
Segnaliamo alcune iniziative formative dell’ ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE DELLA TOSCANA “Santa Caterina da Siena”
Segnaliamo alcune iniziative formative dell’ ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE DELLA TOSCANA “Santa Caterina da Siena”
L’articolo che segue è di Faggioli ed è interessante per comprendere la situazione generale della Chiesa cattolica e in particolare per il ruolo che ha assunto «nella storia delle violenze e degli abusi nella Chiesa». Acquisire uno statuto di minoranza (e a maggiore ragione acquisirlo per demerito), specie nei paesi con «radici» cristiane non lascia dormire sonni tranquilli, agita i dibattiti, specie per l’interrogativo su come porsi di fronte al nuovo: ne parla sull’ultimo numero dell’anno Massimo Faggioli, presentando le due diverse e complementari visioni di Chantal Delsol (La fin de la chrétienté, Cerf, Paris 2021) e di Danièle Hervieu-Leger e Charles Schlegel (Vers l’implosion?, Seuil, Paris 2022).
1° gennaio 2023
«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 5,1-2).
1. Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino. Per questo San Paolo esorta costantemente la Comunità a vigilare, cercando il bene, la giustizia e la verità: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (5,6). È un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie.
2. Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.
Spinti nel vortice di sfide improvvise e in una situazione che non era del tutto chiara neanche dal punto di vista scientifico, il mondo della sanità si è mobilitato per lenire il dolore di tanti e per cercare di porvi rimedio; così come le Autorità politiche, che hanno dovuto adottare notevoli misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.
Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.
Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze. Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.
Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità.
3. Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al «giorno del Signore». Ho già avuto modo di ripetere più volte che dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?
Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.
Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere tutto questo, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.
Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola «insieme». Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali.
4. Al tempo stesso, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.
Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cf. Vangelo di Marco 7,17-23).
5. Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un «noi» aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.
Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.
Nel condividere queste riflessioni, auspico che nel nuovo anno possiamo camminare insieme facendo tesoro di quanto la storia ci può insegnare. Formulo i migliori voti ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leaders delle diverse religioni. A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro di costruire giorno per giorno, come artigiani di pace, un buon anno! Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2022
Francesco
3 dicembre 2022 presso l’Istituto di Catechetica- Facoltà di Scienze dell’Educazione- Università Pontificia Salesiana
In continuità con una lunga Tradizione, l’équipe di Pedagogia religiosa dell’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione della Università Pontificia Salesiana di Roma, riprende, dopo la sospensione nel periodo della pandemia, il Seminario di Studio per Insegnanti di Religione, che si realizzerà sabato 3 dicembre, presso l’Università Salesiana.
Il tema del Seminario è: La domanda formativa degli Insegnanti di Religione.
Ci si propone di individuare i bisogni degli IdR. Attraverso un Brainstorming autobiografico, diversi docenti di religione condivideranno il proprio punto di vista sul tema.
Faranno seguito due relazioni.
La prima, da parte di don Fabio Landi, fa il punto sulla situazione.
La seconda, della Professoressa Francesca Romana Busnelli, presenta un modello teorico di formazione degli adulti, nel nostro caso docenti di religione.
Programma
8.45-9.00 Accoglienza
9.00-9.15 Saluto del Decano della Facoltà di Scienze dell’Educazione, prof. Antonio Dellagiulia
Prima Parte
9.15 – 9.30 Introduzione
9.30 – 10.00 Brainstorming sulla domanda formativa degli Insegnanti di Religione
10.00 – 10.30 Condivisione in Plenaria
10.30 – 10.50 Coffee Break
Seconda Parte
10.50 – 11.30 Prima Relazione: Don Fabio Landi, Il punto della situazione sulla formazione degli Insegnanti di Religione
11.30 – 12.10 Seconda Relazione: Professoressa Francesca Romana Busnelli, Un modello teorico di formazione degli adulti.
