Festival internazionale del cinema cattolico

“Un’occasione privilegiata per accogliere una domanda antropologica di senso che sale dal cuore di ogni uomo”.

Questa la definizione che mons. Franco Perazzolo, del Pontificio Consiglio della cultura, offre di “Mirabile dictu”, il festival internazionale del cinema cattolico la cui terza edizione (Roma, 2/5 luglio) .

Un festival, ha precisato mons. Perazzolo, che “offre la possibilità, in un momento così difficile, di una sosta per riflettere”. Nel corso del festival, indipendente e patrocinato dal Pontificio Consiglio della cultura, sarà scelto dalla giuria, presenziata dal card. Gianfranco Ravasi, il film vincitore tra i 1.124 che hanno concorso.

Obiettivo dell’iniziativa è “dare spazio a chi ha lo slancio di fare film che sviluppano storie e personaggi con valori positivi”, ha sottolineato Liana Marabini, presidente del festival. “I film cattolici – ha aggiunto – hanno vita molto dura nell’industria del cinema”: per questo “il festival si propone come un palcoscenico privilegiato”, ha detto Marabini.

La manifestazione è stata inaugurata lunedì 2 luglio col congresso internazionale “Cinema e nuova evangelizzazione”, patrocinato dal Pontificio Consiglio della cultura, che per 18 mesi toccherà, dopo Roma, dieci città in tutto il mondo.

Info: www.mirabiledictu-icff.com (Fonte: Sir)

La missione del Festival
del Cinema International Catholic Festival è indipendente, ideato e realizzato da Liana Marabini, sotto l’alto patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, e mira a mostrare la Chiesa da una nuova prospettiva:. glamour e tradizione allo stesso tempo, mirabile dictu (meraviglioso per Relate, in latino) è un luogo privilegiato di incontro per attori, registi e cineasti, raccolte dalla preoccupazione che possono avere per la storia ei valori del Chiesa. Il Presidente del Festival, Liana Marabini, è regista, produttore ed editore. Si consacra il suo lavoro alla storia della Chiesa, ed è particolarmente preoccupato per il linguaggio religioso e della comunicazione, qualcosa che emerge nei film che produce e dei 

libri che pubblica. Premi Il premio del festival, ” Il Pesce d’Argento ” (Il pesce d’argento, in italiano), si ispira al primo simbolo cristiano.

L’evento di apertura del Festival
di quest’anno, l’evento di apertura straordinaria del Festival sarà la prima italiana di un film notevole: Una donna di nome Maria
di Robert Hossein

Selezione Nazionale. Progetti di formazione diocesana per catechisti

Anno pastorale 2013 – Anno della Fede

Presentazione del Regolamento

L’Ufficio Catechistico Nazionale (UCN) della CEI e in collaborazione con il Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica (SPSE) della CEI, indice una Selezione Nazionale di Progetti di Formazione Diocesana per Catechisti.

Alla luce degli orientamenti pastorali 2010-2020 dell’Episcopato Italiano Educare alla vita buona del Vangelo, annunciare Cristo significa portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà.

Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa. Così anche i temi legati al sostegno economico alla Chiesa possono affiancarsi a pieno titolo a tutti gli altri aspetti pastorali che concorrono ad educare alla vita buona del Vangelo.

Perciò il titolo della selezione è “Non di solo pane. Formazione catechistica, corresponsabilità economica e partecipazione dei fedeli alla vita della Chiesa”.

La selezione coinvolge gli Uffici Catechistici Diocesani (UCD) nella formazione dei catechisti e tra gli obiettivi si pone anche quello di valorizzare il precetto di “sovvenire alle necessità della Chiesa”, diffondendo i valori alla base del suo sostegno economico ed educando i fedeli ad una loro effettiva corresponsabilità e partecipazione alla vita della Chiesa.

Scarica il Regolamento completo

Giovani e Media: un incontro sui “nativi digitali”

“Le giovani generazioni sono quelle che posseggono le chiavi d’accesso più dinamiche alla società digitale. La rivoluzione nell’uso dei media da parte dei giovani ha assunto i caratteri della moltiplicazione e dell’integrazione degli strumenti di informazione e comunicazione”;

“queste trasformazioni investono i processi di apprendimento e di istruzione, e hanno importanti ripercussioni sui comportamenti che i più giovani adottano, consapevolmente o meno, nel contatto e nell’utilizzo, spesso intensivo, delle tecnologie digitali”.

Di “Nativi digitali ed emergenza educativa. L’innovazione nell’apprendimento, il cambiamento nell’istruzione” si parlerà nel corso dell’incontro in programma domai, alla Camera dei deputati (ore 9), su iniziativa del Censis.

Interverranno, tra gli altri, il ministro dell’istruzione Francesco Profumo, Tonino Cantelmi, presidente dell’associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici, il linguista Tullio De Mauro, i giornalisti Riccardo Luna e Luca De Biase.

Nel corso del convegno verrà presentata la ricerca Censis promossa dall’Assessorato alla cultura della Regione Calabria, che ha coinvolto 2.300 studenti delle scuole medie e superiori calabresi e 1.800 genitori.

da SIR 3-7-12

STUDI E RICERCHE

I media e la nuova generazione dei nativi digitali
Dalla Francia una ricerca sul rapporto tra informazione mainstream e nativi digitali

Ottobre 2010

Non credono ai politici, sono diffidenti verso i media tradizionali e mal sopportano i brand, considerati, letteralmente, i nemici da abbattere. Sono i cosiddetti i ‘nativi digitali’, ovvero giovani e giovanissimi (in media tra i 18 e i 24 anni) cresciuti a pane e tecnologia, persone che hanno sempre convissuto con il mouse accanto al cuscino e che considerano internet, videogiochi e social network parte integrante della propria vita.

Una nuova generazione, dunque, dalle cui scelte molto dipenderà del futuro del giornalismo e in particolare della carta stampata, considerato che il futuro dei giornali è largamente associato alle dinamiche di consumo dell’informazione da parte delle nuove generazioni. Come afferma Alan Mutter, infatti, il grande problema della stampa è costituito dal fatto che più del 50% dei lettori dei giornali è rappresentato da una popolazione progressivamente più anziana che, da un punto di vista demografico, corrisponde soltanto al 30% della popolazione. E a tale proposito recentemente una ricerca della società francese BVA ha offerto l’occasione per comprendere meglio quale sia il reale rapporto tra giovani e mezzi di comunicazione, come le nuove generazioni differiscono dall’audience tradizionale e quali siano i contenuti e le notizie su cui si focalizzano e le modalità attraverso le quali acquisiscono nuove conoscenze.

