Comunità cristiana, associazionismo, università: luoghi dell’educazione

In vista dell’88ª Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore, fissata per il prossimo 22 aprile 2012, il Convegno nazionale “Comunità cristiana, associazionismo, università. Luoghi dell’educazione”, promosso dall’Azione Cattolica Italiana e dalla stessa Università Cattolica, è stato occasione per riflettere e approfondire importanti questioni relative all’educazione, all’interno del decennio pastorale che la Chiesa italiana ha dedicato a questo tema.

Per mettere in evidenza la centralità della comunità, la relazione introduttiva è affidata a mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, di cui riportiamo il testo qui di seguito:

Comunita cristiana associazionismo universita Mons. Crociata

Al cuore del suo intervento l’intuizione che:

“È la comunità cristiana, anzitutto, a rivelarsi un vero e opportuno luogo dell’educazione. Emerge qui, sempre di più, la consapevolezza di ciò che significa un’autentica formazione dell’identità di una persona. Tale formazione non può riferirsi a un individuo isolato, chiuso in se stesso, ma può realizzarsi solamente in un contesto comunitario, caratterizzato da incontri significativi, esperienze, relazioni. Bisogna rifiutare, come insegna il Papa, quella falsa idea di autonomia per cui l’essere umano si concepisce come in “io” in sé completo. L’essere umano diventa tale solo nella relazione con il “tu”, solo all’interno dello spazio aperto dal “noi”: solo, dunque, in una dimensione comunitaria”

Il convegno ha voluto inoltre costituire una prima occasione per favorire, con rinnovato vigore, la piena collaborazione tra l’Azione Cattolica e l’Università Cattolica. Ravvivando un legame che del resto non è mai andato smarrito sin dalle origini, dato che l’Ac è stata tra i fondatori dell’Università Cattolica, attraverso l’opera iniziale di Armida Barelli e l’apporto continuo di professori e studenti di Ac che ancora oggi costituiscono un patrimonio di conoscenze ed esperienze preziose per tutti.

Come ricorda il presidente nazionale dell’Azione Cattolica e membro del consiglio di amministrazione dell’Università Cattolica, Franco Miano, «la finalità dell’Università Cattolica è in qualche modo speculare a quella dell’Azione Cattolica. In questo senso, per un’associazione di laici, qual è l’Ac, è fondamentale avere un’interlocuzione privilegiata con l’Ateneo di Padre Gemelli, in quanto luogo importantissimo e significativo dal punto di vista della cultura e della testimonianza cristiana nel nostro Paese».

È noto come l’università italiana al momento viva processi di trasformazione spesso segnati da difficoltà oggettive, anche nel reperire risorse.

Azione Cattolica e Università Cattolica possono e vogliono, per Miano, «contribuire a tessere quelle relazioni che possono favorire la dimensione della partecipazione civile, essenziale alla formazione di una classe dirigente, ma anche una presenza cristiana culturalmente apprezzata e all’altezza dei tempi, capace di entrare nei nodi vivi della questione antropologica, in termini di elaborazione a tutto campo: economico, scientifico, umanistico e, soprattutto, in termini di trasmissione dei valori alle giovani generazioni». Come ebbe a dire Benedetto XVI – aggiunge il presidente Miano – «l’Università è stata, ed è destinata ad essere per sempre, la casa dove si cerca la verità propria della persona umana» (Incontro con gli universitari, Gmg 2011, Madrid).

Programma

Locandina

Religioni, cultura e integrazione

I leader di tutte le religioni, presenti nel nostro Paese, si sono ritrovati ieri a Palazzo Chigi per trovare insieme una via italiana all’integrazione.

L’incontro è stato promosso dal ministro alla Cooperazione internazionale e all’Integrazione, Andrea Riccardi, che in collaborazione con il ministero dell’Interno, rappresentato dal ministro Annamaria Cancellieri, ha indetto una Conferenza permanente “Religioni, cultura e integrazione”.

“Ci unisce – ha detto il ministro Riccardi – la preoccupazione per un passaggio delicato della società italiana: l’integrazione”. In questo senso, “le comunità religiose e i loro responsabili posso essere mediatori per l’integrazione virtuosa nella società italiana”.