12.10 – 12.40 Dialogo con i relatori
12.40 – 13.00 Conclusioni
Cecilia Costa*
SOMMARIO
L’articolo presenta una riflessione articolata e documentata sulle provocazioni e sulle sollecitazioni che le scienze sociali possono offrire alle altre scienze, in particolare alle scienze teologiche e alla catechetica. L’osservazione attenta dei fenomeni sociali, senza estromettere quelli che riguardano la dimensione religiosa dell’uomo e “Dio” nella percezione che l’individuo e la società di fatto elaborano, risulta imprescindibile per cogliere il senso della realtà e della storia che viviamo. A sua volta, in un contesto pluralistico e complesso che spinge alla transdisciplinarità, le scienze sociali possono ricevere degli apporti dalle altre scienze, accogliendo l’invito a interessarsi di temi di confine come la lettura del “religioso” e il “dire Dio oggi”, senza preclusioni ideologiche, senza venir meno al doveroso tenore di onestà intellettuale.
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► PAROLE CHIAVE
Dio; Interdisciplinarità; Religiosità; Scienze sociali; Teologia.
Cecilia Costa è Ordinario di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Roma Tre
Pubblichiamo di seguito il Messaggio della Segreteria Generale del Sinodo in occasione del 60° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II (11 ottobre 1962 – 11 ottobre 2022).
Il 60° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II è un momento di particolare grazia anche per il Sinodo, che rappresenta un frutto di quell’assise ecumenica, anzi una delle sue «più preziose eredità» (Francesco, cost. ap. Episcopalis Communio, 15 settembre 2018, 1). Il Synodus Episcoporum, infatti, è stato istituito da San Paolo VI all’inizio del quarto e ultimo periodo del Concilio (15 settembre 1965), venendo incontro alle richieste avanzate da numerosi padri conciliari.
Scopo del Sinodo era e rimane quello di prolungare, nella vita e nella missione della Chiesa, lo stile del Concilio Vaticano II, nonché di favorire nel Popolo di Dio la viva appropriazione del suo insegnamento, nella consapevolezza che quel Concilio ha rappresentato «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX» (Giovanni Paolo II, lett. ap. Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, 57). Un compito lungi dall’essere esaurito, visto che la recezione del magistero conciliare è un processo in atto, addirittura per certi aspetti ancora agli inizi.
Nel corso di questi decenni, il Sinodo si è posto costantemente al servizio del Concilio, contribuendo per la sua parte a rinnovare il volto della Chiesa, in una sempre più profonda fedeltà alla Sacra Scrittura e alla vivente Tradizione e in attento ascolto dei segni dei tempi. Le sue Assemblee – Generali Ordinarie, Generali Straordinarie e Speciali – sono state tutte, ciascuna a suo modo, permeate dalla linfa vitale del Concilio, del quale hanno di volta in volta approfondito gli insegnamenti, dischiuso le potenzialità di fronte a nuovi scenari, favorito l’inculturazione tra i diversi popoli.
Anche il processo sinodale in corso, dedicato a «La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa», si situa nel solco del Concilio. La sinodalità è in tutto un tema conciliare, ancorché tale termine – di conio recente – non si trovi espressamente nei documenti dell’assise ecumenica. La magna charta del Sinodo 2021-2023 è la dottrina del Concilio sulla Chiesa, in particolare la sua teologia del Popolo di Dio, un Popolo che «ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali lo Spirito Santo dimora come in un tempio» (Lumen gentium 9).
Del resto, «comunione, partecipazione e missione» – i termini che Papa Francesco ha voluto includere nel titolo stesso del percorso sinodale, facendone per così dire le parole chiave – sono eminentemente parole conciliari. La Chiesa che siamo chiamati a sognare e a edificare è una comunità di donne e uomini stretti in comunione dall’unica fede, dal comune battesimo e dalla medesima eucaristia, a immagine di Dio Trinità: donne e
uomini che insieme, nella diversità dei ministeri e dei carismi ricevuti, partecipano attivamente all’instaurazione del Regno di Dio, con l’ansia missionaria di portare a tutte e a tutti la gioiosa testimonianza di Cristo, unico Salvatore del mondo.
Già Benedetto XVI affermava che «la dimensione sinodale è costitutiva della Chiesa: essa consiste nel con-venire da ogni popolo e cultura per diventare uno in Cristo e camminare insieme dietro a Lui, che ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) (Angelus, 5 ottobre 2008). Nello stesso orizzonte Papa Francesco, commemorando il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo, ha asserito che il cammino della sinodalità, «dimensione costitutiva della Chiesa», «è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (17 ottobre 2015).
