccio alla verità delle cose, dei valori, dei significati. E’ necessario aiutare a rendersi conto dei luoghi comuni, dei pregiudizi, di quella vita inautentica che tutti insidia e che Heidegger bene esprimeva nel “si” impersonale e spersonalizzante: “si dice” e “si fa”.

Questo atteggiamento di fondo è intrinseco e comune allo statuto e alle dinamiche della scienza e della fede, e certamente è una via reale per la  formazione dell’uomo.

 

b)         Vorrei ora mettere in evidenza un secondo elemento  che possiamo ricavare ad esempio dalla ricerca scientifica, ma che non è assente neppure nel cammino di fede: la fatica e il metodo. Il genio esiste, e risponde a suo modo a questi due imperativi, ma i geni non nascono tutti i giorni.

 

Parliamo allora della normalità che può essere anche segnata dalla genialità, ma che – comunque – resta nell’ordine di se stessa: l’esperienza insegna che senza fatica e metodo si va poco lontano, si fantastica ma non si arriva alla realtà, non si costruisce nulla. E la fatica e il metodo bisogna impararli ogni giorno, con pazienza e determinazione, sapendo che non ci si può avventurare sulle vie della scienza senza questo corredo. Il metodo può apparire forse noioso perché dice ordine, osservazione, riflessione, ripetizione, tempo: possiamo dire che è il contrario del “tutto e subito” che si respira in giro. Questi elementi non sono forse parte integrante non solo della ricerca ma del vivere stesso? Vivere significa soprattutto costruire, e non si costruisce dal tetto, ma dalle fondamenta che non sono visibili e appariscenti, ma nascoste e umili: ma decisive. La rincorsa al successo, alla riuscita, alla conclusione rapida e trionfale, piena di gratificazioni e di utili, è di solito un’illusione, e quando, per una serie di circostanze si realizza, non dura a lungo. Se prima non si è faticato con metodo  per il raggiungimento di un obiettivo, si deve faticare dopo per il mantenimento dello stesso. Sempre e comunque bisogna lavorare con ordine e impegno, anche quando si ha la possibilità di dedicarsi a ciò che più piace e che si sente più consono. Quanto ci sia bisogno di queste virtù umane è sotto gli occhi di tutti, spesso abbacinati e ingannati da miraggi opposti che illudono e deludono, generando rancore e angoscia.

 

