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“Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo”

28 Ottobre 20111 Maggio 2019 editore Chiesa, Documenti, Giovani, Gruppi/Movimenti, IRC, Linguaggio, Temi

 

 

Ratzinger ad Assisi venticinque anni dopo sulle orme di Wojtyla

 

Venticinque anni dopo il raduno interreligioso per la pace convocato nel 1986 ad Assisi da Giovanni Paolo II, oggi il suo successore ripete quel gesto. Benedetto XVI, insieme a circa 300 esponenti delle diverse tradizioni religiose, dai  buddisti agli induisti, dai musulmani agli scintoisti giapponesi, salirà alle otto di questa mattina sul treno, un convoglio  speciale che partirà dalla stazione del Vaticano, per raggiungere la città di San Francesco. La riedizione ratzingeriana  dei meeting interreligiosi di Papa Wojtyla ha come titolo: «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo» e presenta più di una novità. Quella più significativa è la presenza di alcuni atei, che hanno  accettato l’invito del Pontefice.
Quando lo scorso gennaio, a sorpresa, Benedetto XVI annunciò di voler celebrare l’anniversario del primo raduno  wojtyliano, non mancarono le critiche, anche dentro la Chiesa. Non s’inalberarono soltanto i tradizionalisti seguaci di  Lefebvre, che considerano questo tipo di incontri un’umiliazione per la Chiesa cattolica. Anche tra i «ratzingeriani» ci  fu chi fece notare al Papa che sarebbe uscito dai binari del suo stesso pontificato, temendo interpretazioni  sincretistiche, con le religioni che finiscono per equivalersi.
Ad Assisi 1986 erano in primo piano la preghiera e i rappresentanti delle varie religioni vennero ospitati per celebrare  i loro differenti culti in chiese cattoliche. Vi furono sbavature dovute all’organizzazione non impeccabile, che  impensierirono Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e assente all’incontro.  L’ultimo raduno interreligioso del pontificato di Giovanni Paolo II si tenne sempre ad Assisi nel gennaio 2002, subito  dopo l’attentato alle Torri Gemelle e allora il cardinale Ratzinger, invitato personalmente dal Pontefice, salì sul treno con i leader delle varie religioni. Al suo ritorno spiegò sul mensile «30Giorni» il significato di quel gesto: «Non si è  trattato di un’autorappresentazione di religioni che sarebbero intercambiabili tra di loro. Non si è trattato di affermare  una uguaglianza delle religioni, che non esiste. Assisi è stata piuttosto l’espressione di un cammino, di una ricerca, del  pellegrinaggio per la pace che è tale solo se unita alla giustizia».
L’aspetto del pellegrinaggio comune, più che quello della preghiera, sarà enfatizzato nella giornata di oggi, proprio per  evitare interpretazioni sincretistiche. I musulmani presenti saranno 48, più che nelle precedenti edizioni malgrado  l’assenza dei rappresentanti dell’università di AlAzhar del Cairo, il principale centro intellettuale dell’islam sunnita, che  o scorso gennaio ha interrotto i contatti con il Vaticano dopo che il Papa aveva invocato un intervento della  comunità internazionale per proteggere i cristiani in Egitto. Assente – giustificato – il Dalai Lama. Mentre ci saranno il  patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e una delegazione del patriarcato di Mosca.
La novità più importante e sorprendente è la presenza di alcuni non credenti. Una di loro, Julia Kristeva, interverrà  davanti al Papa e agli altri leader religiosi affermando: «Per la prima volta, l’homo sapiens è in grado di distruggere la  terra e se stesso in nome delle proprie credenze, religioni e ideologie». Mentre tra gli impegni sottoscritti nell’incontro  conclusivo, c’è quello che sarà letto dal vescovo luterano di Terra Santa Mounib Younan: «Noi ci impegniamo a  proclamare la nostra ferma convinzione che la violenza e il terrorismo contrastano con l’autentico spirito religioso e,  nel condannare ogni ricorso alla violenza e alla guerra in nome di Dio o della religione, ci impegniamo a fare quanto è  possibile per sradicare le cause del terrorismo».

di Andrea Tornielli
in “La Stampa” del 27 ottobre 2011

 

 

Religioni, il dialogo passa dal bene
di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 26 ottobre 2011