Riproponiamo qui l’intervista a Gino Battaglia realizzata dal SIR:

Quali le finalità e le novità dell’incontro di ieri?
“È stato un incontro dei responsabili delle diverse comunità religiose in Italia. Comunità che ovviamente non sono omologabili tra loro, data la disparità di questi mondi religiosi, per cui si andava dal vescovo della Chiesa ortodossa romena al presidente dell’Unione buddista italiana. E poi erano presenti alcuni rappresentanti del mondo accademico coinvolti a vario titolo in questo tipo di problematiche. La finalità dell’iniziativa, credo sia quella di esaminare alcuni grandi dossier che riguardano l’integrazione, e di affrontarli da un punto di vista anche religioso. Si è parlato, per esempio, della scuola, delle intese, dei luoghi di culto, della formazione e dell’ingresso dei ministri di culto, ecc. C’è stato poi un momento di riflessione comune in cui i diversi esponenti religiosi hanno espresso le loro problematiche e le loro attese. L’intenzione, dunque, è quella di esaminare, di volta in volta, alcuni argomenti sensibili e importanti che possono avere una rilevanza per l’integrazione di queste comunità nel nostro Paese. Non è stata stabilita un’agenda, però c’è la prospettiva di ulteriori incontri”.

Ma che cosa ci si attende dai leader religiosi?
“Mi sembra che lo sfondo sia la ricerca di un modello d’integrazione italiano. C’è la preoccupazione di arrivare a delineare una via d’integrazione italiana, considerando che quello dell’immigrazione e dell’immigrazione di cittadini di altra religione, oltre che di altra nazionalità, sia un fatto relativamente recente per il nostro Paese, che necessita di una riflessione che chiami in causa anche i responsabili religiosi di queste comunità. Mi sembra poi che l’aspetto positivo è l’aver individuato nei leader religiosi dei possibili mediatori d’integrazione. I leader religiosi possono fare qualcosa a questo livello perché hanno un pulpito e hanno un seguito e perché, in fondo, l’appartenenza religiosa è un aspetto importante dell’identità di chi è immigrato, che anzi può essere addirittura riscoperto nell’esperienza della migrazione”.

La riunione a Palazzo Chigi è coincisa con il giorno in cui a Tolosa un uomo ha sparato davanti ad una scuola ebraica ammazzando 4 persone, di cui 3 bambini. È un monito per i leader religiosi?
“L’attentato di Tolosa è stato ricordato durante la riunione. Si tratta di un gesto antireligioso perché non ci può essere nessuna religione che accetta o che ammette l’uso della violenza per dare la morte ad altri. Certo, occorrerà attendere di capire la reale matrice che sta sotto all’attentato di Tolosa. Sembra che ci sia una motivazione neonazista. Rimane comune il problema di purificare, disintossicare il clima, perché certi discorsi circolano e, alla fine, una certa predicazione del disprezzo o dell’intolleranza può anche ispirare gesti folli”.

La coppia alternativa alla famiglia? una risposta dal nuovo rapporto CISF

 

Questo pomeriggio a Milano (Auditorium Don Alberione, Via Giotto 36 – ore 14.30) si terrà il seminario “Prendersi cura della coppia, nuova sfida per i servizi”.
L’obiettivo è quello di riflettere sul Rapporto 2011 del Cisf (Centro Internazionale Studi Famiglia), “La relazione di coppia oggi. Una sfida per la famiglia”, che evidenzia quanto l’attenzione alla relazione di coppia sia essenziale per tutti i servizi socio-assistenziali e socio-sanitari che si trovino di fronte un bisogno di natura familiare.

Verranno inoltre offerte alcune indicazioni operative sulle modalità di presa in carico e sulle risposte che il sistema integrato dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari offre alle famiglie.
Tra i relatori dell’incontro:
Pierpaolo Donati, curatore Rapporti Cisf e docente di sociologia della famiglia (Università di Bologna);
Francesco Belletti, direttore Cisf e presidente Forum associazioni familiari;
Donatella Bramanti, sociologa, e Marina Mombelli, psicologa e psicoterapeuta di coppia e familiare (Università Cattolica (Milano)
visualizza:
a cura del: Centro Internazionale Studi Famiglia

 

Primo Rapporto sull’intolleranza religiosa in Europa

Si registrano sempre più casi d’intolleranza e di discriminazione nei confronti dei cristiani in Europa. Allo stesso tempo, il crescente interesse dei media ha dato voce all’anonima sofferenza di casi di persone che sempre più acquisiscono una rilevanza internazionale.

