Il nostro tempo per gli altri

Arrivano le feste, ma con esse anche una domanda sempre più pertinente: siamo ancora capaci di fare festa? Riusciamo ancora a segnare un tempo come festivo, diverso dal feriale quotidiano? E, se e quando ci riusciamo, di cosa abbiamo bisogno per distinguerlo dalle ormai sempre più numerose occasioni che abbiamo per festeggiare, stimolati come siamo da un mercato che ci vuole sempre pronti a consumare tempo e denaro in beni fuori dall´ordinario? Finiamo per credere che ciò che caratterizza la festa debba essere l´eccesso, la ricchezza, il poter spendere per il superfluo, lo stordirci con lo stra-ordinario.
In questo senso il Natale è divenuta la ricorrenza che più di altre mostra la contraddizione in cui ci troviamo e il conseguente paradosso di trovarci in ansia per la festa: siccome ha perso la preziosità che gli derivava del suo essere unica o quasi durante l´anno, ora sembra condannata a distinguersi dalle mille altre feste che ci siamo inventati attraverso un “di più” di tutto: più spese, più regali, più cibi, viaggi più lontani, adunate più affollate…
Eppure, il cuore e la mente ci dicono che per noi la vera festa è fatta di altro, di cose che non si pesano in quantità ma in qualità, che non si misurano in estensione ma in profondità: incontri autentici, momenti di condivisione, equilibri di silenzi e parole, tempo offerto all´altro nella gratuità.
Se siamo onesti con noi stessi, il regalo più gradito non è quello che ci sorprende di più per la sua stranezza o per il suo prezzo, bensì quello che più è capace di narrarci il sentimento di chi lo porge.
Come non ricordare la povertà dei regali negli anni del dopoguerra o, ancora oggi, in tante famiglie in difficoltà economiche? Eppure bastava e basta così poco per far risplendere il dono più umile: era e rimane sufficiente che il gesto che lo offre sappia al contempo porgere il cuore di chi dona, sappia parlare al cuore di chi riceve.
A Natale, infatti, non dovremmo sorprendere l´altro con l´ostentazione della ricchezza o della stravaganza, né stordirlo con l´eccesso, bensì stupirlo e confermarlo con l´amore, l´affetto, l ´attenzione che non sempre nel quotidiano trovano il tempo e il modo di essere esplicitati.
Il piatto più apprezzato a tavola, allora, non sarà quello più esotico o costoso, ma quello che meglio mostra che conosco i gusti di chi mi sta accanto, che so cosa lo rallegra, che cerco solo di dirgli “ti voglio bene”.
Del resto, il regalo che più rallegra ciascuno di noi, di qualunque età, non è mai l´ultima trovata di cui tutti parlano o l´ennesima novità straordinaria che nel giro di pochi mesi sarà superata, ma quel semplice oggetto che mi fa capire che chi lo ha scelto ha pensato proprio a me, ha saputo interpretare i miei desideri inespressi, mi ha letto nel cuore.
Tutte cose, queste, che non si comprano in contanti né con carta di credito, anzi: sovente sono beni poveri, sobri, umili, “feriali”, ma che si accendono di novità per la carica di umanità che sappiamo immettervi.
E così, a loro volta accendono di semplicità la festa, fanno sentire che quel giorno è diverso, non perché così dice il calendario dei negozi, non perché lo abbiamo ricoperto d´oro, ma perché abbiamo saputo guardare noi stessi, gli altri, la realtà con occhio diverso, con uno sguardo predisposto a scorgere il bene nascosto in chi amiamo, perché abbiamo saputo essere autenticamente noi stessi, desiderosi di amare e di essere amati.
Sì, Natale è davvero festa quando l´amore trova spazio e tempo per essere narrato, semplicemente.
in “la Repubblica” del 23 dicembre 2010

La riforma Gelmini è un passo importante

Mario Monti, presidente dell’Università Bocconi e per un decennio commissario europeo, in una intervista del Messaggero sulla questione della riforma universitaria, critica, innanzitutto il sistema politico italiano dalla vista cortissima e la protesta violenta che ha accompagnato nei giorni scorsi la manifestazione degli studenti a Roma.
A proposito del ddl di legge Gelmini Monti sembra avere le idee molto chiare e non esita a prendere le difese del progetto che mercoledì al Senato dovrebbe ricevere l’approvazione definitiva.
“Il ddl Gelmini è un passo importante verso un sistema universitario più moderno e più funzionale” ha dichiarato l’ex-commissario che, contrariamente a quanto hanno dichiarato con molta genericità diversi politici in questi giorni, è sceso nel dettaglio per motivare la sua presa di posizione.
“Trovo positiva – ha dichiarato – la riforma degli organi di governo, la maggiore autonomia nella gestione del corpo docente, l’abolizione dell’attuale sistema dei concorsi.
Nell’insieme, si riduce la presa del sistema corporativo sull’università”.
Nell’intervista non poteva mancare il riferimento critico alla riduzione delle risorse che è tuttora, come si sa, uno dei motivi di forza della protesta.
Anche su questo Monti è andato in senso contrario, dichiarando che “Le risorse sono sicuramente un problema ma non credo abbia senso gettare denaro in un sistema che funziona nell’interesse della corporazione universitaria invece che della qualità.” Monti non ha però nascosto le sue riserve sull’azione di Governo a causa soprattutto dell’assenza di un ministro per lo sviluppo economico che avrebbe dovuto affiancare il ministro dell’economia.
“Bisognerebbe fare come la Germania – ha osservato Monti – che per un certo periodo ha avuto un “ministro per il futuro”.
Potrebbe dare una voce alle prossime generazioni che sono sottorappresentate, perché non votano o addirittura non sono ancora nate”.
tuttoscuola.com