Lo studio si è basato su un campione di 100 ragazzi di età compresa tra i 18 e i 24 anni, ovvero quella fascia generazionale che dovrebbe coincidere appunto con i nativi digitali: ragazzi nati e cresciuti in un ambiente talmente condizionato dalla nuove tecnologie da lasciar presupporre condizionamenti tutt’altro che trascurabili sul piano dei riferimenti simbolici, culturali e,in senso più ampio, politico-sociali. Dalla ricerca, infatti, emerge come i giovani alfabetizzati a Internet abbiano rivisitato i propri modelli valoriali e culturali, lasciandosi definitivamente alle spalle vecchi schemi ideologici, categorie tradizionali così come le istituzioni di riferimento. Sistema politico e sistema dei media innanzitutto. A partire da un disconoscimento delle fonti informative generaliste fino alla messa in discussione dell’autorevolezza dei tradizionali opinion leader, questa nuova generazione digitale inizia a ragionare in termini di comunità, ovvero all’interno di quella network community caratterizzata non solo da specifici interessi e agende tematiche, ma anche da peculiari codici espressivi e linguistici.

Tra gli aspetti più criticati da parte di costoro va ricordato proprio il modello comunicativo sotteso ai media mainstream: un modello di trasmissione verticale, dall’alto verso il basso, nel quale i contenuti – testo scritto, immagini, video – sono trasmessi in modo pressoché immutato dalla fonte al destinatario, senza prevedere alcuna possibilità di feedback. Lo stesso Alan Mutter, infatti, evidenzia l’insofferenza dei giovani digitalizzati verso questo tipo di informazione – che include la stessa pubblicità tradizionale – che viene offerta loro in modo precostituito e non modificabile.

Sfruttando le potenzialità del web, l’interattività e la multimedialità innanzitutto, i media tradizionali dovrebbero invece puntare ad innovare il loro modo di fare comunicazione, coinvolgendo i giovani – nativi digitali ma non solo – e provando ad andare incontro alle loro esigenze. La tesi sostenuta da Mutter, infatti, è che i giornali dovrebbero smettere di considerare soltanto il lettore di riferimento già acquisito, ovvero quel bacino di utenti fidelizzati e affezionati ad una serie di valori e scelte editoriali stabili. E provare a sperimentare strade innovative, utili ad avvicinare il pubblico dei giovani.

Non tutti però sono d’accordo con una posizione, come appunto quella di Mutter, che considera i nativi digitali inesorabilmente distanti dalle precedenti generazioni. Bennett, Maton e Kervin, in un lavoro pubblicato nel 2008 dal British Journal of Educational Technology e titolato: The ‘digital natives’ debate: A critical review of the evidencesostengono che le differenze generazionali in fondo non siano poi così marcate. Prima di tutto perché se è vero che i ragazzi vivono immersi nella tecnologia, il loro reale utilizzo è ancora molto tradizionale (scrittura, e-mail, navigazione web). In secondo luogo perché la produzione di contenuti dal basso, user genereted, è in realtà un fenomeno ancora marginale, limitato e le differenze di skills all’interno della generazione giovanile sono le stesse esistenti tra le diverse generazioni.

Va qui evidenziato che i tre autori si spingono anche oltre, sostenendo come, alla base di queste visioni eccessivamente “avveniristiche”, vi siano gli stessi mezzi di comunicazione: riproponendo il concetto di moral panic (Cohen, 1972) Bennett, Maton e Kervin ritengono come questo fenomeno dei nativi digitali, pur restando in realtà privo di evidenze scientifiche, sia di fatto amplificato ed enfatizzato dai media e persino da parte del mondo accademico.

Il dibattito, come spesso accade in queste circostanze, è in realtà aperto e lontano dall’essere risolto. A conclusione di questa riflessione possiamo osservare che certamente i nativi digitali, sia attuali che futuri, si caratterizzeranno sempre più per un approccio alle fonti informative più rapido, immediato e orizzontale. Se poi tale atteggiamento sia destinato a tradursi in un incremento della superficialità ai danni dell’approfondimento, e in un’accentuazione delle differenze con le generazioni precedenti, molto dipenderà anche dalle risorse di partenza di ciascun soggetto. Risorse legate alla collocazione sociale dei giovani e al loro livello di istruzione innanzitutto: fattori, entrambi, destinati a riflettersi nella competenza all’uso di Internet, e cioè nella capacità di non restare vittime del caos della Rete, riuscendo, per contro, a sfruttarla per ottenere informazioni, conoscenza e relazioni sociali, utili al miglioramento della propria posizione di partenza.

UN VIDEO

I giovani e le nuove tecnologie. Un’indagine sui “nativi digitali”

Come usano Internet? A quanti anni hanno imparato a navigare? Qual è il social network più utilizzato? Preferiscono la televisione o Internet? Sono alcune delle domande dell’indagine che ha coinvolto 852 studenti delle scuole superiori del Trentino realizzata da Silvia Gherardi e Manuela Perrotta dell’Università di Trento nell’ambito del progetto “LiveMemories” coordinato dalla Fondazione Bruno Kessler e finanziato dalla Provincia autonoma di Trento. Nello spotlight di questo mese le risultanze dello studio che ha permesso di indagare abitudini e interessi dei “Native speakers” delle tecnologie digitali.


La Cemcs organizza due corsi sulla progettazione nella comunicazione sociale

La Commissione episcopale per i mezzi di comunicazione sociale (Cemcs) della Conferenza episcopale spagnola propone due corsi estivi in comunicazione sociale, organizzati in collaborazione con l‘Università Pontificia di Salamanca (Upsa).

I corsi offrono un sostegno formativo in materia di comunicazione a sacerdoti, insegnanti, catechisti e operatori pastorali affinché a loro volta formino altri.

“Identità, comunicazione e interazione nelle reti sociali” è il tema del primo corso estivo che la Cemcs ha organizzato questa settimana. Il programma del corso fornisce le conoscenze di base della comunicazione e dell’interazione in un ambiente on line. Si affrontano anche le caratteristiche principali e gli strumenti di social network, blog e microblogging. E rende più facile progettare un progetto di comunicazione sui social network.

