“Testimoni digitali”

Benedetto XVI parlando ai partecipanti al convegno «Testimoni digitali», promosso dalla Cei, ha indicato le potenzialità e i rischi dei nuovi supporti mediatici.
L’informazione digitale secondo il Papa è una grande opportunità, anche di evangelizzazione, ma se perde la centralità e il rispetto della persona, rischia di diventare strumento «di omologazione e controllo, di relativismo intellettuale e morale».
«La Rete manifesta una vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista, ma nel contempo segna un nuovo fossato: si parla, infatti, di digital divide.
Esso separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersi agli altri divari, che già allontanano le nazioni tra loro e anche al loro interno», ha poi detto il Pontefice.
«Aumentano pure i pericoli di omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale…
Si assiste allora a un ‘inquinamento dello spirito», ha aggiunto il Papa, sottolineando il rischio di «smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro superficie».
Per evitare questi rischi, ha detto Papa Benedetto XVI, occorre che i media “siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale”.
Allegati: IL TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO DEL PAPA Un umanesimo dà luce al mondo digitale di Alessandro Zaccuri Un nuovo umanesimo digitale L’intervento del cardinal Bagnasco Generazione di protagonisti

Walter Kasper: “È questa la tolleranza zero annunciata dal Santo Padre”

Cardinale Kasper, Presidente del Pontificio consiglio per l´unità dei cristiani, ma anche membro di altri importanti dicasteri (Dottrina della Fede, Supremo Tribunale per la Signatura apostolica, Testi legislativi, Cultura), il cardinale Walter Kasper (77 anni) è il tedesco più potente in Vaticano dopo papa Ratzinger ed il suo fido segretario personale, monsignor George Gaenswaen.
Cardinale Kasper, tre vescovi costretti a dimettersi negli ultimi 2 giorni per lo scandalo della pedofilia.
Questo significa che il pugno di ferro della Santa Sede incomincia a farsi sentire? «No, niente pugni.
E´ semplicemente l´applicazione di quella tolleranza zero più volte annunciata con fermezza dal Santo Padre ed ora applicata senza esitazione.
E´ la Chiesa cattolica che fa pulizia al suo interno, che si purifica, che chiede perdono.
E´ la risposta concreta ad un dramma tanto grave come la pedofilia che ha colpito tante vittime innocenti per colpa di sacerdoti che hanno tradito la loro promessa di servire Dio aiutando i più deboli».
Di fronte alle notizie sulle dimissioni a catena di vescovi travolti dai casi di pedofilia, non sembra sorpreso: «E´ la prova – dice – che la Chiesa è decisa a combattere un male tanto orribile non solo a parole, ma con fatti ed atti concreti».
Ieri un vescovo irlandese ed uno tedesco.
Il giorno precedente un altro presule americano.
E sempre per lo stesso motivo.
Nei prossimi giorni ci saranno altre dimissioni forzate? «Non posso commentare i singoli casi perché sono vicende che non conosco in prima persona.
E, tantomeno, preannunziare cosa succederà in un futuro più o meno prossimo.
E´ bene lasciare lavorare gli organi preposti della Santa Sede e le Chiese locali.
Il futuro si vedrà.
Ma una cosa è certa, la Chiesa non lascerà nulla di intentato per estirpare al suo interno una metastasi tanto orribile e vergognosa come è la pedofilia tra il clero.
E´, in sostanza, l´applicazione di quella tolleranza zero più volte annunciata ed invocata».
Tolleranza zero voluta da papa Ratzinger, malgrado qualche tentativo di opposizione di una parte del collegio cardinalizio? «E´ proprio quella fermezza che vuole il Santo Padre, il quale quando chiede perdono per gli abusi sulle vittime e invoca la giustizia per i colpevoli non lo fa solo a parole, ma con fatti ed interventi concreti.
Come stiamo vedendo proprio in questi giorni.
Ma non dimentichiamo mai che il Santo Padre sa che è circondato dal calore di tutta la Chiesa, dove non c´è nessuno che non gli sia grato per la sua grande opera di pulizia e di purificazione avviata per depurarla dalle scorie degli scandali».
Eppure c´è ancora chi accusa il Vaticano e Benedetto XVI di non aver fatto molto, sia ieri che oggi, per estirpare i preti pedofili dal corpo della Chiesa.
«Non è vero che il Papa parla soltanto e non fa niente di concreto.
I fatti di questi giorni lo stanno a dimostrare.
E´ vero, invece, che la Chiesa cattolica, sotto la guida di Benedetto XVI, è fermamente intenzionata a fare pulizia, chiarezza, penitenza, isolando i colpevoli e facendo un salutare percorso di purificazione.
Senza mai dimenticare il dolore e le sofferenze che sacerdoti infedeli hanno inferto a piccole vittime innocenti.
La Chiesa cattolica lo sta facendo alla luce del sole.
Ma sarebbe necessario che anche altre istituzioni facessero altrettanto se veramente si vuole combattere la pedofilia».

Irc e Indicazioni Nazionali

Irc e Indicazioni per i licei   Sergio Cicatelli     In un precedente articolo ci siamo soffermati sul lessico dei documenti che accompagnano il riordino del secondo ciclo, notando quanto poco spazio sia riservato alla dimensione religiosa nei Profili di licei, tecnici e professionali.
Il Profilo dei licei è stato interamente riscritto ed ha abbandonato l’impostazione emarginante della prima versione, anche se il nuovo testo lascia ancora pochissimo spazio allo specifico religioso.
La situazione sembra essere un po’ migliorata con le Indicazioni nazionali che dal 15 marzo sono state sottoposte ad un pubblico dibattito in attesa della redazione definitiva.
Il testo delle Indicazioni si presenta estremamente asciutto e sintetico, ma può valere la pena esaminare le discipline che più facilmente possono avere a che fare con la cultura religiosa, per misurare con lo stesso sistema dell’analisi lessicale i riferimenti alla religione.
Qualcuno ricorderà la recente polemica sull’assenza della Resistenza dalle Indicazioni di storia: se ognuno pretendesse di trovare le parole chiave che gli stanno a cuore, le Indicazioni dovrebbero almeno raddoppiare di dimensioni.
Ma, visto che ci riferiamo a una dimensione costitutiva della persona (la cui assenza non può essere attribuita a distrazione), la ricerca di una citazione non è una questione di puntiglio ma di attenzione culturale ed educativa.
Nelle Indicazioni per l’insegnamento di lingua e letteratura italiana il riferimento religioso è decisamente modesto, consistendo solo nell’inevitabile richiamo alla letteratura religiosa che caratterizza gli inizi della storia letteraria.
Per il latino il quadro è più complesso, perché le Indicazioni sono differenziate per il classico, per il linguistico (dove il latino è presente solo nel primo biennio e dove manca qualsiasi riferimento perché si studia solo la lingua e non la letteratura) e per i licei scientifico e delle scienze umane.
Nei tre licei che danno spazio alla letteratura si raccomanda l’attenzione, fra gli altri, agli aspetti religiosi del mondo romano (stessa dizione per il greco nel classico).
In relazione alla tarda latinità, poi, si dà spazio alla letteratura cristiana citando espressamente Girolamo e la Vulgata, nonché – solo per il classico – Agostino.
Gli obiettivi specifici di apprendimento per la geografia prevedono solo un richiamo alla «diffusione delle religioni» come ovvio fattore di antropizzazione.
Un po’ più ricca è la serie di riferimenti nel caso della storia, dove la dimensione religiosa in quanto tale è presente solo nei movimenti religiosi del Medioevo e nella crisi dell’unità religiosa europea all’inizio dell’età moderna.
Nel quadro del mondo antico non può essere trascurato «l’avvento del Cristianesimo», come pure la Chiesa risulta essere presente da protagonista dell’alto Medioevo e specificamente come interlocutrice dei movimenti religiosi tardomedievali.
Inoltre, sempre nel primo biennio viene citata «la nascita e la diffusione dell’Islam».
Infine, è ancora presente il Papato come esempio di potere universale medievale, accanto all’Impero.
Insomma, la presenza storica della Chiesa e del fatto religioso sembra confinata in tempi remoti, visto che tra i nuclei tematici che «non potranno essere tralasciati» nello studio del Novecento non figura né il Vaticano II né il ruolo politico-sociale comunque svolto dalla Chiesa o dal fattore religioso in genere nelle dinamiche interculturali.
Altrettanto scarna, ma significativa, l’attenzione dedicata al religioso dalle Indicazioni di filosofia.
Qui il legame tra la filosofia greca e le tradizioni posteriori impone in primo luogo il richiamo a quelle religiose; e il legame viene ribadito in età ellenista nell’incontro «tra la filosofia greca e le religioni bibliche».
Tra gli autori imprescindibili figurano Agostino e Tommaso, ma anche Pascal e Kierkegaard.
Inoltre, tra gli argomenti a scelta che potranno essere trattati nello studio del Novecento figura «la filosofia d’ispirazione cristiana e la nuova teologia».
Il legame più forte con l’Irc sembra essere offerto dalle Indicazioni per le scienze umane, il cui insegnamento complessivo (nell’omonimo liceo) è previsto «in stretto contatto con la filosofia, la storia, la letteratura e la cultura religiosa».
Ora, visto che i riferimenti religiosi nelle altre materie sono piuttosto scarsi, l’unico legame cui si fa riferimento può essere quello con l’Irc.
Entrando nello specifico disciplinare delle singole scienze umane, nell’antropologia si trova il richiamo alla «dimensione religiosa e rituale» e alle «grandi culture-religioni mondiali»; del tutto assenti i riferimenti religiosi in psicologia e sociologia.
La pedagogia è quella che offre i richiami più numerosi: prevedibili quelli all’«educazione cristiana dei primi secoli (almeno Agostino)» e alla «vita monastica (almeno Benedetto da Norcia)»; nel Medioevo è dato spazio agli ordini religiosi e alla cultura teologica (almeno Tommaso), ma anche l’età umanistica viene proposta in confronto con le «istanze di riforma religiosa».
Tra gli autori imprescindibili figurano, oltre a quelli già citati, Calasanzio, Rosmini, don Bosco, Maritain.
Anche per la storia dell’arte è prescritto che lo studente acquisti chiara comprensione dei legami tra le opere d’arte e altri aspetti della vita, tra cui è esplicitamente citata la religione.
Solo per i licei artistici si fa anche riferimento all’arte cristiana delle origini.
Sono infine del tutto assenti altri riferimenti in discipline che pure avrebbero potuto presentare agganci (storia della musica, diritto, lingue …).
Da un punto di vista metodologico, ricorre spesso nelle Indicazioni delle verie discipline l’invito a curare raccordi interdisciplinari.
L’Irc da parte sua ha sempre cercato ed esplicitato tali legami, quindi è da tempo in sintonia con queste scelte didattiche.
In conclusione, occorre ribadire che si tratta di Indicazioni ancora provvisorie e che qualcosa potrebbe cambiare nella versione definitiva.
Per l’Irc, comunque, la sfida più importante rimane quella delle proprie Indicazioni, che dovranno uscire in tempo utile per l’inizio del nuovo anno.
Quelle del primo ciclo, pur firmate d’intesa il 1 agosto dello scorso anno, a distanza di quasi nove mesi ancora non sono apparse in Gazzetta Ufficiale.
Si spera che l’increscioso ritardo non si ripeta.
 5.
In uno schema di sintesi   4 Corsi comuni                        – Processi di apprendimento        – Uso delle fonti                   – Sapere religioso-cattolico                  – Comunicazione educativa          6 ECTS                                                1 Seminario                                          a scelta                                          12 ECTS 4 Corsi speciali             – progettazione                          – contesto plurireligioso    – linguaggio religioso    – linguaggi mass-mediali   6 ECTS                                                              1 Tirocinio                                          a scelta                                         18 ECTS   Interventi di coordinamento          2 ECTS Tesi di diploma                16 ECTS   ECTS (European Credits Transfer System) Crediti Formativi.
 