Nella giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo indetta da papa Benedetto XVI si  possono scorgere, accanto a una sostanziale continuità con l’iniziativa di Giovanni Paolo II nel 1986, qualche accento  di novità. A questa giornata, infatti, sono convocate anche personalità del mondo della cultura che non si professano  religiose; inoltre, l’incontro è intitolato «Pellegrini della verità, pellegrini della pace», mettendo così in rilievo come la  ricerca della verità sia essenziale perché vi possa essere una ricerca della pace.
Quanti presumono di conoscere Benedetto XVI e lo additano sovente come «correttore» dei suoi predecessori hanno  gridato al tradimento e alcuni di loro si sono persino rivolti a lui con lettere che lo invitavano a cancellare questa  iniziativa. I tradizionalisti scismatici esprimono la loro condanna, e lo stesso fanno anche alcuni cattolici che temono  l’evento perché lo giudicano un incoraggiamento al sincretismo o al relativismo, secondo il quale tutte le religioni si  equivalgono. Così ancora una volta nella nostra Chiesa, sempre più divisa e conflittuale, si profilano accuse e  contrapposizioni che segnano con la diffidenza ogni iniziativa e la rendono occasione per una negazione di chi, lungi dall’avere un’altra fede, semplicemente appare con diversità di stile, di toni, di atteggiamenti pastorali, di modi di porsi  ella storia e in mezzo agli uomini.

Al di là delle reazioni anche scomposte, la volontà di Benedetto XVI di fare proprio lo spirito di Assisi conferma il  cammino di dialogo voluto dal Vaticano II e mostra come la Chiesa cattolica abbia la consapevolezza di una missione  veramente universale: una missione, cioè, che riguarda tutti nel rispetto del cammino e delle vie religiose di ciascuno,  nella convinzione che tutti gli uomini sono fratelli perché figli di un unico Padre e Creatore e che a nessuno di loro  potrà mai essere estraneo il mistero pasquale di Gesù. Va anche detto che molti timori riposano su un fondamentale malinteso: si presume che il dialogo richieda di mettere da parte la propria fede e dimenticare la verità. In realtà, il  dialogo implica un’autentica reciprocità, chiede di ascoltare l’altro e la sua fede con rispetto ma, nello stesso tempo, di  parlare con parresía della propria fede. Il dialogo interreligioso esige che ciascuno dei due partner conosca la propria  tradizione e le resti fedele, che sia un testimone della propria fede senza la pretesa di imporla all’altro. Il dialogo, se ben  compreso, fa addirittura parte dell’evangelizzazione, perché è solo dialogando in modo autentico che si assume lo  stile di Gesù, lo stile del Vangelo, quello dei discepoli inviati tra le genti.
Il cammino del dialogo è un percorso coerente con la grande tradizione della Chiesa. Fin dai primi secoli i padri della  Chiesa, interrogandosi sulle diverse tradizioni religiose in mezzo alle quali i cristiani erano una realtà nuova e  minoritaria, discernevano i semina Verbi, cioè la presenza di «semi della parola di Dio», di tracce dello Spirito Santo,  di raggi di verità. In tutte le realtà, in tutta la storia ha sempre operato la parola di Dio e insieme a essa, mai da essa  dissociato, lo Spirito di Dio; con l’incarnazione, poi, è Dio stesso che si è fatto uomo, carne, e ha abitato in mezzo a noi.  La Parola ha sparso i suoi semi di vita nelle culture di tutte le genti, semi che inizialmente sono nascosti ma che poi si  sviluppano e appaiono nella storia, nelle diverse culture. Detto altrimenti, Cristo è la verità unica, ma raggi della sua  luce si trovano in ogni essere umano, creato da Dio a sua immagine e somiglianza. Verità, queste, mai smentite, che  hanno condotto Paolo VI a constatare che «le religioni … hanno insegnato a pregare a intere generazioni», mentre  Giovanni Paolo II attestava: «Noi possiamo ritenere che ogni preghiera autentica è suscitata dallo Spirito Santo che è misteriosamente presente nel cuore di tutti gli uomini».
Ma a quali condizioni è possibile convocare credenti di diversa fede e religione a pregare per la pace? Quando fu  organizzato l’incontro del 1986, in risposta alle diverse contestazioni sollevate nei confronti dell’iniziativa papale si  affermò con insistenza che il pellegrinaggio ad Assisi non era voluto per «pregare insieme», ma per «stare insieme per  pregare». In tal modo si è ribadita l’impossibilità di una preghiera comune, perché questa è possibile solo tra cristiani  di diverse confessioni, che riconoscono il Dio trinitario e confessano come unico salvatore Gesù Cristo. I cristiani non  possono fare proprie le formulazioni di preghiera di altre religioni e, reciprocamente, gli altri non vorrebbero certo  adottare le preghiere cristiane. La preghiera, eloquenza della propria fede, ci chiede di pregare insieme come cristiani  che confessano la fede espressa nel Credo apostolico; ci chiede anche di pregare insieme tra ebrei e cristiani (almeno  attraverso i salmi), figli gemelli dell’Antico Testamento che confessano lo stesso Dio e attendono da lui la piena  redenzione.
Ci è però impedito di fare una preghiera comune e pubblica con credenti di altre religioni: l’unica cosa che è sempre  possibile condividere con tutti è un silenzio adorante vissuto gli uni accanto agli altri, nella certezza che Dio vede,  unisce, accoglie ciò che sale dal cuore umano come desiderio di bene e di salvezza. Dio conosce chi cerca il suo volto:  lui certo vede e crea una comunione che noi non possiamo né misurare né riconoscere. Tuttavia, come ricordava  Giovanni Paolo II nel discorso alla curia romana nel 1986, coscienza e fede ci dicono che «c’è un solo disegno divino  per ogni essere umano che viene a questo mondo, un unico principio e fine», perché «le differenze sono un elemento  meno importante rispetto all’unità che invece è radicale, basilare e determinante».
Noi cristiani crediamo che Gesù Cristo è l’unico salvatore, l’unico mediatore e l’unico Signore degli uomini, ed è  proprio questa fede in lui che ci spinge verso gli uomini del mondo, delle diverse culture e religioni, con grande  simpatia, con il desiderio di ascoltare ciò che brucia nel loro cuore, con il desiderio anche di imparare da loro, nel  dialogo e nel confronto schietto, libero, capace di reciproca accoglienza. Non siamo degli ingenui ottimisti ma, anzi, è  con fatica che cerchiamo di assumere i sentimenti, gli atteggiamenti e i pensieri di Gesù, lui che ha voluto incontrare  tutti: sani e malati, giusti e peccatori, ricchi e poveri, ebrei e appartenenti alle genti, persone con la fede in Dio o che non conoscevano Dio. Gesù non ha mai giudicato né condannato nessuno, si è addirittura seduto alla tavola degli  impuri, dei peccatori e dei maledetti: e come potremmo noi, suoi discepoli, rifiutarci di accogliere qualcuno dei nostri  fratelli e sorelle in umanità?