È quanto emerge dal Rapporto 2011 sui casi d’intolleranza e di discriminazione dei cristiani in Europa che viene pubblicato oggi sul sito dell’Osservatorio sull’intolleranza e sulla discriminazione religiosa in Europa (Oidce).

Il Rapporto (disponibile su www.intoleranceagainstchristians.eu) “è l’unica indagine esauriente esistente riguardo alla situazione dei cristiani in Europa”.

Le statistiche. L’Osservatorio è una Ong (Organizzazione non governativa) registrata in Austria. È membro della piattaforma per i diritti fondamentali dell’Agenzia Ue per i diritti fondamentali e lavora in stretta collaborazione con l’Osce. Strumento primario di lavoro è il sito che monitora e cataloga istanze in cui i cristiani e la cristianità sono marginalizzati o discriminati in Europa (Ue, Paesi che stanno per accedervi e in generale il continente). I veicoli principali per raccogliere le informazioni sono le fonti stampa e gli individui. A sua volta fornisce informazioni alle Organizzazioni governative internazionali e, in particolare, all’Osce. Le statistiche, per quanto difficili da reperire, mostrano l’ampiezza del problema: 74% degli interpellati in un sondaggio effettuato nel Regno Unito affermano che c’è più discriminazione negativa contro i cristiani che contro le persone di altre fedi. L’84% del crescente vandalismo in Francia è diretto contro i luoghi di culto cristiani. In Scozia, il 95% della violenza a sfondo religioso ha come obiettivo i cristiani. Gli incidenti d’intolleranza e discriminazione contro i cristiani sono suddivisi dall’Osservatorio in diverse categorie: libertà di religione, libertà di espressione, libertà di coscienza, politiche discriminatorie, esclusione dei cristiani dalla vita politica e sociale, repressione dei simboli religiosi, insulto, diffamazione e stereotipi negativi, incidenti per odio, vandalismi e dissacrazione e, da ultimo, crimini di odio contro singoli individui.

I casi. Nel Rapporto vengono annoverati casi come la denuncia del maggio 2011 contro papa Benedetto XVI per crimini contro l’umanità, a motivo delle posizioni in materia di morale sessuale, oppure la campagna all’Università di Granada per rimuovere dall’ateneo la Facoltà di teologia, vista come violazione dei principi costituzionali spagnoli di laicità e neutralità. Numerosi i casi riportati dalla Germania in cui emerge una forte limitazione alla libertà di associazioni confessionali di svolgere attività anti-abortive. In Inghilterra, a Jersey, i postini si sono rifiutati di distribuire in tutte le case cd contenenti registrazioni del Vangelo di san Marco. Casi d’intimidazione si sono registrati anche verso professionisti che facevano obiezione di coscienza su temi come aborto ed eutanasia. Come il caso di una farmacia di Berlino assalita dai vandali perché il farmacista non ha venduto la pillola del giorno dopo, a motivo delle sue convinzioni cattoliche. Esistono, poi, casi di esclusione dei cristiani dalla vita sociale e pubblica (come il tentativo in Spagna di sopprimere cappellanie e altri luoghi di culto dagli atenei); casi di diffamazione (come il cartone animato italiano che attribuiva al Papa parole diffamatorie nei confronti dei sacerdoti cattolici). Infine sono numerosissimi i riferimenti a casi di “vandalismo e dissacrazione di Chiese e oggetti sacri” in Austria, Germania, Spagna e, soprattutto, Francia. Il Rapporto ricorda anche quanto si era verificato durante la Giornata mondiale della gioventù a Madrid: diversi partecipanti erano stati picchiati da un gruppo di dimostranti anti-Papa.

