La Bibbia nella storia d’Europa dalle divisioni all’incontro

 

Dalle divisioni all’incontro

Aula Grande Fondazione Bruno Kessler | Trento, via Santa Croce 77

Convegno a Trento il 30 aprile – 1 maggio organizzato dall’associazione Biblia in collaborazione con la Fondazione TKessler, che ospita l’evento, e il centro per l’ecumenismo e il dialogo dell’Arcidiocesi tridentina. Tra i relatori:  teologi, accademici e scrittori italiani e internazionali.

 

 

La Bibbia è ancora il «Grande Codice» dell’Occidente? Qual è stato il passato e qual è il futuro del libro che, di volta in volta elemento di unione o pomo della discordia, è stato il motore delle vicende europee? Sono le domande che risuonano al centro del convegno che a Trento da domani fino a domenica discute de «La Bibbia nella storia d’Europa dalle divisioni all’incontro».
Organizzato dall’associazione Biblia in collaborazione con la Fondazione Kessler, che ospita l’evento, e il centro per l’ecumenismo e il dialogo dell’Arcidiocesi tridentina, vede sul tavolo dei relatori teologi, accademici e scrittori italiani e internazionali, provenienti dal mondo cattolico e protestante ma anche laico, come ad esempio Tullio de Mauro, a cui è affidata la prolusione. Il programma oscilla tra studi di approfondimento storico e riflessione sull’attualità: «Anche la storia della ricezione dei singoli testi e del testo scritturistico nel suo insieme fa certamente parte della
cultura biblica – afferma Marinella Perroni , del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e membro del comitato scientifico di Biblia –. ‘ Scriptura crescit cum legente’, diceva Gregorio Magno. Un motto che se interpretato in senso troppo individualista o intimista non darebbe ragione del carattere del testo venerato come ‘sacro’ da ebrei e cristiani e riconosciuto come cardine dello sviluppo culturale umano. La Scrittura cresce infatti anche attraverso la lettura che ne fanno le Chiese e i gruppi sociali nelle diverse epoche culturali e nei diversi momenti religiosi collettivi. Per questo la ricerca nei confronti del Libro non può prescindere dal prestare attenzione anche a momenti della storia della
ricezione biblica. Non c’è dubbio che, strettamente intrecciata con lo sviluppo della cultura d’Europa, la Bibbia è stata anche una delle cause delle sue profonde lacerazioni religiose e politiche. Ripercorrere la storia della formazione delle Scritture ebraiche e cristiane nella città di Trento, che è stata scenario di uno dei momenti più drammatici della storia intracristiana, supera la semplice ricostruzione del passato e si traduce in interrogativi sul futuro: oggi, per la cultura
europea, la Bibbia è ancora fonte e motivo di divisione o può aprire nuovi spazi di maturazione culturale e di dialogo religioso?».
Per Paolo Ricca , già decano della Facoltà valdese di Teologia «Certamente la Bibbia è oggi ancora il testo più ecumenico che ci sia. Tutte le Chiese di tutte le tendenze e orientamenti, unanimemente riconoscono in lei la ‘parola originaria’. È l’elemento che ha permesso al Cristianesimo di diventare quello che i testimoni volevano che fosse. Per questo un Cristianesimo che si allontana dalla Bibbia  si allontana anche dalla sua natura e va alla morte spirituale e fisica. Se c’è una parola che può unire le Chiese, malgrado le differenze interpretative, è quella della Scrittura. Quella è la parola della fede cristiana: un riconoscimento che c’è sempre stato, anche quando i cristiani tra loro non si parlavano».
Una parola che non è sempre stata accessibile nel mondo cattolico, come sottolinea la storica Gigliola Fragnito : «Fino al Concilio di Trento l’Italia era, insieme con Germania e Polonia, il paese dove più alta era la circolazione di volgarizzamenti parziali del testo sacro». Una serie di pronunciamenti dell’Inquisizione e della Congregazione dell’Indice bloccarono alla fine del Cinquecento ogni traduzione «in lingue materne», la cui sorte designata era il rogo: «Una risoluzione contrastata, a cui si opposero semplici fedeli ma anche vescovi e inquisitori. E che fu valida per Italia, Spagna e Portogallo, dove vigeva l’Inquisizione, ma non per il resto d’Europa. In Francia e nelle Fiandre, ad esempio, ebbero circolazione diverse traduzioni. Solo nel 1758 con Benedetto XIV il divieto venne abrogato, ma il gap rimase. È solo con il Concilio Vaticano II che si incoraggia la lettura della Bibbia. E Giovanni Paolo II, in proposito, ha fatto moltissimo».
Cosa resta però oggi della Sacra Scrittura in Occidente? Se, come constata amaramente Ricca «La Bibbia oggi è piuttosto assente. In Italia come all’estero o è cancellata o è in corso di cancellazione», più articolata è l’opinione di Piero Stefani, biblista e studioso di ebraismo: «Si sta verificando una situazione singolare, capovolta rispetto a quella più tipicamente attestata nel passato. Nei paesi cattolici, dove era stata sottratta alla lettura diretta, la Bibbia ora sta crescendo sempre più nella conoscenza dei singoli fedeli e oggi è certamente molto più nota e letta rispetto a
quando venne chiuso il Concilio Vaticano II. Nei paesi tradizionalmente protestanti invece, dove il testo sacro era patrimonio di dominio pubblico, la secolarizzazione sta progressivamente erodendone la conoscenza e la diffusione. Un dato, questo, che vale soprattutto per le Chiese riformate storiche e per l’Europa: c’è infatti a livello globale un biblicismo aggressivo e fondamentalista assai rigoglioso nelle chiese evangelico-pentecostali. L’avvicinamento delle
tradizioni cattolica e protestante è invece ormai un fatto acquisito a livello accademico. È significativo che questo convegno abbia luogo a Trento: rispetto a quei tempi, infatti, la Bibbia non è più oggetto di contesa. Biblisti protestanti e cattolici sono oggi quasi indistinguibili, mentre prima mancava riconoscimento reciproco. Vale la pena segnalare che il nuovo atteggiamento nel mondo cattolico è precedente al Concilio Vaticano II e può essere anticipato al 1943 e all’enciclica Divino Afflante Spiritu con cui Pio XII legittimò il metodo storico critico, vale a dire proprio quello che la
Chiesa per secoli aveva combattuto del mondo protestante. Su questo panorama resta invece meno individuabile il passaggio nel mondo ortodosso, dove la lettura della Bibbia passa sempre attraverso la mediazione dei Padri».
Accanto a queste due linee c’è un fenomeno sempre più largamente diffuso di un approccio non religioso al testo biblico: «La Scrittura – prosegue Stefani – viene affrontata come un testo letterario, secolare». La Bibbia un archetipo narrativo, sulla falsariga dell’Iliade e dell’Odissea?

«Gli episodi della storia biblica vengono sempre più frequentemente sottoposti a operazioni diriscrittura. Questo modo di accostarsi, trasversale alle diverse culture e diffuso soprattutto fuori dai nostri confini, consente però anche un approccio sereno al testo, senza la vis polemica e ideologica del laicismo».

Alessandro Beltrami

in “Avvenire” del 28 aprile 2011

Manca il respiro

di  Saverio Xeres, presbitero e docente di storia della chiesa presso la facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, e Giorgio Campanini, laico e già professore di Storia delle dottrine politiche, oltre che di teologia del laicato.

 

Saverio Xeres, Giorgio Campanini, Manca il respiro – Un prete e un laico riflettono sulla Chiesa italiana, Ancora, Padova 2011, EAN, 9788851408572, pp. 144, Euro 13,00

 

 

Descrizione

 

È una sensazione condivisa, di questi tempi, nelle nostre comunità cristiane: un senso di oppressione, quasi mancasse il respiro. Come per una Chiesa piuttosto in affanno, fino ad avere il “fiato corto”. Si attribuisce spesso l’inizio di tutti i mali presenti alla svolta segnata dal concilio Vaticano II, ma è una tesi non giustificata. Se ci fu un momento in cui il respiro della Chiesa si fece ampio, fu proprio quello: ricuperando le dimenticate profondità della Scrittura e della Tradizione, riattivando i legami con le altre Chiese cristiane, aprendo le finestre verso un mondo in fermento. Si era tornati, insomma, a respirare a pieni polmoni, utilizzando le molteplici risorse che lo Spirito mette a disposizione del Corpo di Cristo. Poi, per una serie di motivi che qui, almeno in parte, si cerca di individuare e documentare, si ebbe forse timore di osare troppo, impauriti, come l’apostolo Pietro, per un vento che soffiava forte. E ci si è rassegnati ad un piccolo cabotaggio, in un rassicurante andirivieni tra una sponda e l’altra. Eppure il vento soffia ancora.