Sì, noi uomini e donne siamo tutti ciechi in cerca di essere guariti, zoppi che faticano ad andare avanti, balbuzienti nel  parlare a Dio, spesso sordi nell’ascoltarlo. Siamo pellegrini in cerca della verità, della giustizia e della pace: tutti  invochiamo e attendiamo la salvezza, quella «salvezza [che] non sta nelle religioni in quanto tali, ma è collegata con  esse, nella misura in cui portano l’uomo al Bene unico, alla ricerca di Dio, alla verità e all’amore».
Il testo è la lectio magistralis che Enzo Bianchi terrà oggi ad Assisi alla vigilia della preghiera per la pace con il Papa.

 

 

“Io, ateo, invitato dal Papa”
intervista a Andrés Beltramo Alvarez, a cura di La Stampa
in “La Stampa” del 27 ottobre 2011

Senza gli «atei» mancherebbe qualcosa nell’incontro ad Assisi. Parola del filosofo messicano Guillermo Hurtado, 48  anni, il membro più giovane della delegazione dei quattro non credenti che partecipa alla Preghiera per la Pace. Con lui  i saranno Julia Kristeva, filosofa e psicoanalista francese; Remo Bodei, storico dell’Università di Pisa; e Walter  Baier, economista austriaco membro del partito comunista. La riunione voluta dal Papa, per Hurtado, non è più  «interreligiosa», perché per la prima volta coinvolge tutta l’umanità.

Cosa ci fa un agnostico in questo pellegrinaggio?
«Accompagna i credenti nella ricerca della verità e della pace, come ha detto Benedetto XVI. Si tratta di una ricerca  condivisa dall’umanità, nella quale un agnostico, e anche un ateo, possono partecipare con fiducia e convinzione piena».

Questa sarà la prima volta per i «non credenti» negli incontri di Assisi. Come interpreta la novità?
«Come parte di una vocazione universale della Chiesa cattolica, perché un incontro di soli credenti, che lascia fuori  quelli che non lo sono, non sarebbe un riflesso delle aspirazioni comuni dell’umanità. Dobbiamo promuovere il dialogo  tra credenti e non credenti in questo momento della storia, nel quale siamo sommersi in una crisi molto grande, per  trovare soluzioni comuni ai problemi comuni».