La prossima settimana il corso estivo proposto è “Progettazione e sviluppo di progetti on line con WordPress”. Con quest’iniziativa la Cemcs spera che “si acquisiscano le basi concettuali e tecniche per elaborare progetti professionali di comunicazione on line in modo efficace”.

L’obiettivo dei due corsi è anche “arricchire la formazione degli studenti delle facoltà di comunicazione, teologia, sociologia e scienze umane”.

SIR del  3/7/12

Per una testimonianza pubblica della fede

La nuova evangelizzazione al centro del 40° incontro dei segretari generali delle conferenze episcopali

Edimburgo, Scozia, 29 giugno – 2 luglio 2012

 

Prosegue la riflessione dei segretari generali delle Conferenze episcopali in Europa sul tema della “nuova” evangelizzazione. Al centro del loro 40° incontro che si svolgerà quest’anno presso il Dynamic Earth di Edimburgo, i segretari generali rifletteranno sulla testimonianza della fede nel mondo della politica, della cultura, nella legge e nell’opinione pubblica.  Gli altri temi dell’agenda dei segretari generali prevedono discussioni su: i sistemi di finanziamento della Chiesa; l’ecumenismo in Europa e la traduzione dei testi liturgici della Chiesa cattolica.

Ad aprire i lavori nei locali del Dynamic Earth di Edimburgo (Holyrood Road, Edimburgo, EH8 8AU) del quarantesimo incontro dei segretari generali delle Conferenze episcopali d’Europa, sarà il cardinale Keith Patrick O’Brien, arcivescovo di St. Andrews ed Edimburgo, presidente della Conferenza episcopale scozzese.

L’anno scorso, a Vilnius, i segretari generali avevano riflettuto su alcuni aspetti specifici della nuova evangelizzazione quali: il rapporto cultura e qualità della fede; la vita spirituale e l’appartenenza ecclesiale; e, infine, strutture e carismi della Chiesa (vedi comunicato 22/06/2011). Quest’anno, a pochi mesi dall’apertura del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione convocato da Papa Benedetto XVI e in agenda per l’ottobre 2012 in Vaticano, la questione della testimonianza pubblica della fede nella società europea sarà affrontata attorno ai temi della politica, della cultura, delle leggi e dell’opinione pubblica. La riflessione sarà articolata su tre livelli: il livello nazionale, quello della Scozia, sarà affidato al professore John Haldane, direttore del Centro di Etica, Filosofia e Attualità dell’Università di St. Andrews (Scozia); il livello europeo, da mons. Piotr Marzurkiewicz, segretario generale della ComECE (Commissione degli Episcopati della Comunità Europea) e da mons. Aldo Giordano, osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo; e infine, con una testimonianza d’oltreoceano, quella di mons. Ronnie Jenkins, segretario generale della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, che presenterà la situazione americana.

Nei giorni successivi, i segretari focalizzeranno la loro attenzione sui temi del finanziamento della Chiesa in Europa, dell’ecumenismo e della traduzione di alcuni testi liturgici della Chiesa cattolica.

I risultati di un’indagine condotta presso le Conferenze episcopali sui vari sistemi di finanziamento delle Chiese in Europa saranno presentati da dr Erwin Tanner, segretario generale della Conferenza episcopale svizzera.

La situazione ecumenica in Scozia e in Europa sarà affidata invece a fr. Stephen Smyth, segretario generale dell’ACTS (Action of Churches Together in Scotland) e al canonico della Chiesa Episcopale di Scozia, Bob  Fyffe, segretario generale del CTBI (Churches Together in Britain and Ireland).

Infine, il tema della traduzione del messale e del lezionario sarà affrontato da Mons. Bruce Harbert, già direttore esecutivo del Comitato Internazionale sull’Inglese nella Liturgia (ICEL).

Prenderanno parte all’incontro anche mons. Antonio Mennini, nunzio apostolico in Gran Bretagna, mons Mario Conti, arcivescovo di Glaskow e mons. Peter Moran, vescovo emerito di Aberdeen.

I lavori saranno scanditi da momenti di preghiera e dalla celebrazione quotidiana dell’eucarestia. Domenica 1 luglio, i segretari celebreranno insieme al cardinale Keith O’Brien, la Santa Messa nella cattedrale di Edimburgo alle ore 13.15.

Si allega il programma dell’incontro e la lista dei partecipanti. I lavori sono a porte chiuse, ad eccezione della sessione di apertura, venerdì 29 giugno 2012 alle ore 20.30 presso il Dynamic Earth. Un comunicato finale sarà rilasciato al termine dell’incontro.

Una conferenza stampa si svolgerà lunedì 2 luglio alle ore 11.00 a Edimburgo presso il Macdonald Holyrood Hotel – 81, Holyrood Road, Edinburgh, EH8 8AU

L’incontro promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) si svolge a Edimburgo su invito del segretario generale della Conferenza episcopale scozzese, mons. Paul Conroy e grazie all’ospitalità del cardinale Keith Patrick O’Brien, arcivescovo di St. Andrews ed Edimburgo, presidente della Conferenza episcopale scozzese.

Il Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) include le attuali 33 Conferenze Episcopali Europee, rappresentate dai loro Presidenti, dagli Arcivescovi del Lussemburgo e del Principato di Monaco, dall’Arcivescovo di Cipro dei Maroniti, dal Vescovo di Chişinău (Rep. Moldova) e dal Vescovo eparchiale di Mukachevo. L’attuale presidente è il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate d’Ungheria, i Vicepresidenti sono il Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, e Mons. Józef Michalik, Arcivescovo di Przemyśl, Polonia. Il Segretario Generale del CCEE è Mons. Duarte da Cunha. Il Segretariato ha sede a San Gallo (Svizzera). www.ccee.ch

CEI-MIUR: intesa sull’insegnamento della religione cattolica

Ridefinire il profilo di qualificazione professionale dei futuri insegnanti di religione cattolica, armonizzando il percorso formativo richiesto per l’insegnamento della religione cattolica con quanto previsto, oggi, per l’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado in Italia.

