Il posto della Chiesa in tempi pagani

In effetti, occorre distinguere.
I rapporti con la Lega sono sempre stati conflittuali.
Basti pensare al periodo intorno alla metà degli anni Novanta, quando la Chiesa si oppose alla strategia secessionista della Lega.
Allora Bossi si scagliò contro il Papa polacco e i “vescovoni romani arruolati nell’esercito di Franceschiello, l’esercito del partito-Stato”.
In altri termini: contro la Chiesa, ritenuta (non senza ragione) il collante, forse più denso, dell’unità nazionale.
Oggi, invece, il problema è prodotto dalle critiche del mondo cattolico – le associazioni, i media, le gerarchie – contro le politiche del governo sulla sicurezza e l’immigrazione.
Cioè: il vero marchio della Lega (degli uomini spaventati).
Più ancora del federalismo.
D’altronde, il mondo cattolico, su questi temi, esprime un progetto fondato sull’accoglienza, sulla carità, sull’integrazione.
Concretamente praticato attraverso associazioni e istituzioni diffuse sul territorio.
Dalla Caritas, ai gruppi di volontariato, alle parrocchie.
Assai più della sinistra, è il mondo cattolico l’alternativa alla cultura e al linguaggio leghista.
Non solo sui temi della sicurezza e degli immigrati.
Perché il mondo cattolico è presente e attivo soprattutto dove è forte la Lega.
Cioè: nella provincia del Nord.
Dove i campanili costituiscono ancora un centro della vita sociale.
Da ciò un conflitto inevitabile.
Che è, in parte, competizione.
Anche perché la Lega si propone come una sorta di “Chiesa del Nord”.
Con i suoi riti, i suoi simboli, i suoi valori, le sue reti di appartenenza locale.
Ronde comprese.
Della tradizione cattolica accetta gli aspetti, appunto, più tradizionali e tradizionalisti.
Le “radici cristiane” rivendicate dalla Lega coincidono, in effetti, con la “religione del senso comune”.
Diverso – e meno prevedibile – è invece il contrasto diretto con il premier e il PdL.
Innescato dalla velenosa inchiesta dedicata dal “Giornale” al direttore dell'”Avvenire”.
Definito un “lapidatore che non ha le carte in regola per lapidare alcuno”.
In particolare il premier.
Immaginare Dino Boffo – prudente per natura (e incarico) – impegnato a scagliare parole dure come le “pietre” risulta (a noi, almeno) davvero difficile.
Per questo, la reazione del “Giornale” appare sproporzionata rispetto al contenuto e al tono delle critiche apparse su “Avvenire”.
Era difficile, d’altronde, che i vescovi italiani tacessero di fronte al disagio emerso in molti settori del clero e in molti esponenti del mondo cattolico.
Tanto più al tempo di Papa Ratzinger, che ha fatto del contrasto al relativismo etico un marchio e un programma.
Tuttavia, nonostante le smentite di questi giorni, ci riesce altrettanto difficile pensare che Vittorio Feltri abbia lanciato il suo attacco “senza preavviso”.
Senza, cioè, avvertire almeno il premier.
Il che suggerisce una ulteriore spiegazione della singolare (op) posizione assunta dalla Chiesa in questa fase.
Vi sarebbe stata spinta, più che per propria scelta, dallo stesso premier e dalla Lega.
Per diverse ragioni.
(a) Intimidire l’unico soggetto capace, nell’Italia d’oggi, di esercitare un effettivo controllo morale, istituzionale e sociale.
(b) Dividere la Chiesa stessa, al proprio interno; isolando gli ambienti accusati di simpatie per la “sinistra”; e ponendola in contrasto con il suo stesso popolo.
In larga parte vicino alle posizioni della Lega, in tema di sicurezza e immigrazione.
E indulgente verso i comportamenti e gli stili di vita esibiti dal premier.
(c) C’è, infine e al fondo di tutto, la crisi del modello, proposto e imposto da Ruini alla fine della prima Repubblica.
La “Chiesa extraparlamentare” (come la definisce Sandro Magister), che agisce ora come movimento, ora come gruppo di pressione.
A sostegno dei propri riferimenti di valore e di interesse.
Senza partiti cattolici né “di” cattolici.
Oggi sembra suscitare molti dubbi.
E in alcuni settori della Chiesa e del mondo cattolico emerge la nostalgia di un polo alternativo: a una destra amica ma pagana.
E a una sinistra laicista e comunque inaffidabile.
Da ciò l’idea (post-ruiniana) di un soggetto politico che metta insieme Casini, Tabacci, Pezzotta.
Rutelli e Montezemolo.
Magari Letta (Gianni).
D’altra parte, 4 cattolici praticanti su 10 non hanno un partito di riferimento.
Sono patologicamente incerti.
Anche così si spiega la reazione di Berlusconi – e l’azione di Feltri.
Volta a scoraggiare la costruzione di un nuovo partito collaterale alla Chiesa.
Mentre al premier – e alla Lega – piace di più l’idea di una Chiesa collaterale o, comunque, affiancata al PdL.