Ci sono molti tipi di «non credenti»: agnostici, atei e ostili. C’è posto per tutti ad Assisi?
«È un ventaglio, che va dagli atei belligeranti giacobini (che pretendono di cancellare la religione), fino agli agnostici  aperti alle manifestazioni della religiosità che cercano risposte spirituali. Non è possibile mettere tutti i non credenti  nella stessa categoria. Quello del Papa non può essere preso come un invito per tutti: lo considero come un invito  individuale, per stabilire un dialogo con alcuni non credenti».

 

 

L’anglicano Williams: silenzio e povertà, in ascolto di Francesco
di Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury
in “Avvenire” del 27 ottobre 2011

Per san Francesco d’Assisi, il presupposto di ogni dialogo era la povertà. Intendo riferirmi a tutto il ministero di  Francesco. Non si può parlare di dialogo senza includere l’ascolto reciproco, e non si può prestare ascolto senza  ammettere una qualche forma di povertà interiore, come la povertà del silenzio, che ci serve per ascoltare le parole  dell’altro, e la povertà di riconoscere che l’altro può donarci qualcosa di cui abbiamo bisogno. Povertà di spirito vuol  dire rimanere in silenzio affinché l’altro – che si tratti dell’ambiente fisico, del mondo animale, del credente di fede  diversa o del non credente – possa essere ascoltato con sincerità. Non è certo il silenzio del dubbio o del relativismo.
È povertà fondata nella ferma convinzione dell’assoluta realtà di Dio rivelata dal Cristo incarnato e, come dimostra la  vita stessa di Francesco, nelle piaghe di Gesù crocifisso. È fondata nel convincimento che l’amore per Dio è saldo e  forte abbastanza da superare l’opposizione più intensa e ostinata, che il silenzio dell’amore sollecito fa emergere la  verità, e che della verità non si deve aver paura. Negli incontri di Assisi dovremo ascoltare Francesco e chiedergli di  pregare per noi. Nel nostro dialogo dobbiamo trovare il coraggio di stare in silenzio insieme: non già perché non abbiamo niente da dire o nessuna verità da condividere, ma in quanto consapevoli, e grati, che Cristo ci ha assicurato  un posto nella sua vita e preparato per noi incontri in cui lo ritroveremo e riconosceremo in persone e situazioni  diverse. Dobbiamo trovare il modo di parlarci e ascoltarci l’un l’altro in maniera tale da lasciar emergere il logos,  quell’energia e interazione che sta alla base di tutto il creato e che sorregge egualmente la giustizia e la contemplazione.

 

 

Al passo di due Papi
intervista a Roger Etchegaray a cura di Angelo Scelzo
in “Avvenire” del 27 ottobre 2011

Di Assisi continua a dire che «è la più bella arca di pace che ci sia». Ma 25 anni dopo quell’evento che passò – e così a  fondo – per le sue mani, il cardinale Roger Etchegaray tiene a dire anche qualcosa di sé, naturalmente a modo suo:  «Non mi sento un combattente un po’ in disarmo di quel primo Assisi. Esiste sempre qualche buona battaglia da  combattere, e quella che Papa Benedetto ci indica, con il ritorno nella città del Poverello, non è solo importante ma  aiuta a guardare avanti, ai tempi forti che sono già in atto, e che ancor più si profilano per la Chiesa e il mondo. Penso ai 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, al Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione».
Forse bisognerà parlare anche di uno ‘spirito Etchegaray’ visto che, quanto più gli anni avanzano, tanto più sembra  dilatarsi lo sguardo al futuro del cardinale delle ‘missioni impossibili’, riconosciuto tessitore di pace ‘armato’ della forza  dei mezzi poveri: la capacità di dialogo, il rispetto per l’altro, la chiarezza delle proprie ragioni. Sulle lunghe fasi della  preparazione – oltre dieci mesi di incontri, contatti, passi avanti e battute d’arresto – la preoccupazione è di spostare il tiro da un protagonismo personale: «Di allora mi viene in mente soprattutto l’inusuale consuetudine di rapporti con il  Santo Padre: per me è stata un’esperienza di personale evangelizzazione. E Assisi fu tutta sua, un’intuizione alla  Wojtyla, testa e cuore: la pace come orizzonte ma anche fatica comune delle religioni. Aveva già tutto in mente, a  partire dalle obiezioni, che gli si manifestarono subito, alla lettura della proposta – che pure prese in una certa  considerazione – di un ‘Concilio mondiale della pace’ avanzata dal fisico tedesco Carl Friedrich von Weizsaecker,  fratello dell’allora presidente tedesco. Le accuse di sincretismo non tardarono a manifestarsi, e bisogna dire che  Giovanni Paolo II fece di tutto per sgombrare il terreno da equivoci. Ma è vero che si manifestarono anche perplessità di una certa parte del mondo cattolico, che si trovò di fronte a un cambio di passo che non si aspettava».

