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Tag: dialogo

XII pellegrinaggio degli universitari

4 Novembre 20144 Novembre 2014 editore
l’XII pellegrinaggio degli universitari si svolgerà ad Orvieto il giorno 8 novembre 2014 il tema, tratto dal vangelo di Marco, sul quale potremo insieme riflettere sarà “I discepoli non avevano che un solo pane”. Sono invitati a partecipare tutti gli studenti universitari di Roma.
Fare un viaggio verso la scoperta del dono più grande che Cristo ci abbia potuto lasciare prima del Sacrificio sulla Croce, l’Eucarestia, capire come entra e quanto è importante nella nostra vita, se è un punto di partenza fondamentale o un sacramento vissuto solo al momento della comunione e poi lasciato lì, insieme alla messa e alla benedizione del celebrante. E’ questa la domanda che i giovani partecipanti all’ XII Pellegrinaggio degli universitari e accoglienza delle matricole, porteranno con loro ad Orvieto il prossimo 8 novembre. Tema della giornata , promossa dall’ Ufficio per la Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma “I discepoli non avevano che un solo pane” ( Cfr Mc 8,14).
Una meta che nasce dal tema del nuovo anno pastorale: “ Eucarestia e Nuovo umanesimo”. Infatti nel duomo della cittadina umbra c’è la cappella dove sono conservati il corporale e i lini liturgici di un prete boemo, Pietro da Praga, che nel lontano 1263 durante una celebrazione eucaristica presso la tomba di S. Cristina in Bolsena, ebbe dei dubbi sulla verità della transustanziazione, e durante la consacrazione l’eucarestia, vide stillare sangue dall’Ostia consacrata e bagnare tutti i suoi paramenti.
“Per questa dodicesima edizione dell’ ormai tradizionale pellegrinaggio degli universitari – spiega il vescovo Lorenzo Leuzzi, delegato per la Pastorale Universitaria diocesana – abbiamo scelto Orvieto perché proprio quest’anno si celebra il Giubileo Eucaristico. Il nostro obiettivo è quello di aiutare i giovani a scoprire il senso profondo della celebrazione eucaristica come momento centrale, sia della propria esperienza di studio ma anche come servizio. L’ eucarestia diventa così, sorgente delle motivazioni più profonde della vita e dell’ impegno intellettuale, ma anche luogo nel quale il Signore è risorto e dona la Carità Intellettuale agli universitari, per renderli capaci di offrire contributi significativi per la crescita nei vari ambiti della vita sociale e culturale del nostro paese”.
 
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Patrimonio biblico come risorsa educativa.

L’IRC nel curricolo orientato alle competenze

30 Settembre 201430 Settembre 2014 editore

Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e la Conferenza Episcopale Italiana organizzano un Corso di aggiornamento che coinvolge 120 insegnanti di religione cattolica in servizio nelle scuole statali di ogni ordine e grado, sul tema “Patrimonio biblico come risorsa educativa. L’IRC nel curricolo orientato alle competenze” che si svolgerà presso l’hotel Domus pacis a Santa Maria degli Angeli –  Assisi (PG) dal 27-29 ottobre 2014.
Il Corso intende approfondire la riflessione sui possibili sviluppi di un curricolo in verticale di quello che è un elemento contenutistico essenziale ma anche una fonte decisiva nell’IRC: il testo biblico.
Ci si interrogherà in particolare sulle diverse modalità di approccio ad alcune tematiche bibliche che aprono a diverse e differenti prospettive di ricerca e apprendimento, nella logica della maturazione delle competenze da parte dell’alunno.

CEP, Comunicato finale e Messaggio per la famiglia

30 Settembre 201430 Settembre 2014 editore
La vita e la formazione permanente dei presbiteri in un orizzonte di riforma, che qualifichi i contenuti e lo stile del ministero in riferimento a Gesù Cristo e in piena comunione e obbedienza ecclesiale. In secondo luogo – alla vigilia dell’Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi e della preghiera con il Papa, promossa per il 4 ottobre dalla CEI – la gratitudine per la testimonianza coniugale e genitoriale offerta da tante famiglie; nel contempo, la preoccupazione per la sordità dei responsabili della cosa pubblica nei confronti di politiche fiscali e di armonizzazione tra i tempi del lavoro e quelli propri della famiglia; ancor più, il timore per la disponibilità al riconoscimento delle cosiddette unioni di fatto o all’accesso al matrimonio da parte di coppie di persone dello stesso sesso. Ancora, la situazione di persecuzione sofferta dai cristiani e, più in generale, dalle minoranze religiose in una geografia di Paesi che attraversa il mondo; la solidarietà della Chiesa italiana per l’emergenza in Siria e Iraq, nonché una visita a novembre della Presidenza a Gaza.
Ha fatto ruota, innanzitutto, attorno a questi temi la sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente, riunito a Roma da lunedì 22 a mercoledì 24 settembre 2014, sotto la guida del Card. Angelo Bagnasco. Nella prolusione il Presidente ha ringraziato il Santo Padre per la confermata fiducia e i confratelli Vescovi per il lavoro profuso in Assemblea lo scorso maggio, in particolare nelle modifiche allo Statuto. Esse, avendo ottenuto la recognitio della Santa Sede, saranno applicate alla scadenza dell’attuale mandato del Presidente.
I lavori del Consiglio si sono, quindi, concentrati sulla Traccia per la preparazione nelle diocesi al 5° Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze e sulle iniziative per accompagnare l’Anno della Vita Consacrata.
Il Consiglio Permanente – che si era aperto con la prolusione del Cardinale Presidente – ha approvato l’ordine del giorno della prossima Assemblea Generale Straordinaria, il Messaggio per la Giornata nazionale per la Vita e una Circolare sull’organizzazione regionale e diocesana della Migrantes. I Vescovi sono stati aggiornati sull’iniziativa Prestito della speranza; hanno fissato la data del prossimo Congresso Eucaristico Nazionale; hanno autorizzato la predisposizione di una proposta circa un Convegno sul centenario della Prima Guerra Mondiale; hanno posto in agenda una verifica sulla ricezione dell’Evangelii gaudium; hanno, infine, provveduto ad alcune nomine.
  
Il Messaggio per la famiglia
Il Comunicato finale del Consiglio Permanente di settembre 2014


Una teologia per la vita

5 Dicembre 201110 Dicembre 2011 editore Lascia un commento

 

Tra atei e credenti basta il pensiero
intervista a Bruno Forte a cura di Marco Roncalli

«Una teologia per la vita» (La Scuola, pp. 248, euro 14,50) è il libro intervista di Marco Roncalli a monsignor Bruno  Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e teologo di fama. Il testo, da cui riprendiamo qui un brano, viene presentato oggi  alle 18 al teatro Rossetti di Vasto e domani , sempre alle 18, al teatro Marruccino di Chieti.

Discutendo pensatori come Andrea Emo, Massimo Cacciari e Vincenzo Vitiello, lei chiede alla fede e alla ragione di essere agoniche, di accettare la sfida, la lotta…
«Una ragione troppo sicura di sé, una ragione ideologica, diventa violenta e totalitaria. Una fede che non faccia spazio  al dubbio, un credente che non voglia essere il povero ateo che ogni giorno si sforza di cominciare a credere, rischia di  fare della sua fede una rassicurazione comoda. Dunque, fede e ragione sono agoniche, chiamate ad accettare la lotta, la  passione per la verità, e proprio così si aprono all’amore, la parola che il Nuovo Testamento adopera per esprimere la  forma più alta dell’incontro. Insomma, dobbiamo arrivare allo stupore della ragione, che è pure l’approdo della più severa disciplina del pensiero, della filosofia spinta fino in fondo. È forse lì che la ragione avverte meglio il fremere di  una voce di silenzio: ‘l’ultimo Dio’, per dirla con Heidegger, non viene prima, ma oltre la ragione e le sue pretese, oltre i  naufragi delle sue violenze. Nelle profondità del desiderio, la ragione si riconosce assunta e superata da un orizzonte  altro, più grande: sul piano speculativo la ragione indagante oltre sé stessa si ferma meditante sull’abisso ‘dell’Inizio’, ineludibile sponda… Questo stupore mi pare la condizione per aprirsi anche al possibile avvento dell’Altro nella  propria vita, cui schiude la fede. È la verità che non si può possedere, ma dalla quale siamo posseduti, che si fa a noi  guida, che rende la fede necessaria alla nostra vita: di questo ho parlato proprio con amici come Massimo Cacciari,  Vincenzo Vitiello e Giulio Giorello…».