I commenti. “Siamo stati colpiti positivamente nel vedere – scrive il direttore dell’Osservatorio, Gudrun Kugler, nell’introduzione del Rapporto – che molti di coloro che si erano concentrati esclusivamente sui Paesi del terzo mondo e avevano riportato notizie di persecuzioni violente, hanno cominciato a notare che la marginalizzazione e la restrizione dei diritti e delle libertà dei cristiani in Europa sono preoccupanti e meritano attenzione”. “Il nostro lavoro mira a incoraggiare le vittime dell’intolleranza e della discriminazione a raccontare le loro storie, e a creare consapevolezza tra le persone di buona volontà che il fenomeno dovrebbe essere preso sul serio e che necessita risposte comuni”. Sulla stessa lunghezza d’onda, l’osservazione di mons. András Veres, vescovo Szombathely (Ungheria) e incaricato dal Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali europee) a seguire le attività dell’Oidce. Il Rapporto, dice, vuole “essere un invito per tutti i cristiani che abbiano sperimentato una forma di discriminazione e/o d’intolleranza per la loro appartenenza confessionale a uscire dall’anonimato e a farsi coraggio: credere in Dio non deve essere percepito come una colpa o un segno di debolezza”. “Vivere e testimoniare il proprio credo religioso nel rispetto della libertà e sensibilità altrui non potrà che essere di beneficio per tutti, credenti o non, cristiani o non. I vescovi d’Europa si sentono solidali con quanti non vedono i propri diritti rispettati e ricordano che la libertà religiosa è un bene prezioso che va custodito così da continuare a essere un pilastro della pace del nostro continente”.

da: SIR Servizio d’informazione religiosa

Visualizza il rapporto:

“Intolerance and discrimination against christians in Europe”

Convegno Nazionale della Pastorale della Scuola

“Educare nella scuola alla vita buona del Vangelo”  Verona, 19-21 marzo 2012

Il convegno inizia con un approfondimento degli Orientamenti Pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo”.

Segue la partecipazione dei risultati della ricerca su “Gli Uffici Diocesani della pastorale della scuola”, promossa dal “Centro Studi della Scuola Cattolica” in collaborazione con l’Istituto di Sociologia dell’Università Pontificia Salesiana.

Sono previsti interventi di carattare teologico e pedagogico, in vista dell’elaborazione di alcune linee di pastorale della scuola.

Visualizza il: programma del convegno

 

“Educare alla cittadinanza responsabile” con le scuole di formazione socio-politica

“Educare alla cittadinanza responsabile”, è il titolo del Convegno  Nazionale tenutosi a Roma il 2-3 Marzo, promosso dall’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro e dal Servizio per il progetto culturale della Cei, per mettere a punto le realtà delle scuole e laboratori di formazione sociale che sono nate nelle diocesi italiane. Hanno partecipato al convegno i responsabili delle 96 scuole e iniziative di formazione all’impegno socio-politico promosse dalle diocesi.

Le scuole di formazione socio-politica – ha affermato in apertura il segretario generale della Cei, mons.Mariano Crociata– non hanno come scopo “la preparazione immediata di un personale politico”, ma sono chiamate a far crescere la “coscienza” della “responsabilità di ogni credente”.

La relazione di Crociata ha evidenziato i punti forza e di debolezza della proposta formativa rimarcando che: “che fare formazione socio-politica in questi anni debba significare fornire gli strumenti di conoscenza e di giudizio, alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa ma in una precisa prospettiva”, cioè guardando oltre la crisi “per aiutare a immaginare e a cogliere in anticipo le condizioni del suo superamento”. Scopo delle scuole, ha precisato, non è la “preparazione immediata di un personale politico pronto a spendersi – per così dire – sul mercato del confronto istituzionale e della dialettica partitica”, “tuttavia esse rappresentano un passaggio, che si può rivelare perfino insostituibile, là dove chi si sente chiamato a servire la collettività nella forma dell’impegno politico” prende coscienza “dell’esigenza di far maturare la propria vocazione in un percorso ecclesiale che, nel quadro ordinario della vita cristiana, fornisca elementi specifici di conoscenza scientifica e di giudizio illuminato dalla fede, per esercitare il giusto discernimento e operare le scelte opportune”.
Mons. Crociata ha quindi sottolineato che l’impegno diretto in politica “può essere solo una chiamata personale, non certo un mandato ecclesiale”. D’altra parte, ha aggiunto, “il passaggio dall’ideale di bene alla sua traduzione nella vita associata richiede la capacità di cercare di raccogliere, orientare, convincere, motivare, accordare libere coscienze verso un’unità d’intenti o, almeno, di decisioni il più possibile largamente condivise”. Per questo “l’esigenza di una nuova generazione di credenti impegnati in politica presuppone e contiene un’esigenza più profonda e diffusa di carattere generale”. Di conseguenza le scuole di formazione sono chiamate a “far crescere la coscienza” della “responsabilità di ogni credente nella vita sociale e la necessità dello sviluppo del senso civico”.
Durante la prima sessione di comunicazione sono intervenuti diversi esponenti del mondo universitario italiano. Un dibattito abbastanza partecipato ha evidenziato la vivacità delle scuole e del loro ruolo nelle realtà territoriali.ù

