Discorso di papa Francesco alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi

Discorso di papa Francesco alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi

 

Cari fratelli e care sorelle!

1. Il Signore ci dà ancora una volta la grazia di celebrare il mistero della sua nascita. Ogni anno, ai piedi del Bambino che giace nella mangiatoia (cfr Lc 2,12), veniamo messi nella condizione di guardare la nostra vita a partire da questa speciale luce. Non è la luce della gloria di questo mondo, ma «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). L’umiltà del figlio di Dio che viene nella nostra condizione umana è per noi scuola di adesione alla realtà. Così come Egli sceglie la povertà, che non è semplicemente assenza di beni, ma essenzialità, allo stesso modo ognuno di noi è chiamato a ritornare all’essenziale della propria vita, per buttare via tutto ciò che è superfluo e che può diventare impedimento nel cammino di santità. E questo cammino di santità non va negoziato.

2. È però importante avere chiaro che quando si esamina la propria esistenza o il tempo trascorso, bisogna sempre avere come punto di partenza la memoria del bene. Infatti, solo quando siamo consapevoli del bene che il Signore ci ha fatto siamo anche in grado di dare un nome al male che abbiamo vissuto o subito. Essere consapevoli della nostra povertà senza esserlo anche dell’amore di Dio ci schiaccerebbe. In questo senso l’atteggiamento interiore a cui dovremmo dare più importanza è la gratitudine.

Il Vangelo, per spiegarci in che cosa essa consiste, ci racconta la storia dei dieci lebbrosi che furono tutti sanati da Gesù; solo uno però torna indietro a ringraziare, un samaritano (cfr Lc 17,11-19). L’atto di ringraziare ottiene a quest’uomo, oltre alla guarigione fisica, la salvezza totale (cfr v. 19). L’incontro con il bene che Dio gli ha concesso non si ferma cioè alla superficie, ma tocca il cuore. È così: senza un costante esercizio di gratitudine finiremmo solo per fare l’elenco delle nostre cadute e oscureremmo ciò che più conta, cioè le grazie che il Signore ci concede ogni giorno.

3. Molte cose sono accadute in questo ultimo anno, e innanzitutto vogliamo dire grazie al Signore per tutti i benefici che ci ha concesso. Ma tra tutti questi benefici speriamo che ci sia anche la nostra conversione. Essa non è mai un discorso concluso. La cosa peggiore che possa accaderci è pensare di non avere più bisogno di conversione, a livello sia personale sia comunitario.

Convertirsi è imparare sempre di più a prendere sul serio il messaggio del Vangelo e tentare di metterlo in pratica nella nostra vita. Non è semplicemente prendere le distanze dal male, è mettere in pratica tutto il bene possibile: questo è convertirsi. Davanti al Vangelo rimaniamo sempre come dei bambini bisognosi di imparare. Presumere di avere imparato tutto ci fa cadere nella superbia spirituale.

Quest’anno sono ricorsi i sessant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. Cos’è stato l’evento del Concilio se non una grande occasione di conversione per tutta la Chiesa? San Giovanni XXIII a questo proposito disse: «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». La conversione che il Concilio ci ha donato è stato il tentativo di comprendere meglio il Vangelo, di renderlo attuale, vivo, operante in questo momento storico.

Così, come più volte era già accaduto nella storia della Chiesa, anche nella nostra epoca come comunità di credenti ci siamo sentiti chiamati a conversione. E questo percorso è tutt’altro che concluso. L’attuale riflessione sulla sinodalità della Chiesa nasce proprio dalla convinzione che il percorso di comprensione del messaggio di Cristo non ha fine e ci provoca continuamente.

Il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo. È l’errore di voler cristallizzare il messaggio di Gesù in un’unica forma valida sempre. La forma invece deve poter sempre cambiare affinché la sostanza rimanga sempre la stessa. L’eresia vera non consiste solo nel predicare un altro Vangelo (cfr Gal 1,9), come ci ricorda Paolo, ma anche nello smettere di tradurlo nei linguaggi e nei modi attuali, cosa che proprio l’Apostolo delle genti ha fatto. Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo.

4. Il vero problema, però, che tante volte dimentichiamo, è che la conversione non solo ci fa accorgere del male per farci scegliere il bene, ma nello stesso tempo spinge il male ad evolversi, a diventare sempre più insidioso, a mascherarsi in maniera nuova affinché facciamo fatica a riconoscerlo. È una vera lotta. Il tentatore torna sempre, e torna travestito.

Gesù nel Vangelo usa un paragone che ci aiuta a comprendere quest’opera che è fatta di tempi e modi diversi: «Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino» (Lc 11,21-22). Il nostro primo grande problema è confidare troppo in noi stessi, nelle nostre strategie, nei nostri programmi. È lo spirito pelagiano di cui più volte ho parlato. Allora alcuni fallimenti sono una grazia, perché ci ricordano che non dobbiamo confidare in noi stessi, ma solo nel Signore. Alcune cadute, anche come Chiesa, sono un grande richiamo a rimettere Cristo al centro. Perché «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» (Lc 11,23). È così semplice.

Cari fratelli e care sorelle, è troppo poco denunciare il male, anche quello che serpeggia in mezzo a noi. Ciò che si deve fare è decidere una conversione davanti ad esso. La semplice denuncia può darci l’illusione di aver risolto il problema, ma in realtà quello che conta è operare dei cambiamenti che ci mettano nella condizione di non lasciarci più imprigionare dalle logiche del male, che molto spesso sono logiche mondane. In questo senso, una delle virtù più utili da praticare è quella della vigilanza. Gesù descrive la necessità di questa attenzione su noi stessi e sulla Chiesa – la necessità della vigilanza – attraverso un esempio efficace: «Quando lo spirito impuro esce dall’uomo – dice Gesù –, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima» (Lc 11,24-26). La nostra prima conversione riporta un certo ordine: il male che abbiamo riconosciuto e tentato di estirpare dalla nostra vita, effettivamente si allontana da noi; ma è da ingenui pensare che rimanga lontano per lungo tempo. In realtà, dopo un po’ si ripresenta a noi sotto una nuova veste. Se prima appariva rozzo e violento, ora invece si comporta in maniera più elegante ed educata. Allora abbiamo ancora una volta bisogno di riconoscerlo e smascherarlo. Permettetemi l’espressione: sono i “demoni educati”: entrano con educazione, senza che io me ne accorga. Solo la pratica quotidiana dell’esame di coscienza può far sì che ce ne rendiamo conto. Per questo si vede l’importanza dell’esame di coscienza, per vigilare la casa.