Definire una nuova versione delle indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, sulla base dei rinnovati documenti che il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha elaborato in un quadro di riforma dell’intero sistema educativo di istruzione e formazione (licei, istituti tecnici, istituti professionali, percorsi di istruzione e formazione professionale).

Sono questi, in sintesi, gli obiettivi della duplice intesa che è stata firmata giovedì 28 giugno a Roma, presso la sede della Conferenza Episcopale Italiana, dal Card. Angelo Bagnasco, per la CEI, e dal Ministro Francesco Profumo, per il MIUR. L’accordo, raggiunto al termine di un percorso all’insegna del dialogo e della collaborazione, consolida ulteriormente l’armonioso inserimento dell’insegnamento della religione cattolica nei percorsi formativi della scuola italiana.

“Nella consapevolezza che, come ha sottolineato Benedetto XVI, «la dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita» (Discorso agli insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009), auspico – ha affermato il Card. Bagnasco – di vedere quanto prima i frutti di bene che scaturiranno da questo rinnovato accordo, conscio dell’impegno delicato in vista della maturazione integrale delle persone degli alunni e grato per il lavoro costante e professionale di tutta la comunità educante della scuola, ivi compreso l’impegno professionale degli insegnanti di religione cattolica”.

Il saluto del Cardinale Bagnasco

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La scuola nel cuore

Il significato della firma delle due intese tra Chiesa e Governo sull’Irc

Alberto Campoleoni

Una nuova intesa, anzi due, sull’insegnamento della religione cattolica (Irc). Ieri, 28 giugno, le hanno firmate, come previsto dalle procedure di derivazione concordataria, il ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo, e il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Angelo Bagnasco.

I due testi riguardano questioni differenti ma ugualmente importanti. Il primo, una vera modifica dell’Intesa Cei-Mpi del 1985, seguita al “Nuovo concordato” del 1984, aggiorna i profili di qualificazione professionale dei docenti di religione. Una modifica che si è resa necessaria negli ultimi anni per armonizzare il percorso formativo richiesto agli Idr con quanto previsto, oggi, per l’insegnamento nelle scuole italiane.

La logica di fondo, già ben presente nel 1984 e 1985, è quella di garantire docenti preparati, veri professionisti della scuola, che possano operare con competenza e qualità all’interno dell’istituzione pubblica. È, questo, un portato proprio del Nuovo Concordato, che a suo tempo, ridefinì l’insegnamento cattolico in senso propriamente scolastico e permise di indicare titoli di studio precisi per i docenti. Una logica che è proseguita fino al riconoscimento del ruolo giuridico dei docenti di religione: professionisti della scuola, come i colleghi delle altre materie. Una logica, ancora, che sostiene il capillare e continuo impegno di formazione in servizio organizzato sia a livello nazionale, sia locale, per gli Idr. Ora i titoli di accesso alla professione (si partirà del 2017) sono aggiornati ai cambiamenti avvenuti nei percorsi formativi universitari e in linea con le nuove istruzioni sugli Istituti superiori di scienze religiose.

La seconda intesa appena firmata riguarda, invece, le nuove indicazioni per l’insegnamento della religione cattolica nel secondo ciclo, sulla base dei rinnovati documenti che il Miur ha elaborato in un quadro di riforma dell’intero sistema educativo d’istruzione e formazione. Sono, attesissimi, i “nuovi programmi” per le scuole superiori che in questi anni hanno sofferto un periodo di “vacanza” dovuto anche al continuo mutare degli orientamenti circa la riforma scolastica.

Il cardinale Bagnasco ha spiegato come le indicazioni si sono rese necessarie tenuto conto “del nuovo assetto dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali, nonché dei percorsi d’istruzione e formazione professionale”. Per questo le nuove indicazioni sono state differenziate “in modo tale da rispecchiare al meglio il carattere e l’impostazione culturale di ciascuna tipologia di scuola e del particolare ordinamento dell’istruzione e formazione professionale”.
Toccherà ora ai docenti mettere alla prova i nuovi testi, esaminandoli con attenzione e traducendo in concreto, nella prassi didattica, quanto proposto dalle indicazioni. Magari anche suggerendo a loro volta percorsi e strade di rinnovamento. È, questo, peraltro, il dinamismo continuo di una materia scolastica che voglia davvero qualificarsi come tale.

E qui sta il nodo di fondo: l’Irc, anche attraverso questi ultimi passaggi, si conferma attento alla scuola, al suo servizio, come ha ricordato ancora al momento della firma il cardinale Bagnasco. E lo ha sottolineato anche il ministro Profumo, in un inciso, ricordando come anche molti alunni stranieri (in questi anni aumentati in modo esponenziale) scelgano di avvalersi dell’insegnamento cattolico. Sono persone di culture diverse, che tuttavia decidono (“circa la metà”) di frequentare l’Irc, “confermando – dice il ministro – la natura scolastica di questa disciplina, a prescindere dall’appartenenza religiosa personale”. Davvero non è poco.

Non c’è futuro senza famiglia

L’Italia sta scoprendo in grave ritardo che i dati sulla situazione delle famiglie sono allarmanti. A emergere non è soltanto la difficile situazione economica che molti nuclei familiari stanno affrontando in questi ultimi anni; ancora più compromessa è la dinamica relazionale che vede sempre più confusi i più giovani e sempre più disillusi gli adulti.

Che cosa sta succedendo? Succede che quasi metà dei giovani italiani, tra i 25 e i 34 anni, vive  ancora con i genitori. Succede che solo 1 coppia su 3 in Italia ha figli (vent’anni fa era 1 coppia su 2). Succede che diminuiscono i matrimoni, aumentano i divorzi e si diffondono forme “nuove” di convivenza: single con single, single con figli, nuclei allargati.

La questione economica è certamente importante. Molti commentatori la usano diffusamente per spiegare questi dati. Ma c’è molto di più: a causare queste condizioni è una distorsione del senso stesso di famiglia, che è tutta antropologica. L’emancipazione della donna è diventata lotta contro il maschio ed emancipazione della maternità.

Quale miglior modo per emanciparsi dalla maternità che equiparare rapporti aperti alla vita e fecondi a rapporti infecondi? L’indifferenza sessuale (teoria del gender) è il nuovo nome dell’infecondità. In tempi difficili le famiglie numerose erano per i padri e le madri una chiara risposta comunitaria alla crisi, una risposta di fiducia nella propria forza di generare ed educare una prole in grado di lavorare, migliorare la qualità della vita, “risollevare” la famiglia nell’ascensore sociale. Un figlio era come messaggio di salvezza e di riconciliazione del mondo.