Come cambiano i licei

Troppo enciclopedismo non farà un buon liceo Giorgio Rembado Sussidiario.net mercoledì 24 marzo 2010 La recente diffusione della prima stesura delle Indicazioni nazionali per i licei offre agli “addetti ai lavori” l’opportunità di verificare la rispondenza tra gli ordinamenti rinnovati e gli strumenti operativi per la loro attuazione.
Ma fino a che punto le scelte metodologiche e culturali delle Indicazioni sono coerenti con le finalità innovative del Regolamento per i licei? Se, inoltre, il Regolamento disciplina i percorsi liceali per il raggiungimento del Profilo educativo e culturale dello studente, entro che limiti le Indicazioni si rivelano all’altezza di questo scopo? La sfida sottesa alla ratio del Regolamento di riordino dei Licei è finalizzata a introdurre un vero e proprio ripensamento del rapporto tra i processi di apprendimento e di insegnamento.
In realtà, però, le Indicazioni non recepiscono ancora del tutto questa sfida, poiché in esse si rileva una esplicita insistenza su ciò che lo studente dovrà sapere e saper fare, dunque sulla prescrittività dei contenuti.
Nonostante il fatto che nel dibattito attuale si registri l’urgenza di definire gli standard formativi di riferimento per la valutazione e la certificazione delle competenze (basti pensare al documento relativo all’Obbligo di istruzione, in cui, a partire dalle competenze, vengono declinate le abilità/capacità e le conoscenze), le Indicazioni per i licei affrontano diversamente la questione, in quanto mescolano abilità/capacità, conoscenze e competenze.
Un caso a sé è rappresentato dal testo relativo alle Lingue Comunitarie, che si differenzia in virtù di un “illustre precedente”, in quanto fa esplicito riferimento alla struttura del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue.
Occorre a questo punto ricordare che, secondo il Regolamento, le Indicazioni nazionali dovrebbero raggiungere un duplice scopo: da un lato, declinare i risultati di apprendimento in conoscenze, abilità e competenze in modo coerente con le linee di tendenza in Europa; dall’altro lato, assicurare il riordino dei percorsi liceali con la piena attuazione dell’autonomia.
Ma l’introduzione del Coordinatore della Commissione ministeriale, che ha elaborato le Indicazioni, rimanda a dichiarazioni programmatiche che, pur trovando ormai da tempo un significativo consenso, vengono in parte disattese: l’enciclopedismo tipico dei vecchi Programmi lascia ancora delle tracce evidenti e i quadri di riferimento adottati dalle rilevazioni nazionali e dalle indagini internazionali sugli apprendimenti degli studenti non sono ancora pienamente assunti.
Si privilegiano, infatti, elenchi di contenuti che ci riconducono alla vecchia tradizione dei Programmi ministeriali e che tradiscono non solo il nomen, ma anche l’assunto delle Indicazioni nazionali, che dovrebbero consistere nella determinazione degli obiettivi da lasciare poi alla autonoma programmazione dell’attività delle scuole.
Molto, allora, resta da fare per rendere le Indicazioni nazionali uno strumento vero di attuazione del Regolamento, in modo particolare in merito ai seguenti aspetti: una declinazione delle competenze, delle abilità/capacità e delle conoscenze non a scopo prescrittivo, ma con funzione di indirizzo all’azione delle istituzioni scolastiche, specialmente mirata alla loro valutazione e certificazione; la coerenza dell’impianto concettuale del primo biennio con gli assi culturali dell’Obbligo di istruzione e con le competenze chiave di cittadinanza; la sottolineatura della valenza formativa riconosciuta alla didattica laboratoriale per tutte le discipline; l’insistenza sulla multidisciplinarità dei percorsi formativi finalizzati alla costruzione delle competenze, proprio in quanto strutture complesse.  Si eviterebbe così il rischio di affidare alle scuole medesime il compito di ricavare i descrittori delle competenze dal testo delle Indicazioni così come oggi è strutturato e di riprodurre il fenomeno dell’autoreferenzialità, dell’incertezza e della mancata trasferibilità e riconoscibilità dei crediti formativi anche al di fuori dell’ambito nazionale.
  Ma tutto questo ci auguriamo possa essere affidato ad una revisione del testo che tenga conto del dibattito che sicuramente la bozza attuale provocherà.
La coerenza tra intenti programmatici fondativi del Regolamento e Indicazioni nazionali è, a nostro avviso, la principale garanzia per la riuscita del riordino dei licei e per il loro significativo ammodernamento, dentro al solco della migliore tradizione culturale della nostra scuola.
Meno Stato, più autonomia e più sapere, così cambiano i licei  Giorgio Chiosso l Sussidiario.net giovedì 18 marzo 2010 Sono state rese note le Indicazioni sugli obiettivi specifici di apprendimento per i licei.
Ora si apre la discussione con il mondo della scuola: un confronto ad ampio raggio che coinvolge scuole, associazioni, accademie e enti di ricerca.
Giorgio Chiosso, pedagogista e docente all’Università di Torino, fa parte del gruppo tecnico di lavoro che lunedì ha consegnato le Indicazioni al ministro Gelmini.
 Professore, quali sono i criteri che hanno fatto da guida al vostro lavoro?  Penso di poter dire che il principale criterio che ha orientato la stesura delle Indicazioni è stato quello della coerenza con il principio dell’autonomia delle scuole.
È un aspetto finora poco sottolineato da quanti in questi giorni hanno commentato i documenti provvisori resi noti dal Ministero.
Questa è la scelta e al tempo stesso la novità strategica delle Indicazioni.
Non più i Programmi prescrittivi dall’A alla Z secondo una pedagogia ministeriale che, nel trascorrere delle stagioni politiche, è di volta in volta cambiata, ma la semplice indicazione di ciò che non si può non insegnare e non sapere per essere un cittadino italiano ed europeo consapevole.
 Detta così sembra semplice.
Lo Stato ha fatto «marcia indietro»?  Lo Stato non ha una sua pedagogia.
Spetta alle scuole tradurre in processi di apprendimento e in azioni educative i nuclei essenziali e irrinunciabili fissati dalla Indicazioni.
È su questa base che ogni studente è tenuto ad acquisire le proprie conoscenze e a maturare le competenze personali.
Dico competenze personali perché le competenze non possono essere definite una volta per tutte, ma rappresentano una laboriosa conquista personale rispetto alle conoscenze acquisite.
 Qusto per quanto riguarda l’autonomia.
E poi? Il secondo criterio è quello della essenzialità e della irrinunciabilità delle conoscenze.
Nelle Indicazioni non c’è tutto quello che le scuole debbono fare: se così fosse saremmo nella logica dei Programmi tradizionali.
Le Indicazioni segnalano ciò è irrinunciabile secondo una logica inclusiva e non esclusiva.
Intorno al nucleo essenziale spetta infatti ai collegi dei docenti e ai singoli insegnanti – anche in relazione alle quote di flessibilità previste dagli orari – articolare i percorsi scolastici integrando la parte essenziale con altre conoscenze in modo adeguato e coerente con il Profilo in uscita previsto per ciascun liceo.
 Qual è il valore aggiunto di questo approccio?  Questa impostazione – che anche in questo caso non mi pare sia stata finora colta in tutta la sua densità – assegna agli insegnanti una grande responsabilità culturale ed educativa.
Spetta a loro compiere le scelte più idonee per far crescere gli alunni sul piano culturale, nel senso critico, aiutandoli a diventare persone capaci di capire e non solo di ripetere.
C’è bisogno dunque non solo di docenti «tecnici esperti», ma anche docenti capaci di stimolare le capacità personali e promuovere cultura.
 Come dobbiamo orientarci nei documenti?  Sono fruibili da un vasto pubblico.
Mi pare molto importante segnalare lo stile con cui le Indicazioni sono state elaborate e scritte.
Non più di due pagine per ciascuna disciplina, con l’impiego di un vocabolario alla portata di tutti, senza specialismi e senza i gergalismi tipici di una certa letteratura ministeriale. Mi sento di poter dire che dalle Indicazioni viene una lezione di chiarezza, semplicità, trasparenza.
Ognuno ha ovviamente il diritto di esprimere consenso o dissenso, ma nessuno può lamentare oscurità, ambiguità o indeterminatezza.
 Si è molto discusso in questi giorni se la scansione cronologica prevista dalle Indicazioni non rischi di esagerare sul versante della contemporaneità.
Insomma, è sempre il ’900 a far discutere.
Era prevedibile.
Penso anche ad alcune annotazioni critiche circa le difficoltà a esplorare in modo adeguato la letteratura italiana contemporanea o alcune scottanti e delicate vicende della storia più recente.
Ma non dobbiamo dimenticare che il Novecento è «il secolo scorso» e che la scuola ha il dovere di esaminarlo criticamente, con la problematicità delle questioni aperte e adottando gli stessi strumenti metodologici impiegati per indagare altri momenti della nostra storia.
Anche sul Risorgimento, per fare un solo esempio, c’è un dibattito aperto, ma nessuno si sognerebbe di sostenere che la diversità di interpretazioni è di ostacolo all’insegnamento scolastico.
       Le Indicazioni sottendono una precisa idea di liceo.
Quale?  Per noi il liceo è la scuola che preferenzialmente – ma non esclusivamente – fornisce una cultura di accesso universitario.
Abbiamo interpretato quest’idea in senso ampio, perché da un lato ci siamo ricollegati alla storia della tradizione liceale italiana, centrata sul liceo classico, ma dall’altro l’abbiamo innovata, evitando di restarne prigionieri.
In caso contrario avremmo detto che il liceo classico è la scuola dell’eccellenza, e che gli altri licei vengono di conseguenza.
No: la licealità è una ma declinata in modi diversi.
Basta vedere le Indicazioni: italiano, storia, filosofia e lingua straniera sono uguali per tutti i licei.
 Una delle parole chiave più controverse della riforma è quella delle competenze.
Anche lei vi ha fatto cenno all’inizio.
Qual è la sua opinione?  Penso che questa parola sia ormai abusata.
Preferisco partire dal concetto del sapere.
La scuola ha come scopo di fornire il sapere, che poi si traduce in competenza nella misura in cui è un sapere che ciascuno personalizza.
Non immagino un concetto di competenza oggettivistico, con un’autorità che definisce le competenze per tutti.
Lo Stato ha l’obbligo di definire le cose irrinunciabili perché Tizio sia una persona che ragiona con la sua testa.
La competenza deve essere una conseguenza del sapere, una rielaborazione e una traduzione personale della capacità di apprendere.
Inoltre è una nozione che può presentare dei rischi.
E il primo di questi è senz’altro un eccesso di proceduralismo: che facilita forse il lavoro degli insegnanti, ma che rappresenta certamente una delle tante forme dell’anticultura di oggi.
  I licei ancora al bivio tra passato e finte riforme Claudio GentiliIl Sussiduiario.net La prima stesura delle Indicazioni nazionali per i licei ha ricevuto sui media apprezzamenti estesi e non scontati.
Molti di questi apprezzamenti nascono dalla percezione di una forte inversione di tendenza rispetto alla progressiva affermazione, negli anni ’70, di una pedagogia che si proponeva di non imporre regole e non dare nozioni.
Una pedagogia secondo cui il bambino non deve imparare a memoria le tabelline e le date della storia, non deve studiare la grammatica e l’analisi logica.
Insomma in poche parole le Indicazioni nazionali sembrano rispondere in modo convincente a chi chiede una scuola più seria, più rigorosa, con insegnanti preparati e più autorevoli.
 Personalmente non sono così ottimista.
La prima stesura delle Indicazioni nazionali, se risponde in modo convincente all’esigenza di andare oltre il metodologismo e un certo linguaggio astruso che ha caratterizzato molti documenti ministeriali, sembra fare una scelta manichea.
Privilegia le conoscenze sulle competenze.
Indica chiaramente le conoscenze su cui basare le competenze, ma non individua un indirizzo chiaro (paradigmatico anche se non prescrittivo) intorno alle competenze da raggiungere.