MATERIALI DEL CONVEGNO

INTRODUZIONE AL CONVEGNO DELLE SCUOLE DI FORMAZIONE POLITICA DI MONS. CROCIATA:” Educare alla cittadinanza responsabile

INDAGINE SULLE ESPERIENZE DIOCESANE DI FORMAZIONE ALL’IMPEGNO SOCIO-POLITICO Report marzo 2012 DI Prof. Lorenzo BIAGI, Segretario generale della Fondazione Lanza, Padova

CONTENUTI E METODO PER UN’AUTENTICA FORMAZIONE ALL’IMPEGNO SOCIO-POLITICO di Don Walter Magnoni Teologo Morale e Direttore del Servizio per la Pastorale Sociale e del Lavoro dell’Arcidiocesi di Milano MAGNONI

RACCONTO DI ESPERIENZE  NORD-CENTRO-SUD

SINTESI DEI LAVORI (SIR – Servizio d’informazione religiosa)

«Famiglie in esilio. Ferite, ritrovate, riconciliate»

Per oltre vent’anni pastore di una grande città come Milano, il card. Carlo Maria Martini ha avuto numerose occasioni di contatto diretto con persone e famiglie. Incontrandole e ascoltandole, ha potuto incontrare e conoscere la varietà di situazioni familiari esistenti nel contesto di una società mutata nella coscienza degli ideali, dei valori e delle responsabilità, sia individuali che pubbliche, e di riflesso anche nella mentalità, nei comportamenti e negli stili di vita.

Anche la famiglia, per secoli struttura di riferimento del vivere sociale, è rimasta profondamente scossa in tutto questo rivolgimento di idee, costumi e prospettive. Il problema pastorale, di fronte a una situazione così problematica, emerge quindi con evidenza. Se poi, dalla famiglia nel suo complesso, si passa ai ragazzi e ai giovani, si delineano altri aspetti delle carenze e dei conflitti che agitano la famiglia d’oggi.

In questo libro il cardinale Martini, con le sue parole, ci ricorda che per essere e rimanere una famiglia cristiana, c’è un lungo percorso da compiere, nel bel mezzo dei problemi e delle sofferenze di cui è fatta la storia di ogni famiglia. Perché – come fa notare Giuliano Vigini nella Prefazione al volume, di cui anticipiamo alcuni stralci – non bisogna mai cedere alla tentazione che tutto sia perduto.

RIFLESSIONE: da Avvenire del 18 febbraio 2012  “Contro la «tentazione» della famiglia debole”

la fuga dall’ora di religione nelle scuole italiane – dossier

Proponiamo i dati dell’ultimo rapporto della Conferenza Episcopale Italiana sull’insegnamento della religione nelle scuole.

I dati della Cei: per la prima volta la quota di chi non fa l’ora di religione supera il 10%. In testa le superiori e le scuole del Nord e del Centro. E crescono anche i docenti specialisti, ovvero i laici dedicati all’insegnamento. Complice il calo di vocazioni, sono l’88%

NON SI ARRESTA la fuga dall’ora di religione nelle scuole italiane. L’ultimo rapporto del Servizio nazionale della Conferenza episcopale italiana per l’insegnamento della religione cattolica conferma un trend che sembra ormai ormai inarrestabile. Per la prima volta dal 1993/1994, quando venne fatta la prima rilevazione, la quota di alunni che preferiscono uscire dalle classi quando entra l’insegnante di religione scende sotto il 90 per cento: l’89,8, per la precisione. E la pattuglia di coloro che, mentre il prof di religione parla di Gesù e di fede, si dedicano ad altro sfiora le 800 mila unità. 

Ma l’annuale dossier della Cei, relativo all’anno scolastico 2010/2011, conferma un altro trend: gli specialisti di religione – coloro che insegnano esclusivamente questa materia, designati dai vescovi delle 226 diocesi italiane – sono in costante in aumento. Con sacerdoti, religiosi e religiose in “via d’estinzione”. L’ordine di scuola dove le defezioni sono più consistenti è la scuola superiore, con poco più di 16 ragazzi su 100 che escono dalle aule durante l’ora di religione. 

