Lectio della XVII Domenica del tempo ordinario

XVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Lectio – Anno A

Prima lettura: 1 Re 3,5.7-12

 

In quei giorni a Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda».  Salomone disse: «Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per la quantità non si può calcolare né contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?».  Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te».

v Nella scena rievocata in questo brano (1 Re 3,3-15) ci troviamo agli inizi del regno di Salomone, quando ancora non si ha nessun indizio della perversione che secondo il racconto biblico successivo caratterizzerà il resto della sua vita (1 Re 11). Qui il giovane re ci viene presentato come un modello di uomo saggio, che chiede come supremo dono da Dio il giusto discernimento per poter governare bene il suo popolo. La saggezza di Salomone, caratterizzata altrove anche per una vasta conoscenza di carattere enciclopedico (cf 1 Re 5,9-14), viene qui qualificata come capacità di comprendere i propri limiti, e nello stesso tempo di sentire la necessità dell’aiuto del Signore per «distinguere il bene dal male» (v. 9).

Ciò è possibile col dono del «cuore docile» (lett. in ebraico «cuore che ascolta»), definito poi come «un cuore saggio e intelligente» (v. 12). Così, non si tratta tanto di una saggezza quantitativa, ma qualitativa. È interessante notare come la sapienza preferita in questa preghiera da Salomone sia contrapposta agli altri beni di carattere più mondano che pure sono considerati importanti nell’Antico Testamento: vita lunga, ricchezza e, specialmente per un re, morte dei nemici.

Proprio diverse, rispetto a questo ultimo punto, erano state le raccomandazioni di Davide al figlio prima della morte (1 Re 2,5-9). Inoltre, Salomone ha riconosciuto prima la fedeltà del Signore alla promessa fatta a Davide, per cui ringrazia il suo Dio per aver ereditato il trono di suo padre (v. 6).

Seconda lettura: Romani 8,28-30

Fratelli, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.

 

v In questi tre brevi versetti anche Paolo ci offre un suo abbozzo del tema del regno di Dio, più caratteristico dei vangeli sinottici. Egli ci vede coinvolti in esso, in quanto corrisponde al «disegno» di Dio per noi. Giunto alla conclusione della sua esposizione della storia della salvezza che costituisce l’argomento della Lettera ai Romani, Paolo contempla in anticipo il suo compimento nella glorificazione finale insieme a Cristo, dopo che si sono percorse le tappe intermedie della elezione, della chiamata e della giustificazione. Tenendo presente tutto questo, egli può dire prima che «tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono chiamati secondo il suo disegno».

Nel v. 28 abbiamo in Paolo uno dei pochi casi in cui il verbo amare ha Dio come oggetto e l’uomo come soggetto (gli altri casi si hanno in 1 Cor 2,9; 8,3; Ef 6,24). Ma anche in questo caso non si deve dimenticare che ci troviamo inseriti in un processo nel quale l’iniziativa è esclusivamente di Dio che chiama. Del resto prima Paolo ha parlato chiaramente dell’amore con cui Dio ci ha preceduto facendoci dono del suo Spirito: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (5,5). Questo concetto è ancora ribadito in 1 Giov 4,10: «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati».

Vangelo: Matteo 13,44-52

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi  va, pieno di gioia, vende tutti i suoi  averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci.

Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Esegesi

Possiamo distinguere in questo brano evangelico tre brevi sezioni:

1) Il tesoro nascosto e la perla preziosa (vv. 44-46)

La forza evocatrice di queste due brevi parabole balza immediatamente agli occhi attraverso le due qualifiche abbastanza simili che le riassumono emblematicamente: tesoro, (perle) preziose. Queste due condizioni mettono in moto l’interesse di chi è capace di apprezzarle. Ma il contesto umano presupposto alle due immagini è diverso. Il tesoro na-scosto è scoperto per caso da chi lavora un campo non proprio per conto di estranei, mentre le perle preziose riguardano un mercante che lavora professionalmente per cercarle. Nell’un caso come nell’altro, ciò che conta è il capire che si è di fronte ad un’occasione da non perdere.

Le due parabole, nella loro brevità, sono formulate in una maniera parallela, giacché in entrambi i casi si ripetono i quattro verbi fondamentali: trova/trovata, va, vende tutti i suoi averi, compra. Solo nel primo caso, trattandosi di una scoperta non prevista, si accentua il senso della sorpresa aggiungendo «pieno di gioia». In realtà, le situazioni evocate dalle due parabole sono un po’ diverse e servono bene a sottolineare due atteggiamenti spirituali differenti nei confronti del regno di Dio. Nel caso del contadino che lavora come salariato, c’è la sorpresa per una scoperta non prevista, ma ciò nonostante egli sa essere abbastanza tempestivo nel prendere le decisioni giuste per non perdere l’occasione di un insperato vantaggio. Nel mercante di perle preziose questa disposizione è più esplicita e in qualche modo più scontata.

Anche di fronte al regno di Dio il nostro segreto desiderio di scoprirlo può presentare prima dell’incontro diversi gradi di consapevolezza, i quali conducono comunque ad un certo punto al passo decisivo dell’impegno personale e di una svolta di vita.

2) La rete gettata nel mare (vv. 47-50)

A proposito di questa parabola si deve ripetere quanto abbiamo osservato per quella che parlava del grano e della zizzania. Anche qui si parla di un elemento negativo, i pesci cattivi o scadenti da gettare via, i quali però non costituiscono l’oggetto principale di tutta l’operazione, ma solo una condizione necessaria per la realizzazione della finalità specifica della pesca, la raccolta dei pesci buoni. Usando lo stesso simbolo, suggerito allora dal suo mestiere. Gesù aveva detto a Pietro: «Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10).

La conclusione della parabola (vv. 49-50) è simile a quella precedente relativa alla spiegazione aggiunta alla parabola del grano e della zizzania (vv. 41-42): angeli, fornace ardente, pianto e stridore di denti.

3) Il vero scriba (vv. 51-52)

Gli scribi, esperti della Scrittura ebraica e della tradizione, rappresentano in Matteo una categoria di persone che, accanto ai sommi sacerdoti e ai farisei, sono menzionati molte volte in modo negativo e polemico, in quanto sono incapaci di comprendere la novità del messaggio di Gesù. Solo qui e in Mt 23,34 («Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città») sembra che vengano visti in senso positivo. Ma nel nostro passo si dice chiaramente che si tratta di uno scriba convertito, che è divenuto «discepolo del regno dei cieli». Così il riscatto della sua figura avviene attraverso il suo superamento, per ribadire che il vero scriba è ormai quello che si fa discepolo, in analogia con quanto si è detto in Mt 11,11 : «In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è il più grande di lui». Ma nello stesso tempo si sottolinea un elemento di continuità tra l’antica e la nuova economia in armonia con quanto è stato detto ancor prima: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per compimento» (Mt 5,17).

Se lo scriba offre qui un modello positivo che si può adattare al discepolo, è in forza di una qualità che gli era riconosciuta come caratteristica: la riflessione sui sacri testi della tradizione che può essere integrata con le osservazioni tratte dalla vita di ogni giorno; di tale atteggiamento si ha un esempio molto significativo proprio nelle parabole.

In realtà, questo detto sullo scriba-discepolo suggella per Mt tutto il suo capitolo delle parabole, quasi a voler suggerire l’analogia che c’è tra il procedimento del discorso parabolico e l’attività esegetica dello scriba, che diventa feconda quando non si cristallizza sulle conoscenze del passato, ma si sa aprire agli orizzonti dischiusi dalla nuova rivelazione di Dio anche attraverso gli eventi della vita quotidiana.

Meditazione

La sapienza fa l’unità tra prima lettura e vangelo. Sapienza di Salomone che si esprime nel suo pregare, nel suo chiedere a Dio un cuore capace di ascolto, ovvero il discernimento per giudicare e governare, sapienza di Gesù che si esprime nel suo parlare in parabole ma anche sapienza dei protagonisti delle parabole del tesoro e della perla (Mt 13,44-45) che emerge nel loro discernimento e nella loro pronta decisione, e infine sapienza dello scriba divenuto discepolo del Regno che trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (Mt 13,52). La sapienza non è manichea, non elimina l’antico a esclusivo favore del nuovo e non resta ostinatamente attaccata all’antico per timore del nuovo, ma fa del nuovo la reinterpretazione dell’antico e dell’antico il fondamento del nuovo.

La sapienza è l’arte di orientarsi nella vita, l’arte di governare il timone della nave: «l’uomo sapiente terrà saldamente il timone» (Pr 1,5 LXX). È l’arte del traghettatore, di chi governa, di chi istruisce. Ma è anzitutto l’arte di chi governa se stesso. Arte che si ottiene mediante la faticosa conoscenza di sé: «Il vero inizio per crescere in virtù è conoscere se stesso. Colui che si conosce è il solo padrone di sé e, senza avere un regno, è veramente un re» (Ronsard). È l’arte di cui oggi, nello smarrimento e nel disorientamento in cui viviamo, abbiamo grande bisogno. «Tu il tesoro, Tu la perla preziosa; o Signore, Tu hai incontrato me, non io ho trovato Te; Tu hai conquistato e afferrato me, non io ho acquistato Te; o mio Tu, io sono tuo». Questa antica invocazione suggerisce che il vero soggetto delle parabole di Mt 13,44-46 non è il mercante che ha acquistato la perla e nemmeno il bracciante che ha acquistato il campo che prima ha lavorato, ma proprio il tesoro, la perla preziosa: essi sono la luce che da nuovo senso e orientamento alla vita e in nome e in vista di cui si può vendere tutto, abbandonare tutto.