Persone con cui ha scritto «Trinità per atei», a ricordarci la complementarità di teologia e filosofia.
«La teologia necessita nel suo cammino dell’indagine filosofica, ma allo stesso tempo la filosofia ha bisogno della  teologia. Si deve passare dal cogito ergo sum cartesiano, che sembrava esaurire nella capacità speculativa dell’io ogni  problematicità filosofica, al cogitor ergo sum, al ‘sono pensato, dunque esisto’, come ci ricorda la teologia. La  riflessione ci porta a un Dio che fa spazio all’altro, ma che allo stesso tempo crea uno spazio di indagine profonda in noi  stessi».

Dimenticavo una cosa sui nomi che mi ha appena citato… Sono accomunati dal fatto che non hanno mai la pretesa di  avere risposte per tutto.
«E infatti ho dovuto rinunciare a tenere aperto il dialogo con quei pensatori che avevano invece la presunzione di  sapere tutto…».


Qualche nome: almeno un italiano?

«Odifreddi e i suoi fragili “pamphlets” contro Dio e il cristianesimo».

Lo conosce personalmente?
«Venne a visitarmi e stetti a pranzo con lui. Si ipotizzava un lavoro insieme. Volli ascoltarlo. Poi gli dissi chiaramente  che non potevo scrivere un libro con lui su Dio. Per lui Dio può essere tutt’al più un giocattolo da smontare… per me è  il mistero santo, su cui si gioca tutto.
Per lui tutto è scontato, ci sono formule che risolvono tutti i problemi. No, non ci siamo. Il dialogo deve essere fra  teologia e filosofia, appunto fra interrogazione e ascolto, aperti entrambi alla forza della verità che irrompe…».

 

Secondo lei chi è il vero ateo? E l’agnostico?

«Certo non chi dice con nonchalance di non credere in Dio, chi è indifferente tout court, ma chi pensa fino in fondo il  dramma della fede, vive in una condizione di ricerca e di sofferenza, e denuncia il dolore di non credere… Ogni non  banale non credere resta indissociabile dall’infinito dolore dell’assenza, da un senso di orfananza e d’abbandono, quale  solo la morte di Dio può creare nel cuore dell’uomo, nella storia del mondo. Il pensante dunque è, per certi versi, a  modo suo, un credente, anche quando non confessa una fede, quanto meno una persona che sta vicino ad un credente  più di quanto lui stesso pensi… Insomma uno che non nega Dio con presunzione, ma che ne sperimenta con dolore  l’assenza. Agnostico è chi pensa di non poter conoscere Dio, di non poter nulla dire sul mistero. Di per sé l’ateismo  implica una negazione più radicale. Ecco perché penso che non possa esistere. Dopo il pensiero debole, con la sua  visione di un essere che non è, ma accade, sempre proteso sul baratro del nulla, dopo la crisi delle ideologie, ritengo  sia difficile negare Dio, quanto meno sottrarsi alla sfida del mistero. Se vogliamo, pure il credente è un agnostico, uno cui non basta certo la “gnosi” volgare delle soluzioni a buon mercato del problema più alto… Siamo tutti in ricerca  verso il Mistero che ci sorpassa. All’interno del credere o non credere ci sono due possibili atteggiamenti radicali,  quello di chi pensa, di chi pone domande vere e vive la sofferenza della ricerca, e quello di chi non pensa più. Ecco io  credo che dobbiamo incontrarci nel pensare, anche se questo reca fatica o sofferenza… Altrimenti è il credente a  diventare una specie di ateo, quando ad esempio trasforma la sua fede in una sorta di ideologia, senza vivere  l’inquietudine sofferta, appassionata di una ricerca, di una vera e propria lotta con Dio. Ecco perché, credenti e no, siamo sempre sulla soglia».

 

Sempre sulla soglia, ma anche sempre sulla stessa zattera della condizione umana che, in apparenza, se uno non crede,  s’infrange sulla sponda della morte. Questo vuol dire dolore, ogni volta che tocca qualcuno che hai amato…
«Sì, ma, appunto, solo a uno sguardo immediato, di superficie. Certo, non nego la domanda sul dolore.
Senza la morte non ci sarebbe il pensiero, la vita, la vita del pensiero, la dignità del vivere. È la morte che lascia aperto il bisogno di senso. Ed è il dolore che rivela la vita a sé stessa più fortemente della morte: l’avventura umana sta tutta nell’ammettere la tragicità della morte, non fuggendola, non esorcizzandola o nascondendola. Riconoscerla non  significa solo imparare a morire, ma lottare per dare senso alla vita, alla bellezza di esistere. Come diceva Maritain,  bisogna riconoscersi “mendicanti del cielo”, cercando gesti e parole che vincano quello che appare l’ultimo orizzonte. Perciò la condizione dell’essere umano è quella del pellegrino, sempre in viaggio, alla ricerca di una patria lontana, che  a nel cuore la nostalgia di un Oltre. Il nostro tempo sembra vivere a volte nell’illusione di mete raggiunte, nella sazietà  del giorno, nella compiutezza dei propri percorsi: sta qui la “malattia mortale”. Tu sei morto quando il tuo cuore non  vive più l’inquietudine e la passione del domandare. E questo vale anche per la via di Dio: nell’esperienza dell’incontro con Lui la grande tentazione è quella di fermare la vita… Quando non si ha più il desiderio di cercare, ci si allontana da  Dio. È questo il senso più profondo della legge della Croce».

 

in “Avvenire” del 30 novembre 2011


Forte Bruno, Una teologia per la vita, Brescia, Editrice La Scuola, 2011, pp. 245, E. 14.50

In un intenso colloquio con il saggista Marco Roncalli, il vescovo-teologo Bruno Forte mette in relazione teologia e filosofia, religione ed estetica, educazione e vita quotidiana. Un libro che racconta la ricerca di Dio nel nostro tempo segnato dai problemi del confronto tra identità e dialogo, della globalizzazione e del futuro del cristianesimo, affrontando temi e interrogativi che toccano la vita di credenti e non credenti.

 

Babele, fallimento di una sola cultura

11 Novembre 201111 Novembre 2011 editore Lascia un commento

Dio sparse i semi della diversità

Dopo il diluvio e la scialuppa di salvataggio di Noè, l’umanità ricresce e si raccoglie nella valle di Scin’ar. Costruisce una montagna a forma di torre per abitare in cielo. Nelle illustrazioni dell’episodio si vede un’opera incompiuta, ma  secondo la lettera della scrittura sacra l’edificio ha raggiunto il suo culmine. L’impresa di abitare il cielo non viene  interrotta, è invece fallita. E il più fantastico edificio mai concepito da una storia, degno perciò di un grandioso  insuccesso. La divinità interviene dopo l’ultima pietra. Sulle labbra dei costruttori spiccano a zampillo le innumerevoli lingue del mondo, napoletano compreso. Non è un castigo ma un dono. L’umanità, fornita di un solo indirizzo e di una sola lingua, si era ridotta alla concordia di un termitaio, di un alveare. Il fervore dell’ opera aveva cancellato le scelte e  le diversità. Erano diventati maestranze di una sola impresa.
La divinità con la consegna delle lingue restituisce la varietà, il viaggio, l’arbitrio. Babele è la parola che riassume il  balbettio frenetico di una lingua sbriciolata in mille altre nuove. Così la divinità disperde la specie umana «sopra i volti  di tutta la terra». Il progetto è chiaro: la sparge a seme dai ghiacciai ai deserti per farla attecchire ovunque,  inestirpabile. Si allontanarono dall’ombelico di una valle, si moltiplicarono i suoi centri. Il dono delle lingue non servì  solo a disperdere ma pure a attecchire. I nostri emigranti impararono le parole delle patrie seconde per radicarsi in  fretta nella terra nuova. Sovrapposero ai loro affettuosi dialetti i vocabolari delle nazioni, generose con loro più della  patria matrigna che non li riconosceva per figli. Scrive Garcìa Màrquez in Cent’anni di solitudine: «Non si è di nessun  posto finché non si ha un morto sottoterra». Penso diversamente che non si è di nessun posto finché non se ne cantano  le canzoni, finché non si è invitati a ballare a una festa di nozze.
Ho imparato a scuola il latino e il greco. Ho poi aggiunto per mio conto altre grammatiche, alfabeti.
Quando inizio una nuova lingua mi sembra di piantare un albero dal seme. Lentamente affiora dal silenzio, come da  sottoterra e avvia la sua lenta crescita. A volte non arriva a farsi albero e resta cespuglio. Mezza vita fa ascoltavo e  parlavo kiswahili in un villaggio della Tanzania, di sera sotto un gran mandorlo indiano. Come allora mi accorgo che  una lingua è un albero e pronunciarla è stare nel campo della sua ombra.

in “Corriere della Sera” del 10 novembre 2011

Dialogo interreligioso

11 Novembre 201111 Novembre 2011 editore Lascia un commento

 

Un protocollo di intesa per favorire all’interno delle scuole il dialogo tra studenti di culture e religioni diverse, è stato firmato oggi al Ministero dell’Istruzione dal ministro Maria Stella Gelmini e da Tony Blair, in qualità di presidente della Tony Blair Faith Foundation.