Nel secolo XVII – per esempio – ci fu il famoso caso delle monache di Port Royal. Una delle loro abbadesse, Madre Angelica, era partita bene: aveva “carismaticamente” riformato se stessa e il monastero, respingendo dalla clausura perfino i genitori. Era una donna piena di doti, nata per governare, ma poi diventò l’anima della resistenza giansenista, mostrando una chiusura intransigente persino davanti all’autorità ecclesiastica. Di lei e delle sue monache si diceva: “Pure come angeli, superbe come demoni”. Avevano scacciato il demonio, ma poi era tornato sette volte più forte e, sotto la veste dell’austerità e del rigore, aveva portato rigidità e presunzione di essere migliori degli altri. Sempre torna: il demonio, cacciato via, torna; travestito, ma torna. Stiamo attenti!

5. Gesù, nel Vangelo, racconta molte parabole rivolte soprattutto a ben pensanti, a scribi e farisei, con l’intento di portare alla luce l’inganno di sentirsi giusti e disprezzare gli altri (cfr Lc 18,9). Ad esempio, nelle cosiddette parabole della misericordia (cfr Lc 15), Egli narra non solo le storie della pecorella smarrita o del figlio minore di quel povero padre, che si vede trattato da morto proprio da quest’ultimo, le quali ci ricordano che il primo modo di peccare è andarsene, perdersi, fare cose evidentemente sbagliate; ma in quelle parabole parla anche della dracma perduta e del figlio maggiore. Il paragone è efficace: ci si può perdere anche in casa, come nel caso della moneta di quella donna; e si può vivere infelici pur rimanendo formalmente nel recinto del proprio dovere, come accade al figlio maggiore del padre misericordioso. Se, per chi va via, è facile accorgersi della distanza, per chi rimane in casa è difficile rendersi conto di quanto si viva all’inferno, per la convinzione di essere solo vittime, trattati ingiustamente dall’autorità costituita e, in ultima analisi, da Dio stesso. E quante volte ci succede questo, qui, a casa!

Cari fratelli e care sorelle, a tutti noi sarà successo di perderci come quella pecorella o di allontanarci da Dio come il figlio minore. Sono peccati che ci hanno umiliato, e proprio per questo, per grazia di Dio, siamo riusciti ad affrontarli a viso scoperto. Ma la grande attenzione che dobbiamo prestare in questo momento della nostra esistenza è dovuta al fatto che formalmente la nostra vita attuale è in casa, tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale; e proprio per questo potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire.

Noi siamo più in pericolo di tutti gli altri, perché siamo insidiati dal “demonio educato”, che non viene facendo rumore ma portando fiori. Scusatemi, fratelli e sorelle, se a volte dico cose che possono suonare dure e forti, non è perché non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affaticati e agli oppressi, e trovare il coraggio di “affliggere i consolati”, come amava dire il servo di Dio don Tonino Bello, perché a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito.

6. Infine, un’ultima parola la vorrei riservare al tema della pace. Tra i titoli che il profeta Isaia attribuisce al Messia c’è quello di «Principe della pace» (9,5). Mai come in questo momento sentiamo un grande desiderio di pace. Penso alla martoriata Ucraina, ma anche a tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento. La religione non deve prestarsi ad alimentare conflitti. Il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare “santa” una guerra.

Dove regnano morte, divisione, conflitto, dolore innocente, lì noi possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso. E in questo momento è proprio a chi più soffre che vorrei si rivolga il nostro pensiero. Ci vengono in aiuto le parole di Dietrich Bonhoeffer, che dal carcere dove era prigioniero scriveva: «Guardando la cosa da un punto di vista cristiano, non può essere un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti, in questa casa, celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva che il nome. Un prigioniero capisce meglio di chiunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno, agli occhi di Dio, un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio volge lo sguardo proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distoglierlo; che Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annunzio» (Resistenza e resa, Cinisello Balsamo – MI, Ed. Paoline, 1988, 324).

7. Cari fratelli e care sorelle, la cultura della pace non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi. Nella Lettera agli Efesini leggiamo queste parole, che ritroviamo anche nella preghiera di Compieta: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (4,31-32). Possiamo domandarci: quanta asprezza c’è nel nostro cuore? Che cos’è che la alimenta? Da cosa nasce lo sdegno che molto spesso crea distanze tra di noi e alimenta rabbia e risentimento? Perché la maldicenza in tutte le sue declinazioni diventa l’unico modo che abbiamo per parlare della realtà?

Se è vero che vogliamo che il clamore della guerra cessi lasciando posto alla pace, allora ognuno inizi da sé stesso. San Paolo ci dice chiaramente che la benevolenza, la misericordia e il perdono sono la medicina che abbiamo per costruire la pace.

La benevolenza è scegliere sempre la modalità del bene per rapportarci tra di noi. Non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere, la violenza nascosta delle chiacchiere, che fanno tanto male e distruggono tanto. Davanti al Principe della Pace che viene nel mondo, deponiamo ogni arma di ogni genere. Ciascuno non approfitti della propria posizione e del proprio ruolo per mortificare l’altro.

La misericordia è accettare che l’altro possa avere anche i suoi limiti. Anche in questo caso è giusto ammettere che persone e istituzioni, proprio perché sono umane, sono anche limitate. Una Chiesa pura per i puri è solo la riproposizione dell’eresia catara. Se così non fosse, il Vangelo, e la Bibbia in generale, non ci avrebbero raccontato limiti e difetti di molti che oggi noi riconosciamo come santi.

Infine il perdono è concedere sempre un’altra possibilità, cioè capire che si diventa santi per tentativi. Dio fa così con ciascuno di noi, ci perdona sempre, ci rimette sempre in piedi e ci dona ancora un’altra possibilità. Tra di noi deve essere così. Fratelli e sorelle, Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi a stancarci di chiedere perdono.

Ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono, altrimenti la giustizia diventa vendetta, e l’amore viene riconosciuto solo come una forma di debolezza.

