Itinerari educativi per il XXI secolo

Dal 15 ottobre 2021 al 18 marzo 2022, AGESC Piemonte e ANPE- Associazione Nazionale Pedagogisti italiani promuovono un ciclo di incontri dal titolo: Itinerari Educativi per una nuova grammatica pedagogica nel XXI secolo.

Tutti gli incontri si svolgeranno sulla piattaforma Zoom di Agesc Piemonte. Questo il calendario degli appuntamenti.

Venerdì 15 ottobre 2021, ore 18 – Ripensare L’educazione nel XXI secolo. L’educazione nelle comunità locali. Relatore: dott. Paolo Usellini.

Venerdì 19 novembre 2021, ore 18 – Ho una caratteristica in più: come affrontare i disturbi dell’apprendimento. Relatrice: dott.ssa Caterina Amariti.

Venerdì 14 gennaio 2022, ore 18 – Vietato entrare: la sfida educativa di mamma e papà. La relazione con i bambini. Relatrice: dott.ssa Stefania Mandaliti.

Giovedì 17 febbraio 2022, ore 18 – Vietato entrare: la sfida educativa di mamma e papà. La relazione con gli adolescenti e i giovani adulti. Relatrice: dott.ssa Nicoletta Vaccamorta.

Venerdì 18 marzo 2022, ore 18 – #connettilatesta. Crescere consapevolmente nell’era digitale. Relatrice: dott.ssa Maria Teresa Cairo.

 

Il sinodo per l’Amazzonia un anno dopo

A un anno dalla celebrazione del sinodo per l’Amazzonia, che si è tenuto in Vaticano dal 6 al 27 ottobre 2019, si tenta ora di tracciare un primo bilancio degli sviluppi che ne sono derivati. A fare il punto sono stati nei giorni scorsi alcuni partecipanti al sinodo di lingua tedesca in una videoconferenza organizzata ad Aquisgrana dalle organizzazioni caritative Misereor e Adveniat.

Voci e pareri sul cammino della Chiesa in Amazzonia

Una voce critica – come riferisce l’agenzia KNA del 21 ottobre scorso – è stata quella del teologo della liberazione Paulo Suess. A suo modo di vedere, nei dibattiti al sinodo c’è stata sì una grande apertura a vere riforme, ma alla fine hanno prevalso i «tradizionalisti» che volevano il minor cambiamento possibile. Hanno «messo all’angolo il papa», accusandolo persino di essere fautore di divisione e di eresie, ossia di falsi insegnamenti. Per questo Francesco sarebbe stato «molto cauto» nel Documento finale del sinodo. Secondo Suess, una forte Chiesa locale indigena sarebbe «un arricchimento per l’intera Chiesa mondiale e in nessun modo una minaccia, come alcuni temono».

Diverso, invece, il parere del vescovo tedesco Johannes Bahlmann, di Obidos (Amazzonia): gli indigeni e tutte le altre persone della regione amazzonica si sono sentiti rafforzati dal sinodo e hanno sviluppato una nuova fiducia in se stessi.

Per suor Birgit Weiler, del Perù, all’interno della Chiesa è gratificante che le donne e le popolazioni indigene dell’America Latina siano ora maggiormente coinvolte. È importante, tuttavia, che non siano solo consultate, ma anche che abbiano voce nelle decisioni. Ci sono qui molti segnali positivi – ha sottolineato –, e ha espresso la viva speranza che continuino ad essere tradotti in pratica.

Riferendosi all’attuale pandemia del coronavirus, ha affermato che questa ha mostrato «in tutta la sua brutalità» quanto siano drammatiche le differenze sociali e le ingiustizie che ne derivano: vittime sono soprattutto i poveri che, affidati a un sistema sanitario pubblico marcio, non possono rimanere a casa per proteggersi. Inoltre – ha proseguito – è aumentata notevolmente la violenza contro le donne. La Chiesa deve quindi esercitare una pressione più energica sulla politica per punire la violenza e far rispettare i diritti umani.

Michael Heinz, amministratore delegato dell’organizzazione umanitaria per l’America Latina Adveniat, ha affermato che, in seguito al sinodo, si sono ora create nuove reti nella regione amazzonica. A differenza della Germania, dove i documenti vengono spesso «archiviati e rapidamente dimenticati», i documenti sinodali in America Latina sono stati molto discussi e si sono dimostrati «pieni di vita». Oltre alla precedente opzione per i poveri e i giovani, ora si è aggiunta anche un’«opzione per la creazione e per i popoli indigeni».

Nella videoconferenza, l’amministratore delegato della Misereor, Pirmin Spiegel, si è riferito ai dibattiti in corso sull’accordo UE-Mercosur sulle relazioni commerciali con i paesi sudamericani. Il fatto che in questa area le questioni sugli standard ambientali, i diritti umani e il controllo democratico giochino un ruolo decisivo può essere considerato anche come esempio di ciò che potrebbe derivare concretamente dai dibattiti al sinodo sull’Amazzonia.

Il silenzi su certe richieste

Il papa è stato criticato da più parti per la mancanza di riforme su alcuni temi molto attesi. Nell’esortazione post-sinodale Querida Amazonia, pubblicata lo scorso febbraio, egli non ha accolto i suggerimenti dell’assemblea sinodale di ordinare sacerdoti uomini sposati maturi né di prevedere un diaconato per le donne in casi eccezionali e tantomeno di alleviare l’obbligo del celibato per i preti. Come prima misura per combattere la carenza di sacerdoti in Amazzonia, Francesco ha invece raccomandato di pregare per un numero maggiore di vocazioni, di provvedere un migliore utilizzo dei sacerdoti esistenti nella regione e favorire una formazione più appropriata. Nel complesso – ha sottolineato – la Chiesa e la cura pastorale in Amazzonia dovrebbero essere maggiormente caratterizzate dalla presenza di laici impegnati.