Un fenomeno concentrato soprattutto nelle regioni settentrionali e dell’Italia centrale. Al Nord le “fughe” sfiorano il 27 per cento e il 19 al Centro. Al Sud invece cambia tutto: appena 2,4 diserzioni su cento. Ma rispetto all’anno scolastico 2009/2010, a livello nazionale, al superiore si registra un’inversione di tendenza. Due anni fa, la quota di genitori o alunni che hanno sottoscritto l’apposito modulo per evitare le discussioni dell’ora di religione è stata del 16,5 per cento. In tutti gli altri segmenti della scuola pubblica italiana, probabilmente a causa della forte componente di immigrati che professano altre religioni, si registrano incrementi. 

Con un record, più uno per cento secco, alla materna: che passa dal 7,5 all’8,5 per cento di forfait in appena 12 mesi. Al superiore i meno avvezzi a “prediche” e discorsi intorno alla morale o ai problemi dei giovani sono gli studenti dei licei artistici (individuati nel dossier come “altre” tipologie di scuole): 21,2 per cento. Seguono i ragazzi dei professionali, che disertano l’ora di religione in 20,7 su cento, e i compagni dei tecnici. La maggior parte di questi, il 57,3 per cento, esce dalla scuola. La restante parte si dedica ad “attività didattiche e formative alternative” oppure ad attività di “studio: assistito o non assistito”.   

E anche quest’anno il complesso universo degli insegnanti reclutati dallo stato per impartire le lezioni di religione si arricchisce di qualche centinaio di unità. Gli specialisti, infatti, passano dai 12.894 del 2009/2010 ai 13.166 dell’anno successivo, facendo segnare un più 2 per cento. Unica “materia” della scuola italiana che negli ultimi anni contrassegnato da tagli sopra tagli può vantare un trend positivo. Ma che, per effetto del calo delle vocazioni, viene sempre più affidata a laici: ormai 88 su cento.

Rapporto Unicef: “dove la scuola è un lusso”

La stima è dell’Unicef, contenuta all’interno del rapporto “La condizione dell’infanzia nel mondo 2012: Figli delle città”, presentato oggi in contemporanea in tutto il mondo.

Le opportunità per chi vive nelle aree urbane non sono accessibili in modo uniforme. In Egitto, nel biennio 2005-2006, il 25% dei bambini nelle aree urbane ha frequentato la scuola materna, contro il 12% dei bambini nelle aree rurali. Appena il 4% dei bambini appartenenti alla fascia del 20% delle famiglie urbane più povere ha frequentato la scuola materna.

A Delhi, in India, poco più del 54% dei bambini degli slum frequentava la scuola primaria (dsto  2004-2005), rispetto al 90% dei bambini nel resto della metropoli.

In Bangladesh, secondo dati del 2009, le differenze sono ancora più pronunciate al livello dell’istruzione secondaria: il 18% dei bambini degli slum frequenta la scuola secondaria, rispetto al 53% delle altre aree urbane e al 48% delle zone rurali

Le famiglie più povere fanno fatica a pagare le tasse scolastiche: una recente ricerca condotta a San Paolo (Brasile), Casablanca (Marocco) e Lagos (Nigeria), ha riscontrato che il 20% delle famiglie più povere spende oltre un quarto del reddito familiare per mantenere i figli a scuola.

Si stima che oltre 200 milioni di bambini sotto i cinque anni di età, nei Paesi in via di sviluppo, non arrivino a raggiungere il proprio potenziale in termini di sviluppo cognitivo

67 milioni di bambini in età scolare (dato 2008) non frequentano un solo giorno di lezione nella scuola primaria: il 53% sono bambine.

Visualizza Rapporto: UNICEF 2012 Figli delle città – Scheda dati 2 Istruzione – Unicef Italia

La religiosità in Italia: tanti se e tanti ma… i risultati di una indagine

Il tema della religiosità in Italia è uno dei capitoli del volume edito da Vita e Pensiero, «Uscire dalle crisi. I valori degli italiani alla prova», che raccoglie i risultati della ricer­ca sugli orientamenti di valore dei cittadini europei, condotta dall’European Values Studies (Evs).