E si può lasciare tutto nella gioia. La radicalità cristiana è autentica se sigillata dalla gioia. Anzi, la gioia è costitutiva di tale radicalità, perché questa va vissuta come grazia e nel rinnovarsi di una quotidiana gratitudine. Noi siamo grati di essere nella gioia.

L’esperienza di chi trova il tesoro e vende tutto per esso è in realtà l’esperienza di chi sente la parola di Dio che gli dice: «Tu sei prezioso ai miei occhi e io ti amo; io do uomini e popolazioni in cambio di te» (Is 43,4). È questo amore il segreto della gioia della radicalità di una vita cristiana, è questo amore il bene prezioso da custodire e salvaguardare, è questo amore del Signore e per il Signore che può rinnovare vite tentate da vecchiezza, stanchezza, insensibilità, cinismo, indifferenza. A noi che nella preghiera diciamo al Signore: «Sei tu il mio Signore, nessun bene per me al di fuori di te» e «Sei tu il mio unico bene» (Sal 16,2) e ancora «In te, o Dio, gioisce il mio cuore, esulta il mio intimo» (Sal 16,9), è chiesto di metterci alla prova se Cristo abita in noi (cfr. 2Cor 13,5). E questo perché noi abitiamo là dov’è il nostro tesoro: è il tesoro che ci colloca, che ci situa. Se Cristo abita in noi, noi dimoriamo in Cristo e allora possiamo gioire di gioia indicibile nel cammino verso il Regno. C’è solo da riscoprire ogni giorno la preziosità del dono ricevuto combattendo la tentazione del banale, dello scontato, del «tutto è dovuto».

Sia l’uomo che ha trovato la perla nel campo sia il mercante che ha trovato la perla di gran valore sono accomunati, nel loro agire coraggioso, forse anche folle e poco prudente («vendere tutto per acquistare una sola cosa»), dell’osare la propria gioia. La preziosità di una cosa e di una persona è relativa alla gioia che suscita in noi. La scelta dei due protagonisti delle parabole, così assimilabile alla radicalità cristiana (cfr. Mt 19,21: «Vendi i tuoi beni e dalli ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, poi vieni e seguimi»), avviene nella gioia procurata dalla scoperta, prosegue nella gioia di procurarsi il bene prezioso, e custodisce nella gioia anche il momento della vendita di tutto, della privazione di ciò che si possedeva. Ma soprattutto, è promessa di gioia anche per il futuro. A differenza di ciò che avviene al giovane ricco che resta nella tristezza (Mt 19,22).

 

Il Vangelo commentato in immagini

XVII DOM TEMP ORDINARIO (A)

 

Preghiere e racconti


La perla

La perla di gran prezzo

giace nascosta giù nel profondo.

Come un pescatore di perle,

anima mia, tuffati,

tuffati profondo,

tuffati ancora più profondo e cerca!

Può darsi che non trovi nulla

la prima volta,

Come un pescatore di perle, anima mia,

senza stancarti, persisti e persisti ancora,

tuffati profondo, sempre più profondo,

e cerca!

Quelli che non conoscono il segreto

si prenderanno gioco di te

e tu ne sarai rattristata.

Ma non perderti di coraggio,

pescatore di perle, anima mia!

La perla di gran prezzo

è proprio nascosta là

nascosta proprio in fondo.

E’ la tua fede

che ti aiuterà a trovare il tesoro,

è essa che permetterà

che ciò che era nascosto

sia finalmente rivelato.

Tuffati profondo,

tuffati ancora più profondo,

come un pescatore di perle, anima mia,

e cerca, cerca senza stancarti.

(Swami Parmánanda).

 

Trovare-andare-vendere-comprare

«Un uomo» e «un mercante» nei loro confronti compiono le stesse azioni: trovare-andare-vendere-comprare. Diverse invece  sono le strade attraverso le quali incontrare il tesoro, raggiungendo la propria piena autorealizzazione: per il primo si tratta di «fortunata scoperta», per il secondo di un faticoso cammino di ricerca. A tutti e due viene comunque chiesto totalità e radicalità. Non basta aver trovato, occorre andare-vendere-comprare. E questo è quanto si chiede a tutti. Ciò che si deve vendere è tutto quello che si possiede, poco o molto che sia. Il Vangelo richiede un distacco totale, non per spirito di sacrificio, ma per la preziosità del bene trovato. E si vende tutto senza rimpianti. In fondo, essere santi è un vero affare perché si trova la piena realizzazione di sé… in modo inaspettato o a lungo cercato. In ogni caso, si tratta di una occasione unica. È folle allora non chi va-vende-compra ma esattamente chi agisce in modo diverso.

La realizzazione di sé, quale pienezza di vita, è frutto dell’aver trovato, dell’esperienza di un incontro che allarga il cuore. Per questo il vero cristiano non dice: «Ho lasciato», ma: «Ho trovato». Non dice: «Ho venduto il campo», ma: «Ho trovato un tesoro». L’uomo che si autorealizza nel fascino della santità parla molto non di ciò che ha lasciato, ma di ciò che ha trovato. Dinanzi al tesoro o alla perla preziosa tutto il resto perde valore: «Tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo» (Fil 3,8).

(CISM, Protesi verso il futuro…per essere santi, Roma, Il Calamo, 2003).

 

Dal perdere al trovare

Il discepolo è provocato ad assumere un duplice atteggiamento: da una parte, svincolarsi pian piano da tutto ciò che lo tiene legato e gli impedisce di seguire in piena libertà il Signore e, dall’altra, sperimentare che, tutto ciò che deve abbandonare, è pur sempre poca cosa nei confronti di ciò che gli viene donato.

«In certi momenti il Vangelo è duro, impopolare, perché duri sono i cuori degli uomini – i nostri, a volte, più di quelli degli altri -, bisognosi di essere ricondotti sulla via della vita per aprirsi al dono di una vita nuova e più piena umanità».

(CEI, Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 35).

 

Per ora, nascondi il tuo tesoro

Hai trovato un tesoro: il tesoro dell’amore di Dio. Sai ora dov’è, ma non sei ancora pronto a  possederlo pienamente. Tanti affetti continuano ad agitarti. Per possedere pienamente il tuo tesoro, dovresti nasconderlo nel campo dove l’hai trovato, andare lietamente a vendere ogni cosa  che possiedi e poi tornare a comprare il campo.

Puoi essere davvero felice di aver trovato il tesoro: ma non devi essere così ingenuo da pensare di possederlo già. Soltanto quando avrai rinunciato a ogni altra cosa, il tesoro potrà essere completamente tuo. Aver trovato il tesoro ti pone in una nuova ricerca del tesoro stesso. La vita spirituale è una ricerca lunga e spesso ardua di quello che hai già trovato. Puoi cercare Dio soltanto quando lo hai già trovato. Il desiderio dell’illimitato amore di Dio è il frutto dell’essere stati toccati da quell’amore.

Dato che trovare il tesoro è soltanto l’inizio della ricerca, devi stare attento. Se esponi il tesoro ad altri senza possederlo pienamente, potrai far del male a te stesso e persino perdere il tesoro. Un amore appena trovato ha bisogno di essere nutrito in uno spazio tranquillo e intimo. La sovraesposizione lo uccide. Per questo devi nascondere il tesoro e spendere le tue forze nel vendere la tua proprietà, affinché  tu possa comprare il campo dove lo hai nascosto.

Questa è spesso un’impresa dolorosa, perché il senso di chi sei è così intimamente legato a tutte le cose che possiedi: successo, amici, prestigio, denaro, titoli, e così via. Ma tu sai che nulla se non il tesoro stesso può veramente soddisfarti.

Trovare il tesoro senza essere ancora pronto a possederlo pienamente ti renderà inquieto. È l’inquietudine della ricerca di Dio. È la via verso la santità. È la strada per il regno. È il cammino verso il luogo in cui potrai riposare.

(H. J.M. NOUWEN, La voce dell’amore, Brescia, Queriniana, 2005, 148-149).

 

I frutti nuovi insieme agli antichi

II tesoro «nel quale si trovano nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3) è la Parola di Dio che sembra nascosta nella carne di Cristo, oppure le sante Scritture nelle quali riposa la conoscenza del Salvatore […]. Le belle perle sono la Legge e i Profeti e la conoscenza dell’Antico Testamento, ma esiste una perla unica, la più preziosa, la conoscenza del Salvatore, il mistero della sua passione, il segreto della sua risurrezione. E quando il mercante l’ha scoperta come l’apostolo Paolo disprezza come immondizia e spazzatura tutti i misteri della Legge e dei Profeti e tutte le antiche osservanze, nelle quali era vissuto in maniera irreprensibile, per guadagnare Cristo.

Non che la scoperta della nuova perla sia la condanna di quelle antiche, ma perché, paragonata a questa, ogni altra gemma ha minor valore […]. «Avete capito tutte queste cose?. Gli risposero: Sì?». Questo discorso si indirizza specialmente agli apostoli ed è a loro che viene detto: «Avete capito tutte queste cose?» (Mt 13,51). Vuole che non si accontentino di ascoltare come il popolo, ma che capiscano perché saranno loro i maestri. «Per questo ogni scriba ammaestrato in ciò che riguarda il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» (Mt 13,52). Gli apostoli, gli scribi e i segretari del Salvatore, che scrivevano sulle tavole dei loro cuori di carne le sue parole e i suoi precetti, conoscevano i misteri del regno dei cieli. Le ricchezze del padrone di casa li rendevano potenti, perché attingevano nel tesoro della loro conoscenza cose nuove e cose antiche. E così tutto quello che predicavano nel vangelo, lo confermavano con la testimonianza della Legge e dei Profeti. Da qui le parole della sposa nel Cantico dei cantici: «Mio amato, ho custodito i frutti nuovi insieme agli antichi» (Ct 7,13 Vg).