Babbo natale sì, Gesù bambino no

Sono sempre più frequenti i casi di scuole, per lo più del settore della scuola materna ed elementare, nelle quali gli insegnanti, per rispetto della presenza multietnica di diversi alunni, rifuggono da qualsiasi riferimento alla tradizione italiana, arrivando anche ad escludere il Bambinello da un improbabile presepe.
Babbo natale sì, Gesù bambino no, per rispetto delle culture diverse.
Una scelta che non piace alle mamme italiane, ma nemmeno, a quanto sembra, alle mamme di bambini stranieri.
Se ne parla nell’edizione milanese di Repubblica, citando il caso di una scuola materna (ma l’esempio vale certamente per molte altre scuole non citate), in cui le renne infiocchettate sono al posto del bue e dell´asinello.
Le maestre hanno deciso di rinunciare alla tradizionale festa di Natale aperta alle famiglie e di “censurare” poesie e canzoncine a contenuto religioso, perché «L´asilo è multietnico, molti bambini non sono cristiani e questo tipo di celebrazione rischia di discriminarli».
In questo modo, però i discriminati sono i bambini italiani.
Le mamme insorgono («la festa di Natale non faceva male a nessuno») e da Palazzo Marino l´assessore all´Istruzione chiede chiarimenti.
Il problema si pone in tutta Italia, e non mancano recenti casi di natali anonimi in nome dell’antidiscriminazione, anche se non dappertutto le scelte sono così drastiche.
Un grave errore, e non solo secondo i cattolici: «Quel che ci serve – spiega Ugo Perone, docente di Filosofia delle religioni all´Università del Piemonte orientale e inventore, negli anni Novanta a Torino, di uno dei primi “calendari multietnici” – è una cultura dell´accoglienza, non la rimozione di aspetti autentici e profondi come il cristianesimo è tuttora in Italia».

la Bibbia sconosciuta

Dietro i bersaglieri che irrompono sulla breccia di Porta Pia, un carretto pieno di Bibbie fa il suo ingresso simbolico nella città dei Papi.
Da pochi mesi, in quel 1870, Pio IX ha firmato un´enciclica ai vescovi italiani per invitarli a impegnarsi «a ciò che le pecorelle fedeli aborrano dalla pestifera lettura della Bibbia tradotta».
Si libera una capitale e si libera anche la Sacra Scrittura dai veti confessionali.
Dopo centoquarant´anni da allora, la Bibbia entra nei licei pubblici italiani come libro di testo.
Probabilmente una svolta per rimediare l´enorme ignoranza italica, segnalata anche dalle indagini vaticane, di questo codice primordiale dell´umanità.
Un protocollo d´intesa tra il ministero dell´Istruzione e l´associazione “Biblia” ha sbloccato un programma di percorsi didattici sulla Bibbia all´interno delle singole materie.
L´approccio vuol essere interdisciplinare, culturale e a-confessionale.
Una sfida non facile, per un sistema ancora pesantemente condizionato dalle preoccupazioni della Chiesa cattolica per l´interpretazione ortodossa del testo fondamentale della Rivelazione giudaica-cristiana.
La partita si decide in gran parte sull´approccio laico alla Bibbia, in una società secolare e multireligiosa.
Di questo si è discusso nel convegno alla Sapienza tra esponenti laici e cattolici, promosso da “Biblia” e dal ministero dell´Istruzione, per motivare dei percorsi didattici accessibili a credenti e a non credenti, come a giovani di diversa tradizione religiosa e culturale: una Bibbia «capace di parlare anche a una società plurale» dice Agnese Cini, che ha condotto questa battaglia per anni alla testa di “Biblia”.
«Abbiamo questa grande biblioteca dell´umanità, ci può essere preziosa per reagire all´inverno dello spirito.
È un modo per far scendere dai pulpiti la Bibbia, metterla in circolazione come fermento democratico, patrimonio laico riconoscibile della cultura comune».
Era stato Amos Luzzatto, presidente della Fondazione Primo Levi, ad auspicare, insieme ad altri esponenti della cultura, come Umberto Eco e Claudio Magris, che la lettura della Bibbia non fosse confiscata in chiave confessionale, non essendo riducibile a libro religioso.
In un appello essi avevano proposto che lo studio della Bibbia non fosse programmato dentro l´ora di religione nelle scuole pubbliche, ma nel quadro dei normali percorsi didattici ( letteratura, arte, storia ecc.) come patrimonio culturale comune, interessante anche per chi non si ritiene o non è credente.
Il ritardo culturale da colmare è enorme.
Secondo un´indagine condotta da GFK Eurisko su un campione di 13mila interviste in alcuni paesi (tra i quali Usa, Russia, Francia, Germania, Spagna e Italia), patrocinata dalla Federazione Biblica Cattolica e resa pubblica in Vaticano nell´aprile 2008, solamente 30 cattolici ogni 100 nel mondo leggono la Bibbia, contro oltre 70 protestanti su 100.
La Bibbia è il libro più diffuso e stampato del mondo, tradotto in 2454 lingue differenti (sulle 6.700 parlate nel mondo), ma resta ancora poco letto e persino sconosciuto alla maggior parte delle persone.
Risulta che 86 italiani su 100 ignorano le Sacre Scritture e appena 1 su 4 ha letto una pagina biblica in modo personale, al di fuori delle celebrazioni liturgiche.
Questa è, secondo la maggior parte degli osservatori, la causa principale della puerilità culturale che continua ad affliggere la religione degli italiani.
Il fatto è che la Chiesa non è senza responsabilità in questa disfatta.
Alcuni papi come Pio IV nel 1564 e Benedetto XIV nel 1757 risposero alla Bibbia tedesca di Lutero condannando ogni traduzione in volgare della Bibbia.
Nemmeno il Concilio Vaticano II che ha rimesso al centro della Chiesa la Scrittura è riuscito a contrastare con la dovuta efficacia questa indifferenza.
Ma è difficile in breve volger di anni invertire un deficit di secoli.
Troppo a lungo la Bibbia è stata trattata da libro proibito.
Uno sforzo per la rieducazione biblica dei cattolici è stato affrontato da Benedetto XVI che ha pubblicato da poche settimane l´Istruzione “Verbum Domini” a coronamento del Sinodo del 2008 sulla Bibbia.
Significativi gli elementi novativi del testo: raccomandata l´adozione dei metodi storico-critici di indagine (a suo tempo condannati da Pio X nella furia dell´antimodernismo), demolita la pretesa del fondamentalismo biblico, che tratta il testo biblico come se fosse stato dettato alla lettera dallo Spirito, incoraggiate le traduzioni( a suo tempo vietate), accolto uno statuto non fossile ma dinamico della Tradizione.
Soprattutto il Papa esorta a un approccio razionale come chiave di lettura del testo.
Con la sola riserva su una «ermeneutica secolarizzata» che sembra difficile da conciliare con l´incoraggiamento contestuale dei metodi scientifici.
Un ulteriore elemento di incertezza nell´analisi del personaggio Ratzinger e del suo governo.
in “la Repubblica” del 17 dicembre 2010

“Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”

Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace 2010

 

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Benedetto XVI per la 43ª Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà il 1° gennaio 2010 sul tema: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”.


Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato

1. IN OCCASIONE DELL’INIZIO DEL NUOVO ANNO, desidero rivolgere i più fervidi auguri di pace a tutte le comunità cristiane, ai responsabili delle Nazioni, agli uomini e alle donne di buona volontà del mondo intero. Per questa XLIII Giornata Mondiale della Pace ho scelto il tema: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. Il rispetto del creato riveste grande rilevanza, anche perché « la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio»1 e la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale – guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani –, non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza – se non addirittura dall’abuso – nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito. Per tale motivo è indispensabile che l’umanità rinnovi e rafforzi « quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino».2

2. Nell’ Enciclica Caritas in veritate ho posto in evidenza che lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri derivanti dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, considerato come un dono di Dio a tutti, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera, in special modo verso i poveri e le generazioni future. Ho notato, inoltre, che quando la natura e, in primo luogo, l’essere umano vengono considerati semplicemente frutto del caso o del determinismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità.3 Ritenere, invece, il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo. Con il Salmista, pieni di stupore, possiamo infatti proclamare: « Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? » (Sal 8,4-5). Contemplare la bellezza del creato è stimolo a riconoscere l’amore del Creatore, quell’Amore che « move il sole e l’altre stelle».4

3. Vent’anni or sono, il Papa Giovanni Paolo II, dedicando il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace al tema Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato, richiamava l’attenzione sulla relazione che noi, in quanto creature di Dio, abbiamo con l’universo che ci circonda. « Si avverte ai nostri giorni – scriveva – la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata… anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura ». E aggiungeva che la coscienza ecologica « non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi, trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete».5 Già altri miei Predecessori avevano fatto riferimento alla relazione esistente tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, nel 1971, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, Paolo VI ebbe a sottolineare che « attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, (l’uomo) rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione ». Ed aggiunse che in tal caso « non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana”.6

4. Pur evitando di entrare nel merito di specifiche soluzioni tecniche, la Chiesa, « esperta in umanità », si premura di richiamare con forza l’attenzione sulla relazione tra il Creatore, l’essere umano e il creato. Nel 1990, Giovanni Paolo II parlava di « crisi ecologica » e, rilevando come questa avesse un carattere prevalentemente etico, indicava l’« urgente necessità morale di una nuova solidarietà».7 Questo appello si fa ancora più pressante oggi, di fronte alle crescenti manifestazioni di una crisi che sarebbe irresponsabile non prendere in seria considerazione. Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti « profughi ambientali »: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? Come non reagire di fronte ai conflitti già in atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risorse naturali? Sono tutte questioni che hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo.

5. Va, tuttavia, considerato che la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato. Saggio è, pertanto, operare una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul senso dell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo.8 L’umanità ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale; ha bisogno di riscoprire quei valori che costituiscono il solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti. Le situazioni di crisi, che attualmente sta attraversando – siano esse di carattere economico, alimentare, ambientale o sociale –, sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. Esse obbligano a riprogettare il comune cammino degli uomini. Obbligano, in particolare, a un modo di vivere improntato alla sobrietà e alla solidarietà, con nuove regole e forme di impegno, puntando con fiducia e coraggio sulle esperienze positive compiute e rigettando con decisione quelle negative. Solo così l’attuale crisi diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità.

6. Non è forse vero che all’origine di quella che, in senso cosmico, chiamiamo « natura », vi è « un disegno di amore e di verità »? Il mondo « non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso… Il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà».9 Il Libro della Genesi, nelle sue pagine iniziali, ci riporta al progetto sapiente del cosmo, frutto del pensiero di Dio, al cui vertice si collocano l’uomo e la donna, creati ad immagine e somiglianza del Creatore per « riempire la terra » e « dominarla » come « amministratori » di Dio stesso (cfr Gen 1,28). L’armonia tra il Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura descrive, è stata infranta dal peccato di Adamo ed Eva, dell’uomo e della donna, che hanno bramato occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature. La conseguenza è che si è distorto anche il compito di « dominare » la terra, di « coltivarla e custodirla » e tra loro e il resto della creazione è nato un conflitto (cfr Gen 3,17-19). L’essere umano si è lasciato dominare dall’egoismo, perdendo il senso del mandato di Dio, e nella relazione con il creato si è comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di esso un dominio assoluto. Ma il vero significato del comando iniziale di Dio, ben evidenziato nel Libro della Genesi, non consisteva in un semplice conferimento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla responsabilità. Del resto, la saggezza degli antichi riconosceva che la natura è a nostra disposizione non come « un mucchio di rifiuti sparsi a caso»,10 mentre la Rivelazione biblica ci ha fatto comprendere che la natura è dono del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo possa trarne gli orientamenti doverosi per « custodirla e coltivarla » (cfr Gen 2,15).11 Tutto ciò che esiste appartiene a Dio, che lo ha affidato agli uomini, ma non perché ne dispongano arbitrariamente. E quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce col provocare la ribellione della natura, « piuttosto tiranneggiata che governata da lui».12 L’uomo, quindi, ha il dovere di esercitare un governo responsabile della creazione, custodendola e coltivandola.13