È per questo allora che nel venticinquennale si parla di una ‘nuova Assisi’ riveduta e corretta?
«Non direi. Nella sostanza non esiste niente di mutato. Un accento diverso si può trovare nel valore che Papa  Benedetto assegna al dialogo intra-ecclesiale, che riguarda le singole religioni in rapporto a se stesse. Mi sembra un  punto fondamentale nella visione del Santo Padre. Ciò spiega il momento della preghiera riservata a ciascuna  delegazione, e la particolare importanza attribuita al pellegrinaggio, una strada comune lungo la quale il Papa chiede  anche l’apporto degli atei, di coloro che sono in ricerca e che, non di rado, avvertono più di tutti la vicinanza di Dio.  Ecco un tratto, già largamente presente in tutto il pontificato, che identifica come ‘tutto di Benedetto’ questo ritorno ad Assisi. L’incontro di 25 anni fa, in ogni sua fase, pose in evidenza le differenze e le convergenze tra l’ecumenismo e il  dialogo interreligioso, e contribuì a far compiere un salto in avanti senza precedenti verso le religioni non cristiane,  considerate fino ad allora come di un altro pianeta, nonostante Paolo VI con la Ecclesiam suam e il Concilio con la  Nostra aetate ».

Si può trarre ancora qualcosa di nuovo da Assisi 1986?
«Nessun grande evento finisce una volta per sempre. Non possiamo mettere il punto alla storia, e tantomeno a una  storia come quella di Assisi che, peraltro, si è sviluppata per capitoli successivi con la convocazione della Giornata di  preghiera per l’Europa nel gennaio del 1993 durante il conflitto nei Balcani, e il ritorno nel 2002. Quando la pace cerca  un approdo la bussola è sempre orientata in direzione del monte Subasio. Assisi non è solo l’altro nome della pace, la  sua novità è sempre in atto».

Da quei giorni del 1986 la traduzione ricorrente è quella dello ‘spirito di Assisi’, che per qualcuno equivale a una formula di successo, o poco più…
«Si è cominciato da allora a parlare e a prendere coscienza in maniera sempre più consapevole della ‘famiglia umana’ e  delle responsabilità che a essa spettano, prima fra tutte la pace. Si potrebbe parlare anche in questo caso di una  semplice formula. Ma il problema è la sostanza.
E se si ritorna ad Assisi, a distanza di 25 anni non è certo per fare semplice memoria di un evento passato. Non è questo  l tempo per rivisitazioni più o meno celebrative. Anzi, credo sia giusto dare merito a chi nel corso di questo  non breve arco di tempo ha fatto in modo che lo ‘spirito di Assisi’ continuasse a soffiare in ogni parte del mondo. Penso,  in particolare, alle Giornate della Pace della Comunità di Sant’Egidio, l’ultima delle quali svolta in coincidenza  con l’anniversario di Assisi a Monaco, nella città dell’episcopato di Papa Benedetto»,