(GIROLAMO, Commento a Matteo 2,13,44-46.51-52, SC 242, pp. 288-292).

 

Le prove di Dio nella nostra vita

Ho spesso pensato che la causa più comune del tumulto intimo negli esseri umani sia il conflitto di desideri, in quanto le nostre aspettative più alte e i nostri desideri più profondi sono sempre in lotta con la realtà. Il fatto è che concepiamo i nostri desideri, facciamo i nostri progetti, e poi speriamo che ci sia una bella strada spianata che conduce dritti alla realizzazione; purtroppo, però, spesso questo successo non rientra nel copione. Incespichiamo e non riusciamo nell’intento, perdiamo la lotta che con tutte le nostre forze desideriamo vincere, e dobbiamo rinunciare alle cose che vorremmo così tanto tenere. Davanti a tale considerazione, mi sono chiesto di frequente come sarebbe se io desiderassi solo la volontà di Dio, se prendessi Gesù sul serio, se avessi realmente la benedizione di essere povero di spirito, se le mie mani fossero aperte e protese in segno di disponibilità all’abbandono, se … “è davvero meglio la Perla di Grande Valore oppure darla via?”.

(J. POWELL, Perché ho paura di essere pienamente me stesso, Milano, Gribaudi, 2002, 97-98)

 

Racconto

«Una volta, un monaco mentre era in viaggio trovò una pietra preziosa e la prese con sé.  Un giorno incontra un viaggiatore e, quando aprì la borsa per condividere con lui le sue provviste, il viaggiatore vide la pietra e gliela chiese. Il monaco gliela diede immediatamente. Il viaggiatore partì, pieno di gioia per l’inaspettato dono della pietra preziosa che sarebbe stata sufficiente a garantirgli il benessere e la sicurezza per il resto della vita.

Ma pochi giorni dopo tornò indietro alla ricerca del monaco e, trovatolo, gli restituì la pietra dicendogli: “ora dammi qualcosa di più prezioso di questa pietra, qualcosa di pari valore. Dammi ciò che ti ha reso capace di donarmela”»

(Anthony de Mello)

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Lezionario domenicale e festivo. Anno A, a cura della Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2007.

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– COMUNITÀ MONASTICA SS. TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade, «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 92 (2011) 5,  42 pp.

– COMUNITÀ DI BOSE, Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Anno A, Milano, Vita e Pensiero, 2010.

– Fernando ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.

 

 

Gli scritti liturgici di Giovanni Battista Montin

 

Giovanni Battista Montini, Scritti liturgici. Riflessioni, appunti, saggi (1930-1939), a cura di Inos Biffi (Collana Quaderni dell’Istituto Paolo VI), Studium, Roma 2010, pp. 304 – € 35,00.

 

Presentazione

Sono raccolti in questo volume testi editi e inediti di Giovanni Battista Montini dalla fine degli anni ’20 alla fine degli anni ’30. E precisamente: il commento alle feste dell’anno liturgico apparso sulla rivista della FUCI, «Azione Fucina», dal Novembre 1930 al Novembre 1931; due quaderni (inediti) di appunti stesi per la spiegazione della liturgia in generale, dei riti della Messa e delle Messe domenicali e festive relativi agli anni 1926-1933 e 1936-1937; il commento (inedito) ai «Vangeli domenicali su Gesù Cristo» degli anni 1938-1939; un gruppo di saggi di argomento liturgico-artistico risalenti a quegli anni. Alcuni dei documenti hanno più la forma di appunti che non di completa stesura. Tuttavia nelle note, dettagliate e meticolose, il Curatore ha cercato di svolgerli, completando riferimenti e allusioni e mettendone in luce il vario contenuto in apposite introduzioni. Anche grazie a tale più compiuta lettura questi scritti rivelano singolare importanza: indicano cioè quanto fosse versatile e approfondita, sotto diversi aspetti precorritrice, la cultura liturgica del giovane Montini ed ampia e multiforme la sua informazione bibliografica. In particolare, egli aveva un’autentica e precisa teologia della liturgia, intesa sempre come reale ed efficace presenza del mistero di Cristo e come versione orante della fede e del dogma. Montini concepiva la liturgia come principio e risorsa primaria dell’esperienza e della spiritualità cristiana. Non mancava di sottolineare con vigore la funzione educativa della pietà, ponendone in evidenza la dimensione ecclesiale. Coglieva inoltre l’importanza della storia della liturgia, che dava prova di ben conoscere nelle sue linee principali, mostrandosi specialmente sensibile alla proprietà estetica dei riti, alla loro arte e poesia. Una visione che in quegli anni ben pochi possedevano e che troveranno pratica attuazione anche negli anni dell’episcopato milanese, trovando poi compiuta sistemazione nella costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium.

 

Quella trama dove passa il filo di Dio

 

Nel volume Scritti Liturgici. Riflessioni, appunti, saggi (1930-1939) – Brescia- Roma, Istituto Paolo VI – Studium, 2010, pagine 296 euro 35 – sono raccolti i più antichi testi dedicati da Giovanni Battista Montini alla liturgia e precisamente: il commento all’anno liturgico apparso in “Azione Fucina” (dal novembre 1930 al novembre 1931); due Quaderni di appunti stesi negli anni 1926-1933 e 1936-1937 per la spiegazione della liturgia in generale, dei riti della messa, e delle messe domenicali e festive; il commento ai “Vangeli domenicali su Gesù Cristo”, che è ancora un’analisi dell’anno liturgico (anni 1938-1939) e infine un gruppo di brevi saggi di argomento liturgico, risalenti a quegli anni. Pubblichiamo ampi stralci della Presentazione scritta dal curatore.

 

Egli già possedeva un’autentica e precisa teologia della liturgia, intesa come reale ed efficace presenza del mistero di Cristo e come versione orante della fede e del dogma. La celebrazione era da lui concepita come principio e risorsa primaria dell’esperienza e della spiritualità cristiana, e come componente essenziale per l’educazione alla pietà, mentre ne poneva in chiara evidenza la dimensione ecclesiale.

“Montini, assistente della Fuci – scrive Marcocchi – concepì la liturgia non come realtà estetizzante o archeologica o rubricistica, ma come il luogo privilegiato per entrare in comunione con Cristo e ancorare la vita spirituale ai fatti della vita del Signore attualizzati nell’anno liturgico”.
Montini coglieva inoltre l’importanza della storia liturgica, che dava prova di conoscere nelle sue linee principali, mostrandosi specialmente sensibile alla proprietà estetica dei riti, alla loro “arte” e poesia. Come si vede una visione della liturgia, multiforme, poliedrica e dagli svariati intrecci, che ben pochi in quegli anni possedevano, soprattutto con la perspicacia e il vigore del giovane Montini, che aveva saputo assimilare tanto intimamente le fonti, da saperle riesprimere con un tono e un linguaggio tipicamente suo, e non senza suscitare tenaci e autorevoli opposizioni da parte di chi giudicava la mentalità e l’educazione liturgica una specie di pericolosa gnosi.

A dire, inoltre, quanto la liturgia occupasse il sapere e il gusto di Montini, sono eloquenti le sue iniziative pratiche, ossia la sua predicazione e le sue lezioni, in cui trasmetteva nell’ambiente intorno a sé la sua conoscenza e il suo gusto per la liturgia. Chi seguirà il successivo pensiero liturgico di Montini come arcivescovo di Milano e come Papa, che approverà la costituzione liturgica Sacrosanctum concilium, lo troverà esattamente coerente con le riflessioni e considerazioni disseminate in questi scritti giovanili. In quegli anni si distingueva nello scrivere di liturgia con acutezza e fascino specialmente Romano Guardini, che nel 1918 con Lo spirito della liturgia aveva inaugurato la collana “Ecclesia orans”, promossa e diretta dall’abate di Maria Laach, Ildephons Herwegen. Per interessamento anche di Montini e con la prefazione di padre Giulio Bevilacqua il suggestivo volumetto apparirà tradotto nel 1930 presso la Morcelliana, che si mostrava vivamente interessata delle opere liturgiche di Guardini, e in generale del tema liturgico. D’altra parte, questa attenzione alle opere di Guardini si inseriva in una sensibilità cristocentrico-liturgica che aveva profondamente e variamente segnato l’educazione di Montini, grazie soprattutto all’opera dello stesso padre Bevilacqua, che fu il suo grande maestro.

Tra i testi qui pubblicati abbiamo un commento all’anno liturgico 1930-1931, apparso in “Azione Fucina”, il quindicinale della Fuci. Vi possiamo rilevare come tratti emergenti anzitutto una lucida teologia della ricorrenza degli eventi salvifici secondo il calendario della Chiesa: l’anno sacro è “stagione completa dello spirito”, rinnovamento e ripetizione della vita di Cristo e dei suoi misteri, così che la sua storia diventi storia dell’anima, è riflessione sulla sua dottrina, rigenerazione dell’incarnazione; giro di evoluzione totale dell’anima.Sono gli splendidi accenti e qui, direi, di sapore quasi caseliano, con cui Montini apre il suo commento: “Questo ciclo liturgico sarà ciclo dell’anima. Questa storia di Cristo deve ripetersi come storia della mia anima. Ogni anno la Chiesa rinnova il suo racconto su la vita di Gesù, ne ripensa la stessa dottrina, ne ripresenta i misteri, affinché tale vicenda sia la stagione completa dello spirito, avido di santità, avido di rigenerare in sé l’incarnazione del Signore. Vivere questa vicenda è compiere un giro di evoluzione totale dello spirito cristiano”.