 

Recensione

Oggi alla Chiesa manca il respiro

Ormai non ci si presta nemmeno più attenzione, ma nei mezzi di informazione si è ritornati alla «antica e preconciliare identificazione fra chiesa italiana e Conferenza episcopale», anzi sovente addirittura tra cattolici e presidenza della Cei. E questo non dipende in primo luogo da una sbrigativa semplificazione da parte dei mass media, ma da un progressivo dilatarsi della forbice tra la sovraesposizione dei vertici ecclesiastici e l’afasia dell’opinione pubblica nella chiesa. È l’immagine che la chiesa dà di se stessa che in un certo senso autorizza l’osservatore esterno a identificarla con le figure più rappresentative del suo episcopato. Non si tratta quindi di un deplorevole malcostume giornalistico, quanto piuttosto di un serio campanello d’allarme sullo stato di salute della chiesa italiana e sul suo impatto nella società civile.
L’impressione più diffusa all’esterno, ma soprattutto all’interno della chiesa, è quella sinteticamente evidenziata dal titolo di un breve saggio a due voci: Manca il respiro (Ancora, pp. 144, 13,00). Gli autori – Saverio Xeres, presbitero e docente di storia della chiesa presso la facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, e Giorgio Campanini, laico e già professore di Storia delle dottrine  politiche, oltre che di teologia del laicato – danno voce a un disagio sempre più diffuso tra i cattolici italiani, alla sofferenza di tanti credenti che amano e hanno a cuore la propria chiesa e la vorrebbero in costante riforma per presentarsi al suo Signore «senza macchia né ruga» (Ef 5,27).
Xeres analizza in modo sintetico ma esauriente «La Chiesa italiana nel passaggio culturale degli ultimi decenni», esaminando in particolare l’articolazione tra postconcilio e postmoderno, mentre Campanini guida il lettore «Alla riscoperta della categoria conciliare di “popolo di Dio”».
L’immagine che emerge da questo doppio, appassionato sguardo non è delle più incoraggianti: sempre più fedeli assistono scoraggiati e impotenti a un progressivo depotenziamento dei documenti conciliari, specie di quelli portatori di un nuovo soffio vitale nella chiesa. Sembra quasi che le decisioni collegiali assunte dai padri conciliari che, non si dimentichi, costituiscono la più alta espressione del magistero ecclesiale – siano equiparati ai molteplici pronunciamenti di singole conferenze episcopali e di uffici nazionali che finiscono per esprimere una sempre più accentuata autoreferenzialità della chiesa. Così si arriva ad «assimilare le grandi prospettive conciliari alle
patetiche velleità postconciliari».
Il criterio di lettura della situazione della «Chiesa nel mondo contemporaneo», offerta dal Vaticano II e consistente nel «vedere-giudicare-agire», sembra ormai aver lasciato il posto a una prelettura di eventi e circostanze che viene poi calata dall’alto nelle singole realtà regionali o diocesane.
Anche il laicato, quando è preso in considerazione, viene pensato come un sostituto di un clero in costante diminuzione e non come una diaconia con un ruolo specifico nel mondo. Così assistiamo a interventi di organismi episcopali che si sostituiscono ai laici nel leggere la situazione sociale proprio mentre prestano sempre meno ascolto alla voce dei laici stessi: questa è l’analisi dei due autori, che tuttavia non si ferma all’amara costatazione di «un diffuso senso di frustrazione all’interno stesso della chiesa», ma aprono con fiducia a una nuova stagione di presenza cristiana nella società: «Sono questi tempi di marginalità per la chiesa i più preziosi: la bellezza del Vangelo infatti appare limpidamente quando esso non ha altro sostegno se non la propria, intrinseca fecondità». Sì, anche quando «manca il respiro», lo Spirito non cessa di soffiare.

di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 16 aprile 2011

 

Vivere con la complessità

 

 

NORMAN DONALD A.,  Vivere la complessità, Pearson 2011, ISBN: 9788871926469, pp. 266, Euro 16,00

titolo originale: Living with complexity, Traduzione di Virginio B. Sala

 

Recensione del testo

La complessità è nel mondo e si riflette anche nelle nostre tecnologie. Ma i prodotti che ne derivano non devono essere fonte di confusione, perché allora si tratta di “complicazione” inutile, non di complessità. Tuttavia, anche il sistema meglio progettato richiede uno sforzo – nostro – di apprendimento, per dominare la struttura e i modelli concettuali. La comprensione rende i sistemi complessi semplici e dotati di significato. Donald Norman torna a farci riflettere sulle sfide della tecnologia e del design a partire da casi comprensibilissimi (quando non addirittura divertenti), ma illuminanti e rivelatori.

La biografia di Norman Donald A.

 

PRESENTAZIONE

Vivere con la complessità, di Donald A. Norman

La semplicità è uno stato mentale, fortemente legato alla comprensione. Una cosa viene percepita come semplice quando le sue azioni, le sue opzioni e il suo aspetto corrispondono al modello concettuale della persona.

La caffettiera del masochista, titolo del libro più celebre di Norman, è diventata negli anni un’immagine proverbiale: una cuccuma con il beccuccio rivolto dalla stessa parte dell’impugnatura, cosi che l’avido consumatore di caffè abbia le braccia ustionate ogni volta che cerca di riempirsi la tazzina.
Donald Norman è un designer che da anni scava negli angoli ciechi del design e dei codici di comunicazione propri della nostra era, caratterizzata senz’altro dalla complessità.
E proprio alla complessità, alle forme che assume nella vita di tutti i giorni, è dedicata questa sua ultima fatica, un libro che sin dal titolo cerca di fare chiarezza sul compito che ci attende, volenti o nolenti.
Non c’è modo di sottrarsi, infatti, a una certa dose di complessità nella vita di tutti i giorni: a casa, per l’utilizzo di elettrodomestici e la gestione di sistemi complessi; al lavoro, per la quantità di operazioni complesse e coordinate che dobbiamo sapere padroneggiare e mettere in atto continuamente; nel tempo libero e in ogni occasione in cui usciamo di casa per interagire con un mondo che alla complessità affida la propria efficienza.
Di più: la propria sopravvivenza.
Innanzitutto, naturalmente, occorre definire con precisione cos’è la complessità in sé.
Nelle prime pagine del suo saggio appassionante, Norman usa la scrivania di Al Gore, già vicepresidente degli Stati Uniti e Premio Nobel, come esempio adatto a tracciare un distinguo fra complicazione e complessità.
In mezzo a pile e pile di carta, tre monitor perennemente accesi e una apparentemente incontrollabile entropia, spiega il designer, sembrerebbe impossibile orientarsi rapidamente e trovare ciò di cui si ha bisogno.
Ma la questione è posta in modo sbagliato, ci viene spiegato, perché dietro quel modello complesso c’è una logica ferrea, per quanto questa sia conosciuta solo da chi su quella scrivania dovrà lavorare.
Come sa bene chiunque lavori in mezzo ad un ordine che è stato lui stesso a disporre e organizzare, anche secondo criteri che al resto del mondo risultano irrazionali, il disordine in cui viviamo e lavoriamo sarà tale solo se qualcun altro vi metterà mano.
Quindi il distinguo è fra “complessità” e “complicazione”: una complessità supportata da un modello concettuale appropriato – cioè dalla conoscenza della logica che sottende a quel sistema di relazioni fra cose – sarà una complessità “buona”.
L’esempio della scrivania è comprensibile a chiunque, ma Norman ha un fiuto particolare per riuscire a spiegare le sue teorie con l’ausilio di esempi sempre nuovi, stimolanti e accessibili.
Così potrà accadere, mentre leggiamo questo libro, di riconoscere aspetti della propria quotidianità nella descrizione fatta di tutti i preparativi necessari ad approntare una cena per gli amici, tipico esempio di raggruppamento di operazioni semplici in insiemi complessi per il conseguimento di un fine sociale.
Il “carico cognitivo” cui ci sottopongono tutte le interruzioni che occorrono mentre – ad esempio – affettiamo le verdure in vista della preparazione di un piatto, è oggetto degli studi di questo brillantissimo designer, che ha offerto le sue competenze a molte aziende informatiche (su tutte, Apple, del cui reparto Tecnologie avanzate Norman è stato vicepresidente per lungo tempo) e di telecomunicazioni.
Norman osserva le strutture semantiche del mondo in cui vive con un’attenzione continua e affilata: ogni evento è degno di essere preso in considerazione e affrontato, dalla semplice gestione delle attese (la coda) in una filiale bancaria, ai messaggi che i software ci danno a proposito delle operazioni che stanno compiendo.
C’è molto da imparare, e come ogni buon docente, Norman sa tenere viva la nostra attenzione, mostrandoci come si possa cercare di decifrare questo intricato mondo, e migliorarne la qualità, ad ogni passo: partendo dalla segnaletica stradale o concentrandosi sugli interruttori posti su di un quadro elettrico; interagendo con una macchina del caffè o osservando con attenzione l’interruttore che spegnerà (o accenderà) la luce in camera nostra. È illuminante.


 

 

UNA INTERESSANTE LEZIONE SULL’APPRENDIMENTO

 

L’INTERVISTA

 

«Lo predissi oltre dieci anni fa. E avevo ragione: i computer stanno diventando invisibili». Donald A. Norman, ingegnere e psicologo, studioso di Scienze cognitive, tra i nomi più illustri nel campo del design, aggiorna la tesi enunciata nel 1998 nel suo The Invisible Computer (Apogeo). Lo anticipa al «Corriere» in occasione dell’uscita in Italia del nuovo libro, Vivere con la complessità (Pearson) e della partecipazione, questa sera, al ciclo di incontri Meet the media guru a Milano (ore 19, Mediateca Santa Teresa).

La copertina di «Vivere con la complessità» (Pearson)
La copertina di «Vivere con la complessità» (Pearson)

Il computer però è ancora molto diffuso…
«Non dappertutto: in Cina e Giappone, ad esempio, si usano già oggi più smartphone che pc. Le funzioni del computer verranno sempre più inglobate dentro altri dispositivi, come le cosiddette “tavolette”. Userà il pc in senso classico solo chi, come gli scrittori o gli ingegneri, non potrà fare a meno dello schermo e della tastiera. Per tutti gli altri, non sarà più così necessario».