Dio si è fatto bambino, e questo bambino, diventato grande, si è lasciato inchiodare sulla croce. Non c’è cosa più debole di un uomo crocifisso, eppure in quella debolezza si è manifestata l’onnipotenza di Dio. Nel perdono opera sempre l’onnipotenza di Dio. La gratitudine, la conversione e la pace siano allora i doni di questo Natale.

Auguro a tutti buon Natale! E ancora una volta vi chiedo di non dimenticarvi di pregare per me. Grazie!

 

I demoni educati

Giovani, fede, multimedia

di: Paola Zampieri

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Realtà giovanile, linguaggi multimediali, comunicazione della fede: si costruisce sull’intreccio di queste tre dimensioni il libro Giovani, fede, multimedia. Evangelizzazione e nuovi linguaggi, a cura di Assunta Steccanella e Lorenzo Voltolin, con prefazione del sociologo Fausto Colombo, Università Cattolica del Sacro Cuore, nuova uscita nella collana Sophia della Facoltà teologica del Triveneto in coedizione con Edizioni Messaggero Padova.

La riflessione nasce all’interno di un laboratorio teologico-pastorale condotto nella stessa Facoltà per indagare una variabile determinante introdotta dalla pandemia di Covid nel panorama della comunicazione: lo spazio digitale come dimensione ormai imprescindibile.

Di qui la ricerca, sviluppata da una decina di autori, ha approfondito alcuni aspetti dei linguaggi multimediali, avvicinati nelle loro peculiarità e coordinate fondamentali, per trovare un orientamento sui modi adeguati di incarnare la missione nello spazio digitale. «Pensare e sperimentare forme nuove di partecipazione, nuovi codici e nuovi modi di comunicare la fede: si tratta di una grande sfida con risvolti potenzialmente fecondi in un tempo complesso come l’attuale» si legge nell’introduzione firmata da Assunta Steccanella. «Porsi alla scuola dei percorsi comunicativi dei giovani offre alla pastorale non solo la possibilità di entrare in relazione con loro ma anche di imparare nuove vie per il cammino dell’evangelizzazione tout court».

Il procedere della ricerca si muove fra tre poli: l’ascolto, il discernimento, le pratiche, secondo lo schema proprio della teologia pratica che mette in circolo prassi e teoria in un rimando continuo che ha come sfondo la centralità dell’agire umano nel processo conoscitivo.

La prima parte del libro – In ascolto del mondo giovanile – si sofferma su alcune prassi di comunicazione attraverso i new media, sul ruolo delle emozioni e sulla portata comunicativa dell’agire concreto (contributi di Carlo Meneghetti, Domenico Cravero e di alcuni componenti della fraternità del Sermig).

Il secondo passaggio – Coordinate per il discernimento sul mondo giovanile – considera i criteri che valgono per tutta l’azione evangelizzatrice della Chiesa mettendo a tema quelle coordinate che sembrano particolarmente preziose quando ci si voglia rivolgere ai giovani e abitare lo spazio digitale (Roberto Tommasi, Sergio Gaburro, Dario Vivian, Assunta Steccanella, Leonardo Paris, Giorgio Bonaccorso, Lorenzo Voltolin).

La terza e ultima parte si concentra sulle Nuove pratiche per il mondo giovanile, presentando alcune concrete esperienze di comunicazione della fede in ambiente digitale, che possono aprire l’orizzonte di ricerca e progettazione di prassi a-venire che assumano un linguaggio capace di comunicare il vangelo: un piccolo tentativo di inculturazione della fede verso il mondo giovanile in ambiente digitale.

«Il confronto con la comunicazione digitale che viene introdotto nel testo sollecita e accompagna il lettore verso la conoscenza di una realtà che abbraccia diverse dimensioni, personali e sociali. In e per mezzo di essa il soggetto è coinvolto: nelle sue emozioni, con la sua immaginazione, attraverso il linguaggio visivo e sonoro – subìto e agìto – egli elabora il proprio universo interpretativo della realtà» spiega Steccanella.

«Scopo del cammino svolto è stato quello di individuare e offrire alcune coordinate orientative per il lavoro di comprensione e di apprendimento di un tale modo – multimediale – di comunicare, prezioso anche per la comunicazione della fede, in particolare verso i giovani. Non si tratta di una missione impossibile: una sollecitazione emergente, infatti, è a riscoprire il patrimonio di linguaggi performativi propri della tradizione cristiana, così contemporanei nella loro struttura. La sfida è quella di ri-mediarli adeguatamente nell’ambiente digitale, uno spazio di evangelizzazione non più nuovo, molto frequentato ma non sempre valorizzato».

  • STECCANELLA A. – VOLTOLIN L. (a cura), collana Sophìa Praxis, Ed. Messaggero, Padova 2022, pp. 296, € 23,00, EAN 9788825054606 .

La fatica di rinnovare l’Iniziazione Cristiana

Settimana News 6 dicembre 2022 

di: Rinaldo Paganelli

iniziazione

Prendiamo spunto da un’indagine dell’Ufficio Catechistico della diocesi di Bergamo, presentato all’ultimo convegno diocesano dei catechisti (22 settembre).[1] I numeri sono importanti. All’indagine hanno risposto 209 parrocchie su 389, 25.000 gli iscritti ai percorsi di Iniziazione Cristiana, 2.818 i catechisti.

Negli ultimi vent’anni la Chiesa italiana si è impegnata sul fronte del rinnovamento della catechesi, distinguendosi nell’ambito europeo per aver promosso un lungo cammino di ricerca e di sperimentazione, che ha interessato diocesi e parrocchie, coinvolgendo le conferenze episcopali regionali. Il lavoro è confluito in “Incontriamo Gesù”, approvato dall’Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana nel maggio del 2014.[2]

La spinta di Incontriamo Gesù

Incontriamo Gesù” ha offerto un quadro di sintesi utile, lasciando però aperte alcune questioni, con la volontà di promuovere un ulteriore approfondimento. Questo ha preso il via mediante un confronto promosso dall’Ufficio Catechistico Nazionale il 12 ottobre 2022 con i direttori degli Uffici catechistici diocesani e le loro équipes. Oltre 200 i partecipanti on line. Nei prossimi mesi si raccoglieranno gli sviluppi che la proposta ha favorito.

Possiamo però dire che, dai lavori intrapresi dalle diverse diocesi, emergono con chiarezza dei punti di forza: catechesi esperienziale, catechesi come itinerario, “processo globale”, linguaggio comune. Vengono segnalati anche qualche positivo impegno per il coinvolgimento dei genitori. Risultano nodi problematici come la partecipazione alla messa domenicale, la partecipazione con riserva agli incontri di catechesi, la catechesi scolastica.