Ma, come è stato riferito da Civiltà Cattolica, ha spiegato così le ragioni del suo silenzio su quei temi che erano i più attesi da una certa opinione pubblica: «C’è stata – ha dichiarato – una discussione… una discussione ricca… una discussione ben fondata, ma nessun discernimento, che è qualcosa di diverso dall’arrivare ad un buono e giustificato consenso o a maggioranze relative. Dobbiamo capire – ha precisato – che il sinodo è più di un parlamento; e in questo caso specifico non poteva sfuggire a questa dinamica. Su questo argomento è stato un parlamento ricco, produttivo e persino necessario; ma non più di questo. Per me questo è stato decisivo nel discernimento finale, quando ho pensato a come fare l’esortazione».

Francesco ha poi chiarito che un sinodo dovrebbe essere un luogo di riflessione orante e non un luogo in cui si sviluppano pressioni lobbistiche di tipo parlamentare.

La  Conferenza della Chiesa per l’Amazzonia

Uno dei frutti più importanti del sinodo è stata senza dubbio la creazione, lo scorso mese di giugno, della nuova Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia.

Non è stato facile arrivarci. I mesi per giungere alle delibere e i relativi preparativi, che si sono svolti in gran parte in segreto, sono stati duri. Secondo alcune informazioni, un certo numero di forze conservatrici era scettico; e c’era una resistenza anche in Vaticano.

La scelta della data di quella istituzione non è stata casuale: il 29 giugno 2020, giorno in cui si celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo. E ciò conferma la vocazione del nuovo organismo di «porsi al servizio della Chiesa, della sua opzione profetica e della sua azione missionaria in uscita». «Ci sembra – sostiene la nota dell’annuncio – che la nascita di questa Conferenza ecclesiale sia un atto di speranza, unito al magistero di papa Francesco, che ha accompagnato da vicino tutto il processo». Ma non solo: la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia vuole essere anche una proposta concreta «in questi tempi difficili ed eccezionali per l’umanità, mentre la pandemia colpisce con forza la regione panamazzonica e le realtà di violenza, di esclusione e di morte nei confronti del bioma e dei popoli che lo abitano reclama un’urgente quanto imminente conversione integrale».

Con la creazione di questa Conferenza, si raccolgono due istanze emerse dal sinodo: la prima, riportata nel Documento finale, chiede di «creare un organismo episcopale che promuova la sinodalità tra la Chiesa della regione panamazzonica, che aiuti a delineare il volto amazzonico della Chiesa e continui nell’impegno di trovare nuovi cammini per la missione evangelizzatrice» (n. 115). La seconda, invece, è espressa da papa Francesco nella sua esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia ed è l’auspicio «che i pastori, i consacrati, le consacrate e i fedeli laici dell’Amazzonia si impegnino nell’applicazione» del lavoro sinodale (n. 4).

Il cardinale peruviano Pedro Barreto, vicepresidente di Repam, considera la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia come «un dono al papa e alla regione amazzonica». Le strutture modificate potrebbero aiutare a facilitare il percorso verso le riforme. Nella Conferenza ora costituita sono rappresentati vescovi, sacerdoti, diaconi e membri delle popolazioni indigene di tutti gli stati amazzonici. «Non ci sono nazionalismi, né divisioni», sottolinea Barreto. Si tratta della Chiesa come spazio di vita comune che deve essere protetto a beneficio di tutta l’umanità.

La Conferenza è composta dai rappresentanti di nove paesi della regione amazzonica. A presiedere la conferenza sarà il cardinale Hummes. Un fatto rilevante è la scelta di inserire nell’organismo tre rappresentanti indigeni: due laici – Patricia Gualinga e Dario Siticonatzi, rispettivamente dei popoli sarayaku e ashaninka – e suor Laura Vicuña, del popolo kariri.

Secondo lo statuto, il nuovo organismo dovrà essere collegato con il CELAM – Consiglio episcopale latinoamericano – e cooperare con il Repam (Rete ecclesiale panamericana, con sede a Quito, in Ecuador) anche se con uno statuto autonomo.

Il presidente del CELAM, l’arcivescovo Miguel Cabrejos, è stato coinvolto nella pianificazione sin dall’inizio, assicura Barreto, «ma non siamo solo semplicemente un’altra istituzione». Il progetto è sostenuto da popolazioni indigene, laici e clero allo stesso modo, il che significa che esso possiede una grande propulsione. Inoltre, il progetto promuove il decentramento voluto dal papa. Papa Francesco accompagna perciò l’iniziativa con grande compiacimento.

Le aspettative dalla Conferenza ecclesiale amazzonica sono grandi. I cattolici di tutto il mondo sperano vivamente di ricevere impulsi per un rinnovamento della Chiesa dal sinodo per l’Amazzonia. Tuttavia, per le ragioni dette, l’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia di Francesco è stata accolta da alcuni con una certa delusione. È probabile, comunque, che le discussioni ricomincino presto.

Il Documento finale del sinodo si augura che l’organismo ora istituito nell’incontro dei vescovi «trasmetta le idee che sono state sollevate a tutta l’area della Chiesa in America Latina e nei Caraibi». Ciò significa che il processo postsinodale è tutt’altro che concluso.