c)                 Infine, guardando alla fede, entriamo nell’orizzonte pedagogico di fondo, premessa di ogni vera e autentica azione educativa. Come abbiamo ricordato, la fede  svela la meta ultima e definitiva dell’uomo e della storia, accompagna nel cammino terreno dalla terra al cielo. Essa risponde alle domande radicali del cuore, al suo calore nasce il fiore della speranza che dona senso all’esistere e  luce al mondo; in questo l’edificio della persona trova il suo fondamento, il progetto, il sostegno, lo scopo. L’incontro con Gesù, l’uomo perfetto perché vero Dio, diventa la ragione della nostra umanità, il compimento di tutto ciò che di bello e di buono, di vero e di nobile alberga nell’umanità e nella storia. La fede offre, come si diceva, il senso globale dell’uomo, della vita e del cosmo; l’unitarietà di significato consente di orientarsi all’interno della molteplicità del reale, dentro agli accadimenti improvvisi e variegati dell’esistenza. La fede unifica, dona una visione d’insieme che non annulla il particolare ma lo esalta nell’armonia del tutto di senso: è totalizzante ma per nulla totalitaria, perché il punto unificante è Cristo che è verità, libertà e amore. La cultura che ne è ispirata ha una sua coerenza interna, un’armonia, una struttura solida e plausibile, la sua razionalità ne risulta non solo elevata ma garantita; e la società che è informata da questa cultura integralmente umanistica, è una società coesa, aperta e veramente solidale. Com’ è noto la società, per essere tale, deve avere un’anima e questa non può essere di ordine economico, politico o funzionale,  ma solo di ordine spirituale ed etico. Solo questo nucleo è in grado di suscitare quel senso di appartenenza che resiste a fronte di difficoltà, crisi, sventure; è in grado di generare una storia comune, di far superare ogni rischio di fuga e di disgregazione. La compattezza, se diventa una gabbia che mortifica la persona, non è un bene, ma se è rispettosa allora diventa motivo di sicurezza e di stabilità per ogni membro, condizione perché ognuno possa realizzare se stesso. Comprendiamo che ad ispirare queste considerazioni è una concezione antropologica ispirata al Vangelo, una antropologia di tipo personalista non individualista: la differenza è evidente e decisiva sia per i singoli che per il modo di pensare la società. L’uomo non è una monade gettata per caso nel caos, un caos  abitato da innumerevoli altre monadi che vagano come scintille nella notte, ma è relazione, come Dio-Creatore è relazione di persone nell’ intimità del suo essere. Da questa origine deriva nell’uomo un indirizzo di marcia che, prima che essere un imperativo morale, è un’esigenza ontologica, scritta cioè nelle fibre del suo essere uomo. Seguire questa direzione intrinseca significa per la persona raggiungere se stessa, compiersi, creare una società ricca di relazioni positive come ho detto sopra. Viceversa,  allontanarsi significa negarsi a se stessa, e perdersi in una libertà innamorata di sé: l’individuo è destinato a trovarsi solo con se stesso, e la società che ne consegue sarà tendenzialmente frammentata e insicura, diventerà progressivamente paurosa e aggressiva, ripiegata e autoreferenziale, dove il prendersi in carico gli uni gli altri, nella quotidianità dei giorni e degli anni, sarà visto come un insopportabile attentato alla libertà individuale e alla felicità di ciascuno, o come un peso insostenibile per la collettività.

 

Viene da chiedersi se qualcuno possa interessato a  questo modo di vivere e a questo tipo di società. Non so rispondere con certezza a questa domanda che già di per sé suona assurda al buon senso comune. Una moltitudine non sembra preferibile ad una società. Ma se per un attimo volessimo prendere in considerazione la questione, si potrebbe fare un tentativo di lettura. E’ evidente che una società solidale, ricca di virtù, con un’identità solida, amata e aperta, che si nutre di riferimenti esemplari, di criteri morali universali, di gratuità relazionale, crea sicurezza nelle persone e sprigiona energie generose, limpide, creative, che non si lasciano facilmente ingannare e dominare. Genera un popolo che ha coscienza e nerbo per contrastare gli egoismi di qualunque natura, che è capace di giudizio critico e in grado di sacrificarsi per il bene comune. Viceversa, un agglomerato di mondi individuali non solamente non crea comunità, ma è terra dove si annida smarrimento e paura, e quindi fragilità; è un terreno friabile dove più facilmente prospera la furbizia e il raggiro, l’affare e la sete di dominio.

 

Cari Amici, vi ringrazio per la paziente attenzione e per il benevolo ascolto: ho cercato di offrire alcuni spunti che spero utili per ulteriori considerazioni e approfondimenti. Mi è caro concludere con alcune parole che il Concilio Vaticano II indirizzò agli uomini di pensiero e di scienza in chiusura della grande Assise nel dicembre del 1965:

“Un saluto specialissimo a voi, ricercatori della verità, a voi, uomini di pensiero e di scienza, esploratori dell’uomo, dell’universo e della storia, a voi tutti pellegrini in marcia verso la luce (…) Il vostro cammino è il nostro. I vostri sentieri mai risultano estranei a quelli propriamente nostri. Noi siamo amici della vostra vocazione di ricercatori, gli alleati delle vostre fatiche, gli ammiratori delle vostre conquiste (…) Anche per voi, dunque, noi abbiamo un messaggio, ed è questo: continuate a cercare, senza mai rinunciare, senza mai disperare della verità! (…) Senza stupirvi, senza accecare i vostri sguardi, noi vi offriamo la luce della nostra sorgente misteriosa: la fede. Colui che ce l’ha affidata, è il Maestro sovrano del pensiero, è quegli di cui noi siamo umili discepoli, è il solo che ha potuto e può dire: “Io sono la luce del mondo, io sono la via, la verità e la vita”. (…) Abbiate fiducia nella fede, questa grande amica dell’intelligenza! Rivolgetevi alla sua luce per conseguire la verità, tutta la verità! Questo è l’augurio, l’incoraggiamento, la speranza che vi esprimono, prima di separarsi, i Padri del mondo intero, riuniti in Concilio a Roma”.