7. Purtroppo, si deve constatare che una moltitudine di persone, in diversi Paesi e regioni del pianeta, sperimenta crescenti difficoltà a causa della negligenza o del rifiuto, da parte di tanti, di esercitare un governo responsabile sull’ambiente. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ricordato che « Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli».14 L’eredità del creato appartiene, pertanto, all’intera umanità. Invece, l’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future.15 Non è difficile allora costatare che il degrado ambientale è spesso il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici, che si trasformano, purtroppo, in una seria minaccia per il creato. Per contrastare tale fenomeno, sulla base del fatto che « ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale »,16 è anche necessario che l’attività economica rispetti maggiormente l’ambiente. Quando ci si avvale delle risorse naturali, occorre preoccuparsi della loro salvaguardia, prevedendone anche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voce essenziale degli stessi costi dell’attività economica. Compete alla comunità internazionale e ai governi nazionali dare i giusti segnali per contrastare in modo efficace quelle modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose. Per proteggere l’ambiente, per tutelare le risorse e il clima occorre, da una parte, agire nel rispetto di norme ben definite anche dal punto di vista giuridico ed economico, e, dall’altra, tenere conto della solidarietà dovuta a quanti abitano le regioni più povere della terra e alle future generazioni.

8. Sembra infatti urgente la conquista di una leale solidarietà inter-generazionale. I costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle generazioni future: « Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch’è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere. Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future, una responsabilità che appartiene anche ai singoli Stati e alla Comunità internazionale».17 L’uso delle risorse naturali dovrebbe essere tale che i vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gli esseri viventi, umani e non umani, presenti e a venire; che la tutela della proprietà privata non ostacoli la destinazione universale dei beni;18 che l’intervento dell’uomo non comprometta la fecondità della terra, per il bene di oggi e per il bene di domani. Oltre ad una leale solidarietà inter-generazionale, va ribadita l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intra-generazionale, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli altamente industrializzati: « la comunità internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro».19 La crisi ecologica mostra l’urgenza di una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo. È infatti importante riconoscere, fra le cause dell’attuale crisi ecologica, la responsabilità storica dei Paesi industrializzati. I Paesi meno sviluppati e, in particolare, quelli emergenti, non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto al creato, perché il dovere di adottare gradualmente misure e politiche ambientali efficaci appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzarsi più facilmente se vi fossero calcoli meno interessati nell’assistenza, nel trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie più pulite.

9. È indubbio che uno dei principali nodi da affrontare, da parte della comunità internazionale, è quello delle risorse energetiche, individuando strategie condivise e sostenibili per soddisfare i bisogni di energia della presente generazione e di quelle future. A tale scopo, è necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti improntati alla sobrietà, diminuendo il proprio fabbisogno di energia e migliorando le condizioni del suo utilizzo. Al tempo stesso, occorre promuovere la ricerca e l’applicazione di energie di minore impatto ambientale e la « ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi».20 La crisi ecologica, dunque, offre una storica opportunità per elaborare una risposta collettiva volta a convertire il modello di sviluppo globale in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e di uno sviluppo umano integrale, ispirato ai valori propri della carità nella verità. Auspico, pertanto, l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani.21

10. Per guidare l’umanità verso una gestione complessivamente sostenibile dell’ambiente e delle risorse del pianeta, l’uomo è chiamato a impiegare la sua intelligenza nel campo della ricerca scientifica e tecnologica e nell’applicazione delle scoperte che da questa derivano. La « nuova solidarietà », che Giovanni Paolo II propose nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1990,2 2 e la « solidarietà globale », che io stesso ho richiamato nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2009,23 risultano essere atteggiamenti essenziali per orientare l’impegno di tutela del creato, attraverso un sistema di gestione delle risorse della terra meglio coordinato a livello internazionale, soprattutto nel momento in cui va emergendo, in maniera sempre più evidente, la forte interrelazione che esiste tra la lotta al degrado ambientale e la promozione dello sviluppo umano integrale. Si tratta di una dinamica imprescindibile, in quanto « lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità».24 Tante sono oggi le opportunità scientifiche e i potenziali percorsi innovativi, grazie ai quali è possibile fornire soluzioni soddisfacenti ed armoniose alla relazione tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, occorre incoraggiare le ricerche volte ad individuare le modalità più efficaci per sfruttare la grande potenzialità dell’energia solare. Altrettanta attenzione va poi rivolta alla questione ormai planetaria dell’acqua ed al sistema idrogeologico globale, il cui ciclo riveste una primaria importanza per la vita sulla terra e la cui stabilità rischia di essere fortemente minacciata dai cambiamenti climatici. Vanno altresì esplorate appropriate strategie di sviluppo rurale incentrate sui piccoli coltivatori e sulle loro famiglie, come pure occorre approntare idonee politiche per la gestione delle foreste, per lo smaltimento dei rifiuti, per la valorizzazione delle sinergie esistenti tra il contrasto ai cambiamenti climatici e la lotta alla povertà. Occorrono politiche nazionali ambiziose, completate da un necessario impegno internazionale che apporterà importanti benefici soprattutto nel medio e lungo termine. È necessario, insomma, uscire dalla logica del mero consumo per promuovere forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti. La questione ecologica non va affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila all’orizzonte; a motivarla deve essere soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune. D’altronde, come ho già avuto modo di ricordare, « la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo; esprime la tensione dell’animo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali. La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di «coltivare e custodire la terra» (cfr Gen 2,15), che Dio ha affidato all’uomo, e va orientata a rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio».25