Non è un luogo per credenti

Le grandi e storiche istituzioni, laiche o religiose che siano, sembrano in egual misura divenute spazi di pratiche e retoriche incapaci di rinnovarsi e che gli individui faticano a sentire propri. Si amplificano così le dinamiche del fai-da-te, dove quegli aspiranti credenti che restano gli esseri umani tracciano itinerari sempre più personalizzati, che prevedono qualche volta l’abbandono, la diserzione, ma molto più spesso la selezione, il patteggiamento, l’appartenenza condizionata, l’autogestione e molte altre tattiche simili. Non è più necessario addentrarsi in qualche complesso studio demoscopico per avere riscontri di questi processi.

Nella crisi delle istituzioni

Basta osservare quello che succede anche alla nostra Chiesa. Che l’istituzione stia vivendo momenti di non felice reputazione sembra chiaro a tutti. Eppure le sue palesi inadeguatezze non riguardano tanto gli “scandali” con cui a ripetizione i suoi luoghi di potere allietano la nostra cronaca, meglio di Netflix, con i loro noir quotidiani. Sesso, soldi e potere sono in fondo zone d’ombra facili da riconoscere, da stigmatizzare e a limite, per il credente, anche da perdonare.

Quello che resta più difficile da vedere è la conclamata incapacità del cattolicesimo istituito nell’essere luogo che consenta alla fede di avere una forma reale. Possibilmente nel presente, non in un ideale senza tempo. L’impressione è che cresca sempre di più il numero di quanti per poter dare forma alla propria fede devono mettersi, se non fuori, per lo meno ai margini della Chiesa, in qualche circoscritta oasi di condivisione personalizzata. Il quesito che grava sulla Chiesa di oggi è se essa sia ancora un posto per credenti (per credenti, non per affezionati alle pratiche religiose).

Una domanda come questa, adeguatamente calibrata secondo i rispettivi domini, potrebbe riguardare allo stesso modo tutte le Chiese, i partiti, la scuola, i sindacati, persino la scienza e tutte quelle istituzioni che ogni giorno fanno i conti con la crescente disaffezione degli individui che dovrebbero trovare in esse forme compatibili alle loro attese. Bisogna rendere atto a papa Francesco, almeno per quel che riguarda i problemi della Chiesa, di aver provato a prendere il toro per le corna. Quanto la sfida si stia rivelando ardua lo vediamo tutti. Nondimeno non va misconosciuto il coraggio spirituale di un tentativo che mira a salvare proprio l’esausta vocazione generativa di una Chiesa molto prossima alla sterilità clinica. Attraverso segni, discorsi, simboli, uomini, scelte, per la verità non tutto andato sempre a segno, Francesco ha perlomeno immesso nei discorsi di Chiesa il vocabolo «riforma», conferendo a esso un significato di trasformazione che ha di mira un cattolicesimo nuovamente ospitale delle differenze in cui chiunque può trovare la forma della propria fede. Fratelli tutti, seconda enciclica del pontificato, fa parte di questo tentativo.

L’intuizione di Francesco

La sua intuizione principale consiste nel comprendere che di una simile questione il cristianesimo tradizionale e istituito non può venire a capo da solo, ma soltanto occupandosi contemporaneamente del “credere” di tutti, che anzitutto riguarda la possibilità di porre quotidianamente fiducia in un mondo umano e ospitale, luogo di quella giustizia che, sperimentata nella storia, può anche essere attesa anche dopo di essa. Senza la cura seria e concreta di una tale giustizia anche la speranza religiosa finisce per gracchiare dagli altoparlanti di un’ideologia come le altre. L’“aver fede” di ciascuno riguarda sempre anche il “poter credere” di tutti. E il tema della “fraternità”, in questo senso, rappresenta qualcosa di più del suono familiare e un po’ bigotto del gergo religioso che di fatto ne è rimasto l’erede quasi esclusivo.

Ispirato per esplicita ammissione alla tradizione francescana, “fraternità” è nel contempo il termine rimosso dalla triade che ha fatto nascere la nostra modernità illuminata e secolare: liberté, egalité, fraternité. La civiltà scaturita da quelle parole d’ordine è anche quella che ha sostanzialmente privilegiato le prime due, fondando un sistema sociale basato sulle libertà individuali e sull’uguaglianza dei diritti che, senza il principio attivo di un primato dei legami, ha trasformato il mondo nello spazio antagonistico di un’arena in cui tutti vogliono tutto come tutti ma dove pochi possono avere quello che resta solo di qualcuno.

Molti segnali, allarmanti quanto normalmente ignorati, contribuiscono a rendere seri questi discorsi e sottrarli al sorrisetto impudente dei cinici. Le strutture economiche, i metodi della produzione, la burocrazia dei diritti, il sistema comunicativo, le prassi politiche, le deviazioni finanziare e tutto quanto compone l’impalcatura di questa civiltà esaltata e frenetica, viene messo allo specchio dei suoi costi sociali, degli “scarti” sistematici che, trasformati in numeri statistici, non disturbano col loro volto umano e personale. L’intensità della sua marcia, senza fine e senza fini, domina il mondo proclamando il convincente slogan «Liberi tutti!», motto araldico della presente ecumene capital informatica.

Qualcosa di epocale

Diffondendo l’espressione Fratelli tutti, il papa compie qualcosa di molto più grande che immettere nel chiacchiericcio globale qualche goccia di francescanesimo edificante; rivendica la completezza dei sogni moderni compromessi da pericolose omissioni, come un composto chimico che, senza uno solo dei suoi elementi, diventa un veleno mortale. È qualcosa di francamente epocale. I primi a capirlo saranno ancora una volta i difensori di un paradigma tecnomercantile che, per quanti inconvenienti stia incontrando, non mostra affatto segni di indebolimento: non mancheranno di screditare un pontificato che non detesteranno mai abbastanza; gli ultimi a capirlo saranno ancora una volta quei mandarini ecclesiastici che troveranno questo documento non sufficientemente religioso perché eccessivamente sociale: non mancheranno di contare i giorni in vista di un cambio di pagina.