Il dato della partecipazione tuttavia continua ad essere molto alto e può portare, per un verso, a soprassedere al compito del rinnovamento. Diverse situazioni pastorali risultano onerose per i preti, con l’effetto di un’eccessiva delega della progettazione della catechesi in mano a catechisti non sempre adeguatamente formati.

Per alcuni vi è poi l’idea che non sia più tempo per una proposta rivolta ai bambini e ai ragazzi e sia più opportuno orientare le poche energie a disposizione su altri soggetti e altre forme di evangelizzazione.

Sempre si parla di formazione ma…

L’indagine della diocesi di Bergamo riesce a dirci qualcosa in merito al tipo di formazione messa in campo per i catechisti dell’IC. Il 66,7% si affida alla formazione parrocchiale, ma una buona percentuale, 28,1%, dice che viene lasciata all’iniziativa di ciascuno. Lo stesso si verifica a livello di strumenti per la preparazione dove ognuno cerca da sé (56,9%).

Una rinnovata catechesi necessita di rinnovati catechisti. Ben inteso, si tratta di trovare e fare proprio un possibile punto di equilibrio tra la necessità di cambiamento e la realtà oggettiva delle comunità chiamate a servire e ad accompagnare le persone in questo tempo.

È il momento di promuovere una nuova generazione di catechisti, che non siano solo “maestri di dottrina”, ma capaci di far interagire le voci dei diversi soggetti interessati: ragazzi, famiglie, comunità.

La nostra indagine di riferimento non fa cenno alla formazione del clero, ma mi spingo a sostenere che rimane un punto dolente. Si intuisce, senza fatica, che la mancanza di questo tassello ha comportato diverse problematiche anche dentro le sperimentazioni in atto, trascurando adeguate programmazioni e una reale conversione pastorale legata alla comunità in chiave missionaria.

A differenza dei catechisti, i preti non sempre intravvedono i vantaggi di un rinnovamento generato anche dalla catechesi in atto, perché sempre meno risultano coinvolti nella catechesi dell’IC, al di là della programmazione legata soprattutto alle tappe sacramentali e agli incontri per genitori.

Frequenza, criteri di divisione e sacramenti

Circa la frequenza, si rimane per il 72% dei rispondenti all’ora settimanale, un 23% scivola sull’ora e mezza ogni due settimane. I tempi ristretti di incontro dicono che non si è completamente passati da una lezione frontale a un incontro che tiene maggiormente conto dei destinatari e delle loro capacità di accoglienza e di elaborazione di quanto proposto.

Si tratta non solo di apprendere degli insegnamenti, ma di fare esperienze. La proposta di fede deve diventare qualcosa di attraente, capace di stabilire un approdo nella terra del proprio interlocutore, senza presumere il suo interesse e la sua attenzione. Il messaggio per essere accolto deve suscitare una certa sorpresa, esercitare un fascino che incuriosisca l’interlocutore e susciti interesse. Il racconto biblico, il gioco, l’immagine, un oggetto aprono alla risposta e alla sorpresa.

Di fronte ad una informazione che oggi è basata su micro messaggi, questo passaggio metodologico risulta importante per educare al gusto della ricerca, premiando e valorizzando lo sforzo dell’apprendimento.

I gruppi sono strutturati secondo l’età anagrafica per l’85,5% e stessa percentuale si riscontra per la celebrazione dei sacramenti, che avviene durante una classe scolastica: ad esempio, 4ª elementare per la comunione e 2ª media per la cresima.

La scansione della catechesi dice della fatica di immaginare il tempo della gente non più ritmato a partire da una dinamica religiosa univoca. Nella maggior parte dei casi è un errore partire dal presupposto che i ragazzi maturino tutti nello stesso tempo e abbiano gli stessi ritmi di crescita e di comprensione.

L’IC deve tener conto della graduale maturazione del ragazzo più che del calendario e dell’età. L’età anagrafica dice la tipicità di un’impostazione di cristianità condivisa che non è più così, se è vero che anche in diocesi di Bergamo un bambino su tre non viene battezzato. Anche questo dato deve spingere verso un’impostazione missionaria dell’evangelizzazione.

L’apporto della comunità

Questo valore della missionarietà è bene evidenziato dalla domanda sulle motivazioni che spingono a chiedere il battesimo tra i 6 e i 14 anni. Rispetto al 27,6% che dice di recuperare per motivi contingenti, è interessante notare come il 12,4% lo faccia per un incontro piacevole con la comunità o grazie alla riscoperta della fede da parte della famiglia (7,8%), oppure l’incontro con un testimone di fede (5,9%).

Di fatto, sempre da un adeguato coinvolgimento della comunità dipendono anche le scelte più audaci che riguardano, per esempio, la collocazione dei sacramenti, i quali rimangono nell’ordine più tradizionale. Sull’ordine dei sacramenti rimangono valide le riflessioni teologiche e le opportunità pastorali, per questo non è il caso di parteggiare per nessuna delle soluzioni.

Sta di fatto che, in alcuni casi, si sono avvicinate tra loro le scadenze sacramentali nella volontà di rispettare meglio l’unità. È però rimasta viva l’incoerenza tra la teoria – che indica l’eucaristia e l’inserimento nella comunità come punto di arrivo dell’IC – e la pratica che invece continua a proporre la cresima come ultimo dei sacramenti dell’IC, facendolo sembrare il punto di arrivo del cammino.

L’accompagnamento del clero richiederebbe un differente investimento, per evitare cortocircuiti che limitano le potenzialità della proposta e soprattutto per favorire il riconoscimento del valore generativo dell’IC per la comunità stessa, e quindi anche per il ministero del presbitero.

Al tempo del catecumenato sociologico, la parrocchia non aveva per sé il compito di generare alla fede, ma solo di nutrirla, curarla, renderla coerente. Quello che mancava era solo la dottrina per poter ricevere con coerenza i sacramenti, e l’ora settimanale di catechismo rispondeva a questo impianto.