Al progetto “Face to Faith” hanno già aderito alcune scuole italiane, da Torino a Catania, da Milano a Roma. Dopo l’inaugurazione di oggi, avvenuta in una scuola media romana alla presenza di Blair, Gelmini ha auspicato che un numero sempre crescente di istituzioni scolastiche aderisca al progetto.
“Il dialogo interculturale – ha affermato Tony Blair –è una delle principali sfide per il mondo intero. Non si diventa cittadini globali senza aver affrontato questo percorso. Non può esistere un Paese con giovani colti e istruiti, se questi non conoscono il dialogo interreligioso e le relazioni tra culture diverse“.




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Le letture divine del cardinal Martini

28 Ottobre 201128 Ottobre 2011 editore Lascia un commento

Alla fine ciò che determina il valore di un essere umano è il metodo, più che i contenuti della mente o le azioni  compiute dalle mani. A dire chi siamo e a conferire la nota dominante alla nostra personalità è il metodo con cui  guardiamo e affrontiamo la vita. Il Meridiano dedicato da Mondadori al cardinale Carlo Maria Martini raccogliendone  gli scritti principali è, innanzitutto, un solenne discorso sul metodo.
Il metodo di Martini si chiama “lectio divina”. In verità nel mondo reale noi possiamo leggere solo ciò che vediamo,  quindi solo ciò che per definizione non è divino, come i testi scritti dagli uomini o i fenomeni naturali. Se si giunge a  parlare di lectio “divina” non è quindi per l’oggetto materiale che viene letto, il quale è e rimarrà sempre del tutto umano nella misura in cui può essere colto dall’occhio, letto e compreso. Se si parla di lettura “divina” è piuttosto per  l’intenzionalità che guida chi legge, un’intenzionalità che proviene dalla profondità dell’uomo interiore dove, diceva  Agostino, “habitat veritas”. La lettura del reale è così definibile come “divina” quando legge il mondo alla luce della  realtà ontologica e assiologia sottesa al concetto di Dio, quando cioè lo legge con la convinzione che la realtà prima e  ultima sia il bene, o la bellezza, l’amore, la giustizia, tutti modi differenti per dire la medesima cosa. Da questa  intenzionalità proveniente dalla profondità spirituale sorge, in alcuni, ciò che la tradizione spirituale chiama “lectio  divina” del reale. Praticare e insegnare questo metodo è stato a mio avviso il lavoro peculiare della vita e del magistero  di Carlo Maria Martini.
Lungo la sua vita egli ha letto il mondo umano come un testo da interpretare alla luce delle promesse divine attestate  dalla Bibbia e prima ancora scolpite nell’anima di ogni giusto. In particolare ha letto quella caratteristica del tutto  peculiare del mondo umano che si chiama “città”, e non a caso il Meridiano è suddiviso nelle sue tre grandi parti con i  nomi delle tre città della vita di Martini: Roma, Milano, Gerusalemme. In questa prospettiva egli ha praticato anzitutto  un’onesta  attenzione analitica (nel suo lessico: discernimento), rispettando sempre le singole individualità senza mai  ricondurle a formule generiche. Ne parlo per esperienza personale, avendo avvertito i suoi occhi posarsi tranquilli per  capire il fenomeno, senza voler sapere già la soluzione e senza voler incasellare ciò che gli stava davanti in schemi  preconfezionati, dottrinali o pastorali che fossero. Mai, in Martini, il dogma ha prevalso sulla vita reale, mai la lettera  ha ucciso lo spirito, ed è in questa prospettiva che vanno lette le sue illuminate prese di posizione in campo bioetico,  assunte pubblicamente una volta che non fu più arcivescovo di Milano ma da sempre coltivate dentro di sé, così  diverse dalla gelida intransigenza di altri prelati. E se c’è un limite alla selezione operata dal Meridiano è proprio l’aver  trascurato questi testi. Le posizioni bioetiche, così come quelle teologiche delle Conversazioni notturne a  Gerusalemme, sono la logica conseguenza del primo elemento del metodo martiniano di approccio al reale, teso a  custodire il singolo fenomeno in tutta la sua complessità e fragilità. In questo senso Martini è un esempio tra i più  limpidi del cattolicesimo liberale e non-dogmatico, riassunto alla perfezione dal suo motto episcopale: «Pro veritate adversa diligere».
Il secondo momento del metodo martiniano di lettura divina del reale consiste in ciò che si potrebbe laicamente  definire immaginazione creatrice, ovvero capacità di saper prevedere e favorire il grado di evoluzione del fenomeno. Il  criterio-guida di tale immaginazione creatrice è il bene qui e ora, il massimo del bene qui e ora che da un singolo  essere umano o da una singola situazione è possibile far scaturire. Ognuno di noi infatti contiene di più di quello che  appare in superficie. Lo stesso vale per le istituzioni e i sistemi. Ogni cosa contiene di più di ciò che appare in  superficie. La “lectio divina” del reale è un’arte maieutica che sviluppa le potenzialità umane e spirituali alla luce della sapienza e della profezia divina. Non è l’ideologia politica o dottrinale che schematizza e incasella i fenomeni in una  direzione prefissata, neppure però è un atto notarile che registra ciò che appare premiando chi ha e punendo chi non  ha, com’è tipico di ogni prospettiva conservatrice. La “lectio divina” legge il fenomeno concreto alla luce delle esigenze  e delle potenzialità divine e tende a suscitare in esso una risposta pratica, concreta, operosa. La finalità della lettura  divina del reale infatti è sempre pratica, è l’azione, il lavoro, la caritas. Si piega sul fenomeno ma non vi si appiattisce,  piuttosto lo innalza, lo eleva sollecitando la sua libertà al di più che può dare, e che già contiene in sé.
Ne viene una singolare combinazione di analisi oggettiva e di carica utopica, di adesione al presente e di slancio verso  il futuro, nella quale il primo momento è più freddo e riguarda la mente, il secondo è più caldo e riguarda la volontà,  con il cuore e le mani chiamati a porsi in empatia col fenomeno e a sostenerlo facendolo camminare e indicandogli la  direzione. Il metodo-Martini in quanto “lectio divina” sgorga da questo duplice movimento della mente e del cuore. Tale metodo riproduce esattamente il metodo di Gesù quale appare nei Vangeli, come quando per esempio il rabbi di  Nazaret rifiutò di applicare la lapidazione per la donna sorpresa in adulterio come prescriveva la Legge (oggi diremmo  il Codice di diritto canonico) e però al contempo le disse “non peccare più”, senza cadere nella nebbia nichilista di un al  di là del bene e del male.
L’attenzione al singolo è sempre più importante delle norme generali, ma con la finalità di sollecitarlo verso il puro e  severo ideale della fedeltà al bene e alla giustizia.
Tutto questo significa proporre un modello di fede cristiana funzionale al mondo. Ciò appare in modo chiaro nel tipo di  preghiera che Martini privilegia, che non è la preghiera di pura lode come vuole la classica mentalità religiosa, ma è la  preghiera di intercessione, che per Martini è la preghiera per eccellenza in quanto riproduce il movimento  fondamentale del Dio biblico, cioè la comunione e l’alleanza col mondo. Vi sono tradizioni che ritengono di raggiungere  il vertice dell’esperienza spirituale quanto più trascendono il mondo. Non così la Bibbia e la tradizione giudaico-cristiana, che vive invece della comunione Dio-Mondo, una comunione non statica ma dinamica, per meglio  dire dialettica, in quanto vive tale rapporto come compiutezza nel momento della sapienza e come incompiutezza nel  momento della profezia, come “già e non-ancora”.
Sapienza e profezia sono le due anime speculative della spiritualità ebraica e Martini, che ama Israele e che non è  pensabile senza il suo legame con Gerusalemme, le riproduce perfettamente nella sua visione cristiana. Egli non ha mai  cessato di sostenere che senza un organico legame con l’ebraismo non si dà cristianesimo autentico.
Il tutto, come si accorgerà il lettore del Meridiano, con uno stile che privilegia la chiarezza e la semplicità. Martini  infatti ha fatto sempre uso della sua grande intelligenza e della sua vasta preparazione nella direzione della semplicità,  risultando un uomo che diffonde umiltà e mitezza.
Proprio come il suo Maestro, che un giorno definì se stesso “mite e umile di cuore”.