In questa enciclica, che tra vari (per qualcuno irritanti) primati ha anche quello di contenere (credo per la prima volta) la citazione di una canzone (Samba da Benção, di Vinicius de Moraes), scommette sulla resa di un capitale spirituale che da troppo tempo il cristianesimo tiene sotto la mattonella dell’immobilità. Far valere qualcosa che è di tutti non significa scordare quello è proprio. Significa alimentare l’aria in cui esso può respirare.

Giovanni XXIII insisteva nel perseguire quello che unisce anziché quello che divide. Francesco mobilita ogni energia possibile per dare a questo principio forma sociale. Sa di poter parlare a molta «gente di fede» che non necessariamente si trova oggi tra la «gente di Chiesa». Nella speranza di riportare molta «gente di Chiesa» a essere anche e ancora «gente di fede».

di: Giuliano Zanchi

La Chiesa e i linguaggi della pandemia

Che cosa ha imparato la Chiesa dalla pandemia? O, meglio: abbiamo appreso qualcosa
nel periodo del lockdown?
La seconda puntata del convegno “La Chiesa alla prova della pandemia” tenutasi nel monastero di Camaldoli dal 24 al 28 agosto 2020 non ha voluto eludere tale interrogativo scomodo, anche rileggendo esperienze pastorali, provvedimenti assunti e
fecondità inespresse (per la prima parte si veda SettimanaNews).

Le giornate – dedicate rispettivamente a tematiche ecclesiologiche, liturgiche e comunicative – hanno evidenziato l’importanza di una riflessione critica sul momento pandemico, che ha fatto emergere problematiche e potenzialità che già c’erano, come ha premesso il monaco camaldolese Matteo Ferrari, organizzatore dell’incontro, introdotto dal priore Alessandro Barban e dal vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro Riccardo Fontana.

Chiesa

Nella sua prolusione, Giuseppe Angelini – già preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale – ha segnalato come in questo periodo si sia riproposta la frattura tra coscienza e società, espressa soprattutto dalla cancellazione dell’interrogativo morale in ambito pubblico, sostituito da soluzioni tecnico-scientifiche che segnerebbero il trionfo di una mentalità clinico-terapeutica.
La presenza della Chiesa, anziché dar voce alle coscienze personali, è stata declinata «in forme molto ripetitive, litaniche, sostanzialmente gregarie rispetto al dibattito pubblico» come se «non avesse nulla di proprio da dire in proposito»; sarebbe invece di estrema importanza una mediazione nelle profondità culturali della società odierna per trasformare la pandemia in occasione di evangelizzazione.

L’ecclesiologo Dario Vitali (Pontificia Università Gregoriana) ha scelto la categoria paolina di “corpo di Cristo” per indagare gli effetti della pandemia sullo stato di salute della Chiesa; un corpo già «debole, debilitato, sfibrato» ha visto ulteriormente compromesse le proprie capacità di rigenerarsi: come un paziente anziano, ora necessita di una lunga convalescenza, nutrendosi di soluzioni condivise che riattivino le connessioni interne e di consapevolezza di ciò che ha diviso il corpo ecclesiale.

È intervenuto anche il pastore Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di teologia, a proposito dell’irrilevanza sistemica della Chiesa. Essa, più che inseguire i criteri di legittimazione della sua presenza sociale sul piano laico che la valorizzano solamente in quanto erogatrice di servizi sociali di prima necessità, potrebbe ripensarsi nella categoria del “non necessario”: non in quanto superfluo, bensì nell’ordine del “più che
necessario”, della gratuità che non può essere imposta ma solamente riconosciuta liberamente.

Di fronte alla pandemia, cattolici romani e protestanti hanno fatto ricorso alle rispettive “specialità della casa”: da un lato, la pietà sacramentale senza accesso diretto ai sacramenti, dall’altro, la predicazione della Parola con eventi domenicali su piattaforme digitali. Tuttavia proprio in questa fase si sono posti nuovi interrogativi: in campo riformato inusuali nostalgie del sacramento sino a proposte di consacrare via webcam, in quello cattolico la consapevolezza che il Vangelo può giungere anche attraverso molteplici canali, pure telematici.

Nella mia relazione ho mostrato la convergenza dei sondaggi degli ultimi mesi – uno dei quali, condotto dall’associazione “Nipoti di Maritain” da me diretta e già presentato in sintesi anche su SettimanaNews – su un aumento complessivo di un terzo, tra gennaio e aprile, delle pratiche religiose dei cattolici italiani. Non solamente quindi “messe in streaming” – le cui riprese audio/video necessitano di inedite attenzioni di estetica liturgica – e che comunque persino sommate insieme non riescono a raggiungere gli ascolti di papa Francesco, ma pure meditazioni del vangelo quotidiano e occasioni di riflessione, soprattutto da parte dei più giovani, sul senso della propria vita.

Inoltre, si è notata la divergenza di letture proprio sulle dirette social delle celebrazioni dei presbiteri: criticate come manie di protagonismo clericale da parte di altri preti che non hanno voluto farle, invece generalmente sono state molto apprezzate dal fedele medio che in esse ha trovato un’espressione di vicinanza e di cura pastorale, dato dal quale partire prima di considerazioni di altro tipo.