Oggi si suppone, in una certa misura, che ogni parrocchia sia una comunità viva, capace di attenzione e di integrazione nei confronti dei ragazzi e delle famiglie. Ma forse non sono poche le realtà nelle quali si accusa una stanchezza pastorale, il ripiegamento nella sterile ripetizione di programmi e nell’offerta di servizi, con conseguente perdita della propria capacità generativa.

La stanca ripetitività

Qui ci viene a sostegno la nostra inchiesta, quando leggiamo che le attività principali che si fanno immediatamente prima o dopo gli incontri sono la preghiera in chiesa tutti insieme (44,4%) e la celebrazione della messa (43,1%). Si dà il caso che, in alcune situazioni, si celebrino due messe in contemporanea perché tutti possano partecipare.

Fa nascere qualche interrogativo il fatto che la partecipazione all’eucaristia, da punto di arrivo della maturazione del cammino si trasformi in un ostinato punto di partenza. Si perpetua la tanto discussa situazione nella quale si fa compiere ai bambini quello che gli adulti non fanno più: la partecipazione all’eucaristia domenicale, le confessioni, i momenti di ritiro.

Si rinuncia ad azioni evangelizzatrici generative. Il risultato è una proposta di iniziazione che investe pressoché tutto nel momento catechistico, quindi in una sola parte di ciò che caratterizza un itinerario di iniziazione. Non si investe la stessa energia nell’introduzione alla vita liturgica, all’esperienza di fraternità e all’esercizio della carità.

In altre parole, il processo di rinnovamento, pur partendo dalla preziosa intuizione della comunità come soggetto dell’IC, non ha avuto la forza o la possibilità sufficienti per attrarre dentro il processo anche altri soggetti con una responsabilità diretta, allo scopo di generare una vera iniziazione.

Lo spazio della famiglia

Nei progetti e nelle sperimentazioni si è fatto affidamento al coinvolgimento delle famiglie, e anche la nostra indagine non si esime dal considerare quale impatto e attenzione abbia avuto questo ambito.

Occorre riconoscere che, nella diocesi di Bergamo, non si è dato il via in modo strutturato a un ripensamento dell’IC, per cui  verso la famiglia rimangono stabili le percentuali di iniziative che da sempre si mettono in atto. Troviamo allora: messa domenicale con attenzione alla famiglia 71,9%, riunione all’inizio del cammino 74,5%, riunioni negli anni dei sacramenti 61,4%. Percentuali più basse si riscontrano in catechesi alle famiglie (30,7%), con le famiglie (29,4%) nelle famiglie (13,7%).

Non esiste nulla a livello di percorsi di pastorale post-battesimale (58,9%), una celebrazione all’anno (32,7%); appoggio alle scuole dell’infanzia parrocchiale (20%).

Non vogliamo generalizzare, perché la nostra attenzione è concentrata su un territorio ristretto rispetto all’Italia. Questi dati – e le conoscenze che abbiamo di diverse realtà diocesane – dicono che il rapporto fra la comunità e le famiglie è debole e chiede di essere ulteriormente chiarito. Diversamente, un parroco o un catechista può essere tentato di ritirarsi dalla fatica del coinvolgimento delle famiglie e limitarsi a fare catechesi con i ragazzi.

Le percentuali riportate indicano, inoltre, il permanere della prassi diffusa delle conferenze tenute dal sacerdote a cui pochi genitori partecipano. È importante considerare il dato che il concetto di famiglia non è più univoco e chiede di tenere conto di un intreccio complesso di situazioni eterogenee.

Da quando il venire alla vita non coincide più con il venire alla fede, anche l’identificazione dei soggetti implicati nell’IC è meno scontata. Rimane indiscutibile il fatto che nessuno si dà la fede da sé stesso, ma che l’atto credente prende corpo solo dentro una rete feconda di relazioni. Si tratta di riconoscere se e in quale modo, oggi, sussista quel rapporto tra generazioni entro il quale normalmente si iscrive la trasmissione della fede.

L’epoca contemporanea presenta una progressiva disaffezione dalle istituzioni e da tutto ciò che viene presentato in forme istituzionalizzate. In tale contesto la fede pubblica conosce un processo di elaborazione personale che la rende tutt’altro che inutile o assente, ma così personale e intima da sembrare invisibile.

Rapporti non strutturati

Nelle principali esperienze rinnovate di IC, è costante l’attenzione alla partecipazione attiva dei genitori, per porre rimedio ad una riconosciuta mancanza di dialogo tra la famiglia e la comunità cristiana. Comunità e genitori rimangono sostanzialmente estranei nella prima fase della vita del bambino, dal battesimo all’iscrizione al catechismo.

Solo se la comunità accompagna l’evoluzione della famiglia, si realizza un incontro di interessi e di preoccupazioni, che a volte consente di riannodare i fili di un percorso interrotto dopo il matrimonio. Incontriamo Gesù sollecita a pensare i genitori cristiani come primi educatori alla fede «qualunque situazione essi vivano» (IG 28).

L’obiettivo del coinvolgimento delle famiglie non può essere quello di trasferire a loro l’incapacità delle comunità, quanto di avviare una collaborazione per ridare un ruolo attivo alla famiglia, attraverso modalità differenti e consone alle possibilità di ognuno.

Queste note dicono che c’è spazio per pensare la ministerialità del catechista e dare concretezza alle intuizioni che, in questi anni, sono maturate e poi messe da parte per mancanza di operatori preparati e per mancanza di costanza nel provare e riprovare a creare una tradizione con gradualità. La gradualità significa rispetto delle situazioni in atto, ma anche coraggio operativo, un passo chiama l’altro. Solo se si fa un passo, si può capire come e dove fare quello successivo.

Il percorso rimane aperto e le prospettive ricche di promesse.


[1] Ufficio Catechistico Diocesi di Bergamo, Uno sguardo di prospettiva. Rilettura dell’indagine sull’Iniziazione Cristiana. I dati si possono recuperare dal sito della diocesi. Una valutazione del cammino di rinnovamento dell’Iniziazione Cristiana nella diocesi di Treviso si può trovare nel testo: A. Zanetti, Iniziazione Cristiana e comunità. Criteri per una verifica sul campo, Marcianum Press, Venezia 2022.

[2] Conferenza Episcopale Italiana, Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia, EDB, Bologna 2014.