Anche i libri e i giornali saranno letti sui supporti elettronici?
«Il futuro è digitale. Io uso il Kindle, dove posso raccogliere tantissimi saggi e romanzi dentro un unico strumento. Anche il giornale non ha più bisogno di essere stampato: scaricando un’applicazione su un dispositivo elettronico si hanno le notizie del giorno e delle settimane precedenti, con più foto, filmati e mappe interattive».

Fin da «La caffettiera del masochista» (1988, edito in Italia da Giunti), si è battuto contro le tecnologie troppo elaborate che non consentono la facilità d’uso. In «Vivere con la complessità» sostiene che quest’ultima è inevitabile. Ha cambiato idea?
«Il mio messaggio è solo diventato più sofisticato. Ho capito che la complessità è necessaria in un mondo sempre più articolato e interconnesso. Per questo agli utenti non bisogna offrire semplicità ma comprensibilità: oggetti, cioè, con molte funzioni ma intellegibili già dopo la prima lettura delle istruzioni. A questo scopo, designer e ingegneri devono praticare l’empatia e studiare le scienze sociali. I singoli individui devono applicarsi nell’apprendimento, come fecero in passato con il telefono o la televisione».

È stato vicepresidente del settore Tecnologie avanzate alla Apple. Nel suo libro racconta il passaggio dell’azienda dal mouse a un tasto a quello a due tasti: è stata una buona scelta?
«Suggerii la soluzione a più tasti già negli anni 90. Il mouse con un pulsante infatti era una proposta corretta negli anni 80, per favorire la facilità d’uso. Una volta che gli utenti avevano capito il funzionamento del nuovo strumento, però, non serviva aspettare il 2005 per il design a più tasti».

Da sempre sostiene le nuove iniziative imprenditoriali. Si può rischiare nell’attuale situazione economica?
«Dipende dai luoghi. Sì negli Stati Uniti, dove anche un fallimento è giudicato positivamente, perché segue un’idea e un tentativo. No in Italia: i vostri migliori designer sono costretti ad andare all’estero; i vostri prodotti sono belli ma non sempre funzionali».

L’emergenza nucleare in Giappone, le rivolte in Nord Africa e la guerra in Libia. Quali saranno le conseguenze, dal punto di vista cognitivo e tecnologico, nel mondo interconnesso?
«La catastrofe di Fukushima comprometterà per qualche tempo la fiducia degli individui nelle macchine, ma il genere umano è abbastanza arrogante per superare lo choc. Ciò che tutti questi eventi dovrebbero infondere, invece, è l’umiltà: la natura trionfa sulla tecnologia; le esigenze politiche e culturali possono vincere sulla logica e la razionalità».

Alessia Rastelli
arastelli@corriere.it

LE ULTIME PUBBLICAZIONI

 

2011

Norman Donald A.
Vivere con la complessità
Pearson, € 16,00

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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€ 15,20
2009

Norman Donald A.
La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani
Giunti Editore, € 14,50

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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€ 10,88
2008

Norman Donald A.
Il design del futuro
Apogeo, € 15,00

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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€ 13,65
2005

Norman Donald A.
Il computer invisibile. La tecnologia migliore è quella che non si vede
Apogeo, € 18,00

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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€ 14,40
2004

Norman Donald A.
Emotional design. Perchè amiamo (o odiamo) gli oggetti di tutti i giorni
Apogeo, € 18,00

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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€ 16,38
1995

Norman Donald A.
Lo sguardo delle macchine
Giunti Editore, € 14,50

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

su
€ 13,20

 

TI HO CERCATO

 

II 30 aprile notte bianca di preghiera a Roma

 

30 aprile

ore 20:  Veglia al Circo Massimo

Ore 23:  Notte bianca di preghiera
S. Agnese in Agone p.za Navona

1 maggio

Ore 10 P.za San Pietro

 

Una grande opportunità offerta dalla Pastorale Giovanile della Diocesi di Roma

In occasione della beatificazione di Giovanni Paolo II il Vicariato di Roma ha organizzato una veglia di preghiera che si terrà al Circo Massimo sabato 30 aprile dalle ore 20.

A seguire, a partire dalle ore 22,30, ci sarà la Notte Bianca di Preghiera animata dai gruppi giovanili di varie realtà ecclesiali della Diocesi di Roma. Otto chiese del centro storico, situate nel percorso tra il Circo Massimo e Piazza San Pietro, rimarranno aperte per permettere a tutti i pellegrini presenti di attendere la beatificazione in un clima di preghiera e di amicizia.  Delle  otto chiese, nelle quali ci sarà l’adorazione eucaristica con la possibilità di confessarsi, quella affidata ai giovani del Rinnovamento del Lazio, chiamati per l’occasione dal Vicariato  per animare il momento, è la Chiesa di Sant’Agnese in Agone a Piazza Navona.

CARI FRATELLI È LA CHIESA CHE CHIAMA: “DÀMOSE DA FA’ SEMO ROMANI !” (GPII).

Torneremo a far sentire la nostra voce, ricordando le parole di Giovanni Paolo II nel 2000 a Tor Vergata: “Vedo in voi le sentinelle del mattino, questo chiasso ha sentito Roma e non lo dimenticherà mai”. Uniamoci nella preghiera notturna con canti di lode e di adorazione per un Papa che ci ha amato in modo speciale e che ha lasciato ai giovani il suo grazie: “Vi ho cercato, siete venuti, vi ringrazio!”.

 

Info
Valeria Greco
email: valeria.greco@alice.it
Cell: 3490513374

Laura Gigliarelli

Email: lauragigliarelli@yahoo.it

Cell: 347.9333478

BEATIFICAZIONE GPII 30 aprile 1 maggio.pdf
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La IV domenica di Quaresima

Esegesi, meditazione

preghiera e racconti

 


Prima lettura: 1 Samuele 16,1.4.6-7.10-13

 

In quei giorni, il Signore disse a Samuele: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato.

Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede

l’apparenza, ma il Signore vede il cuore».  Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.  Disse il Signore: «Alzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.

v Se la domanda centrale del Vangelo di oggi è: «Chi è Gesù?», questo brano di 1Samuele ne preannuncia già la risposta. Egli è il discendente di Davide, il germoglio che spunta dal tronco di Iesse, su cui, secondo Isaia, si posa lo Spirito del Signore (Is 11,2).

Sappiamo che l’istituzione della regalità fu molto contrastata in Israele, perché sembrava contrapporsi alla fede del popolo eletto in JHWH come unico re e guida, che l’aveva liberato dalla schiavitù d’Egitto.

Dio non si lascia condizionare dalle apparenze. Per la scelta di Saul erano state importanti alcune qualità: era «alto e bello; non c’era nessuno più bello di lui tra gli Israeliti; superava dalla spalla in su chiunque altro del popolo» (1Sam 9,2). Davide invece era il più piccolo di otto fratelli. Dio sceglie la piccolezza, per fare cose grandi, «perché nessuno», dirà poi Paolo, «possa gloriarsi davanti a Dio» (1Cor 1,28).

Seconda lettura: Efesini 5,8-14

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.

Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto [da coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà».

 

v Il brano della lettera proposto dalla liturgia è preso dalla sua seconda parte parenetica, che segue la prima parte dottrinale interamente centrata sulla polarità Cristo-capo e chiesa suo corpo. Paolo propone un progetto di vita cristiana, conseguente all’inserimento del credente nel corpo di Cristo, che è la Chiesa. È all’uomo nuovo, la cui vita è fondata in Cristo risorto, che sono rivolte le parole di questa esortazione. E verso questo uomo nuovo, mentre usciva rinnovato dalle acque del battesimo, si dirigevano le parole di un inno battesimale citate da Paolo: «Svegliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà» (v. 14). Il passaggio dall’incoscienza del sonno allo stato di veglia indica la trasformazione che il sacramento produce.

Questo uomo nuovo ora è in grado non solo di dissociarsi dalle opere infruttuose delle tenebre, ma anche di smascherarle, perché ha discernimento, essendo illuminato dalla luce di Cristo, e a condannarle apertamente, perché è un uomo liberato dalla sua morte e risurrezione.

 

Vangelo: Giovanni 9,1-41

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e lavati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco?

Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio

e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio!

Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

 

Esegesi

 

Questo è il sesto miracolo narrato da Giovanni e appartiene al cosiddetto «libro dei segni» (Gv 1-12). La domanda che l’evangelista pone alla sua comunità e ai suoi avversari, i giudei della sinagoga della fine del primo secolo, è questa: «Chi è Gesù». Il contesto in cui avviene il miracolo è la festa ebraica delle Capanne, che cadeva tra la fine di settembre e la prima metà di ottobre. Era una festa in cui venivano richiamati i motivi dell’acqua e della luce. Siamo probabilmente nell’anno 29.

L’episodio inizia con una domanda dei discepoli: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Nella risposta data da Gesù troviamo che non c’è consequenzialità tra malattia e peccato. Nella malattia, come sarà poi nella croce di Gesù, si manifesterà la gloria di Dio. Si tratta di un cieco nato, che mai aveva visto la luce, la cui vita era ristretta nel chiedere l’elemosina: dipendeva esclusivamente dalla compassione del prossimo. Gesù non gli da un’elemosina più abbondante del solito. Inizialmente sembra fare qualcosa di offensivo alla cecità del povero uomo: gli spalma sugli occhi del fango (anticamente si attribuiva alla saliva soprattutto se mescolata con la terra, una virtù terapeutica). Il cieco si sente sporco ed è costretto dai fatti e dalla parole di Gesù a scendere a lavarsi alla piscina di Siloe. Si lavò e riebbe la vista.