Qual è allora il senso di questo nuovo incontro a distanza di un quarto di secolo?
«Ecco, l’ha detto: un quarto di secolo. Contare gli anni toglie spessore e, in un certo senso, mette in ombra il dato  fondamentale: più che Assisi, è cambiato il mondo. E anche la Chiesa vive una sua stagione diversa e tutta nuova,  guidata dalla sapienza di un uomo di Dio che s’è dato e ha affidato a tutti noi il compito essenziale di annunciare  l’Essenziale: il Dio che salva, ma che pure lascia a noi la libertà di impastare la storia con le nostre mani. Venticinque  anni fa il mondo era ancora diviso in blocchi: il muro spezzava Berlino e non solo; di globalizzazione non parlava  ancora nessuno e Internet con le nuove tecnologie informatiche muoveva appena i primi passi. Anche la pace si divideva in campi ben delineati, e non ancora attraversati con l’irruenza che è venuta poi, da quelle nuove forme di  sfruttamento e di ingiustizia ramificate, come erba cattiva, accanto a modelli di sviluppo avvelenati alla radice. Sono  riapparsi ai nostri occhi scenari che pensavamo appartenessero solo ai fantasmi del passato: traffico di esseri umani,  esodi e deportazioni; povertà declinate in tutte le peggiori forme di privazioni. Non solo pane si è arrivati a invocare,  ma le più elementari forme di diritti, a cominciare dalla libertà. È spuntata così, con tutti i rischi ancora in atto, la  ‘primavera araba’. Assisi di oggi e la Chiesa che vi si reca in pellegrinaggio si trovano a confrontarsi anche con tutte le  più drammatiche appendici di guerre e conflitti, che, peraltro, continuano a imperversare. E non occorre certo  ricordare che il nuovo millennio si è aperto con lo sfregio delle Torri Gemelle, un attentato così barbaro da macchiare  di violenza il tempo nuovo che nasceva: il secondo millennio della nascita di Cristo, che la Chiesa ha celebrato,  accompagnata alla soglia e per un breve tratto oltre il varco dalla santità e dalla sapienza di un grande Papa, il beato  Giovanni Paolo II. Nel grande pellegrinaggio attraverso la storia, Assisi è solo un piccolo tratto. Ma su questa strada la  prima verità è che non esistono passi perduti. Il punto centrale del ritorno ad Assisi mi sembra, in sostanza, proprio  questo: la ricerca della verità è di per sé una strada che porta lontano. La prima sosta utile può essere all’angolo del  bene comune. È forse arrivato il tempo di piazzarvi una tenda».

 

 

ALTRI ARTICOLI

 

  • Il «comandamento» di Assisi: purificazione 1986-2011 di Marco Roncalli in Avvenire del 28 ottobre 2011
Wojtyla insisteva sull’unità della famiglia umana nel segno del Concilio. Ratzinger ha confermato, senza scorciatoie. “Resta sullo sfondo – … – il valore dell’approfondimento della ricerca teologica, dopo lo spiazzamento introdotto dalla pratica del dialogo con le grandi religioni, specie in relazione alla singolarità del Cristo in ordine alla salvezza, tra soluzioni di «esclusivismo», «pluralismo», «inclusivismo». Una ricerca che ha grandi responsabilità.”
  • Ironia di una santa che volle dare scacco matto al Signore di Julia Kristeva in il manifesto del 28 ottobre 2011
L’Inquisizione indagò sulle visioni di Teresa prima che la Chiesa non vedesse l’utilità di conciliare ascetismo e soprannaturale. Nei suoi testi la santa descrive la decomposizione della sua identità nel transfert con l’Essere Completamente Altro, Dio
  • Le religioni mondiali ad Assisi di Roberto Monteforte in l’Unità del 28 ottobre 2011
Il Papa ha inviato anche gli «agnostici» al pellegrinaggio per la “Giornata di dialogo e preghiera per la pace e per la giustizia”. Preghiera «individuale» per i leader religiosi e riflessione comune sulla pace. «Mai più violenza, mai più guerra, mai più terrorismo! In nome di Dio ogni religione porti sulla terra giustizia e pace, perdono e vita, amore».
  • Mea culpa del Papa: mai più guerre di religione di Marco Ansaldo in la Repubblica del 28 ottobre 2011
“Nel discorso fatto nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, davanti alla Porziuncola dove trovò rifugio San Francesco, dinanzi a ortodossi ed ebrei, musulmani e buddisti, indù, jainisti, sikh, zoroastriani, bahai, confuciani, taoisti, scintoisti, il Papa non ha mancato di recitare un mea culpa. «Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna»”
  • “Se agli agnostici manca Dio la colpa è anche dei credenti” di Giacomo Galeazzi in La Stampa del 28 ottobre 2011
“Il Papa unisce le religioni su ciò che più le accomuna, lo sforzo per la pace e la giustizia, lasciando in secondo piano il terreno scivoloso della preghiera in comune. «Restiamo uniti contro la guerra e l’ingiustizia – ha detto -. Mai più violenza, mai più guerra, mai più terrorismo. In nome di Dio ogni religione porti sulla Terra giustizia e pace, perdono e vita, amore»”
  • Se il Papa apre agli agnostici di Andrea Tornielli in La Stampa del 28 ottobre 2011
“Papa Ratzinger ieri ad Assisi ha ritenuto di rivolgersi anche a quelle «persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio». Queste persone pongono domande sia «agli atei combattivi» che «pretendono di sapere che non c’è un Dio», e li invitano «a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista». Ma soprattutto… agli aderenti alle religioni, «perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri»”
  • Il Papa elogia gli agnostici «Un aiuto per i credenti» di Gian Guido Vecchi in Corriere della Sera del 28 ottobre 2011
“«Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo!». L’impegno comune e l’esortazione finale, scandita dal Papa al crepuscolo nella piazza accanto alla Basilica, richiama il senso della «giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo»”
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27 ottobre 2011