Dall’indagine emerge che il 78% degli italiani è cattolico ma la vita dopo la morte crea dubbi

Credono in Dio, si ritengono religiosi, dan­no importanza alla fede nella loro vita, ma mettono in dubbio l’esistenza del­l’inferno, del paradiso e persino di una vita do­po la morte. È una fotografia con diverse con­traddizioni quella scattata dalla quarta indagi­ne sui valori degli europei, i cui risultati sono contenuti nel volume «Uscire dalle crisi. I valo­ri degli italiani alla prova» (edito da Vita e Pen­siero) curato dal sociologo Giancarlo Rovati do­cente dell’Università Cattolica. Uno dei capi­toli del libro, che sarà al centro del convegno di oggi, nella sede milanese dell’ateneo cattolico, è dedicato alla «realtà religiosa in Italia», affi­dando al professor Clemente Lanzetti, ordina­rio di Sociologia della religione all’Università Cattolica, l’analisi dei risultati.

«Attualmente il 78% della popolazione italiana maggiorenne – si legge – si riconosce nella fe­de cattolica e soltanto due italiani su cento si professano di altra religione». Un dato in leg­gero calo (-3,1%) rispetto a un’indagine con­dotta dieci anni prima, ma che farebbe inten­dere una consistente presenza di cattolici nel nostro Paese. L’uso del condizionale è però d’obbligo, soprattutto quando l’indagine af­fronta temi dottrinali, etici e morali legati alla fede cattolica. Si scopre, così, che se un confor­tante 59% degli italiani crede in «Dio persona­le e creatore che ama l’essere umano» (affer­mazione in linea con la fede cattolica), c’è un 24,6% per cui Dio è «qualche forma di spirito o forza vitale», mentre un 14,8% addirittura non sa ri­spondere.

Meno lusinghiero il risul­tato sul quesito «se esista o meno una sola religione vera», quella cattolica in particolare. Solo il 20,1% ri­sponde sì, a cui va aggiun­to un 26% che aggiunge che «anche le altre religio­ni contengono elementi di verità». A questo 46,1% si contrappone un 40,6% per il quale «non c’è una sola religione vera, ma tutte le grandi religioni contengono alcune verità fon­damentali ». Con molta probabilità, sottolinea la ricerca, quest’ultima risposta potrebbe na­scere dalla presenza di persone di altre religio­ni e della necessità di trovare con loro elemen­ti comuni per creare una comunità. Qualche sorpresa arriva anche dalle risposte ai quesiti su alcune verità di fede. Tra chi si defi­nisce genericamente religioso il 67,3% crede nell’esistenza della vita dopo la morte, mentre tra chi si dichiara praticante si arriva al 75,5%. Le cose non vanno meglio per paradiso e in­ferno: tra i praticanti ci credono rispettivamente il 70,5% e il 58,3%, mentre tra chi si dice religioso scendiamo al 60,6% e al 49,7%. Vi è addirittura un 17,1% di praticanti che crede nella reincarnazio­ne.

Insomma italiani religiosi, cattolici, ma con una fede che spesso diventa quasi individuale. «Questo pro­cesso – si sottolinea nella ricerca – non porta ne­cessariamente a posizioni di individualismo in campo religioso, né sta portando a una pro­gressiva irrilevanza della dimensione religiosa, ma a un diverso modo di rapportarsi a essa. Ba­sti pensare che, nonostante si registri un calo in percentuale negli ultimi dieci anni su molti indicatori di religiosità istituzionale, non risul­ta diminuire l’importanza che le persone dan­no alla religione nella propria vita»: il 32,8 ri­sponde «molto» e il 38,9» dice «abbastanza» per un totale di 71,7% degli intervistati. E anche sull’idea di una progressiva secolarizzazione dell’Italia, il rapporto invita alla cautela. «Gli i­taliani sono significativamente al di sotto del li­vello medio generale di secolarizzazione – si spiega ancora nella ricerca –, posizionandosi al 39° posto in una classifica di 48 Paesi analizza­ti ». Analoga situazione per quanto riguarda la partecipazione ai riti religiosi. «Una partecipa­zione che negli ultimi quarant’anni è pressochè stabile, oscillando attorno al 30%».

La stessa ricerca non trae conclusioni, anche se sottolinea come «quando si tratta di argo­menti religiosi, oggi molti preferiscono con­servare un atteggiamento di ‘ricerca’». Si trat­ta di «un cambiamento riconducibile al pro­cesso crescente di individualizzazione del cre­dere, che ha una pluralità di esiti in ambito re­ligioso, e che non coincide però con un gene­rale deprezzamento dei valori religiosi, spiri­tuali e morali». Con molta probabilità è il ter­reno da cui ripartire per una nuova evangeliz­zazione anche in Italia.

da Avvenire 28/02/12