In grado – non da ultimo – di santificare un modello di vita che – come ha ammesso il premier – santo non è.
Ma, anzi, piuttosto pagano.
(31 agosto 2009) È SINGOLARE vedere la Chiesa all’opposizione.
Soprattutto oggi, che governa il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, particolarmente attento e disponibile nei confronti delle richieste della Chiesa: sulla bioetica, sulla scuola e sull’educazione, sulla famiglia.
Mentre le incomprensioni con il precedente governo di centrosinistra erano comprensibili.
Eppure mai, nella contrastata (per quanto breve) stagione dei rapporti con il governo Prodi, si era assistito ad attacchi tanto violenti, nei confronti della Chiesa, come quelli lanciati negli ultimi giorni dal centrodestra.
Prima: le reazioni della Lega alle critiche espresse dal mondo cattolico in merito alle politiche sulla sicurezza e sull’immigrazione.
Culminate nella minaccia – apertamente evocata dal quotidiano “La Padania” – di rivedere il Concordato.
Poi l’attacco rivolto dal “Giornale” al direttore di “Avvenire”, Dino Boffo (il quale ha parlato di “killeraggio”).
Accusato di non avere titolo per esprimere giudizi “morali” sugli stili di vita del premier.
Troppi e troppo ravvicinati, troppo violenti, questi interventi per apparire casuali.
Come si spiega l’esplodere di queste tensioni? E, in particolare, cosa ha spinto all’opposizione la Chiesa, fino a ieri interlocutore affidabile del governo?

Quelle distanze con la Chiesa

Il mutamento di cui sto parlando ha un effetto so­prattutto: quello di rendere progressivamente inattuale la vecchia distinzione antago­nistica laici-cattolici.
Una lun­ga fase della storia italiana è stata percorsa da questo anta­gonismo.
Esso aveva il pro­prio epicentro nella periodi­ca disputa circa la legislazio­ne dello Stato in alcune mate­rie «sensibili» (istruzione, matrimonio, ecc.), ma era per così dire tenuto sotto controllo dall’esistenza nel Paese di un’opinione assolu­tamente maggioritaria circa un punto decisivo: il ricono­scimento dell’imprescindibi­le carattere istituzionale del­la Chiesa cattolica.
Cioè che questa, per svolgere la sua missione, ha bisogno di una totale e piena autonomia che in pratica solo la riconosciu­ta sovranità nei propri ambi­ti può assicurarle, nonché di adeguati strumenti (anche fi­nanziari) di presenza e d’in­tervento nella società.
È da ta­le opinione diffusa che è di­scesa per tutti i decenni della prima Repubblica la presso­ché unanime accettazione del Concordato come stru­mento regolativo dei rappor­ti tra Stato e Chiesa.
Alla cui base, difatti, non c’è una que­stione di oggettiva «libertà» della Chiesa (a tal fine baste­rebbe qualunque Costituzio­ne democratica), ma la que­stione della sua «sovranità»: per cui essa si «sente» libera solo se in qualche modo è an­che «sovrana».
Ciò che sta mutando (e ve­nendo meno) è proprio la pressoché unanime accetta­zione di cui ora ho detto.
Sia tra i credenti che tra i non credenti va facendosi strada, infatti, l’idea che la Chiesa non debba possedere un ca­rattere istituzionale di segno forte.
I primi lo pensano per il rinnovato sogno di una fe­de capace di vivere e di affer­marsi nel mondo per la sola forza dello Spirito e della Pa­rola; nonché per la sempre rinnovata paura di contami­nare l’altezza dei «principi» con la miseria della «realtà».
Tra i secondi, invece, va dif­fondendosi la convinzione — fatta propria in preceden­za da pochi laici doc — che una Chiesa istituzionalizzata e «sovrana», e dunque il Con­cordato che ne è il riconosci­mento, non solo rappresenti­no un attentato all’eguaglian­za dei cittadini e all’esercizio di una sfera dei diritti sem­pre più ampia e orientata soggettivisticamente, ma configurino altresì un’indebi­ta presenza della religione nello spazio pubblico.
La di­stinzione si sta appunto spo­stando su questo piano: non più tra «laici» e «cattolici» ma tra chi è favorevole e chi è contrario al riconoscimen­to del carattere istituzionale della Chiesa e di un suo spa­zio sociale.
Il che comporta una completa dislocazione dei vecchi schieramenti: sic­ché così come credenti e non credenti possono tran­quillamente trovarsi da una medesima parte contro la Chiesa ufficiale considerata « autoritario- temporalisti­ca », egualmente sul versante opposto può avvenire lo stes­so, considerando comunque la religione, anche i non cre­denti, un contributo prezio­so all’identità collettiva e alla definizione dei valori di fon­do della società.
Ernesto Galli della Loggia 30 agosto 2009 È certamente un fatto nuovo nel dopo­guerra lo scontro al calor bianco che si registra in queste ore tra una parte delle alte gerar­chie cattoliche e il centrode­stra.