 

ALTRI ARTICOLI:

Gli atti raccolgono le relazioni presentate al Convegno Nazionale dei Direttori UCD (30 giugno – 2 luglio 2022) e in appendice il Processo di verifica di “Incontriamo Gesù
14 Dicembre 2022

«La catechesi non può essere come un’ora di scuola, ma è un’esperienza viva della fede che ognuno di noi sente il desiderio di trasmettere alle nuove generazioni». Papa Francesco ha consegnato questo orizzonte ai partecipanti al Congresso internazionale dei catechisti il 10 settembre 2022.

Risaltano tre parole preziose: esperienza, desiderio e generazioni. Sono le parole che ritroviamo abbondantemente richiamate e approfondite anche in questo agile strumento, che con gioia consegniamo idealmente alle Chiese locali. La prima parte raccoglie gli interventi del Convegno dal titolo Catechista testimone credibile, che si è svolto a Roma dal 30 giugno al 2 luglio 2022 e che ha visto la partecipazione dei Direttori degli Uffici Catechistici diocesani e regionali; la seconda parte raccoglie invece una serie di contributi, che consentono di fare una verifica pastorale degli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi Incontriamo Gesù a quasi dieci anni dalla sua pubblicazione avvenuta nel 2014.

Vai alla pagina dedicata al Processo di verifica di Incontriamo Gesù

Auguri di Buon Natale

Chi fra noi celebrerà il Natale? Colui che finalmente deporrà davanti alla mangiatoia ogni violenza, ogni onore, ogni apparenza, ogni presunzione, ogni arroganza, ogni ostinazione. Colui che starà dalla parte degli umili e considererà grande solo Dio. Chi nel bimbo dentro la mangiatoia vedrà la gloria del Signore proprio nell’umiltà. Chi dirà con Maria: “Il Signore ha guardato la mia umiltà. La mia anima magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore” (D. Bonhoeffer)

 

Auguriamo a voi e alle vostre famiglie un sereno Santo Natale e un gioioso Anno Nuovo, ricco di nuove realizzazioni e soddisfazioni

 

 

 

 

Seminario IRC 2022: la domanda formativa degli insegnanti di religione

Seminario IRC 2022 tenutosi il 3 dicembre 2022 presso l’Istituto di Catechetica- Facoltà di Scienze dell’Educazione- Università Pontificia Salesiana

 

La domanda formativa degli insegnanti di religione: tema consueto per chi ha a cuore le sorti della scuola, tema di rinnovato interesse nell’attuale fase di impegnativa uscita dalla lunga parentesi provocata dalla pandemia. Tema fatto proprio dall’Istituto di Catechetica, oggetto di un Seminario di Studio, svoltosi sabato 3 dicembre 2022.

All’origine dell’iniziativa il desiderio di riavviare la pluridecennale attività di ricerca e formazione permanente nel campo dell’IRC, curata dal Prof. Zelindo Trenti. Poi l’urgenza di allungare lo sguardo al futuro prossimo, ragionando sulle esigenze formative degli IdR in base a dati d’indagine aggiornati e dati di fatto.

Lavori aperti con il saluto dei Proff. Antonio Dellagiulia (Decano FSE) e Giuseppe Ruta (Direttore ICa) e l’introduzione del Prof. Sergio Cicatelli (FSE).

Una metodica “ribaltata” ha creato la condizione per partire dall’ascolto dei bisogni formativi, attraverso la riflessione partecipata in due gruppi di docenti in servizio nei quattro ordini d’istruzione – guidati dai Prof. Giuseppe Cursio (FSE) e Patrizia Cupini (IdR Roma) – e la successiva condivisione plenaria, moderata dalla Prof. Sr. Anna Peron (Auxilium).

Alla luce di quanto raccolto nel primo momento, due relatori hanno offerto criteri di lettura e orientamenti di prospettiva: don Fabio Landi (Diocesi di Milano – Ufficio Scuola) ha tracciato un quadro di criticità e risorse, evidenziando temi formativi che esprimono l’attuale sensibilità educativo-scolastica; F.R. Busnelli (FSE) ha posto a tema la questione dell’identità dell’adulto e le emergenze nella sua formazione, tracciando traiettorie attente ai bisogni degli IdR.

Il successivo dibattito, moderato dal Prof. G. Usai (FSE) e le conclusioni, affidate ancora al Prof. S. Cicatelli hanno fatto sintesi dei contenuti e raccolto l’attesa dei presenti per l’organizzazione di un’adatta offerta formativa già nel corso dell’attuale anno scolastico 2022-2023.

Al pomeriggio i lavori hanno avuto un gradito complemento nel dialogo con la Prof. Maria Raspatelli e il Prof. Antonio Curci. La Maria Raspatelli è IdR nella diocesi di Bari ed è stata insignita del prestigioso Global Teacher Award, riconoscimento promosso da Ask Education Award, che premia ogni anno i docenti più innovativi e creativi tra 110 Paesi. Interessante raccogliere dalla testimonianza diretta i tratti e le motivazioni del lavoro dell’IdR efficace e la descrizione dei risvolti educativo-didattici dell’attività di RadioPanettiNetwork, che progetta format radio-video originali, partendo da contenuti curricolari o relativi a problematiche sociali.

Un grazie particolare all’équipe dell’ICa, che ha varato l’iniziativa del Seminario IRC 2022 (S. Cicatelli, G. Cursio, C. Carnevale, A. Peron, G. Usai), coordinata dal Prof. Corrado Pastore.

 

Le scuole cattoliche per la tutela dei minori

Il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica ha pubblicato delle Linee guida con indicazioni per la vita scolastica e la formazione degli educatori

“La tutela dei minori nelle scuole cattoliche – Linee Guida” è il testo che il Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica (CNSC) rivolge a tutte le istituzioni educative cattoliche e di ispirazione cristiana, quale contributo alla cultura e all’azione promosse dalla Conferenza Episcopale Italiana per la prevenzione e il contrasto degli abusi sui minori.

Nella ferma convinzione che “la cura e la tutela dei minori sono una parte essenziale del compito educativo”, il CNSC intende offrire la visione “positiva e fiduciosa di chi intende rafforzare e migliorare la prassi educativa, servendosi di tutti gli strumenti a vantaggio della persona che cresce”. Si tratta di una scommessa sull’educazione. L’educazione integrale della persona, nella prospettiva dell’antropologia cristiana, infatti, “contiene in sé i semi della prevenzione e del contrasto di ogni forma di abuso”. In questo quadro si collocano gli interventi specifici, con il coinvolgimento dell’intera comunità educante e un particolare investimento nella formazione degli educatori.