 Su questi aspetti condivido le osservazioni critiche formulate da Giorgio Rembado, da Luisa Ribolzi e da Tiziana Pedrizzi.
Il limite più evidente di queste Indicazioni nazionali è immaginare che si possa tornare ai tempi in cui Berta filava e così superare la dilagante ignoranza dei “nativi digitali”.
Magari.
Ma non penso che sia possibile tornare alla vecchia e cara scuola dove al centro vi erano le discipline rigorosamente insegnate ad una élite di studenti con famiglie acculturate alle spalle.
La sfida sottesa alla ratio del Regolamento di riordino dei licei è un’altra: introdurre un vero e proprio ripensamento del rapporto tra i processi di apprendimento e di insegnamento.
Passare da una didattica basata sulle discipline e sull’insegnamento a una didattica basata sulle competenze realisticamente acquisibili dalla maggioranza degli studenti e sull’apprendimento.
È una rivoluzione copernicana che molti sistemi educativi in Europa hanno affrontato con coraggio e con successo.
Si chiama riforma dell’insegnamento e chiama in causa una profonda trasformazione culturale del ruolo dell’insegnante.
Non ha niente a che vedere con la becera trasformazione del docente in “facilitatore” e in “assistente sociale”.
Non rinuncia al rigore del sapere e alla trasmissione di generazione in generazione del patrimonio della cultura di cui la scuola – e non Internet – è detentrice.
La didattica per competenze è molto diversa da una didattica basata esclusivamente sulle discipline insegnate in forma cattedratica e nozionistica ignorando i risultati di apprendimento.
Non che le discipline vengano meno.
È evidente che le discipline sono la base del “Lego della conoscenza”.
Ma i singoli mattoni del “Lego” (le discipline) concorrono a costruire il “castello dell’apprendimento” (le competenze effettivamente possedute dagli studenti).
Il limite della didattica disciplinarista è proprio l’incapacità di integrazione delle discipline tra di loro e l’individualismo pedagogico.
La prima stesura delle Indicazioni nazionali per i licei sembra puntare in modo squilibrato esclusivamente sulla trasmissione delle conoscenze, esemplificate da materie, testi e programmi e trascurare la più ampia prospettiva educativa che si fa carico della persona e del suo apprendimento, mettendo lo studente in rapporto con le sue potenzialità di evoluzione, richiamando la pluralità delle intelligenze, l’intreccio inevitabile di conoscenze, abilità e qualità personali, i saperi messi al lavoro in campi spesso lontani dall’ambiente scolastico.
D’altro canto è acclarato nelle migliori esperienze internazionali che si apprende meglio integrando le diverse discipline, trattando problemi, collegando i saperi attraverso gli organizzatori concettuali.
Tempo, energia e misura ad esempio si possono apprendere solo integrando sul piano metodologico le diverse discipline scientifiche.
Probabilmente però dietro la soluzione adottata dalla prima stesura delle Indicazioni nazionali per i licei c’è una fuorviante identificazione tra il concetto di competenza e quello di abilità.
Ho cercato di argomentare questa fondamentale differenza in alcuni testi a cui mi permetto di rimandare (“Scuola ed Extrascuola”, Ed.
La Scuola, 2002 e “Umanesimo tecnologico e istruzione tecnica”, Ed.
Armando, 2007).
 La lingua italiana per alcuni aspetti è ambigua e ci soccorre l’inglese: competenza è la sintesi di knowledge (conoscenze), skills (abilità), habits (qualità umane, abiti mentali).
Nelle migliori ricerche internazionali la competenza non è una specie, ma un genere di cui la conoscenza è una fondamentale componente, ma che privilegia l’integrazione delle discipline, sviluppandone il potenziale di apprendimento.
In Italia hanno sviluppato interessanti ricerche in questo campo Guasti, Tagliagambe e Margiotta.
E sul piano operativo la Regione Lombardia con applicazioni davvero innovative nel campo dei percorsi triennali di istruzione e formazione professionale.
Più di recente l’Ufficio scolastico regionale della Puglia ha avviato un interessante programma di formazione degli insegnanti basato sul rapporto che intercorre tra le discipline e le competenze.
Noto due rischi che dovrebbero essere evitati.
Innanzitutto la rinuncia all’innovazione didattica in nome di una conservazione del primato esclusivo delle discipline.
E per questo auspico che nella stesura finale delle Indicazioni nazionali si tenga in maggiore considerazione il raccordo tra le diverse aree disciplinari e le competenze da raggiungere descritte in modo non generico.
Ma vi è anche un altro rischio.
Quello di cambiare tutto perché tutto resti come prima limitandosi a chiamare le discipline “competenze” e riproducendo quindi i limiti del cognitivismo.
 Fa parte di questo rischio il maldestro tentativo di trasformare l’EQF (European Qualification Framework) in una sorta di nuovo curricolo.
Con lo scopo di promuovere in Europa l’apprendimento permanente, l’EQF, approvato dalla Commissione Europea nell’aprile 2008, è una tassonomia che parte dal livello 1 (la licenza elementare) e arriva al livello 8 (il dottora­to).
È un modo per rendere trasparenti e trasferibili diplomi, qualifiche e lauree, sapendo quali competenze corrispondono ai diversi titoli di studio.
Ma l’EQF non è un nuovo curricolo né manda in soffitta le discipline, ma verifica le competenze associandole non solo al profitto scolastico, ma anche alle pratiche professionali.
In campo scolastico il concetto di competenza ha un valore tecnico (di assimilazione di procedure) ma ne ha anche uno eminentemente formativo, legato alle diverse formae mentis (H.
Gardner), agli atteggiamenti cognitivi, alla valenza critica e riflessiva dei saperi.
 La didattica per competenze e l’integrazione delle discipline comportano la fine dell’enciclopedismo, cioè della pretesa di riempire di nozioni la testa degli studenti.
Gli studi di Edgar Morin, soprattutto il suo libro Una testa ben fatta, hanno ampiamente dimostrato l’esigenza che i vari tipi di scuola non si limitino ad accumulare negli studenti un insieme di conoscenze disciplinari separate, poco approfon­dite e per nulla interrelate, ma a fornire loro i sape­ri critici per continuare ad apprendere.
Nessuno ovviamente vuole che, per evitare il rischio della testa piena prepariamo un menu didattico talmente lontano dal rigore del sapere disciplinare da assicurare ai nostri ragazzi una testa vuota.
Le Indicazioni nazionali fanno dunque benissimo a ribadire l’importanza del sapere disciplinare, ma questo sapere disciplinare deve potersi arricchire per diventare competenza misurabile.
La competenza è conoscenza applicabile, trasferibile, operativa.
Si ha competenza nell’applicare e nel rendere produttivi i saperi: sviluppare competenze critiche è anche aiutare i ragazzi a scoprire quello che emerge dall’intersezione dei vari saperi, tra scienza e storia, tra scienza e arte, tra matematica e filosofia.
Il concetto di competenza non è un concetto “mercantile”, ma è il superamento della frantumazione e della separazione /gerarchizzazione dei saperi.
Ci soccorre ancora una volta la migliore ricerca internazionale sulle competenze che ha trovato una efficace applicazione negli indicatori OCSE-PISA (tanto indigesti non solo per i nostri studenti ma per tanti nostri insegnanti).
È auspicabile che la versione definitiva delle Indicazioni nazionali tenga adeguatamente conto di questi indicatori nel descrivere le competenze che uno studente liceale deve possedere ai vari livelli.
Ricordo che il cardine della rilevazione OCSE-PISA, assunto per indicare le competenze in lettura, matematica e scienze, è il concetto di literacy, termine con il quale l’OCSE indica l’insieme delle conoscenze e delle abilità possedute da un individuo e la sua capacità di utilizzarle.
 La literacy scientifica è definita dall’OCSE come: “L’insieme delle conoscenze scientifiche di un individuo e l’uso di tali conoscenze per identificare domande scientifiche, per acquisire nuove conoscenze, per spiegare fenomeni scientifici e per trarre conclusioni basate sui fatti riguardo a temi di carattere scientifico, la comprensione dei tratti distintivi della scienza intesa come forma di sapere e d’indagine propria degli essere umani, la consapevolezza di come scienza e tecnologia plasmino il nostro ambiente materiale, intellettuale e culturale e la volontà di confrontarsi con temi legati alle scienze, nonché con le idee della scienza, da cittadino che riflette”.
Quella matematica viene presentata come “la capacità di un individuo di identificare e di comprendere il ruolo che la matematica gioca nel mondo reale, di operare valutazioni fondate e di utilizzare la matematica e confrontarsi con essa in modi che rispondono alle esigenze della vita di quell’individuo in quanto cittadino che riflette, che s’impegna e che esercita un ruolo costruttivo”.
Infine la literacy in lettura è “la capacità di un individuo di comprendere, di utilizzare e di riflettere su testi scritti al fine di raggiungere i propri obiettivi, di sviluppare le proprie conoscenze e le proprie potenzialità e di svolgere un ruolo attivo nella società”.
La matematica, così come l’italiano, è una disciplina i cui contenuti sono funzionali anche all’apprendimento di altre discipline.
Le difficoltà di lettura, scrittura e analisi quantitativa influiscono di solito negativamente sulle capacità di studio, approfondimento e aggiornamento delle persone e costituiscono il maggiore rischio di insuccesso, scolastico e professionale.
Rilevo l’urgenza di definire gli standard formativi di riferimento per la valutazione e la certificazione delle competenze.
Rientra in questo percorso la necessità di realizzare attorno all’espressione “competenza” uno sforzo di sintesi dei diversi approcci culturali, che abbandoni una volta per tutte il vecchio preconcetto idealista che vuole la scuola legata all’otium e ben lontana dal negotium.
Se Leibniz sosteneva che “la cultura libera dal lavoro”, Spinoza replicava che “ogni uomo dotto che non sappia anche un mestiere diventa un furfante”.
Le Indicazioni “parlano” finalmente una lingua diversa, ora i prof sapranno usarla? Feliciana Cicardi Il Sussidiario .net Sulla scia dei Regolamenti arrivano al grande pubblico e agli addetti ai lavori le “Indicazioni” per i nuovi licei.
La bozza – perché di ciò si tratta – è suddivisa nelle Indicazioni relative alle varie discipline.
Le quali Indicazioni constano di due/tre cartelle relative ad ogni singola disciplina.
Nessuna pletora quindi, ma una presentazione sintetica di un profilo generale e delle relative competenze disciplinari.
Prendendo in esame il testo relativo alla lingua e letteratura italiana si scopre che in un piccolo spazio testuale si possono rinvenire interessanti e necessari punti di attenzione afferenti alle conoscenze/competenze che strutturano la generale competenza linguistica.
Una prima gradita novità è costituita dalle due sezioni in cui è presentata la disciplina: “lingua” e “letteratura”.
Ma sono molti gli elementi di positività incontrabili nel documento.
Innanzitutto si intravede una continuità con le Indicazioni del 2007 relative al 1° ciclo di istruzione, una continuità rinvenibile nella correttezza con cui è disegnata la lingua e nella evidenziazione delle competenze linguistiche.
Infatti, al di là delle modalità testuali di presentazione, si riscontra nelle Indicazioni per il 1° ciclo ed in quelle per i licei una griglia strutturata su conoscenze, abilità e competenze riscontrabili in entrambi i documenti.
Ciò ovviamente non deve far pensare che nei vari segmenti scolastici si debbano proporre gli stessi contenuti e le stesse conoscenze, solo un po’ più approfondite.
Si sa per quanto tempo il segmento della scuola secondaria di 2° grado abbia lanciato i suoi “J’accuse” ai segmenti scolastici precedenti lamentando che il primo compito della scuola secondaria superiore fosse quello di colmare e recuperare le lacune presenti nei saperi degli studenti.
La questione va guardata da un’altra ottica.