A partire da questa constatazione di teologia fondamentale – è vero comunque, come aveva studiato Dario Vitali, che il sensus fidei è in larga parte dipendente dall’impostazione ricevuta – è possibile poi educare il cammino dei fedeli ad una consapevolezza più matura della realtà ecclesiale e sacramentale.

Liturgia

Ma tale apprezzamento laicale per le “messe in streaming” può anche denotare, come ha rilevato nella seconda giornata la liturgista sr. Elena Massimi, docente presso gli istituti “Auxilium” di Roma e “S. Giustina” di Padova, la fatica della recezione dell’ecclesiologia del concilio Vaticano II e l’incomprensione dello statuto stesso della
liturgia, opera di Cristo e del suo corpo che è la Chiesa tutta che fa l’eucaristia, la quale a sua volta costituisce la Chiesa.

L’intervento ha sottolineato alcune criticità dei decreti liturgici adottati in tempo di Covid-19, maggiormente preoccupati per la validità canonica dei sacramenti, e si è interrogata sulla rinnovata attualità di alcune pratiche discutibili come le indulgenze, le messe celebrate dal solo sacerdote e la cosiddetta “comunione spirituale”, nate in ben altri contesti; ad ogni modo si auspica che l’interesse significativo che ha investito recentemente la liturgia non venga sprecato.

Lorenzo Voltolin, presbitero della diocesi di Padova, è partito da un interrogativo: che tipo di comunità si costituisce quando i corpi non possono incontrarsi? Nel suo paradigma interpretativo i new media sono un’estensione del nostro corpo e come esso iniziano a funzionare, attivando anche dal punto di vista chimico gli stessi meccanismi percettivi inter-corporei, con la pompa sodio-potassio e i successivi effetti sulla corteccia cerebrale.
Inoltre funzionano sul corpo e permettono esperienze significative intra-corporee, nella realtà virtuale; sebbene questa non vada confusa con la realtà stessa, si tratta di un ulteriore spazio esistenziale, una realtà a pieno titolo fondata sui sensi corporei, e non sull’immaginazione.

Ciò che permette di verificarne l’autenticità è il collegamento con il proprio referente fisico: in altre parole, se vi è un legame biologicamente reale – per esempio quello tra un parroco e la propria comunità – tale percezione performativa può creare partecipazione comunitaria; se invece non vi è alcun nesso con una realtà conosciuta
fisicamente la celebrazione si fa spettacolo.

Morena Baldacci, responsabile della pastorale battesimale della diocesi di Torino, ha parlato di preghiera “in casa” (anziché di preghiera “in famiglia”, per poter includere un maggiore numero di esperienze anche di single e di conviventi) portando esempi, più che di sussidi, di pratiche concrete. Tali liturgie domestiche hanno permesso a una pur sempre esigua minoranza di fedeli già assidui di riscoprire gesti e parole del quotidiano; non un mero “trasloco” dalle chiese alle case, ma piuttosto una piccolezza scelta in cui sperimentare una pluralità di servizi e di ministeri.
In seguito, è stata proposta l’esperienza della Tenda della Parola animata dal parroco parmense Guido Pasini che, in tempo di pandemia, ha inviato a una mailing list un breve sussidio con tracce audio lette e cantate per pregare il vangelo domenicale.

Linguaggi

Nel terzo giorno dedicato alla comunicazione sono intervenuti due presbiteri della diocesi di Bergamo.
In primis Manuel Belli, che ha rilevato gli sforzi da parte delle Chiese per apprendere come stare su un web abitato da nativi digitali che hanno sempre vissuto in tempo di crisi e che possono essere sensibili, più che a spiegazioni causali o a illusori ottimismi, a una pastorale della prossimità al singolo individuo.
Giuliano Zanchi è entrato nel rapporto tra fede e arte, anche a proposito della riproducibilità tecnica dei sacramenti nell’“infosfera” in cui si è inevitabilmente immersi, dell’eloquenza (quasi sacramentale) di alcune immagini circolate durante la pandemia e dell’esigenza della ritualizzazione della vita, nel momento in cui si inventano nuovi riti alternativi personali perché quelli della liturgia non vengono percepiti più come espressivi, a causa di un sostanziale isolamento della Chiesa dal mondo culturale in cui avvengono novità.

Nel pomeriggio si è avuta l’occasione di ascoltare la testimonianza video del salesiano Alfio Pappalardo, autore di Un minuto per pregare sul social dei giovanissimi TikTok, oltre a quella del 23enne Emmanuele Magli (canale Religione 2.0 su YouTube) docente di IRC a Bologna e di Marco Scandelli, parroco di Borgo Maggiore a San Marino, che quotidianamente offre un video di #2minutiDiVangelo.

Responsabilità e vulnerabilità

La mattinata conclusiva, dopo l’esperienza del “pellegrino rosso” Matteo Bergamelli – che con entusiasmo, creatività e ironia testimonia la sua fede soprattutto su instagram – ha visto l’intervento del filosofo Stefano Biancu, docente alla LUMSA e vicepresidente del MEIC.
In quest’ultima relazione si sono rivissute le domande della filosofia morale in tempo di pandemia: abbiamo una conoscenza più limitata di quanto pensassimo anche delle realtà fisiche, non tutto è sotto il nostro controllo, eppure abbiamo una certa responsabilità – rispondere a qualcuno di qualcosa – su ciò che invece dipende da noi,
senza temere quella vulnerabilità che, esponendoci al rischio di poter essere feriti dagli altri, consente di accedere a esperienze più grandi.
Entra così in gioco una dinamica di beni “supererogatori”, cioè non esigibili (come il perdono, l’amore, l’accoglienza) eppure vissuti con la coscienza che siano tali: è il “massimo necessario”, per esempio, del personale sanitario che ha compiuto come atto dovuto il proprio servizio, definito invece da altri nei termini di “eroismo”.