Oggi i dati dell’Istat ci dicono che l’ascensore sociale è bloccato, anzi, volge inevitabilmente verso il basso. Le coppie sono scoraggiate a fare figli perché non credono di poter garantire loro una vita “dignitosa”. La poca fiducia in se stessi, un certo egoismo che si sviluppa nei momenti di difficoltà e tensione, l’incapacità di reagire e pensare ad un futuro diverso: ecco i veri fattori che scoraggiano a “fare famiglia”. I figli, quelli da fare o quelli già fatti, sono le prime vittime di tutto questo.

Un Paese a crescita zero che non sa più dialogare con i giovani e sacrifica sull’altare del relativismo le nuove forze che rinnovano una società e la fanno crescere. Si diffonde la cultura “gender” che nega la differenza sessuale e promuove nei dibattiti televisivi, nelle telenovelas, nelle sit-com, nelle fiction e nelle pubblicità l’indifferenza sessuale.

Allo stesso tempo sempre più spesso i media ci fanno assistere a vere e proprie parodie delle famiglie “tradizionali”, mostrando contesti familiari plastificati e senza tensioni, da sogno, che sono in contrasto con le fisiologiche difficoltà che tutte le famiglie normali vivono nel loro contesto quotidiano. È una sorta di “anti-genesi”, una vera “ferita antropologica”.

In questo contesto diventa necessario anteporre l’ecologia delle relazioni umane a tutte le nostre priorità. Per salvare l’uomo stesso e il senso del suo stare nel mondo. È un lavoro lungo che trova un valido supporto nella Dottrina Sociale della Chiesa. Basta ricordare il beato Giuseppe Toniolo, a cui la sezione di Agorà di questo numero è interamente dedicata. Infatti, vi si  riportano le relazioni svolte nel Laboratorio DSC dedicato alla beatificazione di questo straordinario protagonista del cattolicesimo sociale.

Toniolo esprime bene la sintesi tra famiglia, lavoro e festa nel essere insieme padre, docente universitario, autentico campione di solidarietà sociale. Aspetti tutti riassunti in una tenera lettera mandata ad un suo allievo, nel 1879, in cui Toniolo così scriveva: “Ci sono degli amori che deprimono e che dissipano; altri che sospingono all’operosità buona e proficua. Le auguro quei conforti veri e inestimabili, che accompagnano sempre il connubio cristiano, e di cui io (contro i miei meriti) feci e faccio esperimento”.

Unire dunque: famiglia, lavoro e impegno sociale. Ancora oggi ci sono moltissime strozzature alla capacità lavorativa delle famiglie, soprattutto delle donne. Basti pensare al grave ritardo in cui ci troviamo, rispetto alle economie più avanzate, nella presenza capillare e diffusa di asili nido che possano permettere alle madri di armonizzare la vita lavorativa e quella familiare (ad oggi quasi una madre su tre abbandona il lavoro dopo la nascita del primo figlio).

Come avvertiva, nel 2004, l’allora Presidente Ciampi: “una società evoluta non può rinunciare né all’impegno pubblico della donna, né al suo ruolo di madre. Le culle vuote sono il vero problema della società italiana”.

Proposte concrete possono trovarsi, così come è stato fatto nel recente rapporto “La famiglia in Italia” dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il rapporto individua diversi strumenti per mettere insieme famiglia e lavoro: locali e spazi dei luoghi di lavoro dedicati ai figli, l’uso dei congedi genitoriali, gli aiuti alle famiglie che si prendono cura degli anziani non autosufficienti, i sostegni alle famiglie fragili (con minori in tutela o a rischio di allontanamento, in cui i genitori sono separati/divorziati, famiglie migranti).

A questi vanno aggiunti il rilancio del modello economico-sociale che è l’impresa familiare e di quello cooperativo tra più famiglie che lo stesso Toniolo amava richiamare nei suoi studi. Sono punti essenziali, se si vuole parlare di “politiche familiari” così come intese nella letteratura scientifica utilizzata nelle rilevazioni OCSE: politiche destinate a creare e ricollocare risorse per i nuclei famigliari e per i figli a carico.

Bisogna rendere amici della famiglia il lavoro, la scuola, l’ospedale, il negozio, i centri per gli anziani. Bisogna tornare al family mainstreaming contro le pressioni della cultura gender. Bisogna ritornare ad un pensiero globale sulla famiglia e abbandonare definitivamente l’attuale pensiero frammentato sulle “famiglie” che, incapace di fare sintesi, crea divisioni e trincee.

Se i tentativi di eliminare l’aut-aut lavoro o famiglia sono primi passi utili a risolvere alcune criticità nel breve periodo, non si deve trascurare l’aspetto spirituale e relazionale delle famiglie, aspetto ben più complesso, almeno in apparenza. Ad essere trascurata è l’importanza di strumenti molto semplici che sanno mettere insieme famiglie e comunità e che necessitano di un urgente ritorno nel panorama sociale.

Il primo e più immediato modo per stare insieme è la festa. Festa è stata il VII Incontro delle Famiglie, tenutosi a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, che ha visto partecipare famiglie da tutto il pianeta in un contesto di gioia, dialogo e spiritualità che non si vedeva da molto tempo.

Famiglie, lavoro e festa. Tutto insieme, senza nessuna scelta di priorità che esclude il resto. Lo stesso Benedetto XVI, nella lettera di introduzione a questo grande evento, così si è espresso: “Il lavoro e la festa sono intimamente collegati con la vita delle famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le relazioni tra i coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La Sacra Scrittura (cfr Gen 1-2) ci dice che famiglia, lavoro e giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per aiutarci a vivere un’esistenza pienamente umana.”

L’aver visto molte famiglie insieme ha ridato un forte rinnovamento di speranza. Si fanno così avanti nuove forme di collaborazioni: famiglie giovani che si danno una mano e fanno comunità, comunità parrocchiali che organizzano corsi post-matrimoniali per supportare e aiutare le coppie nei loro momenti più critici, la riscoperta del racconto, della testimonianza di vita nell’educazione dei figli. La rinascita della fratellanza e del rispetto, il ritorno alla dimensione sociale del nucleo familiare che scopre, piano piano, di non essere più un’isola.