in “la Repubblica” del 26 ottobre 2011

Dialogo religioni-governi per affrontare la crisi

28 Ottobre 201128 Ottobre 2011 editore Lascia un commento

 

Sembra passato molto tempo da quando Jim Wolfensohn, allora a capo della Banca Mondiale, dichiarò nel 1999 che i  programmi internazionali di sviluppo che ignoravano l’importanza della religione erano condannati al fallimento. Per  la maggior parte del mondo la religione rappresenta la base delle chiavi interpretative della vita. Se non si capisce  questo può sfuggire come le problematiche standard legate ai modelli di sviluppo abbiano spesso suscitato il garbato  rifiuto dei supposti beneficiati. Risultato: un mucchio di soldi buttati via.
La Commissione sull’Africa di Tony Blair coinvolse 17 leader africani e consegnò il suo rapporto nel 2005. È stata la  prima Commissione internazionale a includere un capitolo dedicato alla cultura e alla religione come componenti  integranti dello sviluppo. Nel 2008, ha seguito questo indirizzo nel programma della sua Faith Foundation, il  «documento sulle fedi», volto a realizzare il potenziale delle comunità di fedeli nel raggiungimento degli Obiettivi di  Sviluppo del Millennio.
Nel frattempo la Banca Mondiale aveva creato il World Faiths Development Dialogue, il confronto sullo sviluppo  mondiale dei credi. L’impegno con il lavoro serio delle comunità religiose, in alcuni casi molto attuale e innovativo,  come nella loro reazione alla pandemia dell’Hiv/ Aids, è stato mortalmente lento nella pratica, anche se positivo in  termini di dichiarazioni pubbliche. Difficile evitare la conclusione che la «lobby per lo sviluppo internazionale» è stata, nel complesso, non solo del tutto laica nei suoi istinti, ma a volte, si è vista in una sorta di contrapposizione binaria  verso tutti i temi religiosi.
Le comunità di fedeli e i leader a volte si dimostrano acerrimi nemici. C’è stata a volte un’iniziale riluttanza a superare i  rigori della valutazione esterna per raccogliere dati e risultati. E il governo ha voluto un sacco di informazioni e prove  di conformità con le politiche governative ma senza offrire poi alcun riscontro. I leader religiosi e i capi di governo  raramente hanno avuto l’opportunità di incontrarsi e discutere i loro peggiori sospetti in un ambiente sicuro. Solo un  piccolo numero di chiese sono impegnate nel proselitismo. In molti casi i ministri corrotti sono mandati via il più presto possibile. Non ci sono tesori nascosti. Un confronto su questi temi ha avuto luogo durante una conferenza  congiunta della Tony Blair Faith Foundation (Tbff) con la Yale University nel 2009, a cui erano stati invitati i leader  religiosi e i ministri della Sanità dell’Africa per parlare di collaborazione nella lotta alla malaria.
A due anni di distanza il ministro della Salute in Sierra Leone e tutti i leader religiosi del Paese – nessuno dei quali era  presente alla riunione di Yale stanno lavorando insieme a una campagna nazionale di prevenzione della malaria. Non  sono problemi irrisolvibili. I sospetti reciproci non sono necessariamente le domande sbagliate, ma non sono  certamente la fine del dialogo.
Più interessanti le domande per approfondire ciò che le comunità religiose potrebbero portare al pensiero e alla  pratica dello sviluppo comune, ora che ci si sta muovendo verso la disponibilità all’ascolto e alla discussione. Un  seminario in programma oggi a Bologna, organizzato congiuntamente dalla Tbff, dalla Fondazione per la Sussidiarietà e  dall’Università di Bologna, coinvolge importanti esponenti cristiani e musulmani chiedendo loro quali sono i  contributi esclusivi delle religioni del mondo alla teoria e alla pratica dello sviluppo.
Il professor Stefano Zamagni è ben qualificato, nel suo ruolo di consulente assai vicino a Papa Benedetto XVI nella  scrittura della «Caritas in veritate», per articolare le più recenti teorie della Chiesa e riflettere sugli sviluppi  intervenuti dalla straordinaria «Populorum Progressio» (1967) di papa Paolo VI. Atallah Fitzgibbon, in quanto capo  consulente per le politiche di Islamic Relief, ha monitorato l’evoluzione del pensiero musulmano sullo sviluppo  internazionale e i problemi incontrati.
Il modo in cui le istituzioni locali, nazionali e internazionali delle comunità religiose interagiscono in un mondo  interconnesso rende assai pregnante l’intervento dei leader religiosi, delle loro comunità e delle loro organizzazioni.  Questi interventi non avranno successo a meno che non si accompagnino al tessuto e al linguaggio della fede e della  pratica religiosa che il più delle volte sono al centro di una cultura.
Una cosa è chiara: le religioni del mondo condividono una profonda preoccupazione per la carità, la compassione e la  giustizia – anche se ciascuna dà a questi concetti fondamentali una sfumatura leggermente diversa. La ricca diversità  del Sanathana Dharma indiano, (letteralmente «religione eterna» liquidata come «Induismo» per convenienza politica  imperiale) colloca la povertà e la compassione nel contesto di una narrazione di fondo che contempla la rinascita.  L’Islam e l’ebraismo derivano questi temi, in parte, da una forte tradizione legale. Mentre il cristianesimo ha le sue  radici nella dottrina e nel ministero di Gesù. In ognuna di esse alla povertà è attribuito un significato sia come soggetto  o oggetto di spiritualità. Sarebbe sorprendente se lo sviluppo volto all’eliminazione della povertà e all’espansione delle  capacità umane non traesse forza da un incontro ravvicinato con le religioni del mondo.

*Linden è Director of Policy alla Tony Blair Faith Foundation, che organizza oggi all’Università di Bologna un seminario  u «Religione e sviluppo» con la Fondazione per la Sussidiarietà (il programma su www.sussidiarieta.net) Traduzione di Carla Reschia

in “La Stampa” del 27 ottobre 2011

 

“Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo”

28 Ottobre 20111 Maggio 2019 editore

 

 

Ratzinger ad Assisi venticinque anni dopo sulle orme di Wojtyla

 

Venticinque anni dopo il raduno interreligioso per la pace convocato nel 1986 ad Assisi da Giovanni Paolo II, oggi il suo successore ripete quel gesto. Benedetto XVI, insieme a circa 300 esponenti delle diverse tradizioni religiose, dai  buddisti agli induisti, dai musulmani agli scintoisti giapponesi, salirà alle otto di questa mattina sul treno, un convoglio  speciale che partirà dalla stazione del Vaticano, per raggiungere la città di San Francesco. La riedizione ratzingeriana  dei meeting interreligiosi di Papa Wojtyla ha come titolo: «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo» e presenta più di una novità. Quella più significativa è la presenza di alcuni atei, che hanno  accettato l’invito del Pontefice.
Quando lo scorso gennaio, a sorpresa, Benedetto XVI annunciò di voler celebrare l’anniversario del primo raduno  wojtyliano, non mancarono le critiche, anche dentro la Chiesa. Non s’inalberarono soltanto i tradizionalisti seguaci di  Lefebvre, che considerano questo tipo di incontri un’umiliazione per la Chiesa cattolica. Anche tra i «ratzingeriani» ci  fu chi fece notare al Papa che sarebbe uscito dai binari del suo stesso pontificato, temendo interpretazioni  sincretistiche, con le religioni che finiscono per equivalersi.
Ad Assisi 1986 erano in primo piano la preghiera e i rappresentanti delle varie religioni vennero ospitati per celebrare  i loro differenti culti in chiese cattoliche. Vi furono sbavature dovute all’organizzazione non impeccabile, che  impensierirono Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e assente all’incontro.  L’ultimo raduno interreligioso del pontificato di Giovanni Paolo II si tenne sempre ad Assisi nel gennaio 2002, subito  dopo l’attentato alle Torri Gemelle e allora il cardinale Ratzinger, invitato personalmente dal Pontefice, salì sul treno con i leader delle varie religioni. Al suo ritorno spiegò sul mensile «30Giorni» il significato di quel gesto: «Non si è  trattato di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare  una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del  pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia».
L’aspetto del pellegrinaggio comune, più che quello della preghiera, sarà enfatizzato nella giornata di oggi, proprio per  evitare interpretazioni sincretistiche. I musulmani presenti saranno 48, più che nelle precedenti edizioni malgrado  l’assenza dei rappresentanti dell’università di AlAzhar del Cairo, il principale centro intellettuale dell’islam sunnita, che  o scorso gennaio ha interrotto i contatti con il Vaticano dopo che il Papa aveva invocato un intervento della  comunità internazionale per proteggere i cristiani in Egitto. Assente – giustificato – il Dalai Lama. Mentre ci saranno il  patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e una delegazione del patriarcato di Mosca.
La novità più importante e sorprendente è la presenza di alcuni non credenti. Una di loro, Julia Kristeva, interverrà  davanti al Papa e agli altri leader religiosi affermando: «Per la prima volta, l’homo sapiens è in grado di distruggere la  terra e se stesso in nome delle proprie credenze, religioni e ideologie». Mentre tra gli impegni sottoscritti nell’incontro  conclusivo, c’è quello che sarà letto dal vescovo luterano di Terra Santa Mounib Younan: «Noi ci impegniamo a  proclamare la nostra ferma convinzione che la violenza e il terrorismo contrastano con l’autentico spirito religioso e,  nel condannare ogni ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della religione, ci impegniamo a fare quanto è  possibile per sradicare le cause del terrorismo».