Insomma, dopo la puntata di giugno più “a caldo”, anche con quella di agosto questo convegno ha voluto, su temi più specifici, offrire un aiuto per comprendere l’attuale delicata fase ecclesiale, senza offrire alcuna ricetta preordinata, ma ripensando alle ricchezze e alle debolezze che questo tempo ha fatto scoprire, al fine di investire energie e lavorare con pazienza sui punti nodali affinché i frutti vengano da cammini condivisi, e non da scorciatoie.

http://www.settimananews.it/chiesa/la-chiesa-linguaggi-della-pandemia/

Umanità più fraterna, il Papa chiama il mondo per un nuovo patto educativo

Il Papa convoca a Roma per il 14 maggio 2020 personalità di tutto il mondo insieme ai giovani per una serie di iniziative, dibattiti, tavole rotonde per una “società più accogliente“. La Congregazione per l’Educazione Cattolica spiega il motivo di questo evento mondiale che si svolgerà in Vaticano nell’Aula Paolo VI: “Sono invitate a prendere parte all’iniziativa proposta le personalità più significative del mondo politico, culturale e religioso, ed in particolare i giovani ai quali appartiene il futuro. L’obiettivo è di suscitare una presa di coscienza e un’ondata di responsabilità per il bene comune dell’umanità, partendo dai giovani e raggiungendo tutti gli uomini di buona volontà”.

“L’iniziativa – spiega ancora la Congregazione per l’Educazione Cattolica in una nota – è la risposta ad una richiesta. In occasione
di incontri con alcune personalità di varie culture e appartenenze religiose è stata manifestata la precisa volontà di realizzare una
iniziativa speciale con il Santo Padre, considerato una delle più influenti personalità a livello mondiale e, tra i temi più rilevanti,
è stato da subito individuato quello del Patto educativo, richiamato più volte dal Papa nei suoi documenti e discorsi. Il quinto anniversario dell’enciclica Laudato sì, con il richiamo all’ecologia integrale e culturale, si offre come piattaforma ideale per tale evento”.

In un messaggio il Pontefice rinnova “l’invito a dialogare sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta e sulla necessità di investire i talenti di tutti, perché ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente“. Ricorda ancora Bergoglio che “in un percorso di ecologia integrale, viene messo al centro il valore proprio di ogni creatura, in relazione con le persone e con la realtà che la circonda, e si propone uno stile di vita che respinga la cultura dello scarto. Un altro passo è il coraggio di investire le migliori energie con creatività e responsabilità”.

IL TESTO DEL MESSAGGIO DEL PAPA

L’itinerario verso maggio sarà segnato da una serie di incontri, organizzati in luoghi assai significativi. Ecco l’elenco

Pontificia Fondazione Gravissimum educationis – 16-17 settembre 2019 “Democrazia: un’urgenza educativa in contesti pluriculturali e plurireligiosi”

Pontificia Università Lateranense – 31 ottobre 2019 “Educazione, diritti umani, pace. Gli strumenti dell’azione interculturale ed il ruolo delle religioni”

Emirati Arabi – Abu Dhabi – 4 febbraio 2020 “Convegno sul documento di Abu Dhabi (4 febbraio 2019)”

Università Pontificia Antonianum con l’Istituto Teologico Seraphicum – 14-16 gennaio 2020 “Natura e ambiente nel patto educativo: la bellezza fa l’uomo buono”

Università Cattolica LUMSA con l’Alta Scuola EIS – 30-31 gennaio-1° febbraio 2020 “Costruire comunità. La proposta del service learning”

Pontificia Accademia delle Scienze Sociali – 6-7 febbraio 2020 Workshop on “Education: The global Compact” – Casina Pio IV

Università Pontificia Salesiana con l’Auxilium (Sede: Città dei ragazzi) – 22 febbraio 2020 “We are we share we care. Generazioni a confronto per un’alleanza educativa”

Centro “Centro Card. Bea” (Gregoriana) – Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica – 24 febbraio 2020 “L’immagine dell’altro nelle proprie tradizioni: quali risorse le nostre tradizioni religiose e culturali possiedono in vista della costruzione di una fratellanza universale?”

Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Brescia) – 13 marzo 2020 Scienze politiche e pedagogiche – “Le sfide educative per la cooperazione internazionale”

Città dei Ragazzi – 24 marzo 2020 “Percorsi di cittadinanza. Dall’esclusione all’inclusione”

Villaggio della Terra – 22-26 aprile 2020 “C’è un mondo che ti aspetta” – Villa Borghese

Istituto Universitario “Sophia” – Loppiano (Incisa in Valdarno) Incontri per studenti – “Terza missione e impegno degli studi: leadership per strade nuove”

Pontificia Fondazione Scholas Occurrentes (Convegno mondiale delle Cattedre Scholas)