Le conoscenze e i saperi non vanno riproposti ciclicamente nei vari segmenti scolastici, cerchi concentrici che allargano il loro raggio nello svolgersi del tempo scolastico: esiste una progressione nell’analisi degli “oggetti” disciplinari ed un incremento di processi e strategie cognitive perché si produca negli studenti un apprendimento significativo, cioè fatto proprio e rigiocato in situazioni varie.
Va da sé che le competenze, che per definizione sono in fieri, vanno potenziate ed irrobustite via via che si sale nell’età scolare (un piccolo suggerimento.
Sarebbe utile esplicitare nel documento le competenze essenziali che costituiscono la competenza linguistica generale: competenza testuale, competenza pragmatica, ecc.).
La continuità tra il 1° ciclo e i licei è data anche dagli elementi con cui è presentato e proposto l’oggetto “lingua”.
La lingua è descritta a tutto tondo nei suoi elementi costitutivi.
Non solo le sue strutture e le sue regole sono oggetto di analisi e conoscenza (la tanto vituperata grammatica) ma i meccanismi che governano la lingua proposti come oggetto di conoscenza ma anche come competenza d’uso della lingua stessa.
Si intravedono in filigrana elementi offerti dalla sociolinguistica, dalla pragmatica, dalla storia della lingua e dalla testualità.
Si fa ricorso a quelle che fino a non molto tempo fa venivano definite le abilità linguistiche sul versante della fruizione e della produzione: ascoltare, leggere, parlare, scrivere).
Sia nel parlato che nello scritto si sottolinea che lo studente “nella produzione personale dovrà saper variare l’uso della lingua a seconda dei diversi contesti e scopi comunicativi, compiendo anche le adeguate scelte retoriche pragmatiche e ampliando contestualmente il proprio lessico” (Indicazioni).
In una società in cui la lingua in generale, ma ancor più nei giovani, è stereotipata, usata in contesti comunicativi monotipo che non sono primariamente quelli scolastici – anzi ben distanti dall’articolazione testuale usata nella scuola – è importante il suggerimento che la scuola presenti situazioni e prodotti linguistici che superino lo “scolastichese”, attraverso l’analisi dei vari fenomeni linguistici ma, anche e soprattutto, attraverso l’uso reale della lingua in contesti diversificati, pena una nuova “grammatica” pesante fatta di “nozioni” sui fenomeni linguistici.
Lo studente deve presentarsi come produttore consapevole di lingua quale strumento per comunicare, per relazionarsi, per conoscere gli altri e per conoscere sé.
Non a caso tra gli obiettivi specifici di apprendimento del primo biennio si trova l’indicazione secondo cui “nell’ambito della produzione orale si darà rilievo al rispetto dei turni verbali, all’ordine dei turni e alla concisione ed efficacia espressiva” (Indicazioni).
Viene auspicato anche lo sviluppo della competenza testuale attiva e passiva attraverso la proposta di esercitazioni che esplicitino tale competenza: “riassumere, titolare, parafrasare, variare i registri e i punti di vista”.
Tenendo presente che negli ultimi decenni il “testo” nel 1° ciclo è stato proposto come oggetto linguistico di analisi quasi autoptica, soffocando con l’eccesso di analiticità il piacere di incontrare un testo e in misura ahinoi molto minore la capacità di fare propri e quindi usarli i meccanismi linguistici per comprendere e produrre testi comunicativamente efficaci e ben confezionati.
La storia insegna.
Non si deve ripetere l’errore di proporre sotto nuove vesti un nozionismo linguistico, anziché sviluppare negli studenti il piacere di usare la lingua come strumento principe per conoscere il mondo e porsi nel mondo.
In nome dell’autonomia viene lasciata alle singole scuole e ai singoli docenti la scelta di una didattica adeguata ed efficace perché i ragazzi raggiungano obiettivi e competenze proposte dalle Indicazioni.
Il Prof.
Giorgio Chiosso su queste pagine richiama che il rispetto dell’autonomia «assegna agli insegnanti una grande responsabilità culturale ed educativa.
Spetta a loro compiere le scelte più idonee per far crescere gli alunni sul piano culturale, nel senso critico, aiutandoli a diventare persone capaci di capire e non solo di ripetere.
C’è bisogno dunque non solo di docenti “tecnici esperti”, ma anche docenti capaci di stimolare le capacità personali e promuovere cultura».
Ciò comporta che i docenti individuino metodologie e prassi didattiche adeguate allo scopo formativo e culturale della scuola e della singola disciplina.
In fondo si richiede una revisione della professionalità dei docenti.
Chi insegna agli insegnanti a promuovere apprendimento? All’uscita dei Nuovi Programmi per la scuola elementare del 1985 fu attivato dal ministero un Piano Pluriennale di aggiornamento per i Nuovi Programmi.
Durò cinque anni, tanti quante erano le aree disciplinari di cui erano composti i programmi, ed ogni insegnante ebbe modo di rivisitare teoria e pratica delle singole discipline.
I tempi sono mutati, nel frattempo è stato introdotto il criterio dell’autonomia, oggi si parla di “indicazioni”.
Ma il bisogno di rivedere le conoscenze e le azioni didattiche relative ad una disciplina resta.
Il primo elemento, le conoscenze disciplinari derivanti dalle nuove teorie e ricerche, dovrebbe essere appannaggio delle università.
La metodologia e la didattica disciplinare può essere messa in discussione, rivista ed attualizzata nell’efficacia in luoghi che consentano un confronto.
Il primo di questi luoghi può essere il dipartimento disciplinare presente nei singoli istituti scolastici che magari si strutturano in rete.
Altre sedi possono essere le associazioni disciplinari ed altro ancora.
Si tratta di far uscire dalla autoreferenzialità strutture culturali ed associative perché si pongano come obiettivo una rivisitata competenza metodologica e didattica dei docenti, di primo pelo o di lungo corso.
Sono solo alcune idee.
Chi ha stilato le Indicazioni dovrebbe anche pensare di creare le condizioni perché queste non rimangano lettera morta sulla carta, ma reale occasione per rendere la scuola luogo di cultura e di crescita di sé per i ragazzi e, perché no, luogo in cui il docente possa trovare soddisfazione nell’efficacia culturale e formativa del suo agire professionale.
  Per insegnare con libertà e autonomia ci vogliono ancora Dante e Manzoni Luca Serianni il sussidiario.net martedì 6 aprile 2010 Per comprendere la bozza di Indicazioni destinate ai licei, conviene spendere qualche parola sui criteri che hanno guidato la loro stesura.
Un programma efficace deve prima di tutto essere scritto in forma chiara; porsi degli obiettivi concreti e ragionevoli (anche esemplificando, quando sembri opportuno farlo); sottolineare quali sono i capisaldi irrinunciabili, pur nell’ovvia e doverosa riaffermazione della libertà di ciascun insegnante e dei margini d’autonomia delle singole scuole.
 Il programma di italiano è lo stesso per tutti i tipi di liceo, nella convinzione che l’acquisizione piena e consapevole della lingua nazionale e il contatto non episodico con i grandi autori letterari siano obiettivi comuni.
In particolare: a) Si dà fondamentale rilievo all’addestramento linguistico, che non può ammettere né smagliature a livello elementare (ortografia) né approssimazioni per quanto riguarda la padronanza del lessico astratto e la capacità di strutturare l’argomentazione con una sintassi adeguata.
Allo scopo si menziona esplicitamente nel profilo generale la pratica del riassunto, comunemente disattesa ma decisiva per misurare il grado di comprensione di un testo dato, la capacità di individuarne le informazioni salienti, l’abilità di riscrittura.
È importante altresì far conseguire allo studente la coscienza della storicità della lingua italiana e la consapevolezza del suo attuale statuto sociolinguistico.
b) Nella letteratura, si punta sulla lettura diretta dei testi rispetto allo svolgimento astratto del percorso storiografico.
Nel biennio l’esigenza fondamentale è quella di suscitare nell’alunno il piacere della lettura attraverso un efficace ventaglio di testi moderni e contemporanei, italiani e stranieri, ma anche proponendo il contatto con un grande classico (epica e Promessi Sposi).
Nel triennio, si conferma essenziale il percorso storico, ma con la rinuncia a un enciclopedismo che si rivelerebbe velleitario: sia se si volessero passare in rassegna tutti gli autori e le correnti di un certo significato culturale e storico; sia se, dei massimi, si pretendesse di trattare non solo i capolavori, ma anche le opere secondarie (raccomandabili, dunque, per Boccaccio solo il Decameron; per Ariosto solo l’Orlando Furioso; in compenso quei testi capitali andranno letti senza fretta, con attenzione anche alle scelte linguistiche e stilistiche e senza rinunciare alla salutare pratica della parafrasi, che rappresenta il primo, necessario, livello di una qualsiasi explication du texte).
 Da questi presupposti appare naturale confermare l’importanza di Dante, anche dal punto di vista identitario: i 25 canti previsti come lettura minima nel corso del triennio rappresentano per lo studente un impegno che non può essere sottovalutato e, per il docente, una scommessa sulla grandezza artistica dell’Alighieri e sulla sua attualità anche per le giovani generazioni.
 Sarà inutile ribadire che, per il molto che non viene esplicitato, l’insegnante potrà e dovrà operare sue personali scelte, tenendo conto sia del tipo di scuola (l’Alberti, per esempio, avrà particolare spazio, anche come scrittore, nel Liceo artistico), sia della classe, sia della sua personale idea di letteratura e delle sue propensioni di studioso o di lettore.
Quanto al latino, il programma è fortemente differenziato nei tre licei che ne prevedono lo studio.
In ogni caso si introduce il principio che la versione, nel suo assetto tipico, cioè come un brano estratto da un contesto imprecisato e munito solo del nome dell’autore, non rappresenta l’unico modello di esercitazione scritta.
Nei licei classico e scientifico, e soprattutto nel secondo, sarà utile prevedere prove variamente agevolate (per esempio con una breve introduzione che le contestualizzi o con note che esplicitino riferimenti o anche suggeriscano la costruzione di passi impervi): ciò anche allo scopo di allargare il canone degli autori proposti, senza escludere testi poetici.
In ogni caso è importante non ridurre l’insegnamento linguistico al tradizionale apparato morfosintattico, ma far riflettere l’alunno sui rapporti lessicali e semantici che collegano il latino al greco (per il liceo classico) o all’italiano e alle altre lingue europee moderne note, a cominciare dall’inglese.
Lo studio degli autori letterari dovrà prevedere letture in traduzione, senza ridursi ai pochi brani canonici.
Nel liceo linguistico lo studio del latino, limitato al primo biennio, sarà incentrato sulla lingua, con l’intento di favorire una sensibilità contrastiva sulle sue strutture rispetto a quelle dell’italiano e delle altre lingue moderne (per esempio: presenza/assenza del genere neutro, espressione del passivo), con particolare insistenza su lessico, semantica e formazione delle parole (puer-puerilis, hodie-hodiernus).
 In ogni caso, un punto deve emergere chiaramente: il latino si studia per il suo significato storico e culturale, tuttora decisivo nel nostro orizzonte umanistico; non per arrivare alla composizione in quella lingua, come avveniva ancora in diversi àmbiti intellettuali nell’Ottocento.
Se è preziosa l’occasione di una riflessione metalinguistica offerta dal latino – astrattamente possibile ma poco opportuna per una lingua moderna, che si studia per praticarla in contesti comunicativi reali – ciò non significa continuare a perseguire l’assurda caccia alle “eccezioni” (alcuni testi per le scuole ci informano ancora di quale sia l’accusativo di buris “manico dell’aratro”).
È fondamentale liberare lo studio del latino dalla polvere ingiustamente accumulatasi su di esso e dall’impressione che gli sforzi compiuti dall’alunno non siano proporzionali ai risultati raggiunti.