La festa è un fattore di reciproca riconciliazione che non va più messo in secondo piano. Attualissima è la lezione del Vangelo nella parabola del figliol prodigo, in cui la festa diventa il momento che sancisce il ritorno del figlio “perduto” nella casa del padre che, nel rispetto di quella che è la sussidiarietà, lo aveva lasciato partire. Ammazzare il vitello grasso, vestirsi dell’abito più bello, l’anello più prezioso. Onorare, santificare le feste e stare insieme.

Stare in famiglia, in fondo, non è altro che riscoprire e ritrovare la capacità di amare: se stessi, i propri familiari, gli altri. La famiglia quale segno d’amore per la società. La Dottrina Sociale ce lo ricorda a chiare lettere: “La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società.

La comunità familiare, infatti, nasce dalla comunione delle persone: La “comunione” riguarda la relazione personale tra l’“io” e il “tu”. La “comunità” invece supera questo schema nella direzione di una “società”, di un “noi”. La famiglia, comunità di persone, è pertanto la prima “società” umana.”(Compendio DSC, 213).

A Milano, davanti a oltre un milione di persone, il Papa ha incoraggiato e sostenuto non il paradigma della famiglia da cartolina, ma quella che vive concretamente la realtà sociale e subisce tutti i drammi della crisi, delle incomprensioni, delle separazioni. Va letta così l’attenzione particolare dedicata ai divorziati, di cui Benedetto XVI coglie tutta la sofferenza.

Nella sua Omelia di Domenica 3 giugno, davanti ad una folla oceanica, il Papa ha ricordato alle famiglie: “Nella misura in cui vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo vivo, una vera Chiesa domestica”. Immancabile anche un richiamo alla necessità di “armonizzare i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la maternità, il lavoro e la festa.”

La festa milanese ha mostrato che il cuore della società sono le relazioni tra persone e non l’individualismo né lo statalismo. Lo ha mostrato concretamente in variegate forme e senza stare sulla difensiva. Il Vangelo e la DSC ci salvano dagli “svuotamenti sociali”, dal consumismo che diventa illusoria ragione escatologica e da un assistenzialismo che annulla la partecipazione democratica.

Oltre un secolo fa Giuseppe Toniolo ricordava ai cattolici il loro ruolo di protagonisti per costruire una società migliore. Nel 1886 Toniolo così diceva: “I cattolici dovranno combattere da una parte l’economia individualista e liberista e dall’altra l’economia panteista o il socialismo di Stato. Solo per virtù di tali principi essi riusciranno a salvare ad un tempo le ragioni della libertà individuale privata e quelle del progresso del corpo sociale: ragioni oggidì alternamente compromesse da un liberalismo che dissolve e da una statolatria che soffoca e uccide.”

Durante la festa delle Famiglie, Benedetto XVI si è rivolto ai politici per riscoprire, insieme, il senso di uno Stato per i cittadini. Egli ha ricordato, nel suo incontro con le autorità, che per lo Stato “appare preziosa una costruttiva collaborazione con la Chiesa, senza dubbio non per una confusione delle finalità e dei ruoli diversi e distinti del potere civile e della stessa Chiesa, ma per l’apporto che questa ha offerto e tuttora può offrire alla società con la sua esperienza, la sua dottrina, la sua tradizione, le sue istituzioni e le sue opere con cui si è posta al servizio del popolo.”

Ancora una volta si ribadisce che la tradizione della Chiesa e la DSC possono guidarci nella riscoperta di quello che è il senso del nostro stare insieme con gli altri. Non ci dà ricette, né semplici liste di priorità. Ci fornisce una bussola, dei principi su cui fondare l’agire del cristiano e degli uomini di buona volontà.

Una bussola i cui punti cardinali sono principio-persona, sussidiarietà, solidarietà, bene comune. La famiglia è la sintesi più potente di questi cardini, l’orizzonte verso cui politica, impegno sociale, lavoro culturale, devono tornare a guardare se il futuro lo si vuole costruire e non soltanto declamare.

di Claudio Gentili, Direttore de “La Società”

ROMA, martedì, 26 giugno 2012 (ZENIT.org) –

Messaggio per la 7° Giornata per la salvaguardia del creato

Messaggio della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) per la 7ª Giornata per la salvaguardia del creato, in programma il 1 settembre prossimo. Il documento, che è stato diffuso oggi, porta le firme della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, e della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo.

“Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della terra”

1. La Giornata per la salvaguardia del creato: lode e riconciliazione

Celebrare la Giornata per la salvaguardia del creato significa, in primo luogo, rendere grazie al Creatore, al Dio Trino che dona ai suoi figli di vivere su una terra feconda e meravigliosa.

La nostra celebrazione non può, però, dimenticare le ferite di cui soffre la nostra terra, che possono essere guarite solo da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali. Guarire è voce del verbo amare, e chi desidera guarire sente che quel gesto ha in sé una valenza che lo vorrebbe perenne, come perenne e fedele è l’Amore che sgorga dal cuore di Dio e si manifesta nella bellezza nel creato, a noi affidato come dono e responsabilità. Con esso, proprio perché gratuitamente donato, è necessario anche riconciliarsi quando ci accorgiamo di averlo violato.

La riconciliazione parte da un cuore che riconosce innanzi tutto le proprie ferite e vuole sanarle, con la grazia del Signore, nella conversione e nel gesto gratuito della confessione sacramentale. Quindi si fa anche riconciliazione con il creato, perché il mondo in cui viviamo porta segni strazianti di peccato e di male causati anche dalle nostre mani, chiamate ora a ricostituire mediante gesti efficaci un’alleanza troppe volte infranta.

Questo è lo scopo del messaggio che vi inviamo, carissimi fratelli e sorelle, come Vescovi incaricati di promuovere la pastorale nei contesti sociali e il cammino ecumenico, in un fecondo intreccio che ci vede vicini e ci impegna tutti. Nella condivisione della lode e della responsabilità per la custodia del creato, il mese di settembre sta diventando per tutte le Confessioni cristiane una rinnovata occasione di grazia e di purificazione. Anche di questo rendiamo grazie al Signore.