Città del Vaticano, il 10 ottobre 2022
A un anno dell’apertura del processo sinodale 2021-2023
Papa Francesco vede in sant’Artemide Zatti il «buon Samaritano» della pagina evangelica. È quanto ha dichiarato ai membri della famiglia salesiana in vista della sua canonizzazione:
Il Buon Samaritano ha trovato in lui un cuore, delle mani e una passione, soprattutto per i piccoli, i poveri, i peccatori, gli ultimi.
Nel suo discorso egli ha enfatizzato la devozione totale dell’infermiere e farmacista per i poveri, nonché la sua fervente fede, che irradiava l’amore di Dio nei luoghi che visitava.
Artemide Zatti, di origine italiana, emigrò in Argentina con la propria famiglia all’età di 17 anni. Si installarono a Bahia Blanca, piccola città a sud di Buenos Aires, nel nord della Patagonia argentina. Spesso Artemide ha accompagnato il proprio parroco, don Carlo Cavalli, un salesiano, nella visita ai malati. Osservando la sua dedizione e la sua profonda fede, don Carlo gli fece leggere una vita di Don Bosco. Toccato dall’esempio del prete e coinvolto dalla lettura, scelse di diventare salesiano.
A 20 entrò in seminario, ma contrasse la tubercolosi occupandosi di un giovane prete malato. Padre Evasio Garrone, che lo curò, invitò Artemide a pregare Maria Ausiliatrice per la propria guarigione, e gli suggerì di formulare un voto: «Se ti guarisce, dedicherai tutta la vita ai malati». Artemide promise e guarì. Rinunciò al sacerdozio per meglio assicurare la vocazione di infermiere presso i malati. Divenne frate laico l’11 gennaio 1908, e fece la professione perpetua l’8 febbraio 1911.
Da allora dedicò la propria vita ai malati, e specialmente ai più poveri, curandoli gratuitamente e facendo chilometri per recarsi al loro capezzale. «Una delle grandi caratteristiche di Zatti era la compassione che aveva per la gente», ha dichiarato ad i.Media Pierluigi Cameroni, postulatore generale per le cause dei santi della famiglia salesiana:
Anzitutto perché accoglieva i poveri in ospedale, ma anche perché – con la sua ben nota bicicletta – si faceva il giro di tutta la città per andare a trovare i poveri, quelli che non potevano recarsi da lui, quelli che non avevano medicine.
Artemide Zatti vide il Signore sofferente in ciascuno dei malati affidati a lui. Diceva letteralmente alla religiosa incaricata della gestione infermieristica: «Prepari per favore un letto a un Gesù di 12 anni». Oppure: «Ha per caso un paio di scarpe per un Gesù di 30 anni?». Prima che lo facesse il Papa, per via di questa leggendaria compassione già tutti lo chiamavano “il Buon Samaritano”.
Si dedicò totalmente all’ospedale San José de Viedma. Nel 1913 ne assunse la responsabilità, divenendone vice-direttore, amministratore e infermiere-capo. Nel 1915 divenne direttore dell’ospedale San José e due anni più tardi, presa una licenza da infermiere professionista, divenne direttore della farmacia. Morì il 15 marzo 1951 per un cancro al pancreas.
Il prodigio che ha sbloccato la sua ascesa agli altari ha avuto luogo nel 2016 nelle Filippine: un uomo, vittima di un grave incidente vascolare cerebrale ma troppo povero per farsi operare in ospedale, ha recuperato totalmente la salute grazie alle preghiere del fratello, salesiano, al beato Artemide Zatti. «Anche in questo miracolo, direi che abbia voluto aiutare uno privo di mezzi», sottolinea Pierluigi Cameroni.
Le guarigioni miracolose non sono il solo “àmbito di competenza” del nuovo santo: papa Francesco ha invitato a considerare che Artemide Zatti è anche un potente intercessore per le vocazioni, e lo ha fatto raccontando un’esperienza personale, occorsagli quando era Provinciale dei Gesuiti di Argentina.
Gli affidai la richiesta al Signore di sante vocazioni alla vita consacrata laica, per la Compagnia di Gesù: dal momento in cui abbiamo cominciato a pregare per la sua intercessione, il numero dei giovani coadiutori è aumentato in maniera significativa.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]
Mathilde De Robien – i.Media per Aleteia – pubblicato il 10/10/22