Non è certo un dato da sottovalutare, anche se è probabile che nel giro di qualche tempo esso sarà in un certo modo riassorbito, non convenendo una rottu­ra a nessuna delle due parti in causa.
E allora emergerà in tutta evidenza un dato so­stanziale: il mutamento del­l’opinione pubblica circa i rapporti tra Chiesa e Stato e tutto ciò che essi significa­no e comprendono.
Si trat­ta di un mutamento di fon­do.
Questa svolta dell’opi­nione pubblica comincerà a far sentire sempre di più il suo peso.
È certamente un fatto nuovo nel dopo­guerra lo scontro al calor bianco che si registra in queste ore tra una parte delle alte gerar­chie cattoliche e il centrode­stra.
Non è certo un dato da sottovalutare, anche se è probabile che nel giro di qualche tempo esso sarà in un certo modo riassorbito, non convenendo una rottu­ra a nessuna delle due parti in causa.
E allora emergerà in tutta evidenza un dato so­stanziale: il mutamento del­l’opinione pubblica circa i rapporti tra Chiesa e Stato e tutto ciò che essi significa­no e comprendono.
Si trat­ta di un mutamento di fon­do.
Questa svolta dell’opi­nione pubblica comincerà a far sentire sempre di più il suo peso.

La Chiesa, Obama e Berlusconi

Con Barack Obama, la linea della Santa Sede diverge talmente da quella di una parte cospicua dei vescovi americani, che ha indotto più volte alcuni di questi a protestare vivacemente con le stesse autorità vaticane.
Suscitò scandalo, ad esempio, in alcuni vescovi americani, l’editoriale con cui “L’Osservatore Romano” commentò il 30 aprile 2009 i primi cento giorni del nuovo presidente.
Il quotidiano della Santa Sede non solo formulò sull’avvio della presidenza Obama un giudizio nell’insieme positivo, ma vi vide addirittura un “riequilibrio a sostegno della maternità”, cioè là dove le critiche dei vescovi erano e sono più pungenti.
Un altro elemento di conflitto è stata la decisione dell’Università di Notre Dame – la più famosa università cattolica degli Stati Uniti – di conferire il 17 maggio ad Obama una laurea ad honorem.
Un’ottantina di vescovi, un terzo dell’episcopato degli Stati Uniti, si espresse contro l’opportunità di dare quell’onorificenza a un leader politico le cui posizioni bioetiche erano manifestamente contrarie alla dottrina della Chiesa.
Tra i critici della presidenza Obama vi sono figure di grande rilievo nella gerarchia americana: dal cardinale Francis George, presidente della conferenza episcopale, al vescovo di Denver Charles Chaput.
George, come arcivescovo di Chicago, è concittadino di Obama e successore di Joseph Bernardin, l’arcivescovo e cardinale morto nel 1996 che l’attuale presidente degli Stati Uniti ricorda spesso con grande simpatia e commozione, come maestro di un cristianesimo non di conflitto ma di dialogo.
Prima e dopo la laurea di Notre Dame, vari vescovi americani espressero il loro disappunto per aver visto le loro critiche quasi ignorate dal Vaticano.
Non solo.
A irritarli ancora di più era il fatto che il Vaticano non si limitava a trascurare le critiche dei vescovi, ma elevava a Obama addirittura elogi entusiastici, quasi fosse un nuovo Costantino, capo di un moderno impero provvido per la Chiesa.
A dare questa impressione era stato un articolo del teologo emerito della casa pontificia, il teologo e cardinale svizzero Georges Cottier, pubblicato la vigilia della visita di Obama a Benedetto XVI, su una rivista legata ai circoli diplomatici della curia vaticana, “30 Giorni”.
A tranquillizzare un poco i vescovi americani più critici intervenne poi Benedetto XVI, che nel corso dell’udienza con il presidente degli Stati Uniti, avvenuta il 10 luglio, mise al primo posto proprio “la difesa e la promozione della vita ed il diritto all’obiezione di coscienza” e gli diede in dono i documenti della Chiesa in materia.
Ma ancora in queste ultime settimane il conflitto tra i vescovi e Obama appare tutt’altro che pacificato.
Un’ulteriore materia di disputa è diventata la proposta di riforma del sistema sanitario, che essi temono includa un finanziamento con denari pubblici dell’aborto.
E poi resta sempre vivace, dentro la stessa gerarchia, la controversia aperta dalla laurea di Notre Dame.
“America”, la rivista “liberal” dei gesuiti di New York, ha pubblicato sul suo ultimo numero di agosto due commenti contrapposti: il primo, criticissimo con Obama e con i cattolici con lui solidali, del vescovo John M.
D’Arcy, titolare della diocesi di Fort Wayne-South Bend nell’Indiana, in cui sorge l’università; il secondo dell’arcivescovo emerito di San Francisco, John R.
Quinn, capofila del cattolicesimo progressista, sostenitore di una “policy of cordiality” con l’amministrazione Obama.
Il cuore della controversia è venuto di nuovo alla luce alla fine di agosto in occasione della morte del senatore Ted Kennedy, un cattolico il quale – come scrisse egli stesso in una lettera a Benedetto XVI resa pubblica nei giorni scorsi – si battè tutta la vita per l’aiuto ai poveri, la cura dei malati, l’accoglienza dei migranti, l’abolizione della pena di morte.