  • Un nuovo umanesimo in dieci principi di Julia Kristeva in Corriere della Sera del 27 ottobre 2011
“L’invocazione di questo Papa (Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura”) ci incita anche a non temere la cultura europea, ma al contrario ad osare l’umanesimo: costruendo complicità tra l’umanesimo cristiano e quello che, scaturito dal Rinascimento e dai Lumi, ambisce a rischiarare le vie rischiose della libertà” “L’incontro delle nostre diversità, qui ad Assisi, testimonia che l’ipotesi della distruzione non è la sola possibile. ..L’era del sospetto non basta più. Di fronte alle crisi e alle minacce sempre più gravi, è venuta l’era della scommessa. Dobbiamo avere il coraggio di scommettere sul rinnovamento continuo delle capacità degli uomini e delle donne di credere e di sapere insieme.”
  • Assisi 25 anni dopo: incontro per la pace di misna in misna del 27 ottobre 2011 (www.misna.org)
“”Il rischio è l’abitudine di sopraffare l’altro, con la guerra ma anche con leggi inique o con la finanza globale”: don Renato Sacco, rappresentante di Pax Christi, parla con la MISNA poche ore prima dell’inizio della Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo….”
  • Kristeva: «La sfida? Coniugare san Francesco e Diderot» di Lorenzo Fazzini in Avvenire del 27 ottobre 2011
Ieri il Cortile dei gentili ha fatto tappa sulla via di Assisi. Ravasi: «Da sempre i cristiani dialogano». Hurtado: «Bisogna che credenti e non credenti vadano oltre l’apertura per passare all’avventura. Che consiste nell’osare di attraversare il corridoio che intercorre tra la fede e il vuoto».
  • I credenti e i laici nel cortile globale del mondo ingiusto di Bruno Gravagnuolo in l’Unità del 27 ottobre 2011
Incontro ieri all’università di Roma III, per il “Cortile dei Gentili”. “il tema è ancora il dialogo, oggi nel mondo globale. Tra credenti e non credenti. Quali terreni comuni, quali valori e emozioni da scambiare e «decidere assieme»” ” Quanto ai credenti – suggerisce Bodei – devono negoziare, perché i cosiddetti valori non negoziabili sono pur sempre un terreno comune, da gestire e definire. Di volta in volta, come fossimo tutti in viaggio…”
  • E noi dobbiamo sovvertire l’agenda politica di Flavio Lotti in l’Unità del 27 ottobre 2011
“l’incontro di Assisi indica anche un metodo: quello del dialogo. Dialogo è una parola facile ma una pratica difficile. Perché sia autentico servono una cultura e un linguaggio appropriati, disponibilità ad abbattere muri e divisioni anche feroci, e soprattutto tanta umiltà, mitezza, disponibilità all’ascolto e alla comprensione. A questo dobbiamo educarci tutti, politica inclusa.”
  • Assisi, crocevia di religioni «Così si costruisce la pace» di Roberto Monteforte in l’Unità del 27 ottobre 2011
«Vogliamo pregare il Signore – ha aggiunto Benedetto XVI – che ci renda strumenti della sua pace in un mondo ancora lacerato da odio, da divisioni, da egoismi, da guerre, vogliamo chiedergli che l’incontro ad Assisi favorisca il dialogo tra persone di diversa appartenenza religiosa e porti un raggio di luce capace di illuminare la mente e il cuore di tutti gli uomini, perché il rancore ceda il posto al perdono, la divisione alla riconciliazione, l’odio all’amore, la violenza alla mitezza, e nel mondo regni la pace»
  • “Occorrono determinate condizioni per il dialogo” intervista a Jacqueline Rougé a cura di Michel Sauquet in Témoignage chrétien n. 3463 del 20 ottobre 2011 (nostra traduzione)
“Penso che siano necessarie certe condizioni perché il dialogo interreligioso sia fecondo… che sia condotto tra persone molto radicate nella propria religione e che non cercano di occultare le caratteristiche della loro fede al solo scopo di avvicinarsi all’altro… [che si sviluppino] capacità di ascolto senza mettere sempre in primo piano le proprie convinzioni… che ci si sforzi di conoscere un minimo di dati sulla religione degli altri. Il che ci obbliga… a conoscere meglio la nostra fede, a conoscere meglio noi stessi”
  • Dialogo religioni-governi per affrontare la crisi di Ian Linden in La Stampa del 27 ottobre 2011
Oggi all’Università di Bologna un seminario su «Religione e sviluppo» “Le religioni del mondo condividono una profonda preoccupazione per la carità, la compassione e la giustizia – anche se ciascuna dà a questi concetti fondamentali una sfumatura leggermente diversa… In ognuna di esse alla povertà è attribuito un significato sia come soggetto o oggetto di spiritualità. Sarebbe sorprendente se lo sviluppo volto all’eliminazione della povertà e all’espansione delle capacità umane non traesse forza da un incontro ravvicinato con le religioni del mondo”
  • “Io, ateo, invitato dal Papa” intervista a Andrés Beltramo Alvarez a cura di La Stampa in La Stampa del 27 ottobre 2011
“«Dobbiamo promuovere il dialogo tra credenti e non credenti in questo momento della storia, nel quale siamo sommersi in una crisi molto grande, per trovare soluzioni comuni ai problemi comuni»”
  • Assisi, 25 anni dopo Wojtyla di Aldo Maria Valli in Europa del 27 ottobre 2011
“La questione della verità, per lui (Benedetto XVI), non può essere messa tra parentesi in nome del dialogo. Ma, a questo punto, a che cosa si riduce lo spirito di Assisi? La nebbia sale dalla piana e a tratti nasconde perfino la basilica…”
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26 ottobre 2011