11. Appare sempre più chiaramente che il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi, gli stili di vita e i modelli di consumo e di produzione attualmente dominanti, spesso insostenibili dal punto di vista sociale, ambientale e finanche economico. Si rende ormai indispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti ad adottare nuovi stili di vita « nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti».26 Sempre più si deve educare a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico. Tutti siamo responsabili della protezione e della cura del creato. Tale responsabilità non conosce frontiere. Secondo il principio di sussidiarietà, è importante che ciascuno si impegni al livello che gli corrisponde, operando affinché venga superata la prevalenza degli interessi particolari. Un ruolo di sensibilizzazione e di formazione spetta in particolare ai vari soggetti della società civile e alle Organizzazioni non-governative, che si prodigano con determinazione e generosità per la diffusione di una responsabilità ecologica, che dovrebbe essere sempre più ancorata al rispetto dell’ « ecologia umana ». Occorre, inoltre, richiamare la responsabilità dei media in tale ambito, proponendo modelli positivi a cui ispirarsi. Occuparsi dell’ambiente richiede, cioè, una visione larga e globale del mondo; uno sforzo comune e responsabile per passare da una logica centrata sull’egoistico interesse nazionalistico ad una visione che abbracci sempre le necessità di tutti i popoli. Non si può rimanere indifferenti a ciò che accade intorno a noi, perché il deterioramento di qualsiasi parte del pianeta ricadrebbe su tutti. Le relazioni tra persone, gruppi sociali e Stati, come quelle tra uomo e ambiente, sono chiamate ad assumere lo stile del rispetto e della « carità nella verità ». In tale ampio contesto, è quanto mai auspicabile che trovino efficacia e corrispondenza gli sforzi della comunità internazionale volti ad ottenere un progressivo disarmo ed un mondo privo di armi nucleari, la cui sola presenza minaccia la vita del pianeta e il processo di sviluppo integrale dell’umanità presente e di quella futura.

12. La Chiesa ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso. Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui « quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.27 Non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare se stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale.28 I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri. Volentieri, pertanto, incoraggio l’educazione ad una responsabilità ecologica, che, come ho indicato nell’Enciclica Caritas in veritate, salvaguardi un’autentica « ecologia umana » e, quindi, affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura.29 Occorre salvaguardare il patrimonio umano della società. Questo patrimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale naturale, che è fondamento del rispetto della persona umana e del creato.

13. Non va infine dimenticato il fatto, altamente indicativo, che tanti trovano tranquillità e pace, si sentono rinnovati e rinvigoriti quando sono a stretto contatto con la bellezza e l’armonia della natura. Vi è pertanto una sorta di reciprocità: nel prenderci cura del creato, noi constatiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi. D’altra parte, una corretta concezione del rapporto dell’uomo con l’ambiente non porta ad assolutizzare la natura né a ritenerla più importante della stessa persona. Se il Magistero della Chiesa esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi. In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della « dignità » di tutti gli esseri viventi. Si dà adito, così, ad un nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo. La Chiesa invita, invece, ad impostare la questione in modo equilibrato, nel rispetto della « grammatica » che il Creatore ha inscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode e amministratore responsabile del creato, ruolo di cui non deve certo abusare, ma da cui non può nemmeno abdicare. Infatti, anche la posizione contraria di assolutizzazione della tecnica e del potere umano, finisce per essere un grave attentato non solo alla natura, ma anche alla stessa dignità umana.30

14. Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. La ricerca della pace da parte di tutti gli uomini di buona volontà sarà senz’altro facilitata dal comune riconoscimento del rapporto inscindibile che esiste tra Dio, gli esseri umani e l’intero creato. Illuminati dalla divina Rivelazione e seguendo la Tradizione della Chiesa, i cristiani offrono il proprio apporto. Essi considerano il cosmo e le sue meraviglie alla luce dell’opera creatrice del Padre e redentrice di Cristo, che, con la sua morte e risurrezione, ha riconciliato con Dio « sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli » (Col 1,20). Il Cristo, crocifisso e risorto, ha fatto dono all’umanità del suo Spirito santificatore, che guida il cammino della storia, in attesa del giorno in cui, con il ritorno glorioso del Signore, verranno inaugurati « nuovi cieli e una terra nuova » (2 Pt 3,13), in cui abiteranno per sempre la giustizia e la pace. Proteggere l’ambiente naturale per costruire un mondo di pace è, pertanto, dovere di ogni persona. Ecco una sfida urgente da affrontare con rinnovato e corale impegno; ecco una provvidenziale opportunità per consegnare alle nuove generazioni la prospettiva di un futuro migliore per tutti. Ne siano consapevoli i responsabili delle nazioni e quanti, ad ogni livello, hanno a cuore le sorti dell’umanità: la salvaguardia del creato e la realizzazione della pace sono realtà tra loro intimamente connesse! Per questo, invito tutti i credenti ad elevare la loro fervida preghiera a Dio, onnipotente Creatore e Padre misericordioso, affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuoni, sia accolto e vissuto il pressante appello: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2009

BENEDICTUS PP. XVI

_________________________________

1 Catechismo della Chiesa Cattolica, 198.

2 BENEDETTO XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 7.

3 Cfr n. 48.

4 DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, 145.

5 Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 1.

6 Lett. ap. Octogesima adveniens, 21.

7 Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 10.

8 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 32.

9 Catechismo della Chiesa Cattolica, 295.

10 ERACLITO DI EFESO (535 a.C. ca – 475 a.C. ca), Frammento 22B124, in H. Diels-W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidmann, Berlin 19526.

11 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 48.

12 GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 37.

13 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 50.

14 Cost. Past. Gaudium et spes, 69.

15 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34.

16 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 37.

17 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 467; cfr PAOLO VI, Lett. enc. Populorum progressio, 17.