Nella stessa linea, la vicenda della liturgia è sentita come riflesso e disegno della vicenda della vita, dal suo inizio alla sua fine: “Nella vicenda liturgica si riflette (…) la vita”.
Questa concezione dell’anno liturgico più analiticamente risalta in questo ampio sguardo che Montini volge sul corso del tempo coinvolto nella trama di un anno sacro: “L’anno liturgico è come l’immagine completa della vita: l’infanzia a Natale, l’adolescenza all’Epifania, la virilità, la fatica, il dolore, l’amore alla Pasqua, la pienezza e la fecondità alla Pentecoste, la saggezza e l’esperienza della cosidetta “vita vissuta” nel periodo successivo. Poi l’insistente meditazione dell’al di là, suscitata dalle solennità dei Santi e dei Morti aveva riempito lo spirito di gravi ed alti pensieri; s’era giunti al punto di desiderare l’eternità: ma come si poteva qualificare simile desiderio quale indice di vecchiaia e foriero della fine? che l’ultima avventura dell’uomo sia la sorpresa, e perciò lo spavento, di finire? L’ultima scena dovrebbe allora esser tragica e tremenda anche nel dramma liturgico. E lo è, difatti. L’ultima domenica dell’anno spirituale è infatti improntata a carattere di apocalittica tragicità”. “Dopo averci prospettato Gesù Fanciullo, Gesù Redentore, Gesù Pastore e Maestro, la liturgia ci svela, su uno sfondo di conflagrazione cosmica, Gesù Giudice”.
L’anno liturgico, dal suo inizio con la Prima domenica di Avvento, è sentito, in particolare, come un itinerario di ricerca del Signore, che parte dalla coscienza del proprio peccato: “Eravamo partiti – scrive Montini – in cerca del Salvatore per aver sperimentata la miseria dell’uomo”; ed ecco, di domenica in domenica, di festa in festa, il suo trascorrere scandire, non senza tratti drammatici segnati dalla stessa liturgia, le vicissitudini dell’anima.
D’altronde, secondo Montini, abbiamo “venuta di Dio nel cuore del tempo”. Lo stesso passare del tempo è, infatti, tutto avvertito non come un trascorrere cronologico insensato, ma come un tragitto temporale attraversato dalla grazia.

Con sensibilità e linguaggio, che ci verrebbe da dire “esistenziale”, discorre de “l’istante, in cui il fuggevole flutto del fiume, ch’è la nostra vita, sarà toccato dall’istante eterno. Il contatto del tempo con l’eternità riempie di trepidazione e di stupore”; la vita si trova interpretata come “trama dove il filo di Dio sta per passare a tessere l’unica tela della vostra vita!”.
È la ragione per cui – continua Montini – “ancor prima che l’aureo filo di Dio, scorra nei poveri cànapi umani, già questi mi son divenuti cari e preziosi. E mentre prima non capivo dove tendevano e come si sarebbero sbrogliati dall’intricata matassa delle vicende senza senso e senza connessione, ora già vedo come si distendono in sapiente disegno, e come la trama sfilacciata della vita umana si può intrecciare, serrare, unificare e fluire, come serico manto che rimonta su le spalle di Cristo”.

Questo – com’è chiamato – “aureo filo di Dio” è esattamente la grazia del tempo liturgico, in cui, tramite la memoria della Chiesa, si dispongono gli avvenimenti della salvezza: tale grazia riscatta e conferisce valore a tale “intricata matassa delle vicende” e ne permette una lettura soprannaturale, di là dal “ditirambo risonante” di altre “mille voci”, devianti e vane.
Mentre, proprio nel messaggio e nel dono delle molteplici festività dell’anno della Chiesa, e quindi in Cristo, da esse rivelato e offerto, l’uomo trova, in maniera multiforme, a seconda delle ricorrenze liturgiche, il compimento dei suoi più intimi desideri e quindi del suo amore.

Con spirito agostiniano Montini ritorna su questo tema dei desideri raccolti in “fascio”, che presentono Cristo e sono avviati e allineati a Lui, l’Uomo Dio nel quale si incarnano.
La concezione dell’anno liturgico si fonda, a sua volta, sulla convinzione che “i fatti storici della vita del Signore devono tradursi in fatti spirituali delle nostre anime”.
Scrive Montini in una magnifica pagina: “L’economia seguita da Dio nel disporre vicende della storia del Salvatore, corrisponde all’economia segreta e intima da realizzare nella direzione degli spiriti fedeli. Ciò che fu del Fratello Primo deve rinnovarsi in tutti i fratelli uomini. Ciò che fu nelle circostanze della sua vita fatto esteriore oltre che interno mistero, deve riprodursi nell’educazione delle nostre coscienze. La vita seguita da Dio per venire a noi segna la nostra via per andare da lui. Se così è: l’infanzia di Cristo ha da essere l’infanzia nostra. Come la nascita sua all’ordine nostro naturale deve significare nascita nostra all’ordine suo, soprannaturale, così ogni passo della sua vita darà ora un impulso al cammino spirituale dell’anima. Perciò il problema mio sarà questo: interpretare il significato spirituale della vita di Gesù per farlo precetto della mia. E qui la liturgia mi è chiave d’interpretazione. Letterale, simbolica, analogica, o quale? La liturgia dirà. E mostrerà quale ricchezza concettuale, quale meditazione teologica arricchisca la preghiera cristiana”.

È il motivo che si va ripetendo: il ciclo dell’anno liturgico, con le sue feste principali, tratteggia e raffigura “le leggi di sviluppo della spiritualità cristiana” descrivendo appunto così “l’itinerario dell’anima”, sul quale la “storia di Cristo” si ripete nostra storia, “come storia della mia anima”. Questi semplici accenti lasciano indovinare l’inesauribile ricchezza delle pagine liturgiche del giovane Montini: anche dopo i cambiamenti della riforma conciliare, esse conservano intatto il loro valore e la loro suggestione. Del resto, è quello che si deve riconoscere a tutto l’acuto e intenso magistero di Paolo VI, ingiustamente rimosso e trascurato.

Alcuni dei documenti pubblicati in questo volume hanno la forma di rapidi appunti, che le note provvedono a svolgere, completandone i riferimenti e le allusioni. Anche grazie a tale più compiuta lettura, rivelano la loro singolare importanza: indicano cioè quanto fosse approfondita e versatile la cultura liturgica del giovane Montini, e ampia la sua informazione bibliografica.

 

(©L’Osservatore Romano 23 luglio 2011)

XXV Congresso Eucaristico Nazionale

Sabato 3 – Domenica 11 settembre

La S. Messa nell’area portuale, la novità di un incontro con genitori e sacerdoti in Cattedrale e, quindi, con i fidanzati in Piazza del Plebiscito: Benedetto XVI concluderà così domenica 11 settembre il XXV Congresso Eucaristico Nazionale. Ad aprirlo, sabato 3, il Legato Pontificio, Cardinale Giovanni Battista Re, il Cardinale Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Bagnasco, l’Arcivescovo di Ancona-Osimo, Edoardo Menichelli, le Autorità civili.
Ancona – e le città della Metropolia: Osimo, Jesi, Loreto, Fabriano e Senigallia – si preparano all’evento ecclesiale: 8 giorni di celebrazioni, incontri, approfondimenti, nel segno di una cultura nella quale l’Eucaristia ha a che fare con la vita quotidiana, quindi con gli affetti, il lavoro e la festa, la fragilità, la tradizione e la cittadinanza.

Tra le manifestazioni, la mostra “Alla Mensa del Signore. Capolavori dell’arte europea da Raffaello a Tiepolo”; il concerto del Maestro Giovanni Allevi e dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana; la Via Crucis animata dall’Associazione Europassione per l’Italia e la Processione Eucaristica.

“Il Congresso Eucaristico è un convenire di popolo – spiega l’Arcivescovo di Ancona-Osimo, mons. Edoardo Menichelli – quindi un appuntamento a cui tutti sono invitati, non semplicemente a guardare, ma a partecipare”.

Presentando il programma definitivo dell’appuntamento (3-11 settembre 2011), Menichelli aggiunge: “Attorno all’Eucaristia noi elaboriamo un progetto caratterizzato da 3 C: le Celebrazioni, che si terranno sul territorio della Metropolia; la Carità, che nasce dall’Eucaristia e che ci impegna a vivere la fraternità, si tradurrà in due opere-segno; la Cultura, a partire dalla mostra che inaugureremo sabato 3 settembre presso la Mole Vanvitelliana di Ancona, con circa ottanta produzioni artistiche sul tema dell’Eucaristia, provenienti anche dai Musei Vaticani; e domenica 4, a sera, sarà invece la volta del concerto del «nostro» Maestro Allevi…”.
Sul sito ufficiale www.congressoeucaristico.it è scaricabile il programma definitivo.


Per la famiglia

La giornata di lunedì 5 settembre, dedicata all’ambito della vita affettiva, che sarà, nella mattinata, soprattutto un momento di formazione per operatori pastorali del settore, e, nel pomeriggio , attraverso le “fontane di luce” un’occasione di dialogo e condivisione.

La giornata di sabato 10 settembre, con il Pellegrinaggio delle Famiglie al mattino (con il servizio di coordinamento del Rinnovamento nello Spirito) ed i vari singoli momenti per associazioni e movimenti.