  • Papa Benedetto XVI dà la sua impronta all’incontro di Assisi di Stéphanie Le Bars in Le Monde del 27 ottobre 2011 (nostra traduzione)
“Non è un segreto per nessuno: papa Benedetto XVI non è particolarmente amante degli incontri interreligiosi, che rischiano di instillare nelle menti l’idea che “tutte le religioni si equivalgono”. Non è evidentemente questa la convinzione del capo spirituale dei cattolici, nemico giurato del “sincretismo” e del “relativismo”. Così ha sorpreso la sua decisione di commemorare il venticinquesimo anniversario dell’incontro interreligioso di Assisi…”
  • Assisi e la pace, 25 anni dopo di Domenico Rosati in l’Unità del 26 ottobre 2011
“Tutte le precauzioni passate e presenti volte a scongiurare il paventato rischio di confusione non basteranno tuttavia, nemmeno stavolta, a svalutare il significato della giornata. Che si rivelerà tanto più importante quanto più interpellerà i partecipanti sui disastri intercorsi negli ultimi cinque lustri”
  • Se Benedetto XVI marcia per la pace di Agostino Giovagnoli in la Repubblica del 26 ottobre 2011
“per Benedetto XVI oggi la questione della pace è collegata a quella della convivenza tra uomini e donne di culture, di nazionalità e di religioni diverse. «Il soggetto del convivere è oggi l’umanità tutta intera. Dobbiamo imparare a vivere non gli uni accanto agli altri, ma gli uni con gli altri»… La logica dello scontro di civiltà, dominante nel cupo decennio alle nostre spalle, si è rivelata tragicamente fallimentare. Ritrovandosi ad Assisi, le religioni manifestano una comune volontà di dissociarsi da questa logica e indicano nella convivenza la strada per il prossimo decennio”
  • Non mi convince la lettera dei quattro «marxisti ratzingeriani» di Francesco Benigno in l’Unità del 26 ottobre 2011
la lettera dei 4 intellettuali di formazione marxista a misurarsi con le posizioni della chiesa cattolica sui temi della manipolazione della vita presenta una duplice semplificazione: nel ridurre il ruolo della religione a quello della chiesa cattolica, nel trascurare le differenze tra le religioni e all’interno dello stesso cattolicesimo
  • Lefebvriani, 50 anni di attacchi al Concilio e ai Papi di Gianni Gennari in Vatican Insider del 25 ottobre 2011
La posizione degli ultra-tradizionalisti contro l’incontro di Assisi è solo l’ultima di una serie di accuse alla Chiesa.
  • I lefebvriani contro Assisi di Andrea Tornielli in Vatican Insider del 24 ottobre 2011
«Il Signore tolga il velo dai cuori degli uomini di Chiesa facendo loro riconoscere che una sola Pace è possibile tra gli uomini, quella di Cristo nel Regno di Cristo…». Lo afferma il distretto italiano della Fraternità San Pio X a tre giorni dal pellegrinaggio del Papa e degli altri leader religiosi previsto per giovedì 27 ottobre ad Assisi

 

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