“Avesse incluso tra queste buone cause la protezione del nascituro nel grembo materno, avesse dato più forte testimonianza a una coerente etica della vita, credo che il compianto e la preghiera della comunità cattolica sarebbero stati più pieni e accorati”, ha commentato un sacerdote e teologo di Boston che conosceva bene Ted Kennedy, Robert Imbelli.
Padre Imbelli è anche commentatore per “L’Osservatore Romano” e vi ha scritto cose simili anche a proposito di Obama.
Fosse per lui, i vescovi americani critici non avrebbero avuto ragione per protestare con il giornale vaticano.
Da alcuni mesi due leader politici di prima grandezza sono sotto osservazione critica da parte delle gerarchie della Chiesa, in due paesi chiave del cattolicesimo mondiale: Barack Obama negli Stati Uniti e Silvio Berlusconi in Italia.
Sia con l’uno che con l’altro, la Santa Sede e i rispettivi episcopati nazionali non adottano il medesimo approccio.
Le autorità vaticane appaiono più inclini a un rapporto pacifico e distensivo, mentre gli episcopati nazionali appaiono più critici e combattivi.
In entrambi i casi, nel conflitto entrano in gioco anche due giornali di Chiesa: “L’Osservatore Romano”, organo del Vaticano, e “Avvenire”, il quotidiano di proprietà della conferenza episcopale italiana.
Col capo del governo italiano Silvio Berlusconi i motivi di attrito con la Chiesa sono principalmente due, da qualche mese a questa parte.
Il primo è l’immigrazione.
Il governo Berlusconi applica regole molto severe nel selezionare gli ingressi e respingere i clandestini.
E ciò provoca le reazioni critiche di una larga parte delle organizzazioni di Chiesa, per le quali “l’accoglienza” è il primo precetto, se non l’unico.
La linea ufficiale della conferenza episcopale, secondo cui l’accoglienza deve invece essere sempre accompagnata e bilanciata dalla legalità e dalla sicurezza, viene di conseguenza tacciata – dal clero e dal laicato cattolico più impegnati nel “sociale” e da alcuni degli stessi vescovi – come eccessivamente moderata, o peggio, subalterna al governo Berlusconi.
Lo stesso avviene per il quotidiano di proprietà dei vescovi, “Avvenire”.
Ma se si confronta “Avvenire” con “L’Osservatore Romano”, è semmai quest’ultimo che appare di gran lunga il più rispettoso delle decisioni del governo, in materia di immigrazione.
Giovanni Maria Vian, il professore di storia che dirige il giornale vaticano, in un’intervista del 31 agosto scorso al “Corriere della Sera” ha detto che alcuni articoli di “Avvenire” sono stati così “esagerati e imprudenti”, nel criticare il governo, da destare sconcerto in Vaticano.
Ne ha denunciati due in particolare: un editoriale nel quale si paragonava un caso di naufragio di migranti africani nel Mediterraneo allo sterminio degli ebrei nell’indifferenza di tutti; e un altro articolo nel quale si contestava l’affermazione del ministro degli esteri italiano secondo cui l’Italia è il paese europeo che ha soccorso in mare più immigrati.
Neppure in Vaticano, propriamente, mancano le voci discordi.
Anzi.
L’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del pontificio consiglio per i migranti, è criticissimo della linea del governo italiano ed è il prediletto dei giornali di opposizione, nonostante la segreteria di Stato abbia fatto sapere più di una volta che egli parla a titolo personale e rappresenta solo se stesso.
Un altro dirigente di curia che parla a ruota libera contro la politica del governo sull’immigrazione è il cardinale Renato Martino.
Ma è stato da poco sostituito, come presidente del pontificio consiglio per i migranti, dall’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, che viene dalla diplomazia ed è la prudenza in persona.
Insomma, “i rapporti tra le due sponde del Tevere sono eccellenti”, ha affermato il professor Vian nella stessa intervista, intendendo con le due sponde il governo italiano e la Santa Sede.
A conferma di ciò il direttore de “L’Osservatore Romano” ha citato e difeso il totale silenzio del suo giornale sul secondo elemento dell’attuale scontro tra Berlusconi e la Chiesa.
*** Questo secondo elemento riguarda la vita privata del premier, in particolare gli svaghi da lui riassunti così: “In Italia ci sono tante belle figliole e io non sono un santo”.
Ad accendere, a metà giugno, la campagna di accuse contro la vita privata di Berlusconi sono state dapprima la sua seconda moglie – dalla quale si sta separando – e soprattutto “la Repubblica”, il giornale leader della sinistra italiana, quello che, per paradosso, da sempre predica la liberazione dai vincoli della morale cattolica.
Da allora, questa curiosità sulla vita sessuale di Berlusconi occupa continuativamente le pagine di molta stampa non solo italiana ma mondiale.
Non però quelle de “L’Osservatore Romano”.
Neppure una riga.