Confluiremo poi tutti, dal primo pomeriggio,  nel grande momento di testimonianze e festa per le famiglie, “Frammenti di vita buona”, con una lunga diretta trasmessa su RAI 1.

La giornata di domenica 11 settembre, con la S. Messa presieduta dal Santo Padre al mattino, e l’incontro con sacerdoti e sposi nel pomeriggio, in Cattedrale. Come già ricordato, questo sarà un momento riservato ad una coppia ed un sacerdote per diocesi. La coppia sarà costituita dagli incaricati diocesani di pastorale familiare (o quella da loro stessi delegata) ed il sacerdote sarà il delegato diocesano per il Congresso Eucaristico, o, in sua assenza, il Direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale familiare. A breve vi perverranno le indicazioni per ritirare il biglietto di ingresso. Per coloro che lo volessero, in una zona di Ancona, sarà allestito un maxi-schermo per poter dall’esterno partecipare all’evento. in un’altra zona di Ancona i figli, sopra i sei anni, degli sposi invitati saranno intrattenuti da un’equipe di animazione.

Nel pomeriggio a partire dalle ore 16.00 ci sarà un momento per i fidanzati che culminerà alle ore 18.00 nell’incontro con il Santo Padre.


Vedi allegati


Arriva il Campo Quattro

 

Dall’8 all’11 settembre al Colle don Bosco


Come ogni anno, a chiudere il percorso formativo SDB e FMA dell’estate, troviamo il Campo Quattro al Colle don Bosco. L’appuntamento è dall’8 all’11 settembre e il tema di quest’anno è il Sistema Preventivo. La colonna del sistema educativo pensato da don Bosco ed un accompagnamento spirituale della singola persona sono il sunto del Campo Quattro e la base della Famiglia Salesiana. La chiusura dei campi coincide con l’inizio dell’anno pastorale, ovvero il Weekend MGS del 17 e 18 settembre.

Scarica il volantino – 18/07/2011


iGMG

il diario di viaggio per la Giornata Mondiale della gioventù

 

 

GMG è un’applicazione creata in occasione della Giornata Mondiale delle Gioventù 2011 di Madrid. Ricca di contenuti audio e video sarà la tua compagna di viaggio in questo evento popolato da giovani di tutto il mondo.

 

All’interno di questa applicazione troverai un diario giornaliero che ti permetterà di appuntare, giorno per giorno, i luoghi visitati, le esperienze vissute, una piccola riflessione; inoltre potrai aggiungere gli amici conosciuti, scattare foto o registrare dei video e tenerli “inseriti” nella giornata in modo che questi momenti diventino ricordi indelebili della tua vita. Sarà possibile anche condividere tutto ciò sulla tua bacheca di Facebook.

Potrai conoscere la storia della Giornata Mondiale della Gioventù, rivivere emozioni ascoltando gli inni che hanno fatto la storia di questo straordinario evento, cantare seguendo i testi, leggere il messaggio del Santo Padre Benedetto XVI, quello del Cardinale Tettamanzi e visionare una galleria composta da foto e video.

Elenco completo features presenti nella versione 1.0:

  • Che cos’è la GMG? il tema, gli obiettivi, il logo
  • Collegamento al sito ufficiale italiano della GMG
  • Feed RSS
  • Galleria video
  • Galleria foto
  • Audio di tutti gli Inni
  • Messaggi del Santo Padre e del Cardinale Tettamanzi
  • Testo biblico di riferimento, preghiera e altro
  • Testi di tutti gli Inni
  • WebTV (canale spagnolo)
  • Area Download PDF (spartiti, testi)
  • Diario del giorno (inserimento testo, foto, video condivisibili su Facebook)
  • Possibilità all’interno del diario di aggiungere in rubrica gli amici conosciuti
  • Link ad App gratuite da scaricare
  • Notifiche Push

iGMG è disponibile gratuitamente su App Store.

Diario di una schiappa


Trasposizione filmica della serie in cinque volumi di “Diario di una schiappa” dello scrittore statunitense Jeff Kinney

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Oltre 50 milioni di copie vendute nel mondo, delle quali 300.000 in Italia. Sono questi i numeri record che segnano il trionfo planetario della serie in cinque volumi firmata dallo scrittore statunitense Jeff Kinney dal titolo Diario di una schiappa. Secondo solo alla saga letteraria di Harry Potter, questo autentico fenomeno editoriale che ha appassionato milioni di giovanissimi lettori a tutte le latitudini (pubblicata in 40 paesi e tradotta in 35 lingue) non poteva non attirare l’attenzione di qualche produttore cinematografico. Arriva così l’adattamento per il grande schermo del primo volume diretto da Thor Freudenthal, nelle sale nostrane a partire dal 27 luglio e seguito a ruota nel weekend successivo dal secondo capitolo Diario di una schiappa – La legge dei più grandi, che ha visto il passaggio del testimone dietro alla macchina da presa a David Bowers.


Da parte sua, Freudenthal si limita a trasformare in immagini, grazie alla supervisione in fase di scrittura dello stesso Kinney, le divertenti e spericolate avventure fuori e tra i banchi di scuola di Greg, alle prese con i piccoli e grandi problemi dell’universo adolescenziale. La pellicola segue alla lettera lo schema narrativo del libro, vale a dire una raccolta indipendente di episodi che non ha una continuità temporale, piuttosto si sviluppa in una successione di eventi e situazioni che vedono il giovane protagonista impegnato nella ricerca della più ingegnosa delle risoluzioni alla problematica di turno. Il film, alla pari della sua matrice originale, non ha una vera e propria trama guida, ma cerca quantomeno di raccordare i singoli episodi attraverso gli spostamenti nello script effettuati nelle location dai personaggi che vanno a comporre la numerosa galleria di volti creati dallo scrittore americano, riflessi di quello che abitualmente si può ritrovare impresso nell’immaginario comune e nei ricordi di ciascuno di noi (il preside cattivo, i genitori distratti, il professore buono e quello severo, il secchione, il bullo, la bella e la brutta, l’amico del cuore sfigato). Ne nasce un collage di gag e sketch più o meno efficace che strappa di tanto in tanto anche un sorriso, supportato da una serie di frammenti animati molto elementare dal punto di vista della resa. Dietro c’è l’inconfondibile retrogusto disneyano che Kinney e gli autori della pellicola non possono scrollarsi di dosso, vuoi perché lo stesso Greg (interpretato dal bravo Zachary Gordon) e il “mondo” che lo circonda hanno troppe attinenze, corrispondenze e atmosfere simili a quelle esplorate nei decenni dalla celebre Major a stelle e strisce. Così c’è la più classica delle strizzatine d’occhio alla teen-comedy adolescenziale, che tante soddisfazioni ha dato al box office o, in alcuni casi, ossia quando ci si trova al cospetto di qualche allegra bravata, assistiamo a dejà vu che riportano alla mente Piccola peste, Gian Burrasca e Mamma ho perso l’aereo.


La trasposizione filmica di Diario di una schiappa mescola in maniera altalenante queste fonti d’ispirazioni, dando vita a una successione di momenti riusciti che si fanno largo attraverso quelli che non lo sono. Resta il fatto che non ci vuole una palla di vetro per pronosticare un certo riscontro nelle sale nostrane del primo e del secondo capitolo della serie (in preparazione il terzo); unici nemici il caldo e la voglia di mare.


Francesco Del Grosso

 

Video n.1

 

 

Video n.2



Ave Mary

Michela Murgia, Ave Mary.  E la Chiesa inventò la donna, Einaudi, Torino, 2011. € 16.00

 

 


Presentazione

La chiesa è ancora oggi, in Italia, il fattore decisivo nella costruzione dell’immagine della donna. Partendo sempre da casi concreti, citando parabole del Vangelo e pubblicità televisive, icone sacre e icone fashion, encicliche e titoli di giornali femminili, questo libro dimostra che la formazione cattolica di base continua a legittimare la gerarchia tra i sessi, anche in ambiti apparentemente distanti dalla matrice religiosa. Anche tra chi credente non è. Con la consapevolezza delle antiche ferite femminili e la competenza della persona di fede, ma senza mai pretendere di dare facili risposte, Michela Murgia riesce nell’impresa di svelare la trama invisibile che ci lega, credenti e non credenti, nella stessa mistificazione dei rapporti tra uomo e donna.

 

Da tempo si attendeva l’opera terza di Michela Murgia, dopo l’ottimo successo del suo “Acabadora” (Einaudi), caso editoriale e buona operazione di marketing che hanno ben funzionato insieme, perché, di fatto, si tratta di un bel romanzo ben promosso, e la scrittrice sarda stupisce tutti dando alle stampe un saggio: “Ave Mary” (Einaudi 16 euro) che, recita la quarta di copertina, “non è un libro sulla Madonna. È un libro su di me, su mia madre, sulle mie amiche e le loro figlie”. Un bel libro, davvero; scritto bene, con un linguaggio moderno, pop, che fa eco al new journalism americano. Il volume, insomma, si inserisce a buon titolo nel filone dei saggi redatti da scrittori attenti e impegnati (engagé come dicono i francese) che vanta nomi importanti quali Moravia, Vargas, Steinbeck, Ben Jelloun, Vargas Llosa e altri ancora. Il libro tratta del ruolo della donna nella dottrina cristiana e, soprattutto, della rappresentazione simbolica del femminile in ambito religioso. Non è un saggio femminista e la Murgia non smette di ripetere e sbandierare la sua appartenenza al mondo cattolico (è membra, da sempre, di Azione Cattolica). Si tratta di uno scritto che analizza, dal punto di vista di una credente ortodossa, ma critica in quanto donna, come la cultura cristiana e cattolica abbiano imposto a Dio di essere “solo e sempre a immagine dell’uomo, del maschio”. Il libro scorre via con uno stile mai pesante e pedante, con una struttura giornalistica d’inchiesta che è lontana dallo stile tipico del saggio teologico. Molto interessante l’ultimo capitolo dedicato al sacramento del matrimonio e a ciò che ne viene della donna al momento del fatidico si: il modello non è Adamo/Eva, neppure Giuseppe/Maria, ma Cristo/Chiesa, con tutto quello che ne consegue da un punto di vista sociale, civile e religioso. Sono pagine  da leggere, che fanno pensare. Una lettura per tutti, laici e soprattutto religiosi.  Buona lettura.