di Andrea Tornielli
in “La Stampa” del 27 ottobre 2011

 

 

Religioni, il dialogo passa dal bene
di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 26 ottobre 2011

Nella giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo indetta da papa Benedetto XVI si  possono scorgere, accanto a una sostanziale continuità con l’iniziativa di Giovanni Paolo II nel 1986, qualche accento  di novità. A questa giornata, infatti, sono convocate anche personalità del mondo della cultura che non si professano  religiose; inoltre, l’incontro è intitolato «Pellegrini della verità, pellegrini della pace», mettendo così in rilievo come la  ricerca della verità sia essenziale perché vi possa essere una ricerca della pace.
Quanti presumono di conoscere Benedetto XVI e lo additano sovente come «correttore» dei suoi predecessori hanno  gridato al tradimento e alcuni di loro si sono persino rivolti a lui con lettere che lo invitavano a cancellare questa  iniziativa. I tradizionalisti scismatici esprimono la loro condanna, e lo stesso fanno anche alcuni cattolici che temono  l’evento perché lo giudicano un incoraggiamento al sincretismo o al relativismo, secondo il quale tutte le religioni si  equivalgono. Così ancora una volta nella nostra Chiesa, sempre più divisa e conflittuale, si profilano accuse e  contrapposizioni che segnano con la diffidenza ogni iniziativa e la rendono occasione per una negazione di chi, lungi dall’avere un’altra fede, semplicemente appare con diversità di stile, di toni, di atteggiamenti pastorali, di modi di porsi  ella storia e in mezzo agli uomini.

Al di là delle reazioni anche scomposte, la volontà di Benedetto XVI di fare proprio lo spirito di Assisi conferma il  cammino di dialogo voluto dal Vaticano II e mostra come la Chiesa cattolica abbia la consapevolezza di una missione  veramente universale: una missione, cioè, che riguarda tutti nel rispetto del cammino e delle vie religiose di ciascuno,  nella convinzione che tutti gli uomini sono fratelli perché figli di un unico Padre e Creatore e che a nessuno di loro  potrà mai essere estraneo il mistero pasquale di Gesù. Va anche detto che molti timori riposano su un fondamentale malinteso: si presume che il dialogo richieda di mettere da parte la propria fede e dimenticare la verità. In realtà, il  dialogo implica un’autentica reciprocità, chiede di ascoltare l’altro e la sua fede con rispetto ma, nello stesso tempo, di  parlare con parresía della propria fede. Il dialogo interreligioso esige che ciascuno dei due partner conosca la propria  tradizione e le resti fedele, che sia un testimone della propria fede senza la pretesa di imporla all’altro. Il dialogo, se ben  compreso, fa addirittura parte dell’evangelizzazione, perché è solo dialogando in modo autentico che si assume lo  stile di Gesù, lo stile del Vangelo, quello dei discepoli inviati tra le genti.
Il cammino del dialogo è un percorso coerente con la grande tradizione della Chiesa. Fin dai primi secoli i padri della  Chiesa, interrogandosi sulle diverse tradizioni religiose in mezzo alle quali i cristiani erano una realtà nuova e  minoritaria, discernevano i semina Verbi, cioè la presenza di «semi della parola di Dio», di tracce dello Spirito Santo,  di raggi di verità. In tutte le realtà, in tutta la storia ha sempre operato la parola di Dio e insieme a essa, mai da essa  dissociato, lo Spirito di Dio; con l’incarnazione, poi, è Dio stesso che si è fatto uomo, carne, e ha abitato in mezzo a noi.  La Parola ha sparso i suoi semi di vita nelle culture di tutte le genti, semi che inizialmente sono nascosti ma che poi si  sviluppano e appaiono nella storia, nelle diverse culture. Detto altrimenti, Cristo è la verità unica, ma raggi della sua  luce si trovano in ogni essere umano, creato da Dio a sua immagine e somiglianza. Verità, queste, mai smentite, che  hanno condotto Paolo VI a constatare che «le religioni … hanno insegnato a pregare a intere generazioni», mentre  Giovanni Paolo II attestava: «Noi possiamo ritenere che ogni preghiera autentica è suscitata dallo Spirito Santo che è misteriosamente presente nel cuore di tutti gli uomini».
Ma a quali condizioni è possibile convocare credenti di diversa fede e religione a pregare per la pace? Quando fu  organizzato l’incontro del 1986, in risposta alle diverse contestazioni sollevate nei confronti dell’iniziativa papale si  affermò con insistenza che il pellegrinaggio ad Assisi non era voluto per «pregare insieme», ma per «stare insieme per  pregare». In tal modo si è ribadita l’impossibilità di una preghiera comune, perché questa è possibile solo tra cristiani  di diverse confessioni, che riconoscono il Dio trinitario e confessano come unico salvatore Gesù Cristo. I cristiani non  possono fare proprie le formulazioni di preghiera di altre religioni e, reciprocamente, gli altri non vorrebbero certo  adottare le preghiere cristiane. La preghiera, eloquenza della propria fede, ci chiede di pregare insieme come cristiani  che confessano la fede espressa nel Credo apostolico; ci chiede anche di pregare insieme tra ebrei e cristiani (almeno  attraverso i salmi), figli gemelli dell’Antico Testamento che confessano lo stesso Dio e attendono da lui la piena  redenzione.
Ci è però impedito di fare una preghiera comune e pubblica con credenti di altre religioni: l’unica cosa che è sempre  possibile condividere con tutti è un silenzio adorante vissuto gli uni accanto agli altri, nella certezza che Dio vede,  unisce, accoglie ciò che sale dal cuore umano come desiderio di bene e di salvezza. Dio conosce chi cerca il suo volto:  lui certo vede e crea una comunione che noi non possiamo né misurare né riconoscere. Tuttavia, come ricordava  Giovanni Paolo II nel discorso alla curia romana nel 1986, coscienza e fede ci dicono che «c’è un solo disegno divino  per ogni essere umano che viene a questo mondo, un unico principio e fine», perché «le differenze sono un elemento  meno importante rispetto all’unità che invece è radicale, basilare e determinante».
Noi cristiani crediamo che Gesù Cristo è l’unico salvatore, l’unico mediatore e l’unico Signore degli uomini, ed è  proprio questa fede in lui che ci spinge verso gli uomini del mondo, delle diverse culture e religioni, con grande  simpatia, con il desiderio di ascoltare ciò che brucia nel loro cuore, con il desiderio anche di imparare da loro, nel  dialogo e nel confronto schietto, libero, capace di reciproca accoglienza. Non siamo degli ingenui ottimisti ma, anzi, è  con fatica che cerchiamo di assumere i sentimenti, gli atteggiamenti e i pensieri di Gesù, lui che ha voluto incontrare  tutti: sani e malati, giusti e peccatori, ricchi e poveri, ebrei e appartenenti alle genti, persone con la fede in Dio o che non conoscevano Dio. Gesù non ha mai giudicato né condannato nessuno, si è addirittura seduto alla tavola degli  impuri, dei peccatori e dei maledetti: e come potremmo noi, suoi discepoli, rifiutarci di accogliere qualcuno dei nostri  fratelli e sorelle in umanità?