Come ricorda S.E. mons. Claudio Giuliodori, presidente del CNSC, la finalità del testo è quella di “offrire a quanti lavorano nelle istituzioni educative cattoliche e di ispirazione cristiana alcuni criteri e indirizzi operativi. Si tratta di un’azione che ben si inserisce nelle prospettive pedagogiche a cui le scuole cattoliche si ispirano, volte a promuovere il vero bene della persona e dunque a prevenire e contrastare ogni ostacolo alla sua crescita armoniosa e integrale”.

Il documento è articolato in tre capitoli. Il primo (Presupposti di fondo) inserisce l’azione di prevenzione e contrasto degli abusi nel quadro del progetto educativo della scuola, “comunità di persone chiamata a prendersi cura di ciascun bambino e ragazzo per far fiorire la sua unicità”. Per questo, si evidenziano principi pedagogici quali la centralità dell’alunno e la corresponsabilità educativa con la famiglia, richiamando il ruolo di tutte le figure della comunità educante: insegnanti, coordinatori pedagogico-didattici; personale didattico; famiglie.

Il secondo capitolo (Maltrattamento, abuso e scuola) descrive i fenomeni da contrastare, soffermandosi sui diversi traumi e le loro conseguenze. Individua infine una strategia di prevenzione e protezione articolata in quattro azioni: osservare, ascoltare, accogliere, tessere reti per rilanciare.

Segue un’ampia sezione (Strumenti), di taglio prevalentemente giuridico, con una presentazione essenziale delle norme vigenti e indicazioni circa la trattazione delle segnalazioni. In appendice viene richiamata la struttura e l’azione della Chiesa italiana per la tutela dei minori e una serie di buone pratiche (Ispettoria Salesiana Lombardo Emiliana; Fondazione Gesuiti Educazione; FIDAE). In particolare, è riportata una scheda su un corso di formazione rivolto agli insegnanti.

In allegato il testo delle Linee guida e una scheda sintetica.

 

il Global Teacher Award 2022 alla professoressa Maria Raspatelli

La docente Maria Raspatelli si è aggiudicata il Global Teacher Award 2022e avremo piacere di ospitarla nel Seminario dell’Istituto di catechetica il 3 dicembre prossimo.

 

Il premio Global “Teacher Award è assegnato, ogni anno, dalla fondazione indiana Ask Education Award, tra gli insegnanti di 110 Paesi del mondo. Maria Raspatelli, docente dell’Istituto tecnico Panetti Pitagora di Bari, è la terza italiana ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento Nel 2021 a vincere era stato il marito, Antonio Curci, mentre nel 2020 aveva vinto Daniele Manni un docente di Lecce.

Insegna Religione ed è stata votata migliore docente al mondo da una giuria di esperti non cattolici. Un aspetto certamente non secondario, nella vicenda di Maria Raspatelli, insegnante dell’Istituto tecnico “Panetti Pitagora” di Bari, vincitrice del Global Teacher Award 2022, assegnato ogni anno da Aks education Award, organizzazione indiana che premia i professori più creativi e fonte di ispirazione per i propri alunni, di 110 Paesi. «È stato un evento inatteso, perché al premio mi hanno candidata, a mia insaputa, la dirigente scolastica e mio marito, anche lui insegnante al “Pitagora Panetti”», si schermisce la professoressa Raspatelli. Che, notizia nella notizia, ha ricevuto il testimone dal coniuge, Antonio Curci, vincitore dello stesso premio nel 2021. Alla docente di Religione sono arrivate le «congratulazioni» dell’arcivescovo di Bari-Bitonto, Giuseppe Satriano, che sottolinea «il grande valore dell’impegno ad accompagnare con passione e dedizione i nostri giovani. Sono loro il vero premio della nostra vita, opportunità di crescita e cambiamento per affrontare le sfide di questo tempo», conclude il messaggio.

Professoressa, che significato attribuisce a questo premio?

L’ho dedicato a tutti gli insegnanti di Religione che lavorano nella scuola con grandi sacrifici, ma anche ai miei alunni.

Quale progetto riconosce?

Quello della web radio scolastica “Radio Panetti: un altro modo di fare scuola”, ideata 16 anni fa da mio marito e che, da dieci anni, vede anche la mia attiva collaborazione.

Di che cosa si tratta?

Di una radio che è anche un modello scolastico, che punta al protagonismo dei ragazzi, divisi in vere e proprie redazioni giornalistiche. Con loro lavoriamo sui contenuti ma anche sulla gestione delle emozioni e sulla scoperta dei talenti. È un modo di fare scuola orientata allo studente e al benessere generale in classe. Una scuola che mette l’umanità degli alunni prima di voti e programmi. Che, tra l’altro, non esistono più da decenni.

A chi si ispira il vostro modello?

Alla formazione integrale della persona, di cui ha parlato papa Francesco: testa, cuore e mano. Un modello che ho trasportato anche nelle mie ore di Religione.

In che modo?

Nel senso che lavoriamo per progetti e non per singoli argomenti. Perché l’ora di Religione non è il momento in cui, come tanti pensano, si parla dei “problemi” dei ragazzi. Serve un salto di qualità che, per la verità, tantissimi docenti stanno compiendo e non da ora. Si tratta di fare entrare il mondo nell’ora di Religione, per aiutare gli alunni a decodificarlo e a non sentirsi indifesi quando escono fuori. Cerco di portare l’esperienza cristiana nella scuola per far vedere come la Chiesa interagisce con il mondo e che proposta ha da offrire.

Qual è la risposta dei ragazzi?

Se guardiamo ai numeri, direi buona. Nelle mie classi ho il 96% di alunni che si avvalgono dell’insegnamento. Con loro cerco di leggere e interpretare tutto ciò che avviene nel mondo, secondo un progetto deciso insieme all’inizio dell’anno. L’obiettivo è abituare i ragazzi all’esercizio del pensiero critico e ad argomentare rispetto a questioni, come per esempio quelle legate alla bioetica, che sto trattando con i ragazzi più grandi, di quinta. E a confrontare le loro posizioni con quelle della Chiesa.

Con quali obiettivi?