18 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 30-31.43.

19 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 49.

20 Ibid.

21 Cfr SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II-II, q. 49,5.

22 Cfr n. 9.

23 Cfr n. 8.

24 PAOLO VI, Lett. enc. Populorum progressio, 43.

25 Lett. enc. Caritas in veritate, 69.

26 GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 36.

27 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 51.

28 Cfr ibid., 15.51.

29 Cfr ibid., 28.51.61: GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 38.39.

30 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 70.

 

 

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 15 dicembre 2009 –

Pubblicate le Indicazioni per i nuovi Licei

È stato pubblicato, finalmente, ieri in Gazzetta Ufficiale (n.
291 del 14 dicembre 2010) il decreto n.
211 del 7 ottobre 2010, con il quale il ministro Gelmini ha definito il regolamento sulle “Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e  gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per  i  percorsi liceali”.
Dopo le linee guida per gli istituti tecnici e gli istituti professionali riformati, anche i nuovi Licei, dunque, hanno le loro Indicazioni per nuovi piani di studio.
Il testo ufficioso delle nuove Indicazioni era già stato reso noto all’inizio dell’anno scolastico per consentire ai professori delle prime classi a riforma di adeguare i loro insegnamenti.
Il testo ufficiale entrerà in vigore formalmente dal prossimo 29 dicembre.
Con la pubblicazione delle Indicazioni per i licei si completa l’intero impianto della riforma dell’istruzione secondaria superiore, avviata dal 1° settembre scorso.
Per completare l’intero quadro delle riforme targate Gelmini mancano ancora il regolamento sulla formazione iniziale dei docenti e quello sull’istruzione degli adulti.

Trilioni di pianeti simili alla Terra

Un team di astronomi statunitensi, in seguito a osservazioni del telescopio Keck (nelle Hawaii), sostiene in una recente ricerca che le galassie più antiche della nostra contengano una quantità di stelle rosse nane venti volte superiore a quelle presenti nella Via Lattea e dalla cinque alle dieci volte superiore a quanto stimato precedentemente.
Secondo Pieter van Dokkum, professore di astronomia all‘Università di Yale e a capo della ricerca pubblicata su BbcNews e su Nature, questo potrebbe significare che vi siano trilioni di pianeti (un trilione è pari a un milione elevato alla terza e quindi a un miliardo di miliardi) simili alla Terra e aumenterebbe le possibilità che esistano forme di vita nello spazio infinito.
 UNA STELLA / 100 NANE – In astronomia una nana rossa è una stella piccola e dalla luminosità flebile, caratteristiche che ne rendono difficile l’individuazione sia all’esterno che all’interno della nostra galassia.
Si tratta della tipologia stellare più diffusa nell’universo e si ritiene che nell’insieme costituiscano una percentuale tra il sessantacinque e l’ottanta per cento delle stelle presenti nella Via Lattea.
Fino a oggi per valutare il numero di stelle presenti nelle galassie, valore molto importante per comprenderne la storia, gli studiosi hanno utilizzato una proporzione derivata dal fatto che, nella Via Lattea, per ogni stella simile al Sole vi sono all’incirca 100 nane rosse.
Nel corso dello studio invece gli astronomi hanno preso in considerazione otto galassie ellittiche, tipologia alla quale appartengono le più grandi dell’universo, con distanze dalla Terra comprese tra i cinquanta milioni e i trecento milioni di anni luce e sono andati alla ricerca delle nane rosse.
MATERIA OSCURA – Le scoperte portate a termine grazie al telescopio hawaiano hanno consentito agli scienziati americani di esprimere l’ipotesi che, nelle galassie osservate, il numero delle stelle sia dalle cinque alle dieci volte superiore rispetto a ciò che si è sempre creduto, triplicando in questo modo il numero delle stelle totali individuate nell’universo fino a oggi.
Inoltre la presenza di una maggiore quantità di corpi stellari potrebbe portare a rivedere la quantità di materia oscura (la componente di materia che si manifesta attraverso i suoi effetti gravitazionali, ma non è direttamente osservabile) presente nelle galassie ellittiche e la massa reale di queste ultime.
ESO-PIANETI – Infine è bene ricordare che più stelle significano maggiori possibilità dell’esistenza di pianeti e che altre recenti ricerche hanno portato alla scoperta di eso-pianeti, vale a dire corpi celesti che orbitano attorno a una stella diversa dal Sole, proprio nelle vicinanze di stelle nane rosse.
«Forse ci sono trilioni di pianeti simili alla Terra attorno a queste stelle – ha dichiarato il professor van Dokkum – Le nane rosse hanno normalmente più di dieci miliardi di anni e quindi esistono da un tempo sufficiente da far ritenere che possano avere consentito lo sviluppo della vita sui pianeti che le circondano».

“Tornare a desiderare”