Entrano allora in scena i farisei che negano risolutamente il miracolo, perché Gesù facendo del fango in giorno di sabato aveva violato il comando divino del riposo, dunque non poteva venire da Dio. Il comportamento poi dei genitori appare reticente, ma esprime bene la tensione tra i cristiani e la sinagoga alla fine del secolo I. Negli anni 80 d.C. si decretò infatti la scomunica per i giudeo-cristiani.

Il guarito, scacciato dalla sinagoga e accolto da Gesù, lo riconosce come Figlio dell’uomo, cioè giudice escatologico del mondo e come Signore, cioè come Figlio di Dio. Gesù non gli restituisce solo la luce degli occhi ma anche quella della fede. I farisei, invece, sicuri di possedere la verità rifiutano di vedere fuori di sé per non porre in dubbio le proprie certezze. Nella loro scelta consapevole di scegliere le tenebre anziché la luce, si attua il giudizio di Dio, che li esclude dalla salvezza.

 

Meditazione

Al centro della quarta domenica di Quaresima vi è il tema dell’illuminazione, del passaggio dalle tenebre alla luce espresso nel vangelo dal racconto della guarigione dell’uomo cieco dalla nascita che acquista il senso di una pedagogia verso la fede cristologica. Nella seconda lettura il tema riveste valenza battesimale ed è colto nelle sue implicazioni etiche: l’illuminazione battesimale impegna a una vita di conversione («Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce»: Ef 5,8). In parallelo con questo annuncio la prima lettura presenta l’unzione regale di David da parte di Samuele: il gesto e le parole del profeta che consacrano il messia rinviano alle parole e ai gesti di Gesù, «luce del mondo» (Gv 9,5), che dona luce a chi è nelle tenebre con gesti e parole che evocano la dinamica sacramentale.

Le tre letture pongono il problema del discernimento. Si tratta del difficile discernimento di Samuele per scegliere colui che Dio ha eletto tra i figli di Iesse. Per discernere occorre guardare come Dio stesso guarda, nella coscienza che se «l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1 Sam 16,7), o, come recita l’antica versione siriaca: «l’uomo guarda con gli occhi, il Signore guarda con il cuore». Nella seconda lettura il discernimento è richiesto al battezzato che, nella situazione in cui è «luce nel Signore», è chiamato a discernere ciò che è gradito a Dio (Ef 5,10-11). Il brano evangelico si apre con il diverso sguardo di Gesù e dei discepoli su un cieco, e prosegue con il percorso che porta il cieco guarito a discernere la vera qualità di Gesù e a confessare la fede in lui, mentre altri protagonisti dell’episodio si chiudono a tale discernimento e restano nella cecità spirituale (cfr. Gv 9,39-41).

Nel vangelo, Gesù e i discepoli incontrano un uomo cieco, ma lo guardano con occhi molto diversi. Accecati da un assioma teologico che lega in modo automatico la malattia al peccato i discepoli vedono in lui un peccatore, mentre Gesù vede nella malattia di quell’uomo l’occasione del manifestarsi dell’azione di Dio. Stessa persona, sguardo diametralmente opposto. Chi vediamo vedendo un malato? Che cosa vediamo nella sofferenza dell’altro? Lo sguardo colpevolizzante dei discepoli si oppone allo sguardo di solidarietà di Gesù.

Il testo si presenta come una iniziazione in cui l’uomo che era cieco ottiene la vista e giunge alla conoscenza dell’identità profonda di Gesù, una conoscenza che è anche una co-nascenza, una rinascita, la nascita a una vita completamente rinnovata dall’incontro con Gesù ed espressa dalla lapidaria confessione di fede: «Io credo, Signore» (Gv 9,38).

Il gesto terapeutico attuato da Gesù sul cieco quando ha impastato del fango e l’ha spalmato sugli occhi dell’uomo (Gv 9,7), ricorda il gesto con cui Dio ha creato Adamo plasmandolo con polvere del suolo (Gen 2,7). La ri-creazione non ha nulla di magico o spiritualistico, ma ha una valenza umanissima e conduce colui che era solo oggetto di parole e giudizi altrui a divenire soggetto, ad assumere la propria vita, a prendere la parola e a rivendicare la propria identità: «Sono io» (Gv 9,9). Quel «sono io» è essenziale per poter giungere a proclamare nella libertà e con convinzione: «Io credo!». Divenire credenti non esime dal divenire uomini. Anzi, lo esige.

Di fronte al cieco guarito una prima reazione è quella dei conoscenti che pongono domande, interrogano, ma non si interrogano, non pongono mai in questione se stessi e così restano alla superficie dell’evento (vv. 8-12). Vi è poi l’atteggiamento dei genitori che per paura non vanno oltre una banale e distaccata constatazione del fatto (vv. 18-23). Vi è il sapere teologico dei farisei, un sapere autosufficiente e impermeabile che diviene ottusità portandoli ad accusare Gesù (vv. 13-17) e lo stesso cieco guarito di essere peccatori (vv. 24-34) pur di non lasciarsi interpellare dall’evento straordinario. Chi è cieco e chi vede? Questa la domanda che il testo suscita. E questa la risposta: vede chi sa vedere la propria cecità e aprirsi all’azione sanante e illuminante di Cristo.

 

Preghiere e racconti


Il cieco nato

In questo luogo elevato del corpo, l’anima si sveglia

ecco il cieco nato che mi meraviglia

 

II giardino chiuso davanti a lui si è aperto

un ritmo nuovo si impone all’universo

 

Ristabiliamo gli esseri e le cose

nel loro candore nativo Propongo

 

che camminiamo insieme sulle acque

che abbiamo l’ardire degli uccelli

 

che il nostro soffio sposando la terra

accenda un fuoco nuovo nelle nostre arterie

 

Non c’è nulla da temere Tutto è bello Aspetto

l’eternità promessa per l’istante

 

l’immensità appresa nei miei limiti

So il peso del mondo Gravito

 

attorno all’asse dove mi voleva la sorte

Sono appena nato Mi cerco ancora

 

ma sono al mio posto sovrano

Di un mondo nuovo di cui ho preso le redini.

(L. Wouters)

 

L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore (1 Sam 16,7)

La secolarità è il modo di essere dipendenti dalle reazioni del nostro ambiente. L’io secolare, il falso-io, è quello fabbricato – come dice Thomas Merton – dalle costrizioni sociali. ‘Costrittivo’ è certamente il migliore aggettivo per dire il falso io. Esso indica la necessità di continua e crescente affermazione. Chi sono io? Sono uno che piace, è lodato, ammirato, o che non piace, è odiato, disprezzato… La costrizione si manifesta nell’inconscia paura di fallire e nell’ossessivo desiderio di impedirlo, accumulando sempre di più le stesse cose: più  lavoro, più denaro, più amici.

Queste costrizioni stanno alla base di due dei principali nemici della vita spirituale: la collera e la cupidigia. Esse sono il lato interiore della vita secolare, i frutti acidi delle nostre dipendenze dal mondo.

(J.M. Nouwen, La via del cuore, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003, 93).

 

Primavera

Un giorno,un uomo non vedente stava seduto sui gradini di un edificio con un cappello ai suoi piedi ed un cartello recante la scritta:”Sono cieco, aiutatemi per favore”. Un pubblicitario che passeggiava lì vicino si fermò e notò che aveva solo pochi centesimi nel suo cappello. Si chinò e versò altre monete. Poi, senza chiedere il permesso dell’uomo, prese il cartello, lo girò e scrisse un’altra frase. Quello stesso pomeriggio il pubblicitario tornò dal non vedente e notò che il suo cappello era pieno di monete e banconote. Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo: chiese se non fosse stato lui ad aver riscritto il suo cartello e cosa avesse scritto. Il pubblicitario rispose “Niente che non fosse vero – ho solo scritto il tuo cartello in maniera diversa”, sorrise e andò via. Il non vedente non seppe mai che sul suo cartello c’era scritto: “Oggi è primavera…ed io non la posso vedere”.

 

«Io credo, Signore!»

Eccoci, Signore Gesù, radiosa luce della gloria del Padre, ai tuoi piedi come ciechi ignari della loro infermità.

Guardaci, figlio di Davide, come hai guardato i tuoi, oppressi dal sonno, nella luce del Tabor.

Svegliaci, Signore Gesù, vero sole che mai tramonta, illuminaci e noi saremo raggianti.

Curaci, Signore Gesù con il tocco lieve del dito di Dio e con la Parola che apre occhi e cuore alla luce.

Mandaci, Signore Gesù, alla piscina perenne del lavacro di vita nuova.

Donaci tua Madre, Signore Gesù, la brocca d’oro per attingere acqua viva dalla fonte perenne del tuo cuore trafitto per noi sulla croce.

Custodiscici premuroso, Gesù, nella prova della fede che non risparmia nessuno, perché non ha risparmiato nemmeno Te, il Signore.

Rivelati, Signore Gesù, luce gioiosa dell’eterno giorno, mettendo sulle nostre labbra il grido del cieco sanato: «Io credo, Signore!».