Risurrezione

Il significato.
  Insomma nella risurrezione Cristo ricupera in pienezza la quotidianità dell’esperienza vissuta con i Suoi; anzi la fa vibrare di una intensità singolare.
Rivela finalmente il senso di misteriose allusioni che il discepolo prediletto si è preoccupato di raccoglie e segnalare lungo l’intero arco della sua vita terrena.
Quando sarò elevato attirerò tutti a me.
La morte in croce ha segnato il vertice dell’ascesa umana; il compimento di questo sinuoso e talora atroce percorso che l’uomo va conducendo: a Lui possono guardare tutti coloro che vivono la passione per la propria dignità e realizzazione.
Che cercano a tentoni di orientarsi, di cogliere un barlume di verità, che rischiari il proprio cammino: sono venuto per rendere testimonianza alla verità… La sua risurrezione offre il sigillo della’autenticità a tutta la vicenda terrena: nulla di quanto Gesù ha vissuto va perduto; anzi, tutto assume conferma e splendore.
Nella risurrezione rifulge di nuova e imprevedibile luce  il senso vero dell’esistenza e del travaglio che l’accompagna.
Tutti i segni che hanno accompagnato la vita terrena di Cristo ritornano; erano espressione di una rivelazione iscritta nel tempo, in un certo senso destinati a tramontare con il tempo: il segno della risurrezione si iscrive nell’eternità, supera il tempo e lo redime con una conferma che ha il carattere della definitività.
Dunque la risurrezione porta per eccellenza il suggello della vita, non perché Gesù ritorna alla vita, ma perché imprime nella vita il segno nuovo dell’immortalità.
Nella ridda concitata di incontri che i Vangeli raccontano con sobrietà ed emozione i primi testimoni fanno un’esperienza sconvolgente: sono proiettati nel tempo nell’intronizzazione di Cristo che li ha salvati oltre il tempo.
Cosicché l’esistenza dell’uomo, tutta la sua esistenza, trova il senso che Dio solo è in grado di imprimervi.
 Risurrezione   I fatti.
  Gesù si ritrova con i Suoi.
Oltre il dramma, la delusione, l’amarezza è la felicità: la corsa al Sepolcro di Pietro e Giovanni, il ritorno concitato dei discepoli da Emmaus, lo stupore dell’ incontro nelle diverse situazioni di vita: in pianto alla tomba, raccolti in preghiera, sul monte  del commiato… Anche più realistica la concreta partecipazione alle consuete esperienze di vita: pace a voi, avete qualcosa da mangiare, avvicinati, tocca il mio costato… E’ Lui, proprio Lui; quello che hanno veduto e toccato per gli anni duri e luminosi della missione.
E se tratta con qualcuno di loro in particolare, è toccante l’intensità dell’incontro.
Giovanni e Luca ne danno la misura.
L’incontro con Maria di Magdala è di una intensità umana incomparabile.
Maria, suona il richiamo affettuoso alle sue spalle; Rabbunì risponde di slancio appassionato la prima donna che lo vede risorto.
E nessuno sa narrare la felicità di quel momento nella novità di una presenza, che esalta l’attesa di una donna che ama e contemporaneamente sconvolge la vicenda di ogni uomo che dopo di lei è chiamato ad incrociarlo.
Così il ritorno concitato dei due discepoli da Emmaus verso Gerusalemme con in cuore una notizia sconvolgente: E’ risorto; ha cenato con noi! Come è difficile misurare la forza rinnovatrice del dialogo di Pietro con Gesù sulle sponde del lago di Tiberiade, al momento della Consegna.
Dalla consolazione di sentirsi di nuovo interpellato sulla passione che ormai brucia la sua vita: mi ami? All’insistenza garbata da cui affiora l’ombra amara del tradimento, alla consegna che gli restituisce intatta la fiducia del Maestro.
 

Costruire il volto di Dio a scuola

 In questa fase conclusiva di riordino strutturale del sistema di Istruzione e Formazione italiano, che sta ridisegnando i traguardi di competenza e gli obiettivi di apprendimento delle discipline scolastiche e dell’IRC, l’intervento si propone innanzitutto di  affrontare alcune emergenze educative che possono incidere sulla costruzione di un volto di Dio nel processo di apprendimento scolastico.
Viene poi sinteticamente esaminata la possibilità di alcuni modelli di apprendimento di rispondere alle attuali emergenze educative  del mondo studentesco per arrivare infine a tratteggiare la proposta di un modello che sia in grado di accompagnare lo studente nel suo sforzo di costruzione di un volto di Dio a scuola.