La parola d’ordine del 44° rapporto Censis è “tornare a desiderare”.
E’ un’Italia “appiattita”, che stenta a ripartire, appesantita da un inconscio collettivo senza più legge nè desiderio quella che esce dall’analisi del Censis contenuta nel 44/mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2010.
Il rapporto è stato presentato questa mattina a Roma dal presidente del centro studi, Giuseppe de Rita, e dal direttore Giuseppe Roma.
Abbiamo resistito ai mesi più drammatici della crisi, dice il Censis, seppure con una “evidente fatica del vivere e dolorose emarginazioni occupazionali”.
Sono evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa: comportamenti e atteggiamenti spaesati, indifferenti, cinici, passivamente adattativi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e futuro.
E una società appiattita “fa franare verso il basso anche il vigore dei soggetti presenti in essa”.
Così all’inconscio, ammonisce il Censis, manca oggi la materia prima su cui lavorare: il desiderio.
Ma “tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società troppo appagata e appiattita”.
E’ questa l’indicazione che viene dalle considerazioni generali che aprono il rapporto di quest’anno, e che costituisce la chiave di lettura delle diverse sezioni in cui esso, come di consueto, si articola.
Torneremo con altre notizie sull’analisi che il volume dedica al settore della formazione.
tuttoscuola.com Comunicato stampa 03/12/2010 Un inconscio collettivo senza più legge, né desiderio 03/12/2010 L’Italia appiattita stenta a ripartire 03/12/2010 Il capitolo «Processi formativi» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Lavoro, professionalità, rappresentanze» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Il sistema di welfare» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Territorio e reti» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «I soggetti economici dello sviluppo» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Comunicazione e media» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Governo pubblico» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 03/12/2010 Il capitolo «Sicurezza e cittadinanza» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Download Il capitolo «Le Considerazioni generali» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «La società italiana al 2010» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Processi formativi» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Lavoro, professionalità, rappresentanze» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Il sistema di welfare» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Territorio e reti» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «I soggetti economici dello sviluppo» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Comunicazione e media» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Governo pubblico» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010 Il capitolo «Sicurezza e cittadinanza» del 44° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2010

Università: passa la riforma

La Camera ha approvato il disegno di legge Gelmini sulla riforma universitaria con 307 voti favorevoli , 252 contrari e 7 astenuti.
Il provvedimento ora torna al Senato per l’approvazione definitiva.
Molte sono le novità, dal reclutamento al merito, dai contratti di ricerca alle borse di studio per arrivare alla stretta contro la cosiddetta ‘parentopoli’ all’interno dell’università.
Tra i punti principali della riforma ci sono quelli che riguardano l’organizzazione del sistema universitario: entro sei mesi dall’approvazione della legge le università dovranno approvare statuti con le seguenti caratteristiche: Codice etico: ci sarà un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele.
Alle università che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finanziamenti del Ministero.
Rettori: limite massimo complessivo di 6 anni al mandato dei rettori, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma.
Governance: distinzione netta di funzioni tra Senato Accademico e Consiglio d’Amministrazione, il primo organo accademico, il secondo di alta amministrazione e programmazione.
Il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico, ma sarà il Cda ad avere la responsabilità chiara delle assunzioni e delle spese, anche delle sedi distaccate.
Il Cda avrà un massimo di tre componenti esterni.
Parentopoli: la Camera ha approvato un subemendamento della maggioranza che rende ancora più duro un emendamento proposto dall’Idv contro la ‘parentopoli’ all’interno dell’università.
In particolare, non si potranno avere parentele fino al quarto grado per partecipare ai concorsi, anche per ricercatori e assegnisti.
L’Idv aveva proposto fino al terzo grado.
Fusione atenei: gli atenei avranno la possibilità di fondersi tra loro o aggregarsi su base federativa per evitare duplicazioni e costi inutili.
Riduzione facoltà: riduzione molto forte delle facoltà che potranno essere al massimo 12 per ateneo.
Questo per evitare la moltiplicazione di facoltà inutili o non richieste dal mondo del lavoro.
tuttoscuola.com martedì 30 novembre 2010

Protestanti in Francia: famiglia ricomposta.