 

Miracolo del cieco nato

Finché vivi sulla terra sei come uno con gli occhi bendati. Solo per la fede, sotto l’influsso del mio Spirito, puoi essere sensibile alla mia presenza, alla mia voce, al mio amore. Agisci come se mi vedessi, bello, affettuoso, amorevole come sono, eppure così mal compreso, così isolato e trascurato da molti esseri ai quali ho tanto donato e tanto sono disposto a perdonare. Ho un così grande rispetto delle vostre persone! Non voglio rovinare nulla. Per questo sono tanto paziente, pur essendo attento e sensibile al più piccolo gesto d’amore e di attenzione.

(G. Courtois, Quando il Maestro parla al cuore).

 

Settimana Santa

Signore Gesù Cristo, nell’oscurità della morte

Tu hai fatto che sorgesse una luce;

nell’abisso della solitudine più profonda

abita ormai per sempre la protezione potente

del tuo amore;

in mezzo al tuo nascondimento

possiamo cantare l’Alleluia dei salvati.

Concedici l’umile semplicità della fede,

che non si lascia fuorviare

quando tu chiami nelle ore del buio, dell’abbandono,

quando tutto sembra apparire problematico;

concedi in questo tempo nel quale attorno a te si combatte una lotta mortale,

luce sufficiente per non perderti;

luce sufficiente perché noi possiamo darne

a quanti ne hanno ancora più bisogno.

Fai brillare il mistero della tua gioia pasquale,

come aurora del mattino, nei nostri giorni,

concedici di poter essere veramente uomini pasquali

in mezzo al sabato della storia.

Concedici che attraverso i giorni luminosi ed oscuri

di questo tempo

possiamo sempre con animo lieto

trovarci in cammino verso la Tua gloria futura.

Amen

(J. Ratzinger).

 

Finché sono nel mondo, sono luce di questo mondo

Quanto sono sciocchi quei giudei che chiedono: «È lui che ha peccato o i suoi genitori?» (Gv 9,2) riconducendo le infermità del corpo alla responsabilità delle colpe. E perciò il Signore dice: «Non ha peccato né lui né i suoi genitori, ma ciò è accaduto perché in lui si manifestassero le opere di Dio» (Gv 9,3). Spetta infatti al Creatore, che è autore della natura, ridare forma a ciò che mancava alla natura. Perciò aggiunse: «Finché sono nel mondo, sono luce di questo mondo» ( Gv 9,5), cioè tutti quelli che sono ciechi possono vedere se mi chiedono la luce.

Accostatevi anche voi e ricevete la luce per poter vedere. […] Quanto al fatto che il Signore fece del fango e lo spalmò sugli occhi del cieco, che altro significa se non che si comportò così perché tu comprendessi che egli restituì la salute a quell’uomo spalmando del fango come aveva formato l’uomo dal fango e che la carne del nostro fango riceve la luce della vita eterna mediante i sacramenti del battesimo? Va’ anche tu alla piscina di Siloe, cioè a colui che è stato inviato dal Padre, come trovi scritto: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha inviato» (Gv 7,16). Cristo ti lavi perché tu possa vedere. Vieni al battesimo, ormai il tempo è vicino. Vieni subito per poter dire anche tu: «Sono andato, mi sono lavato e ho cominciato a vedere» (Gv 9,11), per poter dire, come disse costui dopo che gli fu ridata la vista: «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13,12). La cecità era notte. Era notte quando Giuda prese il boccone da Gesù e in lui entrò Satana. Era notte per Giuda dentro il quale vi era il diavolo. Era giorno per Giovanni che riposava sul petto di Gesù (cfr. Gv 13,21-30). Era giorno anche per Pietro quando vedeva la luce di Cristo sul monte (cfr. Mt 17,1-8); per gli altri era notte, ma per Pietro era giorno. Ma anche per Pietro era notte quando negava Cristo; il gallo cantò ed egli si mise a piangere (cfr. Mt 26,74-75) per emendare il suo errore. Infatti, ormai il giorno era vicino.

(AMBROGIO, Lettere 67,3.6-7, Opera omnia di sant’Ambrogio, pp. 190-192).

 

Chi aprirà i nostri occhi?

Chi aprirà i nostri occhi

ostinatamente chiusi

per evitare di vedere

la miseria agitarsi alla nostra porta?

 

Chi aprirà i nostri occhi

ostinatamente tappati

per evitare di guardare

faccia a faccia

il prossimo

che ci viene incontro?

 

Chi aprirà i nostri occhi

ostinatamente velati

per evitare di essere abbagliati

dalla presenza di Cristo

con il suo vangelo esigente?

 

Chi aprirà i nostri occhi

per riconoscere lo Spirito di Dio

all’opera sui molteplici cantieri

dove l’umanità si rinnova?

 

Chi aprirà i nostri occhi

per riconoscere il seme

che, con ostinazione, germoglia dall’arida terra screpolata?

 

 

Preghiera

Dio onnipotente

la tua eterna parola è la vera luce

che illumina ogni uomo.

Guarisci la cecità dei nostri cuori,

perché possiamo discernere

che cosa è giusto

e amarti sinceramente.

(H.J.M. Nouwen, Preghiere dal silenzio, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003, 95).

 

 

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Lezionario domenicale e festivo. Anno A, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007.

– Giuseppe TURANI, Quaresima-Pasqua 2011. Cristo mia speranza è risorto!, in «Vita pastorale. Supplemento» (2011) 1, 113 pp.

– COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 91 (2010) 10,  71 pp.

– COMUNITÀ DI BOSE, Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Anno A, a cura di Enzo Bianchi et alt., Milano, Vita e Pensiero, 2010.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004.

– J.M. NOUWEN, Un ricordo che guida, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003.

– Fernando ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.

 

Rete Italia

Aperta a Riva del Garda la «Duegiorni» di Rete Italia: “la Chiesa cattolica chiede alla politica due cose: garantire la libertà per tutti e lavorare per il bene comune”.

 

 

Camillo Ruini arriva sul lago di Garda e i cronisti gli chiedono perentoriamente: ma c’è ancora spazio per testimoniare la propria fede anche nell’agone politico? Certo che sì, risponde il cardinale: «C’è spazio e bisogno dei cattolici in politica». E aggiunge, significativamente: «Senza egemonia». A Riva del Garda si è aperta ieri l’attesa assemblea di “Rete Italia” e l’ex presidente della Cei, oggi presidente del Comitato per il Progetto culturale della Chiesa italiana, tiene la prolusione sviluppando un tema che davvero è tutto un programma: bisogna rinvigorire un’autentica sapienza politica, andando oltre ogni riduzionismo ideologico o pretesa utopica, senza mai dimenticare che il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà. Guarda lontano, il porporato; richiama i cattolici in politica ad un impegno esigente.

 

 

Dirà più avanti, esemplificando ed entrando nel dibattito di stretta attualità: «La coscienza dei credenti deve essere illuminata e formata non solo dalla loro ragione ma anche dalla fede e dall’insegnamento della Chiesa. È teologicamente infondata, pertanto quella posizione – rivendicata a volte con enfasi da alcuni politici cattolici – per la quale il richiamo alla propria libertà di coscienza viene fatto valere per discostarsi dagli insegnamenti della Chiesa. Sul piano politico e giuridico essi hanno certamente il diritto di agire così, ma non possono pretendere che questi comportamenti e queste scelte siano anche teologicamente ed ecclesialmente legittimi». Per Ruinini non ci sono dubbi: all’interno del mondo cattolico, «la controversia sui “principi non negoziabili” ha qui il suo vero nocciolo». Coglie nel segno il cardinale, trovando pressocché unanime consenso nel popolo di “Rete Italia”.

Puntualizza, infatti, uno dei leader, Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia:  «Se uno vuole dirsi cristiano non può dire: io faccio quello che voglio, perché essere cristiano significa avere una fede, che ha dei punti fermi. E anche dal punto di vista concreto ha dei doveri irrinunciabili».

Insomma, «la Chiesa cattolica chiede alla politica due cose: garantire la libertà per tutti e lavorare per il bene comune». “Rete Italia” non rappresenta una “corrente” all’interno del Pdl, ma un circuito – nato per iniziativa di Roberto Formigoni, Maurizio Lupi e Mario Mauro – che cerca, con le sue iniziative, di dare un’anima al centrodestra.

Per i cattolici che operano in politica – insiste Ruini – «una cosa mi sembra
decisiva: essere convinti e consapevoli che il loro impegno sarà tanto più efficace e fecondo quanto più cercheranno di essere veramente, e vorrei dire semplicemente, cattolici, anche e specificamente nel loro agire politico». Ecco perché «è giusto rispondere in modo unitario». Magari affrontando le vere priorità che stanno alla base del bene comune: anzitutto la famiglia («troppo trascurata nell’azione di governo, dalla fine della seconda guerra mondiale fino ad oggi»), e immediatamente dopo, l’educazione delle nuove generazioni e la crisi demografica.

«La questione che più mi preoccupa per il futuro del cattolicesimo in Italia – ha ammesso, concludendo, Ruini – è comunque quella degli orientamenti culturali e delle scelte e stili di vita dei giovani». A margine c’è il tempo anche per una battuta sul fine vita: «Questa legge offre una buona salvaguardia e non mette in discussione il diritto alla vita. Il bisogno di legiferare su questa materia? È venuto da alcune sentenze della magistratura».

Francesco Dal Mas

Giovanni Paolo II. La biografia

Andrea Riccardi, Giovanni Paolo II : La biografia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2011, ISBN-13: 978-8821568893, € 24,00


La biografia più documentata su Giovanni Paolo II. Un viaggio attraverso le vicende che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo, per comprendere appieno la carismatica figura del Pontefice.