La nostra riflessione raccoglie le tante sofferenze sperimentate, in questo anno, da numerose comunità, segnate da eventi luttuosi. Pensiamo alle immense ferite inflitte dal terremoto nella Pianura Padana. Mentre riconosciamo la nostra fragilità, cogliamo anche la forza della nostra gente, nel voler ad ogni costo rinascere dalle macerie e ricostruire con nuovi criteri di sicurezza. Pensiamo alle alluvioni che hanno recato lutti e distruzioni a Genova, nelle Cinque Terre, in Lunigiana e in vaste zone del Messinese. Nel pianto di tutti questi fratelli e sorelle sentiamo il lutto della terra, cui la stessa Sacra Scrittura fa riferimento, e che coinvolge tristemente anche gli animali selvatici, gli uccelli del cielo e i pesci del mare (cfr Os 4,3). È significativo, in proposito, che il 9 ottobre sia stato dichiarato dallo Stato italiano “Giornata in memoria delle vittime dei disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”.

2. Una storia di guarigione e responsabilità

La guarigione nasce da un cuore che ama, che si fa vicino all’altro per essere insieme liberati nella verità e condividere la vita. È la logica dell’educazione alla “vita buona del Vangelo” che le nostre Chiese stanno percorrendo in questo decennio.

Ce lo ricorda anche la storia biblica di Giuseppe (cfr Gen 37-49), venduto dai fratelli per rivalità e gelosia. La sua vicenda contiene un concreto itinerario di guarigione da parte di Dio delle ferite, sia quelle del cuore che quelle della terra. Giuseppe è gettato nel pozzo, gridando la sua innocenza, ma non è ascoltato dai fratelli. A prestare ascolto al suo gemito sarà Dio stesso, che ha cuore di padre. Giuseppe diventerà il viceré d’Egitto, attuando una intelligente politica agraria. Nella precarietà della crisi che si abbatte sul paese, resa visibile dalle vacche magre e dalle spighe vuote, immagini di forte suggestione anche per il momento attuale, la relazione del popolo con la terra sarà sanata proprio grazie alla lungimiranza e alla responsabilità per il bene comune dimostrata da Giuseppe, figura emblematica della Sapienza donata da Dio a Israele.

Egli, inoltre, pensa in termini di riconciliazione e non di vendetta quando si vede davanti i suoi fratelli, che lo hanno tradito e venduto. Se li mette alla prova con severità, è per cogliere l’autenticità del legame che li unisce al padre Giacobbe, verificando così la radice di ogni guarigione, interiore ed esteriore. Dopo aver constatato che il padre resta il premuroso e insostituibile punto di riferimento, egli rivela la sua identità, in un pianto liberatorio che diviene accoglienza fraterna e futuro di benessere in una terra e in un cuore riconciliati in saggezza e verità. Giuseppe stesso esce trasformato da questo perdono: egli diviene consapevole dell’agire misericordioso di Dio verso gli uomini.

Quello di Giuseppe, dunque, è l’itinerario biblico che proponiamo, perché possa essere di luce e di speranza, durante questo faticoso ma liberante cammino di benedizione.

3. Educare all’alleanza tra l’uomo e la terra

A noi, come Chiese in Italia, in sintonia con tante Chiese nel mondo, spetta proprio questo compito: riportare il cuore della nostra gente dentro il cuore stesso di Dio, Padre di tutti, che «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Solo se diventerà primaria la coscienza di una universale fraternità, potremo edificare un mondo in cui condividere le risorse della terra e tutelarne le ricchezze. Ciò si accompagna alla comprensione che la creazione ci è donata da Dio, che essa stessa si fa percorso verso Dio e ci fa sperimentare il dialogo tra di noi nella verità, come fratelli che hanno riconosciuto la paternità gratuita di Dio.

Si legge, infatti, nel messaggio scaturito dall’ultimo Forum Europeo Cattolico-Ortodosso, tenutosi a Lisbona nello scorso giugno: «Non è più possibile dilapidare le risorse del creato, inquinare l’ambiente in cui viviamo come stiamo facendo. La vocazione dell’uomo è di essere il custode e non il predatore del creato. Oggi si deve essere consapevoli del debito che abbiamo verso le generazioni future alle quali non dobbiamo trasmettere un ambiente degradato e invivibile» (n. 11).

È nella Bibbia che incontriamo la grande prospettiva dell’alleanza tra Dio e la sua creazione, in una reciprocità da riconoscere davanti a luoghi dove la bellezza esteriore si è fatta segno di una bellezza interiore – pensiamo, ad esempio, ai tanti siti dove i monaci custodiscono il creato – ma anche davanti ai tristi scempi dell’ambiente naturale, provocati dal peccato degli uomini, evidente soprattutto nelle azioni della criminalità mafiosa.

Tra ecologia del cuore ed ecologia del creato vi è infatti un nesso inscindibile, come ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate: «L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà responsabile, attenta ai dettami della legge morale» (n. 48). L’ambiente naturale non è una materia di cui disporre a piacimento, «ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario. Oggi molti danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni distorte» (ivi), come quelle che riducono la natura a un semplice dato di fatto o, all’opposto, la considerano più importante della stessa persona umana.

Ci viene chiesto, perciò, di annunciare queste verità con crescente consapevolezza, perché da esse potrà sgorgare un concreto e fedele impegno di guarigione dell’ambiente calpestato. Si tratta di un compito che appartiene alla sollecitudine educativa delle comunità cristiane e offre l’occasione per catechesi bibliche, momenti di preghiera, attività di pastorale giovanile, incontri culturali. È  una responsabilità che appartiene anche ai docenti, in particolare agli insegnanti di religione: essa potrà essere intensivamente richiamata nel mese di settembre, dedicato in modo speciale al creato e tempo di ripresa della scuola.

Ritessere l’alleanza tra l’uomo e il creato significa anche affrontare con decisione i problemi aperti e i nodi particolarmente delicati, che mostrano quanto ampie e complesse siano le questioni legate all’intreccio tra realtà ambientale e comunità umana. Accanto all’annuncio, infatti, è necessaria anche la denuncia di ciò che viola per avidità la sacralità della vita e il dono della terra. Proprio in questi mesi è venuta all’attenzione dei media la questione dell’eternit a Casale Monferrato, con i gravi impatti sulla salute di tanti uomini e donne, che continueranno a manifestarsi ancora per parecchi anni. Un caso emblematico, che evidenzia lo stretto rapporto che intercorre tra lavoro, qualità ambientale e salute degli esseri umani. L’attenzione vigilante per tale drammatica situazione e per i suoi sviluppi deve accompagnarsi alla chiara percezione che l’amianto è solo uno dei fattori inquinanti presenti sul territorio. Vi sono anzi aree nelle quali purtroppo la gestione dei rifiuti e delle sostanze nocive sembra avvenire nel più totale spregio della legalità, avvelenando la terra, l’aria e le falde acquifere e ponendo una grave ipoteca sulla vita di chi oggi vi abita e delle future generazioni.