“All’Azione Cattolica col biondo Nemecsek”
intervista a Michela Murgia, a cura di Mirella Serri
in “La Stampa” del 16 luglio 2011

 

«Regalare libri è come attivare una bomba a orologeria che magari non deflagra subito ma si accende anche molto tempo dopo». Il pacco dono che ha innescato la miccia di Ave Mary polemico
saggio Einaudi di Michela Murgia su Maria di Nazareth, approdato velocemente nelle classifiche – è stato un gentile omaggio di più di dieci anni fa del teologo Lucio Casula. «Si trattava di In memoria di lei, fondamentale ricerca di Elisabeth Schüssler Fiorenza che è rimasta stampigliata nella mia memoria dando origine all’avventura di Ave Mary poiché mi ha aperto gli occhi sul rapporto tra donne e Chiesa», commenta la scrittrice che ha esordito con Il mondo deve sapere (Isbn edizioni), la prima eclatante denuncia dello sfruttamento dei lavoratori dei call center. Da cui  Paolo Virzì ha tratto il film Tutta la vita davanti .

L’anno scorso si è conquistata il Campiello con Accabadora (Einaudi) e ora è entrata nella schiera degli scrittori che – da Piergiorgio Odifreddi a Giulio Mozzi, autore con Valter Binaghi di 10 buoni motivi per essere cattolici (Laurana editore) – si cimentano con temi religiosi («Mozzi l’ho apprezzato, ma Odifreddi, che si dichiara ateo, è meglio che non si occupi di temi che possono essere di pertinenza di un cristiano critico»). Cumula successi letterari ma ha alle spalle una vita di precariato – venditrice di multiproprietà, operatore fiscale, dirigente amministrativo, portiere di notte -, una lunga militanza nell’Azione cattolica, studi di teologia all’istituto di Scienze religiose.
La narratrice di Cabras è, insomma, proprio una tipa tosta e dura al pari di quei cristalli di quarzo bianco e rosa che danno luce alle bellissime spiagge dove è vissuta e cresciuta.

 

La sua carriera di lettrice ha preso avvio tra sapori di mare e anche profumi di fritti delristorante paterno.
«Specialità pesce. Io viaggiavo con un piatto in mano e in tasca Erno Nemecsek, biondo, delicato e magro protagonista dei Ragazzi della via Paal , destinato a morire di polmonite. Nessun libro è innocente, lascia sempre un’impronta indelebile. Erno è il primo morto che incontro nella mia vita, un ragazzino che come me giocava per strada. Un trauma. A farmi compagnia c’era anche Mark Twain con Le avventure di Tom Sawyer, meraviglioso per l’invenzione linguistica. Poi è arrivata la serie degli Harmony che ha avuto un’influenza positiva. Mi identificavo con quelle giovani  donne, protagoniste semplici e sognanti che ambivano a una casa, un giardinetto, tanti bambini ma che trovavano tanti ostacoli sulla loro strada. Oggi circolano molti snobismi. Credo che non si debba disprezzare la letteratura di genere. Federico Moccia, per esempio, dà vita a cliché in cui i giovani si riconoscono, riprende la storia di Giulietta e Romeo e la cala nel presente. Tutto questo invoglia alla lettura».

In famiglia si leggeva?
«Mia madre soprattutto, e mi ha contagiato. Un virus che non sempre ha dato buoni frutti».


Cos’è successo?

«Avevamo un piccolo negozio in cui si vendevano oggetti di artigianato locale ma anche qualche manufatto di valore. E io anche lì davo una mano. Ero tutta immersa in Stephen King che mi teneva con il fiato sospeso quando, nella stanza a fianco alla mia, arrivano i ladri: così concentrata non li sento e loro si portano via un plateau di gioielli».

Un libro cambia la vita, direbbe Marzullo. Qualche volta in peggio.
«Quella della mia famiglia non c’è dubbio. Mi assolsero dalle mie colpe, ma poi arrivò anche un altro libro a mutare il corso della mia esistenza. Mi dedicavo interamente, con grande trasporto, al volontariato nell’Azione cattolica. All’epoca il mio autore preferito era Erri De Luca che mi travolgeva con lo stile semplice e per la grande profondità della riflessione. A seguire i miei corsi di religione a scuola, su Gesù, San Pietro o gli apostoli, c’erano anche allievi che non erano credenti.
Per coinvolgerli mettevo a confronto cinema, musica, arte, letteratura, mostrando le differenze tra i dissacratori Black Sabbath, gruppo heavy metal britannico, e il più tradizionale Jesus Christ Superstar ; oppure tra il Vangelo secondo Matteo di Pasolini e Gesù di Nazareth di Zeffirelli. Mi cimentai anche nel confronto tra Ipotesi su Gesù di Vittorio Messori e L’ultima tentazione di Cristo di Nikos Kazantzakis, assai discusso per il suo impegno nel dimostrare che il figlio di Dio, pur privo di peccato, era comunque oggetto di ogni forma di tentazione».


Fu galeotto di sventura?

«Venni chiamata in Curia, io che ero vicepresidente diocesano dell’Azione cattolica di Oristano. Il vescovo mi dice: “Carissima, ti seguo con stima e affetto, ma di Kazantzakis non ne devi parlare”.
L’ho vissuto come un affronto. Giro pagina e cerco altri sbocchi professionali, cominciando ad acquistare competenze come direttore del personale in una centrale termoelettrica».

Altre letture che l’hanno segnata?
«Leggevo grandi russi e grandi italiani. Passavo da Dostoevskij a Salvatore Satta, da Tolstoj a Giuseppe Dessì. Poi è arrivato Kafka e poi c’è stato il periodo della letteratura latinoamericana, da García Márquez a Isabel Allende a Borges. Gli inglesi e gli americani non me li sono mai fatti mancare: dal Grande Gatsby di Fitzgerald a Graham Greene al meraviglioso Cronin de Le chiavi del  regno , racconto delle vicende di padre Francis Chisholm, missionario in Cina. A questi si aggiunge la scoperta di italiani, Moravia, in particolare La noia , Calvino, Primo Levi e poi degli story teller Ken Follett e Wilbur Smith e anche degli ebrei americani, da Philip Roth a Paul Auster».


E’ capitato che altri libri regalati segnassero il corso della sua vita? In campo sentimentale?

«Un coetaneo che pensavo mi corteggiasse mi porta un dono: Stefano Benni Il bar sotto il mare , raccolta di racconti dove il bar è un luogo fantastico, si incontrano misteriosi avventori. Però poi la nostra storia non ha decollato: voleva un rapporto intellettuale. Alle ragazze con cui si desiderava avere un flirt si offrivano cd».


Quando lavorava come portiere di notte leggeva?

«Antropologia, sociologia, psicologia mi accompagnavano fino alle prime luci del mattino. Mi ricordo Filippo D’Arino, Manuale di sparizione , che spiega come in un momento in cui la nostra identità è al centro di reti di controllo telematiche sempre più intrusive e anche di relazioni personali sempre più vincolanti e soffocanti, forse non si vuole altro che sparire. Alternavo il Simposio di Platone e Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo che mette in relazione due fenomeni omogenei: la mentalità religiosa calvinista e la mentalità capitalista».

Ultimi lidi su cui è sbarcata?
«Sorella di Marco Lodoli mi ha riconciliato con la narrativa. Ho alzato il telefono e anche se non lo conoscevo l’ho chiamato per dirgli quanto mi è piaciuto l’incontro tra la suora Amaranta e “il bambino speciale”, un ragazzino afflitto da una forma di autismo, raccontato con una scrittura agile, piacevole, intensa. Poi c’è Elisa Ruotolo, Ho rubato la pioggia , con il suo affresco di una  provincia campana superstiziosa, terra dove si fanno mestieri inverosimili da tempi immemorabili. E perché si smetta di utilizzare il corpo femminile come luogo simbolico, sia nel bene che nel male, mi piace ricordare il video di Lorella Zanardo dedicato al Corpo delle donne. Meditate gente davanti a certe immagini, mi viene da dire».

Barbiana o dell’inclusione. Un allievo racconta


 

Bozzolini Aldo, Barbiana o dell’inclusione. Un allievo racconta, EMI, 2011, pp.128, Euro 10,00

 

 

Presentazione

Barbiana, nel Mugello, non è mai arrivata ad essere neppure un borgo, o una frazione. Ma la presenza di don Lorenzo Milani, dal 1954 fino alla sua morte nel 1967, ne ha fatto un simbolo universale di educazione alla vita e nella vita, e di eguaglianza sociale. Barbiana è un modello esportabile? Certamente, sostiene l’autore, anzi chissà quante altre Barbiana già sono esistite o esistono nel mondo, che soltanto non hanno avuto l’occasione di farsi conoscere a largo raggio. Perché il miracolo di inclusione avvenuto a Barbiana è stato possibile non solo grazie al carisma del Priore ma anche per la volontà di un gruppo di genitori, che “si allearono costruendo intorno ad una persona un muro di ‘calore umano’ e ricevettero in cambio un futuro migliore”.