Protestanti sono tra il 2,5% e il 2,8% dei francesi.
Vent’anni fa erano circa il 2%.
Questa crescita si spiega con l’esplosione delle Chiese evangeliche.
È vero che gli evangelici fanno più discepoli dei luterano-riformati, ma questi ultimi restano ancora nettamente la maggioranza (56%).
Come succede per molti giovani cattolici, i luterano-riformati si ispirano sempre più ai modi di  espressione degli evangelici, al loro senso della comunità e si impegnano in campagne di evangelizzazione.
Il che potrebbe delineare un futuro molto diverso dagli scenari tratteggiati negli anni ’80 sotto il regno assoluto del paradigma della secolarizzazione e dell’ineluttabile scomparsa del religioso.
Questi sono in poche parole i principali insegnamenti del convegno “I protestanti in Francia, una famiglia ricomposta.
Analisi e punti di riferimento”, che si è svolto a Parigi dal 18 al 20 novembre.
Era organizzato dal Groupe Sociétés Religions Laïcités (Ecole pratique des hautes études et CNRS) con il sostegno dell’Institut européen en Sciences des religions e sotto il patrocinio della Fédération protestante de France.
Un convegno particolarmente vivace, con decine di interventi limitati a venti minuti, dibattiti con la sala e talvolta tra relatori.
Tra questi ultimi: Claude Baty, presidente della Federazione protestante, Etienne Lhermeneault, presidente del Consiglio nazionale degli evangelici francesi e Laurent Schlumberger, presidente del Consiglio nazionale della Chiesa riformata.
La “religione come memoria in una discendenze di credenti”, caratteristica di una certa cultura luterano-riformata, sembra lasciare il posto alla “religione per la speranza con pellegrini e convertiti”.
Sembra anche che si vada verso una nuova situazione ecumenica, poiché gli incontri tra i cristiani di Chiese diverse, ad esempio attraverso il parcours Alpha, si moltiplicano.
In altri termini,: la tesi del “blocco dell’ecumenismo” non sta proprio più in piedi.
Ora, questo nuovo “cristianesimo di convinzione” e assertivo che corrisponderebbe all’individualizzazione si sviluppa in una società in cui il numero di atei e di non cristiani tende ad aumentare in questi ultimi trent’anni.
La ricomposizione del protestantesimo si inscriverebbe quindi nella ricomposizione della società.
Queste sono alcune delle formule utilizzate dai due responsabili scientifici del convegno: Sébastien Fath, ricercatore al CNRS al Groupe Sociétés Religions Laïcités, et Jean-Paul Willaime, direttore di studi alla sezione delle Sciences religieuses de l’école pratique des hautes études.
Numeri Per avere un quadro generale delle nuove tendenze, la cosa migliore è consultare un sondaggio effettuato dall’Ifop per Réforme e La Croix: “I protestanti fotografati dalle inchieste IFOP del 2010”.
Il documento è particolarmente ricco, tanto per i risultati grezzi, che per l’originalità del metodo.
I sondaggisti hanno interrogato per telefono negli scorsi mesi di maggio e di giugno 702 persone selezionate dall’Ifop.
Quest’ultimo, guidato dal gruppo GSRL, ha preso in considerazione le persone che si sono dichiarate “protestanti” e quelle che si sono dichiarate “cristiani evangelici”.
A molti evangelici – in questo caso il 18% degli intervistati – non piace presentarsi come “protestanti”.
Un fatto che gli istituti di sondaggio ignoravano fino a quel momento.
E che cambia notevolmente i risultati.
Inoltre, non si parla più qui di “persone vicine al protestantesimo”, un’espressione simpatica ma inadatta.
Secondo Sébastien Fath permette a molti cattolici liberali di esprimere la loro prossimità a ciò che percepiscono del protestantesimo (che raramente corrisponde alla realtà).
Ma queste persone sono cattoliche, non protestanti.
I risultati del sondaggio sono dunque, ai nostri occhi, molto sorprendenti.
Citiamo ad esempio il fatto che il 39% dei protestanti è “praticante regolare” (si reca al culto almeno una volta al mese).
Confrontiamo questa cifra con il 7% dei cattolici praticanti regolari (cioè che vanno a messa almeno una volta al mese).
Citiamo un altro indicatore, molto protestante: il 46% dei protestanti francesi legge la Bibbia almeno una volta al mese.
Quasi la metà! Ma i numeri più spettacolari, a nostro avviso, sono quelli che si ottengono confrontando il profilo dei luterano-riformati e quello degli evangelici.
Il 60% degli evangelici si reca al culto una volta alla settimana, contro…
il 9% dei luterano-riformati.
Il 74% degli evangelici legge la Bibbia almeno una volta alla settimana, contro il 17% dei luterano-riformati.
Una differenza che si ritrova in ambito teologico.
Il 70% degli evangelici dice di contare su guarigioni miracolose contro il 13% dei luterano-riformati.
Si può anche citare il profilo demografico dell’evangelico tipo: è più giovane e più cittadino del riformato tipo.
Il suo statuto sociale è generalmente meno elevato di quello del riformato.
In materia di etica sessuale (e bioetica), le differenze sono importanti (non è necessariamente una sorpresa), ma meno caratterizzanti di quanto si pensava.
Il 46% dei luterano-riformati è a favore della benedizione delle coppie omosessuali da parte delle Chiese, ma una maggioranza – il 54% – è contraria.
Questa opinione è condivisa per il 14% degli evangelici, mentre l’85% è contrario.
Quanto alle convergenze, evidentemente numerose, e sottolineate in particolare dai responsabili della Federazione protestante, si possono citare le preferenze in materia di etica sociale e di politica.
Il 61% dei luterano-riformati è contrario all’affermazione: “Ci sono troppi immigrati in Francia”.
Esattamente come il 62% degli evangelici.
Ci sarebbe anche una correlazione positiva tra atteggiamento favorevole all’accoglienza degli immigrati e lettura della Bibbia.
A rifiutare l’affermazione che ci sono troppi immigrati in Francia è il 71% dei lettori settimanali della Bibbia.
Ecumenismo Destra o sinistra? Alla pari.
Il 53% dei luterano-riformati sono di sinistra (PS e Verdi) e di sinistra si dice anche il 46% degli evangelici.
Il 34% dei luterano-riformati sono di destra (UMP e FN), tale opinione è condivisa “solo” dal 32% degli evangelici.
Si può pensare (e altri sondaggi lo confermano) che i partiti centristi siano molto popolari tra i protestanti.
In ogni caso, come precisa Jean-Paul Willaime nel documento consegnato ai giornalisti, bisogna abbandonare un preconcetto: “Gli orientamenti politici dei luterano-riformati e degli evangelici non differiscono molto.
La contrapposizione corrente tra riformati di sinistra ed evangelici di destra non corrisponde alla realtà.” Altro preconcetto che occorrerebbe rivedere: “l’ecumenismo” attira ancora un numero di luteranoriformati un po’ più alto rispetto agli evangelici.
Ma quando si osservano gli scambi concreti tra cristiani, si scopre che gli evangelici partecipano a incontri ecumenici proporzionalmente più dei luterano-riformati! La differenza è marginale, e si può invece notare la convergenza.
Gli evangelici sono “aperti” al dialogo con gli altri cristiani quasi quanto i luterano-riformati.
Al termine del convegno che aveva lui stesso aperto, Claude Baty ci ha manifestato la sua reazione rispetto ai numeri e alle analisi presentate.
Ha refutato sicuramente la tesi della polarizzazione tra evangelici e luterano-riformati e insistito al contrario su tutto ciò che unisce i protestanti.
“A mio avviso è sbagliato spiegare il protestantesimo diviso in fratture e in blocchi contrapposti.
E in queste condizioni, credo che la mia responsabilità sia di non voler fratturare per esistere, ma al contrario gestire la diversità per dare all’esterno una testimonianza che sia coerente”, ci dice.
Una cosa è certa: durante questi tre giorni di convegno, ci sono stati dibattiti, ma non aprioristicamente tra evangelici e luterano-riformati.
O tra carismatici e tradizionalisti.
Ci sono stati degli scambi tra scienziati, pastori e teologi su fatti osservabili, non dibattiti sterili.
“Non ci si è accontentati di commemorare Calvino”, si rallegra Claude Baty.
E manifesta un punto di vista che sembra nettamente condiviso dagli altri attori del protestantesimo contemporaneo: “Bisogna uscire da una identità storica che ha come finalità solo la commemorazione.
Bisogna uscire da una storia ideale, per entrare in un ritratto realistico”.
in “www.temoignagechretien.fr” del 22 novembre 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)