Per la consultazione dell”intervento

VOLTO DI DIO

Pedofilia e Chiesa

Il Senatore Pera su “Il Tempo” di oggi, 8 aprile 2010 Tre lezioni sui laicisti e la Chiesa Chi conduce la campagna contro la Chiesa non mira ai preti.
Dietro l’attacco al Pontefice si rivela la guerra culturale ai valori giudaico-cristiani.
  La battaglia non è ancora vinta e la guerra sarà ancora lunga e cruenta, ma il primo assalto è stato respinto.
Sulla questione della pedofilia, cristiani e cattolici di tutto il mondo hanno compreso alcune lezioni fondamentali.
Prima.
La riparazione con atti di giustizia ecclesiastica e civile dei casi accertati di pedofilia fra i sacerdoti non è il vero interesse di chi conduce la campagna.
Se davvero lo fosse, allora analoghe prese di posizione si sarebbero dovute verificare in altri casi, oppure si sarebbe presa l’occasione per riflettere sulle nostre leggi sempre più permissive in materia etica.
Perché la pedofilia è un crimine orrendo e l’uccisione di un embrione con una pillola è una “conquista civile”? O sono crimini entrambi oppure chi fa la distinzione fra l’uno e l’altro non si riferisce al crimine in sé, ma a qualche altra cosa.
L’essere sùbito saltati da parte degli accusatori dalla denuncia dei singoli casi all’accusa indiscriminata alla Chiesa come istituzione ha fatto capire che è precisamente questa altra cosa  ciò che essi hanno in mente.
Seconda lezione.
Cristiani e cattolici hanno anche compreso che la persona del Papa non è l’obiettivo della campagna.
Perché se c’è uno che ha preso sul serio questi scandali e li ha denunciati, questi è Benedetto XVI.
Impossibile rimproverargli disattenzione, negligenza e ancor meno connivenza.
La sua predicazione di una vita, il suo magistero, la sua inequivoca dottrina sul punto gli hanno fatto sempre scudo contro qualunque denigrazione o insinuazione.
E l’immagine visibile di quello scudo è quel “celeste sorriso di Cristo” di cui ha parlato il cardinal Sodano con un’immagine doppiamente felice perché mette assieme l’espressione di fiducia che emana dal volto, anche provato, di Benedetto XVI con la serenità interiore del Suo animo.
È un calvario quello a cui il Papa viene sottoposto, ma che egli riesce a percorrere non tanto come un fardello suo personale quanto come la prova che ogni autentico cristiano deve superare quando lo “scandalo del Crocifisso” entra nel mondo.
È per questo che anche chi si è avventurato a chiederne le dimissioni come presunto responsabile di un “Altargate”, come Nixon del “Watergate”, ha dovuto riconoscere che egli è privo di colpe.
Dunque, anche per questo rispetto è risultato chiaro che il bersaglio della campagna sta altrove.
Terza lezione.
Cattolici e cristiani hanno infine ben capito dove è collocato questo “altrove”.
È la Chiesa e più precisamente la sua predicazione e testimonianza cristiana ciò che disturba.
Giustamente, il cardinal Sodano e altri hanno denunciato il vero obiettivo: la campagna dei laicisti è contro chi difende la vita, la persona, il matrimonio, l’etica.
Questa è la guerra culturale che attraversa tutto l’Occidente in questo momento di crisi morale.
Da un lato, chi predica la libertà senza responsabilità, l’autonomia dell’individuo senza vincoli, la relatività dei valori come fonte di ogni valore; dall’altro lato, chi oppone che se l’etica non ha verità, allora il bene è solo una pacca sulle spalle che ciascuno dà a se medesimo ogni volta che ha perseguito il proprio interesse e l’ha fatta franca.
La contraddizione che stringe l’Occidente è drammatica e la spirale in cui si avvolge è perversa.
Non puoi esaltare la libertà sessuale, perdonare ad ogni infrazione, abbassare ogni guardia, tollerare ogni trasgressione, esaltare la omosessualità fino al punto di voler introdurre il reato di omofobia, e poi scandalizzarti della pedofilia.
Se non c’è più il senso del peccato, ciò che è moralmente lecito o illecito finisce sotto la legge generale della forza.
Dispiace che queste lezioni non siano state ben comprese da molti laici.
E che essi per primi non abbiano reagito contro una campagna palesemente anticristiana.
Se avessero memoria storica di che cosa ha rappresento il cristianesimo per la nostra civiltà, se avessero consapevolezza culturale di quale valore fondante esso fornisce a quegli stessi valori che essi sostengono di difendere, e se avessero onestà intellettuale per ammettere che la stessa laicità è un concetto interno al cristianesimo, non ad esso estraneo o imposto, allora, credenti e praticanti o no, non si farebbero trascinare in una guerra che, se fosse vinta da chi la conduce, porterebbe alla stessa distruzione della laicità.
Oppure non si mostrerebbero ora disattenti ora indifferenti rispetto alla posta che è in gioco.
Dispiace anche che a questa incomprensione non abbiano fatto eccezione alcuni esponenti dell’ebraismo.
Dimenticare che Benedetto XVI ha reciso alla radice qualunque alibi all’antisemitismo, perché lo ha negato in dottrina e non semplicemente con gesti mediatici; dimenticare inoltre che proprio Benedetto XVI si è più di altri riferito alla nozione di “giudaico-cristiano”; e trascurare che se il cristianesimo è messo in discussione anche il giudaismo lo è, significa commettere un errore grave, di prospettiva storica e di cultura.
 Si può pensare che il mondo debba ancora atti di riparazione agli ebrei, soprattutto si deve pretendere che questi atti non si esauriscano in qualche cerimonia occasionale in cui si spendono lacrime a comando, ma chiedere ogni volta che si scusi chi già si è scusato nei modi e limiti in cui può scusarsi, o intimare revisioni di episodi e personaggi, oppure sentirsi offesi per una analogia fra discriminazioni, come quella fatta da padre Cantalamessa, peraltro innocente e offerta in buona fede a chi come solo loro, gli ebrei, possono meglio capirla, è segno o di protervia intellettuale, che non si vorrebbe vedere tra quei nostri amici, o di confusione fra questioni cruciali di civiltà e piccoli interessi di questa o quella comunità o di carriera di questo o quel personaggio, che sarebbe meglio non commettere.
I laicisti non fanno distinzioni, perché non hanno scrupoli.
Se oggi salvano gli uni per condannare gli altri è perché domani si apprestano a invertire le parti.
La guerra che essi hanno da tempo dichiarata richiede l’unione di tutte le forze mature e consapevoli.
Non prevalebunt, certamente, ma sono pericolosi.
Marcello Pera                                       08/04/2010      “Ma Pietro cominciò a giurare e a spergiurare che non era vero: “Io neppure lo conosco quell’uomo che voi dite!”( Cfr.Mc14,71; Mt26,69-75; Lc 22,56-72; Gv18,25-27).
Di: Maria de falco Marotta.
  La crisi che travaglia la Chiesa ad opera dei suoi ministri, specialmente della Gerarchia e persino del Papa, quando non è infallibilmente assistito, è profonda..
Ultimamente, di fronte ad alcune affermazioni di Benedetto XVI, dei fedeli si sono sentiti ancor maggiormente smarriti per l’enorme scandalo dei preti, dei vescovi pedofili.
Qualcuno si lascia tentare persino dalla sfiducia nella Chiesa, come se fosse morta, e propone perfino il libero pensiero o la terza era gioachimita dello Spirito Santo, che dovrebbe rimpiazzare il Papa e la Chiesa petrina.
Ma non diciamo sciocchezze.
Una cosa è la fede in Gesù Cristo, da cui il cristianesimo che ha più di due miliardi di fedeli e un’altra è la sua gerarchia che con il Papato è diventata una potenza multinazionale, tanto che un avvocato americano vuole citarlo in giudizio a rispondere delle malefatte dei  preti e prelati pedofili.
Il guaio è che non si conoscono i Vangeli.
Lì è già tutto scritto: il tradimento, la sete del potere, la simonia.
Soprattutto che Gesù ha sempre perdonato i suoi apostoli, specie Pietro che lo ha rinnegato apertamente e che nei secoli a venire, spesso ha continuato a farlo, sebbene le opere grandi dei cristiani superino in abbondanza le loro pessime azioni.
E sul quotidiano La Stampa, è stata pubblicata un’ indagine dell’Istituto Piepoli realizzata da www.agcom.it che afferma che il 62% degli intervistati non approva l’operato della Chiesa, perché sta cercando di insabbiare i casi di pedofilia coprendo i colpevoli.
La domanda è stata posta non correttamente, ma si sa che la maggioranza della gente non ha molta conoscenza della “chiesa”, in quanto “corpo mistico di Cristo”, quindi gerarchia e fedeli, vengono facilmente confusi e per Chiesa, stavolta si sarebbe dovuto usare il termine Gerarchia( papa, vescovi, cardinali, preti…).
Cerchiamo di capire meglio.
Pedofilia e crisi del sacerdozio «Quella attuale è una crisi tremenda per la Chiesa… È molto più che la crisi delle violenze sessuali perpetrate su dei minori da parte di alcuni sacerdoti e religiosi.