Giovanni Paolo II, protagonista per più di un quarto di secolo sulla scena mondiale, è stato definito il papa slavo, colui che ha dato il colpo di grazia all’Unione Sovietica e al suo impero, l’uomo del secolo.

Più semplicemente, egli riteneva di aver ricevuto il compito di introdurre la Chiesa nel nuovo millennio. Questo era il senso del suo viaggio condotto, secondo la sua convinzione, dal filo invisibile della Provvidenza. Questa guida nascosta l’aveva sottratto alla guerra e alle deportazioni di cui erano caduti vittima tanti suoi compagni; l’aveva chiamato alla vita sacerdotale; l’aveva scelto come vescovo e come papa. Ancora nel 1981 questo scudo di grazia l’aveva protetto in occasione dell’attentato in piazza San Pietro. Una volta ristabilito, Giovanni Paolo II ampliò ulteriormente il suo raggio d’azione. Al servizio della Chiesa cattolica, egli si impegnò a favorire l’unione tra i cristiani, l’amicizia con l’ebraismo, il dialogo tra le religioni, la pace nel mondo. Al termine della sua vita, consumato dalla dedizione, commosse il mondo con la sua sofferenza.

L’opera di Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant’Egidio che conobbe e collaborò a lungo con il papa polacco, è la prima vera biografia scritta su base scientifica e testimoniale di un papa che ancora vive nel ricordo di credenti e non credenti.

 

Andrea Riccardi

è ordinario di Storia contemporanea presso la Terza Università di Roma e fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Presso le Edizioni San Paolo ha pubblicato: Le politiche della Chiesa (1997); Vescovi d’Italia. Storie e profili del Novecento (2000), Dio non ha paura. La forza del Vangelo in un mondo che cambia (2003), La pace preventiva. Speranze e ragioni in un mondo di conflitti (2004) e ha curato Il sogno di un tempo nuovo. Lettere di Giorgio La Pira a Giovanni XXIII (2009).

 

 

UN COMMENTO

 

Giovanni Paolo II. Il fascino di quel papa che dava del tu alla storia
di Agostino Giovagnoli
in “la Repubblica” del 21 marzo 2011

Allo “shock” Wojtyla – la grande sorpresa per la sua elezione – sono seguiti ventisette anni in cui egli è stato al centro della scena mondiale, portando la Chiesa nel cuore della storia. Eppure, Wojtyla resta ancora “un personaggio da scoprire”, come scrive Andrea Riccardi in un importante volume appena pubblicato e da cui difficilmente potranno prescindere, in futuro, altre ricostruzioni di questo pontificato (Giovanni Paolo II. La biografia, San Paolo, 561 pp., 24 euro). «Non si scrive per fare un monumento» – egli spiega aprendo un libro ricco di documenti inediti e di tante voci di protagonisti – «bensì per comprendere». Anche se il 1° maggio Karol Wojtyla sarà solennemente beatificato, infatti, resta ancora qualcosa del disorientamento degli inizi. Allora egli era sconosciuto ai più – molti pensarono che fosse un africano – e nulla faceva presagire che ai suoi funerali avrebbero partecipato i potenti della terra. Ma si è poi conquistato, passo dopo passo, rispetto e fama.
Giovanni Paolo II ha affascinato e sconcertato. Non è stato un personaggio oscuro e misterioso, sono note la sua carica umana e la cordialità del suo tratto. Ma, spiega Riccardi, aveva una visione originale della storia ed ha tracciato una nuova geografia spirituale del mondo, dalla Polonia all’Italia, dall’America latina all’Africa. Sorprese molti affermando che la dittatura di Pinochet in Cile sarebbe finita senza bisogno di ricorrere alla violenza. E, fino al 1989, anche la sua convinzione che il blocco sovietico non fosse eterno è stata condivisa da pochi. Ma sarebbe
sbagliato leggere queste posizioni con le chiavi del pensiero politico occidentale, come dimostra efficacemente questo libro. La biografia dell’americano George Weigel pubblicata nel 1999 ha insistito sull’alleanza politica tra Reagan e Wojtyla contro l'”impero del male” identificato con i regimi comunisti. Ma a Gorbaciov – la ricostruzione dell’incontro tra i due nel 1989 è una delle tante novità di questo volume – il papa disse che non si dovevano  applicare al mondo orientale modelli occidentali. Karol Wojtyla ha sempre portato con sé la storia e la cultura di una terra di confine tra Oriente ed Occidente, oltre ad una straordinaria esperienza personale del Ventesimo secolo, compresi la guerra, il nazismo e il comunismo. Non è stato solo il primo papa non italiano dopo quattrocento anni, è stato anche il primo pontefice, da dodici secoli, che non sia venuto da un paese dell’Europa occidentale. Riccardi sottolinea che egli non credeva al mito della rivoluzione, intorno a cui ha ruotato il pensiero politico occidentale per due secoli, e nota che non sostenne con l’intensità di Paolo VI l’esperienza dei partiti democratico-cristiani, tanto rilevante in Italia, in Germania e altrove. Per Giovanni Paolo II, la caduta del muro di Berlino non ha rappresentato il trionfo dell’Occidente e la fine della storia. E dopo il 1989 egli si è proiettato con ancora maggiore fiducia nel mare aperto delle vicende mondiali, inserendo sempre di più la Chiesa nella globalizzazione. Ha sviluppato, tra l’altro, l’intuizione dell’incontro di Assisi nel 1986, quando convocò leader religiosi di tutto il mondo invitandoli a pregare per la pace, e, pur non avendo avuto in precedenza esperienze dirette con l’Islam, ha saputo aprire la via del dialogo con i musulmani.
Nel contesto post-conciliare in cui Giovanni Paolo II è stato eletto, era usuale classificare gli uomini di Chiesa in conservatori e progressisti. Ma i giornalisti notarono che il nuovo papa sfuggiva a queste categorie. Il volume documenta numerose divergenze di vedute tra il papa e il suo principale collaboratore, il card. Casaroli, considerato un progressista perché protagonista della Ostpolitik vaticana. Ma Wojtyla lo volle ugualmente come suo Segretario di Stato per oltre dieci anni: lo scelse perché ne conosceva la fedeltà e la lealtà. Questo papa, nota Riccardi, non si è circondato di persone con visioni affini alle sue (come fece Paolo VI con i “montiniani”). È convinzione di molti
che Wojtyla “non abbia governato” la Chiesa, ma è vero piuttosto che ha accettato di vivere senza protezioni, per così dire, la «dialettica di sempre tra l’uomo e l’istituzione, tra il sentire personale e il lavoro di un’amministrazione», come spiega qui Benedetto XVI in una testimonianza ad hoc. Per quanto riguarda l’Italia, si pensa che egli abbia delegato molte scelte al card. Ruini, ma anche in questo caso ha seguito la sua visione personale: Ruini, ha detto lo stesso Giovanni Paolo II all’autore, è stato l’interprete della linea del papa per l’Italia.
Pagina dopo pagina, vicenda dopo vicenda, il ritratto di Wojtyla diventa sempre più nitido. Riccardi ha trovato la cifra interiore di questo papa nella sua poesia, un aspetto spesso trascurato. Attraverso la poesia, infatti, egli meditava sulla fede e sulla storia, nella sua poesia si fondono il “mistico” e il “politico”, l’uomo di preghiera e colui che crede «nella forza delle energie religiose e spirituali della sua Chiesa e dell’umanità». Il Giovanni Paolo II raccontato da Andrea Riccardi dà del tu alla storia perché dà del tu a Dio. Gli eventi mondiali degli anni Ottanta e Novanta hanno dato ragione alla sua speranza in una «forza disarmata delle convinzioni, più forte dei poteri costituiti e oppressivi».
Vedremo se accadrà di nuovo con la primavera araba emersa nelle ultime settimane .

Parlare con gli atei

 

“Ritroviamo il coraggio di parlare con gli atei”
intervista a Gianfranco Ravasi

 

Cattolici e atei, credenti e agnostici: faccia a faccia nella Parigi dei Lumi per un vertice inedito promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi, ministro della Cultura vaticano. Partner del dialogo, che si svolgerà tra il 24 e il 25 marzo, sono l’Unesco, la Sorbona, l’Institut de France, il “parlamento dei sapienti” che riunisce le cinque grandi accademie francesi. È una pagina nuova nella storia della Chiesa, il tentativo di affrontare il Terzo millennio smettendola di considerare atei ed agnostici come nemici o handicappati spirituali.“Anticlericalismo e Clericalismo” vanno superati, è l’opinione del porporato. Perché “chiudersi nel proprio recinto è una malattia sia per le religioni che per il mondo laico e per una scienza che pretenda di dare le risposte a tutte le domande”.  L’iniziativa è sorta per impulso di Benedetto XVI, che nel 2009 affermò a Praga che andava stimolato il confronto con i non-credenti e indicò nel Cortile dei Gentili dell’antico Tempio di Gerusalemme lo spazio, dove gli aderenti ad altre religioni potevano accostarsi al Dio Sconosciuto.
Sul sagrato di Notre Dame, dove si terrà uno spettacolo per i giovani, arriverà un videomessaggio del Papa.

 

 

Cardinale Ravasi, partite dalla Francia, l’Anticristo dell’Illuminismo.
Sì, ho voluto scegliere Parigi proprio perché è un vessillo di laicità, ma devo dire subito che ho trovato un mondo laico interessato a un confronto vero sui grandi temi.