Mentre esprimiamo una volta di più quella solidarietà partecipe, che si è già manifestata in numerosi gesti di condivisione, desideriamo proporre una riflessione tesa a cogliere in tali accadimenti alcuni elementi che la stessa forza dell’emergenza rischia di lasciare sullo sfondo, impedendo di percepirne tutta la rilevanza. Occorre invece saper leggere i segni dei tempi, scoprendo – nella luce della fede – quegli inviti a riorientare responsabilmente il nostro cammino che essi portano in sé.

Annunciare la verità sull’uomo e sul creato e denunciare le gravi forme di abuso si accompagna alla messa in atto di scelte e gesti quali stili di vita intessuti di sobrietà e condivisione, un’informazione corretta e approfondita, l’educazione al gusto del bello, l’impegno nella raccolta differenziata dei rifiuti, contro gli incendi devastatori e nell’apprendistato della custodia del creato, anche come occasioni di nuova occupazione giovanile.

4. Per una Chiesa custode della terra

Vivere il territorio come un bene comune è un’esigenza di vasta portata, che richiama anche le comunità ecclesiali a una presenza vigilante. Il territorio, infatti, è davvero tale quando abitato da un soggetto comunitario che se ne prenda realmente cura e la presenza capillare del tessuto ecclesiale deve esprimere anche un impegno in tal senso. Abbiamo bisogno di una pastorale che ci faccia recuperare il senso del “noi” nella sua relazione alla terra, in una saggia azione educativa, secondo le prospettive degli Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo. Prendersi cura del territorio, del resto, significa anche permettere che esso continui a produrre il pane e il vino per nutrire ogni uomo e che ogni domenica offriamo come “frutti della terra e del nostro lavoro” a Dio, Padre e Creatore, perché diventino per noi il Corpo e il Sangue del Suo amatissimo Figlio.

Per questo invitiamo con forza a tornare a riflettere sul nostro legame con la terra e, in particolare, sul rapporto che le comunità umane intrattengono col territorio in cui sono radicate. Si tratta di una realtà complessa e ricca di significati, che spesso rimanda a storie di relazioni e di crescita comune, in cui la città degli uomini e delle donne rivela il suo profondo inserimento in un luogo e in un ambiente. Il territorio è sempre una realtà naturale, con una dimensione biologica ed ecologica, ma è anche inscindibilmente cultura, bellezza, radicamento comunitario, incontro di volti: una densa realtà antropologica, in cui prende corpo anche il vissuto di fede.

I santi ci insegnano con chiarezza la strada da seguire, come san Bernardino da Siena, che mentre poneva al vertice della sua opera pastorale il nome di Gesù, davanti al quale tutti i ginocchi si piegano in adorazione, si adoperava per rafforzare i Monti di pietà e i Monti frumentari, segni di una rinascita che dà al denaro il giusto valore, diventando anche precursore di quella “economia di fiducia” che sola può guarire le ferite della nostra crisi, causata da avidità e insipienza.

Le stesse mani dell’uomo, sostenute e guidate dalla forza dello Spirito, potranno così guarire e risanare, in piena riconciliazione, il creato ferito, a noi affidato dalle mani paterne di Dio, guardando con responsabilità educativa alle generazioni future, verso cui siamo debitori di parole di verità e opere di pace.

Roma, 24 giugno 2012

Indizione dell’anno della fede. L’annuncio del Santo Padre

Il Papa, nella Messa per i nuovi evangelizzatori, nella Basilica Vaticana, ha indetto un Anno della Fede. Queste le sue parole:

“Proprio per dare rinnovato impulso alla missione di tutta la Chiesa di condurre gli uomini fuori dal deserto in cui spesso si trovano verso il luogo della vita, l’amicizia con Cristo che ci dona la vita in pienezza, vorrei annunciare in questa Celebrazione eucaristica che ho deciso di indire un “Anno della Fede”, che avrò modo di illustrare con un’appositaLettera apostolica. Esso inizierà l’11 ottobre 2012, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’Universo. Sarà un momento di grazia e di impegno per una sempre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uomo del nostro tempo”.

All’Angelus il Papa ha ribadito:

“Come già ho fatto poc’anzi durante l’omelia della Messa, approfitto volentieri di questa occasione per annunciare che ho deciso di indire uno speciale Anno della Fede, che avrà inizio l’11 ottobre 2012 – 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II – e si concluderà il 24 novembre 2013, Solennità di Cristo Re dell’universo. 
Le motivazioni, le finalità e le linee direttrici di questo “Anno”, le ho esposte in una Lettera Apostolica che verrà pubblicata nei prossimi giorni. Il Servo di Dio Paolo VI indisse un analogo “Anno della fede” nel 1967, in occasione del diciannovesimo centenario del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo, e in un periodo di grandi rivolgimenti culturali. Ritengo che, trascorso mezzo secolo dall’apertura del Concilio, legata alla felice memoria del Beato Giovanni XXIII, sia opportuno richiamare la bellezza e la centralità della fede, l’esigenza di rafforzarla e approfondirla a livello personale e comunitario, e farlo in prospettiva non tanto celebrativa, ma piuttosto missionaria, nella prospettiva, appunto, della missione ad gentes e della nuova evangelizzazione”
.

Parole del Papa alla preghiera dell’Angelus, 16 ottobre 2011 (Audio)

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Giovani e sport3. Le figure educative

 

Roma – Via Aurelia 468, 23 giugno 2012

La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie.
Ciò richiede il coinvolgimento non solo dei genitori e degli insegnanti, ma anche degli uomini politici, degli imprenditori, degli artisti, degli sportivi, degli esperti della comunicazione e dello spettacolo.
(dagli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020)
La partecipazione al Cantiere è gratuita.

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