È la crisi di tutta la concezione del sacerdozio e della vita religiosa» nella Chiesa: sono chiare le parole che Timothy Radcliffe, già maestro generale dei domenicani, utilizza per rileggere i recenti avvenimenti che hanno colpito la Chiesa, quella irlandese in particolare (in il Regno – documenti, n.
7, p.
201).
Lo fa rivolgendosi ai sacerdoti della diocesi di Dublino durante un ritiro spirituale dello scorso dicembre.
«È una crisi tremenda per la Chiesa, ma reca con sé una promessa e una benedizione».
Infatti, i tanti e complessi fattori in gioco sono riconducibili a un modello di «potere che si trova alla radice della crisi delle violenze sessuali: la violenza del potere esercitata ai danni dei piccoli e dei vulnerabili».
Ma questo non è «il potere di Gesù, che era mite e umile di cuore».
Pertanto, conclude il domenicano, «non avremo una Chiesa sicura per i giovani finché non… diventeremo di nuovo una Chiesa umile in cui siamo tutti pari, figli dello stesso Padre».
Figuriamoci! E’ considerevole il realismo di non scaricare tutto sulle spalle dei colpevoli, che vanno naturalmente messi in condizione di non nuocere più, denunciati e giudicati.
Se certi episodi si sono verificati, non è stato solo per un fatto statistico (tra i preti ci sono i pedofili così come tra altri categorie civili), ma anche per un modo di concepire il sacerdozio che può averli in qualche modo resi possibili.
E’ l’esigenza non dell’apologia, ma della continua revisione di vita che vale per tutti.
Il “mistero” di Cristo, della Chiesa e del Papa   Più di 2000 anni fa, i Giudei fecero rotolare una pietra tombale sul Sepolcro di Gesù e vi misero a guardia dei soldati, ma la pietra fu rovesciata dagli Angeli quando Cristo risuscitò da morte e vinse il male attraverso la sua apparente sconfitta in croce.
Il Cristianesimo è la religione della vittoria tramite la perdita anche, e soprattutto, della propria vita.
Quindi non c’è pietra che tenga.
La storia – se non il catechismo – dovrebbe avercelo insegnato: la Chiesa è cresciuta e si è rafforzata proprio quando sembrava essere annientata.
Le “gaffes” e, peggio ancora, gli errori del clero e della Gerarchia, sono la prova provata della sua indefettibilità, come diceva il cardinal Consalvi a Napoleone: “Maestà, lasci perdere, neanche noi preti siamo riusciti in milleottocento anni a distruggere la Chiesa romana, non è cosa da uomo, neppure lei ci riuscirà”, e Napoleone non vi riuscì… Ciò dovrebbe insegnare qualcosa anche a noi.
Certamente noi cristiani siamo devoti del papa, giacché Cristo la sua Chiesa l’ha fondata su Pietro e i suoi successori (i Papi) e per questo ci distinguiamo dai protestanti e dalle varie denominazioni eretiche o scismatiche, le quali – contro il volere di Cristo – non ritengono Pietro come loro principio e fondamento con un vero primato di giurisdizione( tali questioni si stanno appianando).
E ciò senza negare terribili eventi  che alcuni Papi possono aver commesso come uomini o le ambiguità ed errori che possono sussistere nell’ insegnamento non normativo – e quindi non infallibilmente assistito – del Papa, ad esempio il concilio “pastorale” Vaticano II.
Non occorre, perciò, cambiar religione o Chiesa davanti allo sfacelo spirituale del mondo cattolico.
Il rimedio non è Buddha, né Maometto e neppure il “Libero Pensiero” o il gioachimismo.
Basta attenersi a quanto si é sempre insegnato circa il mistero di Cristo, della Chiesa e del Papa.
  La nostra Fede, compendiata nel Credo e spiegata nel Catechismo, ci insegna che il Papa è il Vicario in terra di Gesù Cristo.
Egli è la Pietra sulla quale Cristo ha costruito la Sua Chiesa e contro la quale “le porte degli inferi non prevarranno”.
In quanto a Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è un mistero che si definisce come “Unione Ipostatica”.
Tale mistero ci disorienta spesso perché durante la sua vita e specialmente durante la sua Passione, quando la sua “Natura divina si nascondeva e lasciava trasparire solo quella umana, che soffriva terribilmente” (S.
Ignazio da Loyola) ci annienta la ragione.
Gli Apostoli  si scandalizzarono, smarrirono il principio immateriale della  Fede, rinnegarono o abbandonarono Gesù, non riuscendo a capire e ad ammettere che il Messia potesse essere sconfitto e umiliato.
In quanto alla Chiesa, nella sua totalità( gerarchia e fedeli), dai suoi inizi a Gerusalemme, dopo la Pentecoste, ha continuato il suo cammino nel corso della storia.
Anch’essa ha un duplice elemento; quello divino (il principio che l’ha fondata e la vivifica, ossia Cristo e la Sua grazia, e il fine a cui tende, vale a dire il Cielo e Dio visto “faccia a faccia”) ed uno umano (le membra di cui è composta, gli uomini, sia i fedeli che la gerarchia).
Nel corso della sua storia  vi sono pagine gloriose e pagine tremende(crociate, inquisizione, potere temporale dei papi…).
Se non avessimo la virtù teologale della Fede nella origine divina della Chiesa e nella protezione di cui la ammanta Gesù “ogni giorno, sino alla fine del mondo”, rischieremmo di scandalizzarci e perdere proprio quella Fede “senza la quale è impossibile piacere a Dio” (San Paolo).
In quanto al Papa,  è un uomo, ma assistito da Dio; però solo a certe specifiche condizioni, che non tolgono o aggiungono nulla alla sua natura umana debole e caduca.
San Pietro stesso rinnegò Gesù non una, ma ben tre volte (“non conosco quest’uomo”).
E’ necessario, allora,  riguardo a Gesù, alla Chiesa e al Papa sempre aver presente il loro duplice elemento: umano, e dunque fallibile e  divino, e quindi irreprensibile.
Se ci si attiene solo al  primo, si cade nel razionalismo naturalista e si rinnega la Fede teologale; se si evidenzia  solo al secondo, si scivola verso un angelismo rigorista e o pneumatismo cataro, che porta egualmente alla rovina (“ogni eccesso è un difetto”).
Così possiamo anche sorridere che il Papa ha detto che i preti sono angeli in una delle sue ultime omelie! Nel caso di Benedetto XVI, non si può negare la sua forma mentis filosoficamente e dogmaticamente modernistica, acquisita sin dai primi anni di seminario.
Egli stesso ce ne dà conferma nella sua autobiografia.
Questa forma mentis traspare dai suoi scritti ed è apparsa anche nel viaggio in Terra Santa, durante le riunioni interreligiose con islamici e israeliti.
Non si può confutare la formazione immanentistico- kantiana di Ratzinger, ma neppure si può lapidarlo – in odio al Papato – ad ogni parola che dice o omette di dire.
Come Cristo è la “pietra d’angolo, rigettata dal costruttore, ma che schiaccia tutti coloro i quali inciampano contro di essa”, così il Papa è il Vicario in terra della “pietra d’angolo” e “chi tocca il Papa in quanto tale muore”, così diceva Pio XI.
Ma lui, poveretto, non aveva intuito l’evoluzione sociale e tecnologica dei nostri tempi.
Oggi si ritiene del tutto lecito mostrare storicamente le eventuali lacune (anche dottrinali) di alcuni Papi, purché lo si faccia come San Paolo: “Ho resistito in faccia a Pietro, poiché era reprensibile”; è reprensibile ed è Pietro ovvero il Papa.
Ci auguriamo tantissimo che l’alta gerarchia si ricordi che: «In questioni teologiche difficili e non definite, occorre dare il proprio parere con umiltà e pace, conformandosi alla istruzione e capacità degli ascoltatori, insistendo maggiormente sulla pratica della Chiesa, esortando a seguire i buoni costumi; invece di lasciarsi coinvolgere da controversie che non hanno una conclusione certa e che sono quindi pericolose sia per chi le spiega [abuso di potere, orgoglio spirituale e intellettuale] e sia per chi le ascolta [se non ha la capacità e la preparazione per comprenderle e metterle in pratica correttamente]» (s.
Ignazio da Loyola, Obras Completas, Madrid, BAC, 1982, pp.
289-290).
        Chiesa dei peccatori, Chiesa dei santi di Karl Lehmann in “Frankfurter Allgemeine Zeitung” del 1° aprile 2010 (traduzione: www.finesettimana.org) Anche se si preferisce evitare parole grosse, la rivelazione nelle scorse settimane di molti casi di abusi costituisce una profonda crisi in particolare per la Chiesa cattolica.
Anche se sono implicati molti fattori esterni alla Chiesa, non ha alcun senso puntare il dito prima su altri.
Altrimenti si potrebbe dare l’impressione di voler distogliere l’attenzione dalla responsabilità propria o relativizzare ciò che è accaduto.
Come Chiesa neppure ci dobbiamo meravigliare se veniamo giudicati severamente – certo talvolta anche con malignità e malevolenza – con gli stessi criteri con cui la Chiesa in altre situazioni presenta le sue convinzioni morali, in particolare in riferimento alla sessualità.
I casi di abusi scoperti funzionano qui come un boomerang.
Certo non dobbiamo lasciarci tappare la bocca e dobbiamo dire con nettezza che si tratta chiaramente di un malcostume sociale, di cui la maggior parte di noi non aveva sospettato l’entità.
Lentamente vengono scoperti comportamenti negativi anche in luoghi finora poco sospetti.
Le indicazioni numeriche