E “per ottime ragioni”, ribadisce Vian, che rifiuta di mischiare il giornale del papa con un giornalismo “che pare diventato la prosecuzione della lotta politica con altri mezzi”.
Anche su “Avvenire”, il giornale dei vescovi italiani, all’inizio era così.
Silenzio.
O al massimo il misuratissimo auspicio al premier di eliminare “ombre” e “situazioni disagevoli per tutti”.
Intanto però, tra i vescovi e dentro il clero e il laicato, la spinta a elevare una fiera protesta contro Berlusconi per certi suoi comportamenti contrari alla morale cattolica si faceva sempre più forte.
E si scaricava soprattutto su “Avvenire”.
A fine giugno, per due volte consecutive, il giornale pubblicò a fianco a fianco una coppia di pareri: nel primo caso di due editorialisti del giornale, Marina Corradi e Piero Chinellato; nel secondo caso di due commentatori esterni, Antonio Airò e il professor Pietro De Marco.
La partita finì 3 a 1.
Solo Chinellato si schierò per la denuncia pubblica “ad personam”.
Gli altri, con diversi argomenti, sostennero che si denuncia il peccato ma non il peccatore e che un uomo politico va valutato per quello che fa politicamente: per l’occupazione, la famiglia, la scuola, l’immigrazione, eccetera; non per la sua vita privata, che è di “foro interno”.
E l’editore di “Avvenire”, cioè la conferenza episcopale? Il 6 luglio, festa di santa Maria Goretti, giovanissima martire morta in difesa della sua verginità, il segretario della CEI, Mariano Crociata, si scagliò contro “lo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile” che la totalità dei media interpretarono – non smentiti – come allusivo a Berlusconi.
Questa omelia fu come la rottura di un argine.
Quello che vari vescovi, preti e laici facevano già per conto proprio, cioè criticare la vita sessuale del premier, dovette farlo da lì in avanti anche il direttore di “Avvenire”, Dino Boffo, nel rispondere alle sempre più numerose pressioni dei lettori, anche altolocati.
Boffo diceva qualcosa, e puntualmente arrivavano altri a dirgli che doveva dire di più.
Esemplare di questa travolgente pressione al rialzo è stata la lettera di un parroco di Milano, pubblicata il 12 agosto con l’ennesima risposta di Boffo.
A questo spettacolo – messo involontariamente in scena da “Avvenire” – di una conferenza episcopale priva di una guida autorevole ed energica, in cui comanda chi grida più forte contro un governo pur così attento agli interessi della Chiesa sulla vita e la famiglia, ha cercato di porre rimedio il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, concordando un incontro con il premier Berlusconi all’Aquila il 28 agosto, in occasione della festa della “Perdonanza” istituita da papa Celestino V.
Alla vigilia dell’incontro, il cardinale Bertone ha dato a “L’Osservatore Romano” un’ampia intervista, molto rasserenante nel tratteggiare i rapporti tra la Chiesa e il governo italiano.
Lo stesso giorno, su “la Repubblica”, l’editorialista-teologo Vito Mancuso accusò il segretario di Stato di voler pranzare alla mensa di Erode, invece che denunciarne le malefatte.
Ma “L’Osservatore Romano” immediatamente gli rispose che la Chiesa non accetta un “coinvolgimento partigiano in vicende politiche contingenti”, poiché ad essa preme “la cura individuale delle coscienze” e non la pubblica condanna del peccatore.
A far saltare, all’ultimissima ora, l’incontro tra Berlusconi e il cardinale Bertone è stato l’inatteso attacco contro il direttore di “Avvenire”, Boffo, da parte de “il Giornale”, il quotidiano di proprietà del fratello dello stesso Berlusconi.
Così titolava a tutta pagina il 28 agosto “il Giornale” diretto da Vittorio Feltri: “Incidente sessuale del direttore di ‘Avvenire’.
Il supermoralista condannato per molestie.
Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell’accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell’uomo con il quale aveva una relazione”.
L’attacco si è rivelato poi, nei giorni successivi, di dubbio fondamento.
Boffo si è proclamato innocente.
Il presidente in carica della CEI, il cardinale Angelo Bagnasco, l’ha difeso in pieno.
E così il suo predecessore, il cardinale Camillo Ruini, che aveva voluto Boffo come direttore di “Avvenire” e gli aveva confermato fiducia anche dopo che, dal 2002, erano cominciate a circolare accuse contro di lui.
Accuse fatte di foglietti anonimi, messi in giro ogni volta che si voleva attaccare, attraverso Boffo, la presidenza della CEI, ad esempio durante la contesa per la nomina del rettore dell’Università Cattolica di Milano, quando contro Lorenzo Ornaghi, l’uomo di Ruini, si batterono strenuamente l’allora segretario di Stato cardinale Angelo Sodano, l’ex presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro, l’ex presidente del consiglio Emilio Colombo e l’allora direttore amministrativo dell’università, Carlo Balestrero, tutti membri dell’Istituto Giuseppe Toniolo che sovrintende alla Cattolica, del quale fa parte anche Boffo.