 

Perugia, venerdì 11 marzo 2011

Lectio Magistralis.doc

I settant’anni della editrice Elledici

Intervista con don Valerio Bocci

Oggi don Bosco sarebbe su Facebook

A don Bosco non sono mai mancati i colpi di genio. Se vivesse oggi, la prima cosa che farebbe, probabilmente, sarebbe quella di crearsi un profilo su Facebook per raggiungere i ragazzi poveri culturalmente, umanamente e spiritualmente di questo tempo. E di ispirazioni sante non sono mancate ai suoi successori, in particolar modo a don Pietro Ricaldone (1870-1951), chiamato “l’uomo delle grandi realizzazioni”. Dopo aver creato l’Ufficio catechistico centrale salesiano nel 1939 durante la seconda Guerra Mondiale, don Ricaldone lancia una sfida coraggiosa: nel 1941 fonda la Libreria della Dottrina Cristiana (Elledici), producendo sussidi didattici, testi e filmine, organizzando Giornate del catechismo e fortunati convegni a supporto della catechesi italiana.  E in occasione della festa dell’Immacolata – l’8 dicembre fu la data di nascita dell’editrice – il rettore maggiore dei salesiani, don Pascual Chávez, ha inviato un saluto al direttore generale di oggi, don Valerio Bocci, ricordando il prezioso servizio svolto dall’editrice “per la formazione dei catechisti, particolarmente d’Italia e non solo, e per il consolidamento della fede dei giovani”. Da quell’8 dicembre, commenta don Bocci, la Elledici “ha sempre mantenuto fede allo spirito di don Bosco. Fiumi di inchiostro versati in settant’anni anni per rendere l’unica e vera Parola del Signore sempre attuale e giovane al servizio della comunità cristiana”.

Dopo settant’anni, quali sono le sfide che un’editrice cattolica è chiamata ad affrontare?

Sono diverse e impegnative, dalle ideologiche alle economiche. La più urgente sembra oggi quella legata al diritto di cittadinanza nei luoghi e nei non-luoghi virtuali in cui si fa educazione o si genera cultura, soprattutto giovanile. In una stagione di pluralismo conclamato, un’editrice che si connota con i valori cristiani fatica a conquistare il diritto di parola. Il pericolo è di venire emarginata, o calcolata come una voce tra le tante, senza un vero peso specifico. Ma può piazzarsi bene se sa proporre coraggiosamente e professionalmente il suo messaggio, secondo il principio della duplice “fedeltà a Dio e all’uomo”, annunciata profeticamente negli anni Settanta dal Documento di Base per la Catechesi.

Qual è il contributo che l’editrice deve continuare a offrire per il bene della catechesi?

Rimanendo se stessa, vivendo e reinventando creativamente ciò che è iscritto nel suo Dna: la passione educativa che fu di don Bosco e che ha sempre declinato, con fantasia e competenza, nei progetti catechistici per tutte le età, a supporto dell’impegnativo servizio degli insegnanti di religione e dei catechisti.

Quali sono stati e continueranno a essere gli strumenti privilegiati adottati dall’editrice per veicolare la buona notizia del Vangelo?

È impossibile riassumere in poche battute anche solo i titoli che hanno fatto la storia dei primi settant’anni di un’editrice che spazia dall’educazione alla fede, dai sussidi catechistici a quelli liturgici, biblici, musicali (la diffusissima raccolta di canti de La Casa del Padre), del tempo libero, fino alle riviste e ai prodotti multimediali.