 

Voglia di convertire?
Non è questo lo scopo. Non parliamo di evangelizzazione. L’obiettivo è il dia-logo. Il confronto fra due Logoi, tra visioni del mondo che si misurano sulle questioni alte dell’esistenza. Quando mi trovo di fronte a un ateo come Nietzsche o al discorso marxista o scientista, io ascolto, rispetto, valuto. Le religioni e i sistemi ideologici sono letture del reale e del cosmo ed è bene che si confrontino.


Superando l’atteggiamento classico secondo cui il non-credente è un’anitra zoppa?

Il credente e l’ateo sono ciascuno portatori di un messaggio, che è ‘performativo’ poiché coinvolge l’esistenza. Sono contento di avere come interlocutori a Parigi personalità come Julia Kristeva, semiologa e psicanalista agnostica o il genetista Axel Kahn.

Su cosa ragionare?
All’Unesco si discuterà tra credenti e laici sul ruolo della cultura ma anche delle donne nella società moderna, sull’impegno per la pace e la ricerca di senso in un mondo che è contemporaneamente secolarizzato e religioso. Alla Sorbona il tema è emblematico: Lumi, religioni, ragione comune.
All’Institut de France il dibattito sarà su economia, diritto, arte.

Sperando di trovare punti di incontro?
Non interessano incontri o scontri generici né di accordarsi su una vaga spiritualità. E non si tratta  nemmeno di un asettico convegno di matematica. Ciò che conta è mettere a confronto visioni di vita alternative, ragionando in ultima istanza su alcune domande capitali.
Lei ha detto recentemente che la Chiesa deve imparare ad abbattere i propri muri.
Spesso abbiamo un linguaggio eccessivamente connotato ed escludente. Dobbiamo riconoscere che esistono visioni diverse della realtà e che dal mondo laico ci vengono rivolte domande profonde rispetto alle quali non possiamo essere evasivi.

Quali questioni considera capitali?
Le domande sul senso dell’esistenza, sull’oltre-vita, sulla morte. E ancora, la domanda sulla categoria di verità.

C’è già nel processo a Gesù: cos’è la verità?
È qualcosa che ci precede, che è ‘in sé’? Oppure, come affermano i moderni, è l’elaborazione del soggetto secondo i differenti contesti?

Immagina Parigi come tappa di una ricerca sull’etica universale, quel Weltethos che il teologo Hans Kueng espose a Benedetto XVI a Castegandolfo dopo la sua elezione?
Penso piuttosto che si possa aprire il discorso, senza sincretismi, su ciò che significa Natura e legge naturale.
Vale la pena di indagare sulle radici ultime, che precedono le ragioni delle religioni e delle ideologie. Porre a confronto le differenti concezioni di essere ed esistere significa mettersi autenticamente a ricercare, senza pretendere di sapere a priori.
Troppe volte si è diffusa la sensazione che con l’arrivo del pensiero scientifico moderno sia stato segnato un anno zero, che annulli le elaborazioni della cultura precedente, specie quella greca e cristiana.

Invece?
Trovo tanti scienziati aperti a riflettere sulle categorie filosofiche dell’esistenza.

C’è un tema su cui si dovrebbe riflettere di più nella civiltà contemporanea?
La potenza del male. Bisogna esserne consapevoli. Gli atteggiamenti susseguenti possono essere diversi. Per Albert Camus, nell’assenza di Dio, la risposta finale è il suicidio. Per George Bernanos, al di là di tutte le difficoltà e fragilità, la presenza divina non abbandona mai l’umano.

La Chiesa è pronta a fare i conti con la decristianizzazione in atto nel continente europeo?
Le categorie statistiche sono insufficienti per misurare il reale. Serve un metodo qualitativo per misurare dall’interno i comportamenti sociali e personali. Harvey Cox, che aveva scritto la ‘Città secolare’, ora sostiene di  essersi sbagliato. Assistiamo ad un ritorno del Sacro e a una nostalgia del Religioso, che però non trova una risposta nel istituzioni religiose. Così si manifesta in varie espressioni: movimenti, New Age, devozionalismo, spiritualismo.

Qual via d’uscita propone?
Il cristianesimo deve tornare alle sue grandi risposte. Riuscendo a guarire il palato della società, deformato da una secolarizzazione che cerca spiritualità a basso profilo.

Non pensa che vi sia nella Chiesa ancora troppa paura della modernità?
Io nutro rispetto per la modernità, ma rivendico la legittimità di criticare una modernità superficiale, inodore, incolore, nemmeno immorale bensì a-morale. Come dice Goethe nel Faust: abbiamo dimenticato il Grande Maligno, sono rimasti i Piccoli Mascalzoni.

in “il Fatto Quotidiano” del 20 marzo 2011

 

 

Parlare con gli atei


 

di Paolo Flores d’Arcais

 

Stimato cardinal Ravasi, ho letto con crescente interesse l’intervista – impegnata e soprattutto impegnativa – che ha concesso a Marco Politi per questo giornale. Le sue parole mi hanno colpito, tra l’altro, per un tono appassionato di autenticità che non sempre si avverte in altri uomini di Chiesa del suo altissimo livello gerarchico. Lei enuncia come obiettivo delle sue iniziative “il dialogo” con gli atei, dunque un parlarsi-fra che non aggiri la controversia, anzi, visto che lo intende come “il confronto tra due Logoi, tra visioni del mondo che si misurano sulle questioni alte
dell’esistenza”. E perché non ci siano dubbi che tali “Logoi” debbano essere anche quelli più radicalmente conflittuali con la fede cattolica, esemplifica con gli ateismi di stampo nicciano, marxista, scientista: insomma tutto il “vade retro” del moderno relativismo (condannato dagli ultimi due Pontefici come incubatore di nichilismo). Ateismi radicali che, aggiunge, “io ascolto, rispetto, valuto”.

 

DI PIÙ

Marco Politi molto opportunamente insiste: “Superando l’atteggiamento classico secondo cui il non-credente è un’anatra zoppa?”. Bella metafora, in effetti, per stigmatizzare l’atteggiamento paternalistico che spinge ancora troppo spesso la Chiesa a scegliere come interlocutori solo quei “gentili” (“Cortile dei gentili” si intitola la sua iniziativa) che sembrano soffrire la condizione della mancanza di fede come un’amputazione ontologica o esistenziale. “Atei” sì, ma “alla ricerca di Dio”. Sembra proprio che invece lei questa volta voglia promuovere il confronto con l’intera costellazione dell’ateismo hard: “non interessano incontri o scontri generici, né di accordarsi su una vaga spiritualità” perché “quel che conta è mettere a confronto visioni di vita alternative” smettendola di “essere evasivi” rispetto alle “profonde domande che ci vengono rivolte dal mondo laico”. Apprezzo “toto corde”. Del resto dirigo da un quarto di secolo una rivista di adamantina laicità (tanto che viene spesso tacciata di “laicismo” proprio perché non è laicità “rispettosa”, da anatre zoppe) che del confronto senza diplomatismi con uomini di fede, anche della Chiesa gerarchica, si è fatta un punto d’onore. Praticandolo.
Spero perciò sinceramente che alle sue parole seguano i fatti. Non solo a Parigi, anche in Italia.
Negli ultimi anni l’atteggiamento è stato però di segno opposto. Il dia-logo con l’ateismo è stato sistematicamente rifiutato dalla Chiesa gerarchica e anche da lei personalmente. Si tratta di una verità inoppugnabile, di cui purtroppo posso dare testimonianza diretta. Quando nell’anno del giubileo MicroMega pubblicò un almanacco di filosofia dedicato a Dio, con saggi in maggioranza di ispirazione atea, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina  della fede, cardinal Ratzinger, non solo accettò di collaborare con un suo testo, ma anche di presentare il numero in una controversia pubblica con me al teatro Quirino di Roma, gremito all’inverosimile e con duemila persone che seguirono il dibattito sulla strada attraverso altoparlanti di fortuna. Se guardo ai due o tre anni successivi, posso constatare che accettarono pubbliche controversie i cardinali Schönborn, Tettamanzi, Piovanelli, Caffarra, Herranz e infine nel 2007, presso la Scuola normale superiore di Pisa, il patriarca di Venezia Angelo Scola.
Da allora l’atteggiamento della Chiesa gerarchica si è rovesciato. MicroMega ha proseguito nella volontà di un confronto franco, “ragionando in ultima istanza su alcune domande capitali”, secondo quanto lei dice di auspicare. Ma ci siamo trovati di fronte al muro di un sistematico rifiuto. Sia chiaro, un Principe della Chiesa ha tutto il diritto di rifiutare il confronto se non ritiene l’interlocutore all’altezza, senza con ciò smentire la sua volontà di dia-logo. Pretende solo atei più autorevoli. Ma visti i precedenti fin troppo lusinghieri in fatto di porporati che hanno accettato la discussione con Micro-Mega e con me, non è certo questo il motivo del rifiuto.