 

da Avvenire del giovedì 12 settembre 2019

L’alfabeto verde di papa Francesco. Salvare la Terra e vivere felici

È stato definito “nuovo umanesimo”, è il pensiero espresso da papa Francesco nell’Enciclica Laudato si’, emanata nel 2015. La prima enciclica di Francesco si è rivelata famosa prima ancora di essere divulgata: la ragione è tutta di natura politica. Nel 2015 si è infatti svolto un negoziato decisivo per l’avvenire del pianeta: la conferenza sull’ambiente e le conseguenze del cambiamento climatico tenutasi a Parigi. Laudato si’ non è quindi un titolo scelto a caso dal Papa, ma una citazione tratta dal Cantico delle creature, testo che oggi diventa quasi il manifesto di un ambientalismo cristiano, di una visione alternativa del mondo, riflettendo così, nel modo più immediato e visibile da tutti, il valore profetico di un messaggio, di un testo poetico, che diventa di nuovo attuale. Da tutto questo parte la riflessione dell’autrice che ha visto tra le righe dell’Enciclica alcune parole chiave, divenute oggi, a quasi quattro anni dalla pubblicazione, di un’attualità rimbombante. Risparmio energetico, rispetto del pianeta e dei suoi abitanti, impegno, sostenibilità, inquinamento, lotta all’indifferenza: è la “presa di coscienza ambientalista” (cfr P.G. Pagano) a noi contemporanea.
L’autrice
Franca Giansoldati vive e lavora a Roma ed è vaticanista del quotidiano Il Messaggero. Nel 2013 ha vinto il Premio Internazionale di Giornalismo di Ischia per il migliore reportage sull’elezione di papa Francesco. Si occupa di temi legati alla religione da oltre vent’anni. Ha scritto, con Marco Tosatti, Apocalisse. La profezia di papa Wojtyla (2003), Il Demonio in Vaticano. I Legionari di Cristo e il caso Maciel (2014) e La marcia senza ritorno. Il genocidio armeno (2015).

L’alfabeto verde di papa Francesco. Salvare la Terra e vivere felici
Autrice: Franca Giansoldati
Edizioni San Paolo
Pagine: 128,
Prezzo: € 15

Messaggio del Santo Padre Francesco per la III Giornata Mondiale dei Poveri

In occasione della festa di S. Antonio di Padova è stato reso noto il Messaggio per la prossima Giornata Mondiale dei Poveri, la terza, che quest’anno sarà celebrata domenica 17 novembre sul tema “La speranza dei poveri non sarà mai delusa”.
“Incontriamo ogni giorno – si legge nel testo – famiglie costrette a lasciare la loro terra per cercare forme di sussistenza altrove; orfani che hanno perso i genitori o che sono stati violentemente separati da loro per un brutale sfruttamento; giovani alla ricerca di una realizzazione professionale a cui viene impedito l’accesso al lavoro per politiche economiche miopi; vittime di tante forme di violenza, dalla prostituzione alla droga, e umiliate nel loro intimo. Come dimenticare, inoltre, i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?”.
“Si è giunti perfino a teorizzare e realizzare – prosegue il testo – un’architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza. Vagano da una parte all’altra della città, sperando di ottenere un lavoro, una casa, un affetto…”.
“Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori – afferma poi Papa Francesco – ma non sarà così per sempre. Il giorno del Signore, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti. La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di persone non potrà durare ancora a lungo”.
Dopo un ricordo grato della figura di Jean Vanier, “un grande apostolo dei poveri”, il Santo Padre invita tutti a mettere “da parte le divisioni che provengono da visioni ideologiche o politiche” e a fissare “lo sguardo sull’essenziale che non ha bisogno di tante parole, ma di uno sguardo di amore e di una mano tesa”.
“A volte – conclude il Messaggio – basta poco per restituire speranza: basta fermarsi, sorridere, ascoltare. Per un giorno lasciamo in disparte le statistiche; i poveri non sono numeri a cui appellarsi per vantare opere e progetti. I poveri sono persone a cui andare incontro: sono giovani e anziani soli da invitare a casa per condividere il pasto; uomini, donne e bambini che attendono una parola amica. I poveri ci salvano perché ci permettono di incontrare il volto di Gesù Cristo”.

A commento del Messaggio Mons. Francesco Soddu, Direttore di Caritas Italiana, ha rilasciato una dichiarazione per CEInews.

L’Università, una comunità di studio, di ricerca e di vita

Il 28 e 29 novembre 2019 a Roma il convegno nazionale di pastorale universitaria. I primi frutti del Manifesto CEI e CRUI per l’Università

 

“Una comunità di studio, di ricerca e di vita” è il titolo del prossimo convegno nazionale di pastorale universitaria, in calendario per i giorni 28 e 29 novembre 2019 a Roma, presso la Casa “San Juan de Avila”.
Da alcuni anni è ripreso a cadenza fissa un appuntamento che vede insieme responsabili di uffici diocesani per l’università, docenti e studenti, cappellani e direttori di collegi universitari cattolici. A tutti loro, infatti, è rivolto l’invito per una due giorni di confronto e riflessione.
Il programma del 28 novembre prevede la relazione introduttiva di Luigi Alici, docente di filosofia morale presso l’Università di Macerata, e un’ampia sessione di laboratori su temi quali il rapporto fra Pastorale universitaria, Atenei e territorio, le scienze e la reologia, la spiritualità e il discernimento. A conclusione del pomeriggio, la Celebrazione Eucaristica presieduta da mons. Mariano Crociata, Presidente della Commissione Episcopale della CEI per l’educazione cattolica, la scuola e l’università
Venerdì 29 novembre si apre con la Celebrazione Eucaristica presieduta da Mons. Stefano Russo, Segretario Generale della CEI, a cui segue una tavola rotonda dal titolo “Insieme attori e alleati”, con la partecipazione del prof. Francesco Bonini, rettore Università LUMSA; di mons. Valentino Bulgarelli, responsabile del Servizio nazionale della CEI per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose; del prof. Alberto De Toni, Presidente Fondazione CRUI; del dott. Filippo Moretti, Segretario Comitato “Mai troppo umano” di Pavia.
Nel corso del dibattito verrà presentato il recente accordo tra Santa Sede e Stato italiano per il riconoscimento dei titolo accademici ecclesiastici e i primi frutti del “Manifesto per l’Università” firmato nel maggio scorso da CEI e CRUI.
La scadenza per le iscrizioni è il 20 ottobre 2019.
In allegato, le note logistiche e il programma completo dell’iniziativa.