 

 

 

L’inclusione secondo don Milani

Eraldo Affinati


Sul Priore di Barbiana ne abbiamo ascoltate tante in questi anni e altre di sicuro ne verranno dette in futuro perché quelli come lui non scompaiono facilmente andandosene via per sempre. Uomini di tale potenza esistenziale s’incidono come stelle fisse negli occhi di chi li conosce e li tiene vivi a nostro vantaggio, nei più innumerevoli modi: non quali biglie preziose da stringere in un pugno chiuso, neppure fossero segreti, bensì alla maniera di programmi da svolgere, proclami da sillabare, doni da condividere, per consentirci di uscire dall’indifferenza, superare l’isolamento e diventare persone responsabili. Includere, cioè conquistare una coralità. Chi resta fuori dal consorzio sociale, confinato in un angusto nucleo umano ma anche negli studioli delle accademie specializzate, rischia di atrofizzarsi come una pianta senza acqua. Inutilmente molti scrittori del Novecento hanno voluto convincerci del contrario mitizzando l’artista che vive da solo contro tutti allo scopo di comunicare chissà quale rivelazione.


Don Milani compie una rivoluzione in questo piccolo mondo. Invece di stilare progetti, si rimbocca le maniche e cerca di tamponare la ferita interiore che ha visto.
È la sua prima vera scoperta, quasi l’essenza del cristianesimo. Una voce sembra bisbigliare nel nostro orecchio: non perdere altro tempo, muoviti con le risorse di cui disponi, lascia a terra il bagaglio, fatti avanti come sei, non come potresti essere. Due tuniche sono troppe: ne basta una.
Quando finalmente il maestro si toglie il basco, la sciarpa e la mantella, pronuncia poche parole.
Entra piuttosto in azione consegnando agli alunni la carta geografica della Palestina da colorare con gli acquerelli. I ragazzi gli vanno subito dietro perché avvertono la sua autenticità. Si rendono conto che il maestro fa sul serio. È la forza della vera vocazione: non importano i metodi, non contano le
valutazioni. Docimologie, tecniche didattiche, livelli di apprendimento, obiettivi da raggiungere: queste cose sono importanti, certo, ma non avrebbero nessun valore se prima di tutto non si realizzasse l’incontro umano fra me e te.
Qui e ora. Con le nostre semplici carte sporche e consunte.


L’alleanza istintiva fra l’insegnante e le famiglie dei bambini – «Se torni a casa e dici che ti ha dato un nocchino, io te ne do due. Capito?» – è il segno incontrovertibile di un lavoro che si sta facendo insieme per il «bene comune». Si tratta di un’esperienza intensa, senza cattedra, senza registro e senza voti, nella quale alcune figure, apparentemente marginali, come il professor Agostino Ammannati, che la domenica sale in canonica a leggere i Promessi sposi , o l’Eda, pronta a spalmare la marmellata sulle fette di pane, diventano decisive per definire lo scenario. Oggi i ragazzi di Barbiana vengono dall’Afghanistan, dalla Nigeria, dal mondo slavo. Hanno alle spalle detriti, macerie e relitti, eppure quando ridono sembrano aver dimenticato tutto.
L’esempio di Barbiana torna a imporsi in chiave multiculturale per favorire una vera integrazione, che dovrebbe combattere anche la fragilità degli adolescenti italiani, spesso inebriati dai miti del successo, della bellezza e della sanità.


Del resto, la presenza dei giovani migranti rende ancora più incandescente la grande questione sollevata dal Priore con radicalità ben superiore alla semplice promessa politica: l’uguaglianza delle posizioni di partenza. Soltanto se non smetteremo di sentire come una spina dolorosa questo problema irrisolto potremo dire a noi stessi di non aver tradito lo spirito di don Milani.

 

in “Avvenire” del 17 luglio 2011

 

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“superare l’isolamento e diventare persone responsabili. Includere, cioè conquistare una coralità… Oggi i ragazzi di Barbiana vengono dall’Afghanistan, dalla Nigeria, dal mondo slavo… L’esempio di Barbiana torna a imporsi in chiave multiculturale per favorire una vera integrazione, che dovrebbe combattere anche la fragilità degli adolescenti italiani, spesso inebriati dai miti del successo, della bellezza e della sanità”


“non si può tacere che la pagina di «Avvenire» è infragilita da un’ambiguità. Un quotidiano, che in nome dell’autorità del suo editore è stato in anni passati lo strumento per dichiarare invisi cattolici del rango di Pietro Scoppola, Leopoldo Elia, Giuseppe Alberigo o Romano Prodi, può tacere, nascondendosi dietro la prefazione di Affinati, che quel «miracolo dell’inclusione» di don Milani subì l’ostracismo ecclesiastico, le recensioni menzognere, la censura e le minacce di sanzioni devastanti per l’anima?”

Benedetto XVI. Donne nel Medioevo.



Il genio femminile nella storia del popolo di Dio” (Torino, Marietti 1820, 2011, pagine 141, euro 12) in libreria dal 20 luglio.

 

 

 

Nelle “collazioni” dedicate ad alcune sante donne, soprattutto mistiche, Papa Benedetto XVI torna a essere il professor Joseph Ratzinger, autore di una tesi di dottorato riguardante La teologia della storia in San Bonaventura (Monaco, 1959), dunque un “collega”, un eccellente conoscitore del pensiero e della spiritualità medievali, con il quale ho l’opportunità di dialogare su un terreno non troppo sbilanciato a mio svantaggio. Nell’opera si può vedere il capo della Chiesa cattolica comportarsi da paziente agiografo, sulle orme del suo lontano predecessore Gregorio Magno, che nei Dialoghi si dedicò ai Patres italici e in particolare alla vita e ai miracoli di san Benedetto.


Benedetto XVI presenta brevi ma accurate puntualizzazioni storiche sulla biografia di alcune sante medievali e riporta diverse citazioni dei loro scritti, perché i fedeli ne percepiscano la ricchezza spirituale e siano magari invogliati a leggerli direttamente. Compie insomma un’opera veramente meritoria di “volgarizzazione” e apre una nuova strada per i cristiani. Sono più di cinquant’anni che la cultura cristiana ha cominciato a riscoprire gli scritti dei Padri della Chiesa e degli autori cristiani della tarda antichità, ma le opere dei maestri spirituali del medioevo, nonostante la loro bellezza e profondità, restano ancora oggi in larga misura “terra incognita”, se si esclude la ristretta cerchia degli eruditi. Dobbiamo dunque rallegrarci quando il Santo Padre sottolinea “l’interesse per il cristiano odierno di attingere alle grandi ricchezze, in gran parte ancora da scoprire, della tradizione mistica medievale”.
L’argomento sul quale Benedetto XVI ha scelto di soffermarsi nelle prediche qui pubblicate coincide con le prevalenze tematiche dei recenti orientamenti della storiografia. I lavori pioneristici di Herbert Grundmann sul ruolo delle donne (la famosa Frauenfrage) nei movimenti religiosi del medioevo risalgono agli anni Trenta del Novecento, ma furono noti solo negli anni Cinquanta e Sessanta.


D’altro canto, la storia delle donne, a lungo trascurata, ebbe grande successo solo a partire dagli ultimi trent’anni del secolo scorso, influenzando anche il campo della storia religiosa. In questo stesso periodo, alcuni cultori della tarda antichità e del medioevo cominciarono a dedicare le loro ricerche alla storia della santità e del culto dei santi, rileggendo le fonti agiografiche in una prospettiva propriamente storica. I discorsi del Papa qui pubblicati si collocano all’incrocio di queste correnti del rinnovamento storiografico. Se ne percepisce chiaramente l’eco, anche se in modo discreto, visto il genere letterario degli interventi che non prevede il ricorso all’erudizione minuziosa.


Senza fare una lezione di storia, che sarebbe risultata fuori luogo, il Papa contestualizza opportunamente alcune nozioni, come quella della reclusione o della mistica nuziale, il cui significato sarebbe potuto sfuggire al grande pubblico, collegandole alla cultura e alla religiosità medievali, fino a fare intendere cosa abbiano comportato tali idee per la vita vissuta di alcune sante donne.