Sì, noi uomini e donne siamo tutti ciechi in cerca di essere guariti, zoppi che faticano ad andare avanti, balbuzienti nel  parlare a Dio, spesso sordi nell’ascoltarlo. Siamo pellegrini in cerca della verità, della giustizia e della pace: tutti  invochiamo e attendiamo la salvezza, quella «salvezza [che] non sta nelle religioni in quanto tali, ma è collegata con  esse, nella misura in cui portano l’uomo al Bene unico, alla ricerca di Dio, alla verità e all’amore».
Il testo è la lectio magistralis che Enzo Bianchi terrà oggi ad Assisi alla vigilia della preghiera per la pace con il Papa.

 

 

“Io, ateo, invitato dal Papa”
intervista a Andrés Beltramo Alvarez, a cura di La Stampa
in “La Stampa” del 27 ottobre 2011

Senza gli «atei» mancherebbe qualcosa nell’incontro ad Assisi. Parola del filosofo messicano Guillermo Hurtado, 48  anni, il membro più giovane della delegazione dei quattro non credenti che partecipa alla Preghiera per la Pace. Con lui  i saranno Julia Kristeva, filosofa e psicoanalista francese; Remo Bodei, storico dell’Università di Pisa; e Walter  Baier, economista austriaco membro del partito comunista. La riunione voluta dal Papa, per Hurtado, non è più  «interreligiosa», perché per la prima volta coinvolge tutta l’umanità.

Cosa ci fa un agnostico in questo pellegrinaggio?
«Accompagna i credenti nella ricerca della verità e della pace, come ha detto Benedetto XVI. Si tratta di una ricerca  condivisa dall’umanità, nella quale un agnostico, e anche un ateo, possono partecipare con fiducia e convinzione piena».

Questa sarà la prima volta per i «non credenti» negli incontri di Assisi. Come interpreta la novità?
«Come parte di una vocazione universale della Chiesa cattolica, perché un incontro di soli credenti, che lascia fuori  quelli che non lo sono, non sarebbe un riflesso delle aspirazioni comuni dell’umanità. Dobbiamo promuovere il dialogo  tra credenti e non credenti in questo momento della storia, nel quale siamo sommersi in una crisi molto grande, per  trovare soluzioni comuni ai problemi comuni».

Ci sono molti tipi di «non credenti»: agnostici, atei e ostili. C’è posto per tutti ad Assisi?
«È un ventaglio, che va dagli atei belligeranti giacobini (che pretendono di cancellare la religione), fino agli agnostici  aperti alle manifestazioni della religiosità che cercano risposte spirituali. Non è possibile mettere tutti i non credenti  nella stessa categoria. Quello del Papa non può essere preso come un invito per tutti: lo considero come un invito  individuale, per stabilire un dialogo con alcuni non credenti».

 

 

L’anglicano Williams: silenzio e povertà, in ascolto di Francesco
di Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury
in “Avvenire” del 27 ottobre 2011

Per san Francesco d’Assisi, il presupposto di ogni dialogo era la povertà. Intendo riferirmi a tutto il ministero di  Francesco. Non si può parlare di dialogo senza includere l’ascolto reciproco, e non si può prestare ascolto senza  ammettere una qualche forma di povertà interiore, come la povertà del silenzio, che ci serve per ascoltare le parole  dell’altro, e la povertà di riconoscere che l’altro può donarci qualcosa di cui abbiamo bisogno. Povertà di spirito vuol  dire rimanere in silenzio affinché l’altro – che si tratti dell’ambiente fisico, del mondo animale, del credente di fede  diversa o del non credente – possa essere ascoltato con sincerità. Non è certo il silenzio del dubbio o del relativismo.
È povertà fondata nella ferma convinzione dell’assoluta realtà di Dio rivelata dal Cristo incarnato e, come dimostra la  vita stessa di Francesco, nelle piaghe di Gesù crocifisso. È fondata nel convincimento che l’amore per Dio è saldo e  forte abbastanza da superare l’opposizione più intensa e ostinata, che il silenzio dell’amore sollecito fa emergere la  verità, e che della verità non si deve aver paura. Negli incontri di Assisi dovremo ascoltare Francesco e chiedergli di  pregare per noi. Nel nostro dialogo dobbiamo trovare il coraggio di stare in silenzio insieme: non già perché non abbiamo niente da dire o nessuna verità da condividere, ma in quanto consapevoli, e grati, che Cristo ci ha assicurato  un posto nella sua vita e preparato per noi incontri in cui lo ritroveremo e riconosceremo in persone e situazioni  diverse. Dobbiamo trovare il modo di parlarci e ascoltarci l’un l’altro in maniera tale da lasciar emergere il logos,  quell’energia e interazione che sta alla base di tutto il creato e che sorregge egualmente la giustizia e la contemplazione.

 

 

Al passo di due Papi
intervista a Roger Etchegaray a cura di Angelo Scelzo
in “Avvenire” del 27 ottobre 2011

Di Assisi continua a dire che «è la più bella arca di pace che ci sia». Ma 25 anni dopo quell’evento che passò – e così a  fondo – per le sue mani, il cardinale Roger Etchegaray tiene a dire anche qualcosa di sé, naturalmente a modo suo:  «Non mi sento un combattente un po’ in disarmo di quel primo Assisi. Esiste sempre qualche buona battaglia da  combattere, e quella che Papa Benedetto ci indica, con il ritorno nella città del Poverello, non è solo importante ma  aiuta a guardare avanti, ai tempi forti che sono già in atto, e che ancor più si profilano per la Chiesa e il mondo. Penso ai 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, al Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione».
Forse bisognerà parlare anche di uno ‘spirito Etchegaray’ visto che, quanto più gli anni avanzano, tanto più sembra  dilatarsi lo sguardo al futuro del cardinale delle ‘missioni impossibili’, riconosciuto tessitore di pace ‘armato’ della forza  dei mezzi poveri: la capacità di dialogo, il rispetto per l’altro, la chiarezza delle proprie ragioni. Sulle lunghe fasi della  preparazione – oltre dieci mesi di incontri, contatti, passi avanti e battute d’arresto – la preoccupazione è di spostare il tiro da un protagonismo personale: «Di allora mi viene in mente soprattutto l’inusuale consuetudine di rapporti con il  Santo Padre: per me è stata un’esperienza di personale evangelizzazione. E Assisi fu tutta sua, un’intuizione alla  Wojtyla, testa e cuore: la pace come orizzonte ma anche fatica comune delle religioni. Aveva già tutto in mente, a  partire dalle obiezioni, che gli si manifestarono subito, alla lettura della proposta – che pure prese in una certa  considerazione – di un ‘Concilio mondiale della pace’ avanzata dal fisico tedesco Carl Friedrich von Weizsaecker,  fratello dell’allora presidente tedesco. Le accuse di sincretismo non tardarono a manifestarsi, e bisogna dire che  Giovanni Paolo II fece di tutto per sgombrare il terreno da equivoci. Ma è vero che si manifestarono anche perplessità di una certa parte del mondo cattolico, che si trovò di fronte a un cambio di passo che non si aspettava».

È per questo allora che nel venticinquennale si parla di una ‘nuova Assisi’ riveduta e corretta?
«Non direi. Nella sostanza non esiste niente di mutato. Un accento diverso si può trovare nel valore che Papa  Benedetto assegna al dialogo intra-ecclesiale, che riguarda le singole religioni in rapporto a se stesse. Mi sembra un  punto fondamentale nella visione del Santo Padre. Ciò spiega il momento della preghiera riservata a ciascuna  delegazione, e la particolare importanza attribuita al pellegrinaggio, una strada comune lungo la quale il Papa chiede  anche l’apporto degli atei, di coloro che sono in ricerca e che, non di rado, avvertono più di tutti la vicinanza di Dio.  Ecco un tratto, già largamente presente in tutto il pontificato, che identifica come ‘tutto di Benedetto’ questo ritorno ad Assisi. L’incontro di 25 anni fa, in ogni sua fase, pose in evidenza le differenze e le convergenze tra l’ecumenismo e il  dialogo interreligioso, e contribuì a far compiere un salto in avanti senza precedenti verso le religioni non cristiane,  considerate fino ad allora come di un altro pianeta, nonostante Paolo VI con la Ecclesiam suam e il Concilio con la  Nostra aetate ».

Si può trarre ancora qualcosa di nuovo da Assisi 1986?
«Nessun grande evento finisce una volta per sempre. Non possiamo mettere il punto alla storia, e tantomeno a una  storia come quella di Assisi che, peraltro, si è sviluppata per capitoli successivi con la convocazione della Giornata di  preghiera per l’Europa nel gennaio del 1993 durante il conflitto nei Balcani, e il ritorno nel 2002. Quando la pace cerca  un approdo la bussola è sempre orientata in direzione del monte Subasio. Assisi non è solo l’altro nome della pace, la  sua novità è sempre in atto».