SUL QUALE

non provo neppure ad avanzare ipotesi. Mi interessa il futuro. Vorrei prenderla in parola, nella sua volontà di “dia-logo”, e organizzare con lei occasioni di confronto proprio con il metodo e sui temi che lei illustra nell’intervista. Discutere tra atei-atei e Chiesa gerarchica per “ricercare senza pretendere di sapere a priori”, su questioni che spaziano dal “senso dell’esistenza” alla “oltrevita, la morte, la categoria della verità” o “su ciò che significa Natura e legge naturale”, visto che da qui nascono le questioni eticamente sensibili che sempre più affollano l’agenda politica non solo italiana.
Si tratta, del resto, di temi previsti nel confronto con il cardinal Ratzinger, che non fu possibile affrontare per mancanza di tempo (vi era anche quello del Gesù storico, che certamente a lei, biblista di fama, interesserà). La invito dunque alle “Giornate della laicità” che si svolgeranno a Reggio Emilia dal 15 al 17 aprile, a cui hanno rifiutato di partecipare i quindici cardinali che abbiamo invitato, e nelle quali potrà discutere con atei non “anatre zoppe” come Savater, Hack, Odifreddi, Giorello, Pievani, Luzzatto, e buon ultimo il sottoscritto. Se poi la sua agenda non le
consentisse di accogliere questo invito, le propongo di organizzare insieme, lei ed io, una serie di confronti nei tempi e luoghi che riterrà opportuni. Devo però dirle, in tutta franchezza, che non riesco a liberarmi dalla sensazione – negli ultimi anni empiricamente suffragata – che il “dia-logo” che lei teorizza voglia invece eludere il confronto proprio con l’ateismo italiano più conseguente.

Con la speranza che i fatti mi smentiscano e che lei possa accettare la mia proposta, le invio intanto i miei più sinceri auguri di buon lavoro.

in “il Fatto Quotidiano” del 22 marzo 2011

 

 

La Chiesa in dialogo

 

di Jacques Noyer

 

La Chiesa cattolica vuole entrare in dialogo tanto nel cammino ecumenico quanto negli incontri interreligiosi. Vuole perfino aprire il dialogo con gli atei. Non si può che essere contenti di queste iniziative, totalmente in armonia con quel Dio di dialogo di cui Gesù ci ha rivelato il volto. La Trinità è dialogo. La Rivelazione è dialogo. L’evangelizzazione è dialogo.
Ma il dialogo presuppone che gli interlocutori accettino tra loro una certa uguaglianza e riconoscano in sé una certa fragilità. Ci si ritrova sotto lo sguardo di una ragione, di uno spirito di cui si accetta l’arbitraggio e si rinuncia così a conoscere in anticipo l’ultima parola verso cui ci si mette in cammino. Ma non si capisce bene come le istituzioni possano dialogare. Nazioni, partiti, organizzazioni diverse possono avere negoziati di pace, trattative d’alleanza, complicità d’azione.
Ma non possono dialogare. Se un rappresentante fosse colpito dalle argomentazioni dell’altro, non potrebbe più rappresentare la sua organizzazione. Si è condannati ad avere solo dei dialoghi tra sordi. Questo non significa che questi dibattiti non possano condurre, in seguito, nelle istituzioni, ad un’evoluzione del loro punto di vista, ma per niente al mondo accetteranno di dire che il cambiamento è avvenuto ascoltando l’altro: sarebbe ammissione di debolezza!
Le Chiese e le religioni possono dialogare ancor meno di altre istituzioni poiché le loro convinzioni sono presentate come sacre e quindi intangibili. Bloccate nelle loro certezze, possono al massimo cercare insieme delle formule sottili che nascondano le differenze. La stagnazione dell’ecumenismo, il blocco del dialogo teologico interreligioso ne sono la prova. Ugualmente, è proprio l’impossibilità del dialogo tra l’islam e l’ebraismo a rendere impossibile la pace in Israele. Le religioni sono più atte a fare la guerra, o almeno ad incoraggiarla, che a vivere il dialogo della comunità fraterna.
Se le religioni non possono dialogare, invece lo possono fare gli uomini, credenti o non credenti.
Ed è proprio quello che accade in tutti i quartieri in cui vivono credenti di diverse religioni o semplicemente in tutti  gli incontri amichevoli che accompagnano la vita sociale quotidiana. Sono molteplici le testimonianze sull’esistenza  e sulla fecondità di questi luoghi informali di parola.
Quando vediamo le folle dei paesi arabi sollevarsi in nome dei diritti umani per esigere un po’ più di democrazia, come non ammirare la forza del dialogo condiviso nell’ambito della mondializzazione o della laicità? Dio mi guardi dal vedervi il risultato di una certa evangelizzazione! Sarebbe un recupero odioso. Ma nessuno può negare di potervi  vedere il lavoro dello Spirito, e il Dio in cui credo certo ne è felice!
Sì, la Chiesa, questo popolo in cui vive lo Spirito, perché è fatta di uomini e di donne immersi nel mondo, può  dialogare col mondo. E lo fa da venti secoli. Lo fa oggi come ieri. Ma se la Chiesa è quell’istituzione gerarchica dalla  dottrina intangibile e dalla Verità Posseduta, allora non può farlo.
Se l’istituzione organizzasse il dialogo invece di averne paura, se essa stessa fosse dialogo tra i suoi membri, se la Chiesa si assumesse il rischio di desacralizzare il suo discorso di ieri e i suoi orpelli storici per cercare, oggi, adesso, la Verità con tutte le nazioni, essa potrebbe essere, come la sua Vocazione le chiede, il dialogo in cui lo Spirito fa nuove tutte le cose.

in “Témoignage chrétien” n° 3436 del 17 marzo 2011 (traduzione: finesettimana.org)

 

 

RASSEGNA  STAMPA

 

25 marzo 2011

“Per i cristiani, la Verità ci precede, nella persona di Cristo. Mentre agli occhi della cultura contemporanea, ciascuno di noi la costruisce. Da questa differenza derivano concezioni diverse del bene e del male, della libertà, della giustizia”
“L’esigenza di razionalità – che è essenziale – non fa scomparire quelle dimensioni del vissuto che sono il sacro, l’immaginario, l’istintivo o anche l’affettivo e evidentemente la credenza… (che non ha un significato univoco, perché mescola rappresentazioni più o meno razionali, credenze affettive, fede, fiducia, nel senso della fides latina)”
“«’L’incontro è differente e più profondo del dialogo. Questo è uno scambio che si situa al livello delle idee e della visione del mondo. L’incontro riguarda la nostra umanità nel suo cuore più profondo, la realtà della nostra persona con tutto quello che essa ha di debole e bello»”
“il dialogo costringe ciascuno ad essere méthorios, … cioè «colui che sta sulla frontiera», ben radicato nel suo territorio, ma con lo sguardo che si protende oltre il confine e l’orecchio che ascolta le ragioni dell’altro

 

“La circostanza non va giù a un gruppo di fedeli… «Le parole e gli atti di Gentilini sono incompatibili con il messaggio evangelico»… E lo sceriffo padano [discusso esponente leghista, noto per le sue pesanti esternazioni contro immigrati e omosessuali]? Non si scompone: «Dicano quello che vogliono… sono un cattolico praticante io, mica un comunista»”
“Il Cortile dei Gentili è cominciato ieri alle 15 nella sala XI dell’Unesco, a Parigi… si succedono autorità… ambasciatori… Getachew Engida… Gianfranco Ravasi… Giuliano Amato, protagonista di un intervento che fa pensare [che] evidenzia lo spostamento dei confini del bene e del male che è in atto… Fabrice Hadjadjj, filosofo e scrittore, che [invita] a cercare l’uomo non nell’efficienza ma «nell’epifania del suo volto»”
“«Mi interessa l’umanesimo, la differenza tra l’umanesimo cristiano e quello dei Lumi, e come quest’ultimo può rispondere alle questioni della nostra epoca… Non si tratta di distruggere la religione, come hanno tentato di fare i totalitarismi, ma neanche di accettarla: serve un lavoro di rivalutazione della memoria»”

 

“Il Gesù di cui parla Joseph Ratzinger nel suo libro appena uscito (Gesù di Nazaret – Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, che segue il primo volume pubblicato nel 2007) non è invece Gesù, bensì il Cristo dogmatizzato dai Concili di Nicea (325) e Calcedonia (451), dominati e decisi dagli imperatori di Roma, che con il Gesù della storia nulla ha a che fare e anzi contraddice e nega sotto ogni aspetto essenziale.” (ndr.: diversità non vuol dire per forza di cose opposizione. Certamente permane il problema di come far interagire l’ermeneutica storica con l’ermeneutica della fede)

 

24 marzo 2011

  • Ragione comune di Dominique Greiner in La Croix del 24 marzo 2011 (nostra traduzione)
“coloro che non credono, coloro che si dicono senza Dio non sono necessariamente indifferenti. Capaci di mobilitarsi per la promozione di valori universali, possono anche essere interessati a sentir parlare di Dio. Allo stesso tempo, il loro impegno può anche essere stimolante per quello dei cristiani”
“Fino agli anni ’70 del secolo scorso coloro che rifiutavano Dio lo facevano in maniera argomentata, proponendo un sistema costruito in parallelo – o in opposizione – al cristianesimo. Quindi c’era una base comune a partire dalla quale era possibile il dialogo. “Oggi le giovani generazione non conoscono veramente il termine Dio. Non esiste nella loro cultura””

 

“Dopo l’annuncio avvenuto a Roma nel dicembre del 2009 da parte di Benedetto XVI, il Cortile dei gentili… prende il via ufficialmente a Parigi, giovedì 24 e venerdì 25 marzo… Una scommessa in società fortemente secolarizzate… Per il cardinale Gianfranco Ravasi… questo dialogo è tuttavia possibile… malgrado la persistenza di forti sospetti tra i due mondi

 

 

“L’idea del Cortile dei Gentili corrisponde sicuramente ad un bisogno autentico sentito dai credenti illuminati e dalle persone di buon senso in ricerca. Benedetto XVI lo situa accanto al dialogo con le religioni.”