Di recente, queste carte anonime sono tornate in circolazione anche ai fini di un cambio di direzione delle testate giornalistiche, televisive e radiofoniche della Chiesa italiana, attualmente tutte concentrate nelle mani di Boffo.
Si è fatto portavoce di queste istanze, il 31 agosto, il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, già sottosegretario della CEI e ora presidente del consiglio per gli affari giuridici, secondo cui “per il bene della Chiesa e del suo giornale” Boffo “potrebbe vautare se non è il caso di dimettersi”.
Circa l’attacco a Boffo fatto da “il Giornale” – contro l’interesse del suo stesso editore, Berlusconi, a un rapporto pacifico con la Chiesa – è comparsa su “L’Osservatore Romano” solo una brevissima citazione del cardinale Bagnasco.
Quanto alla confusione che si osserva nella Chiesa italiana, il cardinale Bertone sarà ora tentato di riprendere in mano la lettera che scrisse il 25 marzo del 2007 al cardinale Bagnasco, in occasione della sua nomina a presidente della CEI, nella quale rivendicava “la rispettosa guida della Santa Sede, nonché mia personale […] per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche”.
Scritta quando la straordinaria leadership del cardinale Ruini era ancora all’apogeo, quella lettera fu interpretata dalla CEI come uno schiaffo.
E di fatto respinta al mittente.
Oggi essa ritorna stranamente attuale.
Sul caso Berlusconi si veda l’intervista del cardinale Tarcisio Bertone a “L’Osservatore Romano” del 28 agosto 2009, poco prima dell’incontro con il capo del governo italiano, poi annullato: > Il progetto di Chiesa e di società di Benedetto XVI Come pure il quotidiano di proprietà della conferenza episcopale italiana: > Avvenire __________ Sul caso Obama, ecco i due commenti contrapposti pubblicati da “America” nel numero datato 31 agosto 2009.
Quello “contro” del vescovo di Fort Wayne-South Bend, John M.
D’Arcy: > The Church and the University.
A pastoral reflection on the controversy at Notre Dame
E quello “pro” dell’arcivescovo emerito di San Francisco, John R.
Quinn: > The Public Duty Of Bishops.
Lessons from the storm in South Bend
Sui precedenti della controversia, vedi in www.chiesa: > Benvenuto Obama.
Il Vaticano gli suona un preludio di festa
(5.7.2009) > Obama laureato a Notre Dame.
Ma i vescovi gli rifanno l’esame
(26.5.2009) > Angelo o demonio? In Vaticano, Obama è l’uno e l’altro (8.5.2009) __________

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Scuola: bilancio di un anno che si chiude

  In coincidenza con l’intervento di Mariastella Gelmini al Meeting dell’Amicizia, lo scorso 28 agosto, l’ufficio stampa del MIUR ha diffuso un ampio e dettagliato resoconto dell’azione svolta dal governo e dal ministro in previsione dell’inizio del nuovo anno scolastico 2009-2010.
Si tratta di una parte soltanto della attività sviluppata dalla Gelmini in poco più di un anno di lavoro (non si parla, per esempio, del secondo ciclo, perché la riforma decorrerà dal 2010-2011), ma non c’è dubbio che il catalogo delle novità riferite all’anno scolastico che sta per cominciare è assai consistente.
Eccone una sintesi della parte che riguarda gli ordinamenti.
Scuola dell’infanzia: Anche i bambini di due anni e mezzo potranno iscriversi alla scuola dell’infanzia.
Scuola Primaria: Maestro unico prevalente (i due aggettivi sono utilizzati in sequenza): nelle classi prime della scuola primaria si passerà al modello educativo del maestro unico prevalente, un’unica figura di riferimento per i bambini.
Ogni quadro orario, da 24, 27, 30 o 40 ore, prevederà il maestro unico di riferimento.
Successivamente il modello si estenderà alle altre classi.
Abolite le compresenze.
Tempo pieno confermato: con l’introduzione del maestro unico, l’eliminazione delle compresenze ed alcuni risparmi dovuti alla razionalizzazione degli organici e al dimensionamento delle scuole (circa 350 scuole sono state accorpate grazie anche all’impegno delle Regioni) si libereranno più maestri per aumentare il tempo pieno.
Scuola secondaria di I grado: Riformulazione dell’orario della scuola media L’orario scolastico della scuola media sarà di 30 ore settimanali, consentendo una distribuzione più razionale delle lezioni, senza insegnamenti facoltativi e opzionali che avevano allungato l’orario senza migliorare la qualità del servizio.
Tempo prolungato da 36 a 40 ore solo in presenza di requisiti strutturali e di servizio che rispondano alle aspettative delle famiglie.
Esami di terza media Il voto finale dell’esame di terza media sarà calcolato facendo la media aritmetica delle prove orali, di quelle scritte (inclusa la prova nazionale Invalsi) e del voto di ammissione.
Scuola secondaria di II grado Ammissione alla Maturità A partire dall’anno scolastico 2009/10 saranno ammessi all’esame di Stato solo gli studenti che  conseguiranno almeno 6 decimi in tutte le materie e in condotta.