Cristo è risorto: Alleluia

Auguri di Pasqua Fa’ di me, Signore, un arcobaleno di bene, di speranza e di pace.
Un arcobaleno che per nessun motivo annunci ingannevoli bontà, speranze vane e false immagini di pace.
Un arcobaleno sospeso da Te nel cielo, che annunci il tuo amore di Padre, la risurrezione del tuo Figlio, la meravigliosa azione del tuo Spirito Santo.
(H.
Camera).
 

on-line il dibattito sulle Indicazioni dei Licei

Il Miur, come aveva annunciato, avvia da oggi un dibattito aperto (per certi aspetti, coraggioso) sulla bozza delle Indicazioni nazionali per i licei pubblicata nei giorni scorsi.
Si tratta indubbiamente di una iniziativa importante dalla quale il ministero (e, soprattutto, il ministro stesso) intende ricavare integrazioni, miglioramenti e condivisioni.
“Come già sperimentato in occasione della revisione del regolamento sui licei – informa un apposito comunicato – inizia oggi una vasta consultazione che coinvolgerà associazioni professionali e disciplinari, esperti, accademici, sindacati, insegnanti, forum degli studenti e la pubblica opinione”.
Da oggi e fino al prossimo 23 aprile sarà, quindi, possibile commentare sul sito http://nuovilicei.indire.it le Indicazioni nazionali sugli obiettivi specifici di apprendimento dei licei.
La bozza del testo è consultabile sia per ogni singola disciplina che per ogni tipo di liceo.
I risultati del dibattito saranno valutati da una Commissione appositamente nominata che avrà amche il compito di procedere all’armonizzazione delle Indicazioni nazionali del primo ciclo dell’Istruzione.
La bozza delle Indicazioni dei Licei, proposta in una duplice navigazione per disciplina e per liceo, potrà essere commentata secondo le stesse modalità con cui si è svolto il dibattito sulla prima stesura del Regolamento di riordino dei licei.
I commenti inseriti dagli utenti @istruzione.it saranno immediatamente pubblicati, gli altri, invece, saranno sottoposti ad approvazione redazionale.
“Pur nell’assoluto rispetto della libertà di opinione – precisa il Miur – si richiede agli utenti di osservare i limiti che per consuetudine regolano il confronto pubblico in rete: i commenti diffamatori, offensivi, razzisti, sessisti non saranno pubblicati; sarà applicata la moderazione nel caso in cui il commento risulti non pertinente (off-topic) alle Indicazioni nazionali e al testo specifico di riferimento”.
Inoltre il Miur, pur auspicando un dibattito aperto e trasparente, prevede eventuale segnalazione via email dell’eventuale intervento di moderazione.
Al termine del dibattito on line una Commissione appositamente nominata dal Ministro valuterà i pareri espressi ai fini della redazione definitiva delle Indicazioni nazionali.

La redazione finale delle Indicazioni dei Licei

Come annunciato con un apposito comunicato dal Miur nei giorni scorsi, risultano effettivamente emanati dal Capo dello Stato i tre regolamenti di riordino e riforma della scuola secondaria superiore, realtivamente ai nuovi licei, all’istruzioen tecnica e all’istruzioen professionale.
Tutti e tre in regolamenti (in attesa di pubblicazione sotto forma di DPR) risultano tra gli atti firmati dal Capo dello Stato (www.quirinale.it) e hanno la data del 15 marzo 2010, giorno in cui il Presidente Napolitano, prima di partire per la sua visita ufficiale in Siria, ha provveduto alla loro sottoscrizione.
I tre regolamenti dovranno ora essere registrati dalla Corte dei Conti per poi essere pubblicati.
L’emanazione da parte del Capo dello Stato rende sostanzialmente (non formalmente) validi i tre regolamenti, a pochi giorni dalla chiusura delle iscrizioni alle prime classi della nuova secondaria superiore.
 Con decreto ministeriale n.
26 dell’11 marzo scorso è stata costituita la Commissione di studio per definire le Indicazioni nazionali per i nuovi Licei, anche alla luce del contributo di associazioni, sindacati, docenti e dirigenti.
Dopo aver raccolto e vagliato i contributi emersi dal dibattito (che potranno arrivare via on-line fino a tutto il 23 aprile prossimo sul sito Ansas/Indire), la Commissione passerà alla redazione finale dei testi.
Successivamente la Commissione procederà al coordinamento delle Indicazioni dei Licei con quelle del primo ciclo di istruzione per le quali da quest’anno le scuole primarie e secondarie di I grado sono in fase di approfondimento e sperimentazione.
La Commissione ministeriale di studio è così composta: Prof.
Sergio BELARDINELLI Docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi -Dipartimento di Sociologia- Università degli Studi di Bologna.
Prof.
Carlo Maria BERTONI Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi di Scienze e Tecnologie – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
Prof.
Emanuele BESCHI Docente presso il Conservatorio di Milano.
Dott.
Giovanni BIONDI Capo Dipartimento per la Programmazione e la gestione delle risorse umane e strumentali.
Prof.
Giorgio BOLONDI Docente di geometria – Facoltà di Economia e Commercio – università degli Studi di Bologna.
Dott.
Max BRUSCHI Consigliere del Ministro – Coordinatore.
Prof.
Marco BUSSETTI Dirigente tecnico USR Lombardia – Milano.
Prof.
Giorgio CHIOSSO Docente di Storia dell’Educazione – Facoltà di Scienze della Formazione – Università degli Studi di Torino.
Dott.
Mario Giacomo DUTTO Direttore Generale per gli Ordinamenti scolastici e per l’autonomia scolastica.
Prof.
Paolo FERRATINI Esperto – Docente di lettere nei licei – USR Emilia Romagna.
Prof.
Elio FRANZINI Presidente della Conferenza Nazionale dei Presidi di Lettere e Filosofia – Università degli Studi di Milano.
Prof.
Giorgio ISRAEL Professore di Storia della Matematica – Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – Roma.
Prof.ssa Silvia KANIZSA Docente di Pedagogia generale Università degli Studi Bicocca – Milano.
Prof.ssa Gisella LANGE’ Dirigente tecnico USR Lombardia – Milano.
Prof.ssa Nicoletta MARASCHIO Presidente Accademia della Crusca – Firenze.
Prof.
Antonio PAOLUCCI Direttore Musei Vaticani Roma.
Prof.
Andrea RAGAZZINI Docente storia dell’arte – USR Toscana – Firenze.
Prof.
Alessandro SCHIESARO Docente di letteratura latina – Università degli Studi “La Sapienza”di Roma.
Prof.
Luca SERIANNI Docente di Storia della lingua italiana – Università degli Studi “La Sapienza” di Roma.
Prof.
Nicola VITTORIO Docente di astronomia e astrofisica – Dipartimento di Fisica – Università degli Studi di Tor Vergata – Roma.
Prof.
Elena UGOLINI Membro Comitato Indirizzo Invalsi – Bologna.
Dott.
Elisabetta MUGHINI Ansas – Firenze.
Come già avvenuto per la Cabina di regia che ha elaborato la bozza delle Indicazioni, coordinatore della Commissione sarà il consigliere del ministro, Max Bruschi.