Togliere di mezzo tanti pregiudizi che si hanno sulla Chiesa, per avvicinare gli studenti a un’esperienza ecclesiale che vedono, il più delle volte, in maniera negativa. I ragazzi sono in ricerca e a noi tocca il compito di intercettare questo loro desiderio di Dio, entrando in dialogo. Anche attraverso la testimonianza del nostro essere insegnanti, capaci di ritessere i fili delle esistenze che abbiamo in mano ogni giorno.

Paolo Ferrario mercoledì 16 novembre 2022

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/parla-maria-sul-podio-dei-prof-ecco-la-mia-ora-d

La gazzetta del Mezzogiorno»

 

 

Maria Raspatelli tra i migliori docenti al mondo: l’encomio dell’assessore Romano

Ormai da anni la docente cura insieme ad Antonio Curci – collega e marito – il progetto, sostenuto dal Comune di Bari, all’interno dell’istituto scolastico “Panetti-Pitagora”. A riconoscere il merito dell’iniziativa dei due coniugi è Paola Romano, assessore alle politiche giovanili, in un lungo post sui social: ”Da anni Maria cura il progetto con passione e dedizione. Durante il lockdown per la pandemia, fu creato un programma radiofonico serale, “Buonanotte Ragazzi”, pensato per accompagnare gli studenti e far loro compagnia in un momento di grande incertezza per tutti noi. Il programma era curato dai ragazzi e dai loro docenti, insieme” scrive l’assessore del capoluogo pugliese.

L’attività della professoressa Raspatelli dovrebbe essere un esempio e ” ricorda a tutti noi il valore e l’importanza dei docenti, capaci di far crescere i nostri bambini e i nostri ragazzi, di valorizzare talenti o di scoprire potenzialità sino a quel momento poco visibili” prosegue Romano che conclude ”Il riconoscimento ottenuto da Maria è anche un invito alla nostra comunità, a essere consapevoli della qualità di chi ha dedicato la propria vita professionale all’educazione delle giovani generazioni”. Il premio della professoressa Raspatelli si aggiunge a quello vinto dal marito, Antonio Curci, vincitore nella scorsa edizione.

https://www.skuola.net/scuola/prof-religione-maria-raspatelli-migliori-docenti-al-mondo.html

 

 

Seminario di Studio: la domanda formativa degli Insegnanti di Religione

3 dicembre 2022 presso l’Istituto di Catechetica- Facoltà di Scienze dell’Educazione- Università Pontificia Salesiana

 

In continuità con una lunga Tradizione, l’équipe di Pedagogia religiosa dell’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione della Università Pontificia Salesiana di Roma, riprende, dopo la sospensione nel periodo della pandemia, il Seminario di Studio per Insegnanti di Religione, che si realizzerà sabato 3 dicembre, presso l’Università Salesiana.

Il tema del Seminario è: La domanda formativa degli Insegnanti di Religione.

Ci si propone di individuare i bisogni degli IdR. Attraverso un Brainstorming autobiografico, diversi docenti di religione condivideranno il proprio punto di vista sul tema.

Faranno seguito due relazioni.

La prima, da parte di don Fabio Landi, fa il punto sulla situazione.

La seconda, della Professoressa Francesca Romana Busnelli, presenta un modello teorico di formazione degli adulti, nel nostro caso docenti di religione.

 

Programma

8.45-9.00 Accoglienza

9.00-9.15 Saluto del Decano della Facoltà di Scienze dell’Educazione, prof. Antonio Dellagiulia

Prima Parte

9.15 – 9.30 Introduzione

9.30 – 10.00 Brainstorming sulla domanda formativa degli Insegnanti di Religione

10.00 – 10.30 Condivisione in Plenaria

10.30 – 10.50 Coffee Break

Seconda Parte

10.50 – 11.30 Prima Relazione: Don Fabio Landi, Il punto della situazione sulla formazione degli Insegnanti di Religione

11.30 – 12.10 Seconda Relazione: Professoressa Francesca Romana Busnelli, Un modello teorico di formazione degli adulti.

12.10 – 12.40 Dialogo con i relatori

12.40 – 13.00 Conclusioni

 

ups – DomandaInsReligione-LOC

Pedagogia catechetica interculturale: strutturazione teorica per una disciplina emergente

di Antony Christy Lourdunathan sdb

 

Lo studio intende sviluppare un’adeguata impostazione teorica per la Pedagogia Catechetica Interculturale (ICP = Intercultural Catechetical Pedagogy), disciplina emergente definita nella prima parte dello studio come approccio all’interno del processo di educazione alla fede, reso possibile dall’incontro tra le discipline della teologia interculturale, della comunicazione interculturale e della pedagogia interculturale. Presenta l’ICP come il risultato di interazioni durature e vitali tra la fede cristiana, la cultura locale e le culture coesistenti in una comunità che promuove e favorisce una mentalità pedagogica, comprensiva della maturità cristiana. È presentata simultaneamente come un processo di approfondimento dell’identità personale, che genera significati interpersonali, sviluppa interdipendenze illuminanti e nutre la solidarietà universale, fondata su una visione olistica della fede, radicata in una determinata cultura. Il libro presenta la Pedagogia Catechetica Interculturale come pratica della comunicazione teologico-pedagogica della buona novella del Regno di Dio, promessa incomparabile e immortale per l’intera umanità.

 

Intercultural Catechetical Pedagogy: Theoretical Scaffolding for an Emergent Discipline

OVERVIEW

The Study intends to evolve an adequate theoretical scaffolding for Intercultural Catechetical Pedagogy (ICP), an emergent discipline defined in the first part of the Study as an approach within the process of education to faith, made possible as a result of a sustained encounter among the disciplines of Intercultural theology, Intercultural communication and Intercultural pedagogy. It presents ICP as an outcome of sustained life-defining interactions between Christian faith, local culture and the co-existing cultures in a community and as a pedagogical mindset which understands Christian Maturity, at one and the same time, as a process of deepening personal identities, fostering interpersonal meanings, developing enlightening interdependencies and promoting universal solidarity, grounded on a holistic vision of faith, rooted in a culture. The book presents, Intercultural Catechetical Pedagogy as a practical theologico-pedagogical communication of the good news of the Reign of God, which is an incomparable and undying promise to the entire humanity.

 

Lourdunathan Antony Christy – Intercultural Catechetical Pedagogy

 

Disponibile:

all’Istituto di Catechetica e anche su

https://www.ispck.org.in/book/intercultural-catechetical-pedagogy