Da quei giorni del 1986 la traduzione ricorrente è quella dello ‘spirito di Assisi’, che per qualcuno equivale a una formula di successo, o poco più…
«Si è cominciato da allora a parlare e a prendere coscienza in maniera sempre più consapevole della ‘famiglia umana’ e  delle responsabilità che a essa spettano, prima fra tutte la pace. Si potrebbe parlare anche in questo caso di una  semplice formula. Ma il problema è la sostanza.
E se si ritorna ad Assisi, a distanza di 25 anni non è certo per fare semplice memoria di un evento passato. Non è questo  l tempo per rivisitazioni più o meno celebrative. Anzi, credo sia giusto dare merito a chi nel corso di questo  non breve arco di tempo ha fatto in modo che lo ‘spirito di Assisi’ continuasse a soffiare in ogni parte del mondo. Penso,  in particolare, alle Giornate della Pace della Comunità di Sant’Egidio, l’ultima delle quali svolta in coincidenza  con l’anniversario di Assisi a Monaco, nella città dell’episcopato di Papa Benedetto»,

Qual è allora il senso di questo nuovo incontro a distanza di un quarto di secolo?
«Ecco, l’ha detto: un quarto di secolo. Contare gli anni toglie spessore e, in un certo senso, mette in ombra il dato  fondamentale: più che Assisi, è cambiato il mondo. E anche la Chiesa vive una sua stagione diversa e tutta nuova,  guidata dalla sapienza di un uomo di Dio che s’è dato e ha affidato a tutti noi il compito essenziale di annunciare  l’Essenziale: il Dio che salva, ma che pure lascia a noi la libertà di impastare la storia con le nostre mani. Venticinque  anni fa il mondo era ancora diviso in blocchi: il muro spezzava Berlino e non solo; di globalizzazione non parlava  ancora nessuno e Internet con le nuove tecnologie informatiche muoveva appena i primi passi. Anche la pace si divideva in campi ben delineati, e non ancora attraversati con l’irruenza che è venuta poi, da quelle nuove forme di  sfruttamento e di ingiustizia ramificate, come erba cattiva, accanto a modelli di sviluppo avvelenati alla radice. Sono  riapparsi ai nostri occhi scenari che pensavamo appartenessero solo ai fantasmi del passato: traffico di esseri umani,  esodi e deportazioni; povertà declinate in tutte le peggiori forme di privazioni. Non solo pane si è arrivati a invocare,  ma le più elementari forme di diritti, a cominciare dalla libertà. È spuntata così, con tutti i rischi ancora in atto, la  ‘primavera araba’. Assisi di oggi e la Chiesa che vi si reca in pellegrinaggio si trovano a confrontarsi anche con tutte le  più drammatiche appendici di guerre e conflitti, che, peraltro, continuano a imperversare. E non occorre certo  ricordare che il nuovo millennio si è aperto con lo sfregio delle Torri Gemelle, un attentato così barbaro da macchiare  di violenza il tempo nuovo che nasceva: il secondo millennio della nascita di Cristo, che la Chiesa ha celebrato,  accompagnata alla soglia e per un breve tratto oltre il varco dalla santità e dalla sapienza di un grande Papa, il beato  Giovanni Paolo II. Nel grande pellegrinaggio attraverso la storia, Assisi è solo un piccolo tratto. Ma su questa strada la  prima verità è che non esistono passi perduti. Il punto centrale del ritorno ad Assisi mi sembra, in sostanza, proprio  questo: la ricerca della verità è di per sé una strada che porta lontano. La prima sosta utile può essere all’angolo del  bene comune. È forse arrivato il tempo di piazzarvi una tenda».

 

 

ALTRI ARTICOLI

 

  • Il «comandamento» di Assisi: purificazione 1986-2011 di Marco Roncalli in Avvenire del 28 ottobre 2011
Wojtyla insisteva sull’unità della famiglia umana nel segno del Concilio. Ratzinger ha confermato, senza scorciatoie. “Resta sullo sfondo – … – il valore dell’approfondimento della ricerca teologica, dopo lo spiazzamento introdotto dalla pratica del dialogo con le grandi religioni, specie in relazione alla singolarità del Cristo in ordine alla salvezza, tra soluzioni di «esclusivismo», «pluralismo», «inclusivismo». Una ricerca che ha grandi responsabilità.”
  • Ironia di una santa che volle dare scacco matto al Signore di Julia Kristeva in il manifesto del 28 ottobre 2011
L’Inquisizione indagò sulle visioni di Teresa prima che la Chiesa non vedesse l’utilità di conciliare ascetismo e soprannaturale. Nei suoi testi la santa descrive la decomposizione della sua identità nel transfert con l’Essere Completamente Altro, Dio
  • Le religioni mondiali ad Assisi di Roberto Monteforte in l’Unità del 28 ottobre 2011
Il Papa ha inviato anche gli «agnostici» al pellegrinaggio per la “Giornata di dialogo e preghiera per la pace e per la giustizia”. Preghiera «individuale» per i leader religiosi e riflessione comune sulla pace. «Mai più violenza, mai più guerra, mai più terrorismo! In nome di Dio ogni religione porti sulla terra giustizia e pace, perdono e vita, amore».
  • Mea culpa del Papa: mai più guerre di religione di Marco Ansaldo in la Repubblica del 28 ottobre 2011
“Nel discorso fatto nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, davanti alla Porziuncola dove trovò rifugio San Francesco, dinanzi a ortodossi ed ebrei, musulmani e buddisti, indù, jainisti, sikh, zoroastriani, bahai, confuciani, taoisti, scintoisti, il Papa non ha mancato di recitare un mea culpa. «Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna»”
  • “Se agli agnostici manca Dio la colpa è anche dei credenti” di Giacomo Galeazzi in La Stampa del 28 ottobre 2011
“Il Papa unisce le religioni su ciò che più le accomuna, lo sforzo per la pace e la giustizia, lasciando in secondo piano il terreno scivoloso della preghiera in comune. «Restiamo uniti contro la guerra e l’ingiustizia – ha detto -. Mai più violenza, mai più guerra, mai più terrorismo. In nome di Dio ogni religione porti sulla Terra giustizia e pace, perdono e vita, amore»”
  • Se il Papa apre agli agnostici di Andrea Tornielli in La Stampa del 28 ottobre 2011
“Papa Ratzinger ieri ad Assisi ha ritenuto di rivolgersi anche a quelle «persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio». Queste persone pongono domande sia «agli atei combattivi» che «pretendono di sapere che non c’è un Dio», e li invitano «a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista». Ma soprattutto… agli aderenti alle religioni, «perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri»”
  • Il Papa elogia gli agnostici «Un aiuto per i credenti» di Gian Guido Vecchi in Corriere della Sera del 28 ottobre 2011
“«Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo!». L’impegno comune e l’esortazione finale, scandita dal Papa al crepuscolo nella piazza accanto alla Basilica, richiama il senso della «giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo»”
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27 ottobre 2011