Ecco gli altri provvedimenti che diventeranno operativi nel nuovo anno scolastico indicati nel comunicato stampa del MIUR del 28 agosto 2009.
Scuola digitale Pagelle on line: in molti casi  sarà possibile consultare  on line sul sito delle scuole le pagelle degli studenti.
Sms per segnalare assenze ai genitori: tutte le scuole potranno organizzare sistemi per avvisare via sms i genitori quando i ragazzi sono assenti, come avviene già in molte scuole del Paese.
Assunzioni nella scuola Per l’anno scolastico 2009-2010 vengono immessi in ruolo 8.000 docenti e 8.000 unità di personale ATA, nonché 647 dirigenti scolastici.
Contenimento della spesa per i libri di testo Introduzione dei tetti di spesa per le scelte dei libri da parte degli insegnanti: gli insegnanti devono scegliere libri di testo che abbiano un prezzo inferiore ai tetti di spesa fissati dal Ministero.
Mantenimento degli stessi libri per 5 anni: i testi scelti non potranno essere cambiati per almeno 5 anni nella primaria e 6 nella secondaria.

IV Giornata per la Salvaguardia del Creato

Si celebra il primo settembre 2009 la IV Giornata per la Salvaguardia del Creato, dal titolo: “Laudato si’, mi’ Signore… per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento”.
Promotori dell’evento l’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro e l’Ufficio Nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI.
Il testo del messaggio per la Giornata e le indicazioni per la sua celebrazione a livello diocesano sono reperibili in rete su www.chiesacattolica.it/lavoro o www.chiesacattolica.it/ecumenismo.
In allegato trovate anche il testo della catechesi pronunciata da Bendetto XVI a Castel Gandolfo durante l’udienza generale di mercoledì 26 agosto e dedicata proprio al tema della Giornata.
 Documenti allegati:CATECHESI DEL SANTO PADRE.doc

l’Agorà dei giovani del Mediterraneo

Anche quest’anno si svolgerà presso il Centro Giovanni Paolo II di Loreto (AN) l’Agorà dei giovani del Mediterraneo, organizzata anche dal Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile e dal Movimento Giovanile Missionario.
“Beati quelli che sono perseguitati per aver fatto la volontà di Dio, perché Dio darà loro il suo regno” è il tema di quest’anno, particolarmente attuale nel contesto sociale e globalizzato nel quale viviamo.
Il martirio, segno vivo del sì dell’uomo alla chiamata di Dio e testimonianza ai fratelli, è la luce che illumina il cammino di ciascun cristiano dal giorno del Battesimo e in particolare i giovani sono chiamati ad essere testimoni autentici dell’incontro con Cristo che trasforma radicalmente l’esistenza riempiendola di senso.
L’iniziativa, giunta ormai all’ottava edizione, non rappresenta soltanto un momento di confronto, scambio e conoscenza tra giovani; ciascun partecipante rappresenta, infatti, la Chiesa locale che lo invia e, soprattutto, lo attende al termine dell’Agorà per valorizzare insieme i frutti dell’esperienza vissuta.
In particolare la comunità diocesana è chiamata ad allargare gli orizzonti dell’azione pastorale attraverso gesti concreti di conoscenza, testimonianza, solidarietà e scambio tra nazioni.
Sono molte le chiese locali italiane che hanno progetti di cooperazione in Europa, in Medio Oriente e nel bacino del Mediterraneo, i quali non di rado prevedono il coinvolgimento di giovani volontari e gruppi giovanili: l’Agorà del Mediterraneo è un’opportunità per stimolare i giovani e le comunità italiane a far nascere iniziative di cooperazione anche lì dove ancora non esistono.
Il carattere internazionale dell’evento, l’apertura al Mediterraneo e all’Europa e alle problematiche che attraversiamo, rende l’iniziativa particolarmente adatta a giovani che abbiano fatto un anno di studio all’estero (adolescenti del quarto anno delle Superiori), abbiano fatto o stiano per fare l’Erasmus o il progetto Leonardo, abbiano vissuto una o più esperienze in terra di missione (in gruppo o singolarmente), abbiano maturato una o più esperienze lavorative all’estero.
È importante che l’invito sia pensato, inserito in un progetto pastorale diocesano sempre più capace di aprirsi alle altre culture e al mondo, un progetto che sappia inviare i giovani all’Agorà e coinvolgerli al loro rientro con iniziative che li vedano operatori di pace verso i loro coetanei.
Sarebbe bello se ogni diocesi italiana riuscisse ad inviare due giovani all’Agorà dei giovani del Mediterraneo per continuare un percorso di pastorale giovanile diocesana sempre più aperto all’accoglienza dello straniero e alla comunione tra giovani cristiani.
L’invito può essere esteso anche a giovani stranieri che risiedano stabilmente in Italia (per lavoro o studio) e siano in qualche modo inseriti nella vita della comunità cristiana.
Vitto e alloggio al Centro Giovanni Paolo II di Loreto sono gratuiti; il viaggio è a carico dei partecipanti.