La Elledici e l’Italia: una storia nella storia. Cosa deve il Paese all’editrice di don Bosco?

L’editrice ha iniziato a pubblicare nel 1941 durante la guerra: l’obiettivo era di alimentare quei valori umani e cristiani che le bombe rischiavano di far sparire per sempre. Anno dopo anno è cresciuto un feeling particolare con le nuove generazioni che avevano bisogno di credere nuovamente nel futuro. Pensando a questi giovani sono stati lanciati i primi prodotti multimediali per la scuola e il catechismo: le storiche, per non dire famose, Filmine Don Bosco alle quali la mostra dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia di Torino ha riservato uno spazio commemorativo. Il successo editoriale di queste strisce accompagnate da un commento sonorizzato è stato bissato quasi subito dalla prima rivista audiovisiva in Italia, “Diagroup”, e con l’avvento di capolavori come Gesù di Nazareth di Zeffirelli, Gli Atti degli Apostoli di Rossellini e Mosè di De Bosio prodotti dalla Rai e diffusi in home video dalla Elledici.

In cosa si è poi distinta, la Elledici, oltre al settore multimediale?

Sicuramente per i libri di religione: Progetto Uomo, per esempio, il testo che, dopo La scoperta del Regno, ha formato generazioni di ragazzi. Poi per le diverse edizioni della Bibbia, a cominciare dall’originalissima TOB fino a La Parola del Signore, traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente, un autentico bestseller che ha superato abbondantemente le due milioni di copie vendute. L’altro settore del catalogo importante è dato dalle dieci riviste che spaziano dalla catechesi alla musica, in particolare Dossier Catechista che rappresenta tutt’oggi un caso editoriale con i suoi ottantamila catechisti abbonati, in compagnia delle testate giovanili Dimensioni Nuove e Mondo Erre.

Come riesce, la Elledici, a mantenersi sempre giovane anche a settant’anni?

Il segreto ce lo svela don Bosco: vivendo con e per i giovani! Da loro ci arrivano tanti stimoli per non restare indietro, per continuare a comunicare con i lettori prestando attenzione alle sensibilità del momento. Anche per questa ragione, la Elledici è sbarcata on line prima con un sito web, poi su facebook, presentando quotidianamente le sue offerte formative a ragazzi, giovani ed educatori che navigano alla ricerca di materiali e risposte non scontate. E, anteprima assoluta nel campo editoriale, la sinergia con Animagiovane, una cooperativa specializzata nella formazione degli animatori dei centri giovanili, oratori, gruppi che vogliono operare con competenza sul territorio.

di Antonio Carriero

(©L’Osservatore Romano 8 dicembre 2011)

Nasce Eurypedia, banca dati sull’educazione

 

 

Ha pochi giorni di vita, ma si annuncia come un servizio molto utile per tutti quelli, addetti ai lavori e non, che sono interessati alla scuola.

Eurypedia – espressione di European Schoolnet – già nel nome suggerisce la propria vocazione enciclopedica e settoriale.

Si tratta, nel complesso, di una banca dati incentrata sulla raccolta sistematica e aggiornata di tutto quello che concerne i sistemi educativi sia dei Paesi europei sia di tutte le altre nazioni coinvolte solitamente nelle rilevazioni internazionali. Il servizio è disponibile principalmente in inglese, ma anche, in alcuni casi, in altre lingue.

E’ possibile reperire informazioni per nazione oppure per argomento o per ordine di scuola. Sono disponibili informazioni anche sulle iniziative in corso e sulle politiche scolastiche nazionali, sui finanziamenti assegnati ai diversi progetti.

Si può consultare un glossario delle abbreviazioni e delle parole chiave e, nella bibliografia, sono raccolte le fonti consultate.

L’ambiente è di immediata lettura, con una simbolizzazione studiata per orientare con certezza chi naviga nel sito, raggiungibile attraverso il link : http://eacea.ec.europa.eu/education/eurypedia






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