  • Un nuovo umanesimo in dieci principi di Julia Kristeva in Corriere della Sera del 27 ottobre 2011
“L’invocazione di questo Papa (Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”) ci incita anche a non temere la cultura europea, ma al contrario ad osare l’umanesimo: costruendo complicità tra l’umanesimo cristiano e quello che, scaturito dal Rinascimento e dai Lumi, ambisce a rischiarare le vie rischiose della libertà” “L’incontro delle nostre diversità, qui ad Assisi, testimonia che l’ipotesi della distruzione non è la sola possibile. ..L’era del sospetto non basta più. Di fronte alle crisi e alle minacce sempre più gravi, è venuta l’era della scommessa. Dobbiamo avere il coraggio di scommettere sul rinnovamento continuo delle capacità degli uomini e delle donne di credere e di sapere insieme.”
  • Assisi 25 anni dopo: incontro per la pace di misna in misna del 27 ottobre 2011 (www.misna.org)
“”Il rischio è l’abitudine di sopraffare l’altro, con la guerra ma anche con leggi inique o con la finanza globale”: don Renato Sacco, rappresentante di Pax Christi, parla con la MISNA poche ore prima dell’inizio della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo….”
  • Kristeva: «La sfida? Coniugare san Francesco e Diderot» di Lorenzo Fazzini in Avvenire del 27 ottobre 2011
Ieri il Cortile dei gentili ha fatto tappa sulla via di Assisi. Ravasi: «Da sempre i cristiani dialogano». Hurtado: «Bisogna che credenti e non credenti vadano oltre l’apertura per passare all’avventura. Che consiste nell’osare di attraversare il corridoio che intercorre tra la fede e il vuoto».
  • I credenti e i laici nel cortile globale del mondo ingiusto di Bruno Gravagnuolo in l’Unità del 27 ottobre 2011
Incontro ieri all’università di Roma III, per il “Cortile dei Gentili”. “il tema è ancora il dialogo, oggi nel mondo globale. Tra credenti e non credenti. Quali terreni comuni, quali valori e emozioni da scambiare e «decidere assieme»” ” Quanto ai credenti – suggerisce Bodei – devono negoziare, perché i cosiddetti valori non negoziabili sono pur sempre un terreno comune, da gestire e definire. Di volta in volta, come fossimo tutti in viaggio…”
  • E noi dobbiamo sovvertire l’agenda politica di Flavio Lotti in l’Unità del 27 ottobre 2011
“l’incontro di Assisi indica anche un metodo: quello del dialogo. Dialogo è una parola facile ma una pratica difficile. Perché sia autentico servono una cultura e un linguaggio appropriati, disponibilità ad abbattere muri e divisioni anche feroci, e soprattutto tanta umiltà, mitezza, disponibilità all’ascolto e alla comprensione. A questo dobbiamo educarci tutti, politica inclusa.”
  • Assisi, crocevia di religioni «Così si costruisce la pace» di Roberto Monteforte in l’Unità del 27 ottobre 2011
«Vogliamo pregare il Signore – ha aggiunto Benedetto XVI – che ci renda strumenti della sua pace in un mondo ancora lacerato da odio, da divisioni, da egoismi, da guerre, vogliamo chiedergli che l’incontro ad Assisi favorisca il dialogo tra persone di diversa appartenenza religiosa e porti un raggio di luce capace di illuminare la mente e il cuore di tutti gli uomini, perché il rancore ceda il posto al perdono, la divisione alla riconciliazione, l’odio all’amore, la violenza alla mitezza, e nel mondo regni la pace»
  • “Occorrono determinate condizioni per il dialogo” intervista a Jacqueline Rougé a cura di Michel Sauquet in Témoignage chrétien n. 3463 del 20 ottobre 2011 (nostra traduzione)
“Penso che siano necessarie certe condizioni perché il dialogo interreligioso sia fecondo… che sia condotto tra persone molto radicate nella propria religione e che non cercano di occultare le caratteristiche della loro fede al solo scopo di avvicinarsi all’altro… [che si sviluppino] capacità di ascolto senza mettere sempre in primo piano le proprie convinzioni… che ci si sforzi di conoscere un minimo di dati sulla religione degli altri. Il che ci obbliga… a conoscere meglio la nostra fede, a conoscere meglio noi stessi”
  • Dialogo religioni-governi per affrontare la crisi di Ian Linden in La Stampa del 27 ottobre 2011
Oggi all’Università di Bologna un seminario su «Religione e sviluppo» “Le religioni del mondo condividono una profonda preoccupazione per la carità, la compassione e la giustizia – anche se ciascuna dà a questi concetti fondamentali una sfumatura leggermente diversa… In ognuna di esse alla povertà è attribuito un significato sia come soggetto o oggetto di spiritualità. Sarebbe sorprendente se lo sviluppo volto all’eliminazione della povertà e all’espansione delle capacità umane non traesse forza da un incontro ravvicinato con le religioni del mondo”
  • “Io, ateo, invitato dal Papa” intervista a Andrés Beltramo Alvarez a cura di La Stampa in La Stampa del 27 ottobre 2011
“«Dobbiamo promuovere il dialogo tra credenti e non credenti in questo momento della storia, nel quale siamo sommersi in una crisi molto grande, per trovare soluzioni comuni ai problemi comuni»”
  • Assisi, 25 anni dopo Wojtyla di Aldo Maria Valli in Europa del 27 ottobre 2011
“La questione della verità, per lui (Benedetto XVI), non può essere messa tra parentesi in nome del dialogo. Ma, a questo punto, a che cosa si riduce lo spirito di Assisi? La nebbia sale dalla piana e a tratti nasconde perfino la basilica…”
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26 ottobre 2011


  • Papa Benedetto XVI dà la sua impronta all’incontro di Assisi di Stéphanie Le Bars in Le Monde del 27 ottobre 2011 (nostra traduzione)
“Non è un segreto per nessuno: papa Benedetto XVI non è particolarmente amante degli incontri interreligiosi, che rischiano di instillare nelle menti l’idea che “tutte le religioni si equivalgono”. Non è evidentemente questa la convinzione del capo spirituale dei cattolici, nemico giurato del “sincretismo” e del “relativismo”. Così ha sorpreso la sua decisione di commemorare il venticinquesimo anniversario dell’incontro interreligioso di Assisi…”
  • Assisi e la pace, 25 anni dopo di Domenico Rosati in l’Unità del 26 ottobre 2011
“Tutte le precauzioni passate e presenti volte a scongiurare il paventato rischio di confusione non basteranno tuttavia, nemmeno stavolta, a svalutare il significato della giornata. Che si rivelerà tanto più importante quanto più interpellerà i partecipanti sui disastri intercorsi negli ultimi cinque lustri”
  • Se Benedetto XVI marcia per la pace di Agostino Giovagnoli in la Repubblica del 26 ottobre 2011
“per Benedetto XVI oggi la questione della pace è collegata a quella della convivenza tra uomini e donne di culture, di nazionalità e di religioni diverse. «Il soggetto del convivere è oggi l’umanità tutta intera. Dobbiamo imparare a vivere non gli uni accanto agli altri, ma gli uni con gli altri»… La logica dello scontro di civiltà, dominante nel cupo decennio alle nostre spalle, si è rivelata tragicamente fallimentare. Ritrovandosi ad Assisi, le religioni manifestano una comune volontà di dissociarsi da questa logica e indicano nella convivenza la strada per il prossimo decennio”
  • Non mi convince la lettera dei quattro «marxisti ratzingeriani» di Francesco Benigno in l’Unità del 26 ottobre 2011
la lettera dei 4 intellettuali di formazione marxista a misurarsi con le posizioni della chiesa cattolica sui temi della manipolazione della vita presenta una duplice semplificazione: nel ridurre il ruolo della religione a quello della chiesa cattolica, nel trascurare le differenze tra le religioni e all’interno dello stesso cattolicesimo
  • Lefebvriani, 50 anni di attacchi al Concilio e ai Papi di Gianni Gennari in Vatican Insider del 25 ottobre 2011
La posizione degli ultra-tradizionalisti contro l’incontro di Assisi è solo l’ultima di una serie di accuse alla Chiesa.
  • I lefebvriani contro Assisi di Andrea Tornielli in Vatican Insider del 24 ottobre 2011
«Il Signore tolga il velo dai cuori degli uomini di Chiesa facendo loro riconoscere che una sola Pace è possibile tra gli uomini, quella di Cristo nel Regno di Cristo…». Lo afferma il distretto italiano della Fraternità San Pio X a tre giorni dal pellegrinaggio del Papa e degli altri leader religiosi previsto per giovedì 27 ottobre ad Assisi

 

Osare l’umanesimo.

20 Ottobre 201120 Ottobre 2011 editore Lascia un commento

l’intervento di Julia Kristeva all’inaugurazione di Parigi del «Cortile dei gentili»

 

È possibile «osare l’umanesimo» nel dialogo tra credenti e umanisti. Questa la tesi sviluppata nell’intervento che la semiologa e psicoanalista francese Julia Kristeva ha tenuto alla Sorbona durante l’evento inaugurale del Cortile dei gentili a Parigi (24-25.3.2011; cf. riquadro alle pp. 316- 317). Il panorama spirituale con tempo raneo offrirebbe, nella sua lettura, le condizioni per rifondare una tradizione – definita «umanesimo secolarizzato» – che nasce con Erasmo distinguendosi dall’umanesimo classico ed ebraico-cristiano, attraversa l’Illuminismo e ci raggiunge con Freud e la psicoanalisi. Un pensiero che si è separato dalla religione senza divenirle ostile o indifferente, che ha accettato il rischio della libertà, dell’individualità, delle passioni liberate. Un umanesimo che fa oggi i conti con le sue «debolezze» e deve ripensarsi nel confronto coi «nuovi attori» che hanno fatto irruzione sulla scena culturale e politica: la questione femminile e il discorso sulla maternità; un’adolescenza «malata di idealità»; una tecnica sempre più pervasiva e minacciosa per «lo spazio interiore» e l’incontro delle culture, in particolare quello con la tradizione cinese.

 

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