Accanto ad alcune personalità maggiori e largamente note, almeno in linea di massima, come Chiara d’Assisi, Caterina da Siena o Giovanna d’Arco, Benedetto XVI fa posto ad alcune figure meno famose ma non meno interessanti, come le sante monache di Helfta, in Turingia, Matilda di Hackeborn e Gertrude la Grande, la certosina francese Margherita di Oingt e Giuliana di Mont-Cornillon nell’area di Liegi. Come accade in ogni selezione, anche le scelte che il Papa propone, fra tante possibili figure di sante, potrebbero costituire argomento di discussione. Ci si potrebbe interrogare, per esempio, sui motivi dell’assenza di riferimenti alla Beata Maria di Oignies, la cui Vita, scritta da Giacomo di Vitry, è stata la prima biografia mistica nella storia dell’Occidente.
Il Papa pone giustamente l’accento su due aspetti fondamentali: la cultura religiosa delle donne di cui parla e le loro esperienze mistiche. Smentendo un luogo comune duro a scomparire, egli sottolinea il fatto che anche quando per umiltà queste donne si dichiaravano illitteratae, ciò non significa che devono essere da noi considerate ignoranti, quanto piuttosto sprovviste di una formazione di tipo scolastico.
Tanto è vero che dimostrano di possedere una solida cultura biblica, derivante dalla frequentazione dei testi liturgici. Anche le loro visioni o “rivelazioni” non devono essere considerate come dei sogni più o meno fasulli, perché trovano corrispondenza in alcuni concetti teologici ben identificabili. Il Papa si mostra impressionato dall’itinerario spirituale di queste sante, non diversamente da come lo furono nel medioevo i chierici che facevano loro da segretari o confessori.
Queste donne conobbero la vera e propria conversione, il passaggio repentino da una pratica di vita a un’altra, come nel caso esemplare di Angela da Foligno, che si lasciò alle spalle un’esistenza mondana per abbracciarne una penitenziale, fino a stabilire con Cristo una relazione intima che sbocciò in un’esperienza di vita unitiva con Dio stesso. A tal riguardo è particolarmente interessante il passo che il Papa dedica a Caterina da Genova, dove afferma che la mistica autentica, ben lungi dal mirare a una felicità narcisistica o a un distacco dagli esseri umani, è invece portata ad aprirsi agli altri, proprio perché comincia a vederli con gli occhi di Dio e ad amarli con il suo cuore.


Si tratta di una precisazione molto opportuna, che corregge una certa tendenza degli agiografi medievali. Questi, infatti, erano portati a codificare la vita delle loro eroine, dopo la conversione, come esistenza segnata non solo dal disprezzo del mondo in cui prima erano vissute, ma anche da una totale indifferenza nei confronti della sorte del prossimo, il quale fungeva come rappresentazione dell’ostacolo nei confronti della scelta di vita contemplativa. Sarebbe improprio voler estrarre da questi testi, il cui fine è più pastorale che dottrinale, una ricognizione sistematica e comparativa, tra ieri e oggi, a proposito del ruolo della donna nella vita religiosa, benché il Papa non esiti in alcune circostanze a sollevare, anche a tal riguardo, problemi importanti, come quando afferma che le donne, pur essendo escluse dal sacerdozio ordinato, hanno avuto e hanno un ruolo peculiare nella Chiesa, grazie ai carismi di cui sono spesso gratificate dallo Spirito Santo. Si riferisce specialmente ai doni della visione e della “capacità a discernere i segni dei tempi”, cioè di profetizzare per il bene del popolo cristiano, come fecero nel medioevo Ildegarda di Bingen e Brigida di Svezia. Alcune delle sante donne, di cui Benedetto XVI analizza e presenta qui la vita, avevano però superato le fratture tradizionali riguardanti le specializzazioni dei ruoli tra uomini e donne. È il caso, per esempio, di Ildegarda, che fu autorizzata da Eugenio III sia a rivolgersi ai fedeli e al clero per riportarli a una vita migliore sia a predicare a Colonia contro i catari.


Allo stesso modo, il Papa pone l’accento sulle notevoli doti teologiche di Gertrude la Grande, che l’avevano predestinata all’apostolato. Non dobbiamo dimenticare, d’altra parte, che nel medioevo era diffusa la credenza secondo cui santa Maria Maddalena sarebbe andata in Provenza con il fratello Lazzaro, dopo l’Ascensione di Cristo, per evangelizzare i pagani.
Scegliendo qui di parlare solo di figure femminili, il Papa evidenzia che le donne sante hanno precorso i tempi, con intuizioni e premonizioni che la Chiesa avrebbe ripreso e codificato solo in seguito. Illustra, per esempio, come la devozione di Giuliana di Mont-Cornillon, riguardante la presenza “reale” di Cristo nell’Eucaristia, abbia contribuito poi all’istituzione della festa particolare in onore del Corpus Domini e alla sua estensione all’insieme della cristianità con Papa Giovanni XXII nel 1317.
I testi di Benedetto XVI mettono inoltre l’accento sulla radicalità dell’impegno delle donne, una volta che esse hanno accolto la rivelazione dell’elezione divina e la conseguente vocazione alla missione. Il Papa evidenzia l’esempio di Giovanna d’Arco che, pur essendo stata condannata a morire sul rogo da un tribunale ecclesiastico, non derogò mai alla sottomissione nei confronti dell’autorità della Chiesa. Avrebbe anche potuto riferirsi a Chiara d’Assisi che, durante tutta la sua vita religiosa, si sforzò di resistere ai tentativi del papato miranti a imporre alle “Povere Dame recluse” di San Damiano una regola di stampo benedettino, che avrebbe loro consentito di acquisire beni, mentre lei li rifiutava per non rompere l’ultimo legame con i frati minori e con la povertà evangelica promessa a san Francesco.


Benedetto XVI riprende questi due punti quando ricorda che le richieste di Chiara d’Assisi furono soddisfatte alla vigilia della sua morte e quando sottolinea che fu la prima donna a scrivere la regola dell’ordine religioso da lei stessa fondato. È vero anche, però, che già nel secolo XII, Eloisa, dopo il suo ingresso nel monastero del Paraclito, stese personalmente una regola, ed è vero anche che quella di santa Chiara venne ben presto sostituita da un’altra – quella di Papa Urbano IV – che imponeva alle clarisse di accettare possedimenti e redditi fissi.


La testimonianza delle sante, qui proposta da Benedetto XVI alla meditazione dei fedeli, libera il sesso a torto ritenuto debole sia dai sospetti dipendenti dalla simbologia di Eva responsabile del peccato originale sia dai pregiudizi di debolezza intellettuale e morale trasmessi al medioevo cristiano dalla tradizione letteraria antica. Il Papa ricorda, proprio attraverso la storia, che alcune di loro, sia monache sia laiche, sono salite ai vertici dell’esperienza religiosa attraverso l’unione mistica con Cristo, fino al punto di esercitare un forte ascendente sui chierici che le seguivano e diffondevano i loro messaggi.

(©L’Osservatore Romano 17 luglio 2011)


Nuova luce sul medioevo

 

con la Disciplina Clericalis e Valfrido Strabone

Collana inedita della casa editrice Pacini curata dal professor Francecso Stella

 

Riscoprire l’affascinante e oscuro Medioevo attraverso i testi che lo hanno reso grande. È stato tradotto in italiano “La Disciplina Clericalis”, opera,  in latino, più famosa di Pietro Alfonsi, ebreo spagnolo convertito al cristianesimo. Una raccolta di storielle e aneddoti esemplari che introduce all’interno della letteratura latina medievale temi e forme delle culture orientali, ebraica ed araba, riferibile sia a tradizione orale, sia, a tratti, a capolavori letterari, dal Kalila e Dimna alla Storia dei sette sapienti, dal Pancatantra alle Mille e una notte. L’opera, in sostanza, intende fornire un’istruzione ai “chierici” e influenzerà le raccolte di novelle del Basso Medioevo, dal Decameron di Boccaccio al Novellino.  Un libro davvero sorprendente e che si suppone rappresenti la prima introduzione, nell’Europa cristiana, della narrativa orientale. Comprende ben 33 dialoghi di fonte araba e, in qualche caso, persianaindù.

 

L’opera, in modo più dettagliato,  si compone di un prologo, che tratta del concetto del timor di Dio, e di tre parti centrali, che trattano dei vizi e delle virtù umane, delle relazioni dell’ uomo con il suo prossimo, del rapporto dell’uomo con Dio e della fugacità delle cose terrene. Termina riprendendo l’idea del prologo e l’epilogo consiste in una vera e propria invocazione a Dio. Questa raccolta, è doveroso sottolinearlo, costituisce uno dei testi principali della novellistica medievale e grande è stata la sua fortuna anche in età moderna e contemporanea. “La Disciplina Clericalis” si inserisce nella collana inedita “Scrittori latini dell’Europa Medievale”, curata dal professor Francesco Stella ed edita dalla Casa Editrice Pacini. Esito di un progetto europeo per la conoscenza di testi mai tradotti in italiano, ospita racconti fantastici, poemi epici, storie di furti di reliquie, raccolte di canzoni latine e di aneddoti arabi, lettere, trattati medici, visioni dell’Aldilà e satire sociali che spalancano le porte del pubblico più ampio a un patrimonio sommerso finora riservato a pochi specialisti.

Obiettivo della collana, come scrive il curatore Francesco Stella nella premessa generale, è contribuire a superare “l’oscuramento della memoria testuale del Medioevo latino dai programmi scolastici e da gran parte dei curricula universitari, che lascia inesplorato un patrimonio immenso di invenzioni, racconti, cronache, meditazioni, favole, trattati, visioni, liriche, fatti, luoghi ed emozioni”. Questa limitazione ha impedito a lungo di inserire la conoscenza dell’arte, della religiosità e dell’immaginario medievali in una rete di testi che si potessero leggere in traduzioni accessibili.

Nove i volumi tradotti finora, ma la collana è destinata a crescere con nuovi testi. Tra questi  la prima visione poetica dell’aldilà, antenata della Divina Commedia nel “Valfrido Strabone”, un’opera del più grande poeta dell’epoca carolingia appena diciottenne, che inaugura in mille versi una tradizione tipicamente medievale con un viaggio fra Inferno e Paradiso, che apre squarci potenti sulle figure storiche principali del periodo, sulla società delle corti e delle abbazie,sui movimenti di riforma che agitavano la società del IX secolo. I sogni di un monaco dell’isola di Reichenau, sul lago di Costanza, diventano allora strumento per produrre satira di costume e critica politica in versi di fattura epica.


Eleonora Prayer