 

ALLEGATI

Chiesa e Islam in Italia. Incontro e dialogo

È uscito il libro edito dal Centro editoriale dehoniano, tanto atteso dalla Chiesa italiana, sinora priva di indicazioni chiare su come rapportarsi con l’Islam per incontrarsi e, soprattutto, per dialogare con serenità, nella concretezza e senza sincretismi.
Il testo è stato curato da Antonio Angelucci (ecclesiasticista e comparatista delle religioni), Maria Bombardieri (sociologa), Antonio Cuciniello e Davide Tacchini (islamologi e arabisti). È frutto del lavoro di anni dell’Ufficio Ecumenismo e Dialogo interreligioso (UNEDI) della Conferenza Episcopale Italiana che, attraverso il “Gruppo di interesse sull’Islam”,– composto da teologi, giuristi, sociologi, islamologi e arabisti delle maggiori università pontificie e italiane – parte effettiva di tale Ufficio, ha, dapprima, elaborato alcune schede on line ad uso pastorale e, in un secondo momento, rielaborandole, arricchendole ed aggiornandole, ha definito “su carta” alcune linee che trovano una certa ufficialità grazie anche alla prefazione del Presidente della CEI, S.E.R. Card. Gualtiero Bassetti e alla postfazione del Presidente dell’UNEDI, Mons. Ambrogio Spreafico e del suo Direttore (fino a dicembre 2018), Don Cristiano Bettega.
Nel libro si affrontano temi caldi e si danno spunti che saranno utili a diocesi e parrocchie, associazioni di volontariato, ecc. La prima parte fornisce i parametri di base necessari per la comprensione dell’Islam in Italia (contributi di: Antonio Angelucci, sulle organizzazioni musulmane italiane; Davide Tacchini, sulla figura dell’imam; Alessandro Ferrari e Vittorio Ianari, sulla visita alle moschee). La seconda dà alcune indicazioni per convivere in fraternità tra cristiani e musulmani (contributi di Antonio Cuciniello, su scuola e musulmani; Augusto Negri, sui musulmani in oratorio; Ignazio De Francesco, sui musulmani in carcere e in ospedale). La terza parte aiuta ad interpretare l’Islam nel quotidiano (contributi di Antonio Cuciniello e Massimo Rizzi, sulle regole alimentari e le feste islamiche; Maria Bombardieri, sulla questione delle immagini nell’Islam; Stefano Paternoster, sull’elemosina e sull’attenzione ai poveri nell’Islam). La quarta e ultima parte, infine, non dimentica il tema oggi attualissimo e scottante dell’accoglienza e della solidarietà (contributo di Massimo Ambrosini).
Il lavoro viene, ora, rilanciato dal nuovo Direttore dell’UNEDI, Don Giuliano Savina che, forte dell’esperienza di dialogo interreligioso promosso al Refettorio Ambrosiano di Milano, da lui fondato, ripropone col “Gruppo di interesse sull’Islam” il percorso profetico di incontro e dialogo interreligioso fortemente chiesto da Papa Francesco e dai suoi predecessori.
L’obiettivo è continuare a mettere in dialogo Chiesa e Islam in Italia.

Con la famiglia paolina, una settimana tutta da vivere

Per portare la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali all’attenzione di un pubblico sempre più ampio, stimolare la riflessione sul tema e creare spazi di condivisione allargata le Paoline e i Paolini organizzano la Settimana della Comunicazione.

In tutta Italia, vengono organizzate una serie di iniziative pastorali e culturali – convegni, concorsi, laboratori, attività nelle librerie Paoline e San Paolo, video proiezioni, eventi musicali, spettacoli e molto altro – che coinvolgono giornalisti e operatori della comunicazione, personalità del mondo ecclesiastico, artisti e personaggi del mondo dello spettacolo.

Grande attenzione viene riservata al mondo della scuola: insegnanti, studenti, educatori e genitori, diventano i protagonisti di concorsi a tema, giochi e laboratori creativi, partecipano agli spettacoli e alle video proiezioni, vengono chiamati a realizzare happy book, testi, video e giornalini. Perché la comunicazione è dialogo, è ascolto, è innovazione, è creatività.

Quest’anno la 14° edizione della Settimana della Comunicazione si tiene dal 26 maggio al 2 giugno.

Ecco tutti gli eventi in calendario.

 

Il festival

Il Festival della Comunicazione è un “focus” collegato alla Settimana della Comunicazione, che si svolge a livello locale, con il sostegno dell’Ufficio Nazionale della Comunicazioni Sociali, il Servizio Nazionale del Progetto Culturale, la Segreteria per la Comunicazione e il Pontificio Consiglio della Cultura. Ogni anno viene organizzato in una Diocesi diversa, con l’intento di coinvolgere in maniera attiva tutta la Chiesa e far emergere le tante valide risorse del territorio. Nascono, così, iniziative originali, molto sentite e partecipate, che spesso rimangono come patrimonio locale ben oltre la durata del Festival.

Nel 2019 la Diocesi che accoglie il Festival è quella di Chioggia, in Veneto.