  AGORÀ DEI GIOVANI DEL MEDITERRANEO VIII EDIZIONE 1-8 settembre 2009 Centro Giovanni Paolo II 8 – 12 settembre accoglienza in alcune diocesi italiane « Beati quelli che sono perseguitati per aver fatto la  volontà di Dio: perché Dio darà loro il suo regno » Anche quest’anno, presso il Centro Giovanni Paolo II, si svolgerà l’Agorà dei giovani del Mediterraneo.
Il tema: Beati quelli che sono perseguitati per aver fatto la volontà di Dio: perché Dio darà loro il suo regno, è particolarmente attuale nel contesto sociale e globalizzato nel quale viviamo. Il martirio, segno vivo del si dell’uomo alla chiamata di Dio e testimonianza ai fratelli, è la luce che illumina il cammino di ciascun cristiano dal giorno delBattesimo, in particolare i giovani sono chiamati ad essere testimoni autentici dell’incontro con Cristo che trasforma radicalmente l’esistenza riempiendola di senso.
L’iniziativa, giunta ormai all’ottava edizione, non rappresenta soltanto un momento di confronto, scambio e conoscenza tra giovani; ciascun partecipante rappresenta, infatti, la Chiesa locale che lo invia e, soprattutto, lo attende al termine dell’Agorà per valorizzare insieme i frutti dell’esperienza vissuta.
In particolare la Comunità Diocesana è chiamata ad allargare gli orizzonti dell’azione pastorale attraverso gesti concreti di conoscenza, testimonianza, solidarietà e scambio tra nazioni.
Sono molte le chiese locali italiane che hanno progetti di cooperazione in Europa, in Medio Oriente e nel bacino del Mediterraneo, i quali non di rado prevedono il coinvolgimento di giovani volontari e gruppi giovanili, l’Agorà del Mediterraneo è un’opportunità per stimolare i giovani e le comunità italiane a far nascere iniziative di cooperazione anche lì dove ancora non esistono.
Il carattere internazionale dell’evento, l’apertura al mediterraneo e all’Europa e alle problematiche che attraversiamo, rende l’iniziativa particolarmente adatta a giovani che: abbiano fatto un anno di studio all’estero (adolescenti del quarto anno delle Superiori); abbiano fatto o hanno in mente l’Erasmus o il progetto Leonardo; abbiano vissuto una o più esperienze in terra di missione (in gruppo o singolarmente); abbiano maturato una o più esperienze lavorative all’estero.
È importante che l’invito sia pensato, inserito in un progetto pastorale diocesano sempre più capace di aprirsi alle altre culture e al mondo, un progetto che sappia inviare i giovani all’Agorà e coinvolgerli al loro rientro con iniziative che li vedano operatori di pace verso i loro coetanei.
Sarebbe bello se ogni Diocesi italiana riuscisse ad inviare due giovani all’Agorà dei giovani del Mediterraneo per continuare un percorso di pastorale giovanile diocesana sempre più aperto all’accoglienza dello straniero e alla comunione tra giovani cristiani.
Se presenti, ti proponiamo di invitare anche giovani stranieri che risiedono stabilmente in Italia (per lavoro o studio) e sono in qualche modo inseriti nella vita della comunità cristiana.
Vitto alloggio al Centro Giovanni Paolo II di Loreto sono è GRATUITI; il viaggio è a carico dei partecipanti.
Programma dell’iniziativa Scheda di Iscrizione

Narrare la fede… coi gialli /3

  Puntata: “Homer l’eretico” (Stagione 4, puntata 3)   La trama: Come ogni domenica, Marge e i figli vanno in chiesa, ma questa volta Homer decide di restare a casa e ne approfitta per mangiare frittelle e guardare la tv: convinto di aver quindi vissuto “la giornata più bella della sua vita”, Homer stabilisce che starà a casa tutte le domeniche mattina e comunica a Marge la sua volontà di abbandonare la chiesa per seguire una propria religione.
Quello stesso giorno Homer sogna di incontrare Dio, che dà il suo benestare alla nuova religione.
La domenica successiva Homer resta nuovamente a casa, legge una rivista per adulti e si accende un sigaro che, cadendo mentre lui si è addormentato, fa divampare un incendio.
Ned Flanders corre in soccorso del vicino di casa e riesce a portarlo in salvo.
Nel frattempo una specie di Protezione Civile immediatamente attivatasi (composta, tra gli altri, dal reverendo Lovejoy, dal clown ebreo Krusty e dal commerciante induista Apu) spegne l’incendio, salvando così anche la casa.
Il Reverendo spiega a Homer che Dio non è contro di lui ma, piuttosto, è nel cuore delle persone che hanno salvato lui e la sua casa.
Il nostro pigro padre di famiglia torna sui suoi passi: abbandona la nuova religione fai-da-te e la domenica successiva torna in chiesa, dove però si addormenta subito e sogna un altro incontro con Dio, al quale chiede quale sia il significato della vita…
che però a noi non è dato di sapere! vedi nell’allegato: Spuntini di riflessione