Evangeliario secondo il rito romano

CONFERENZA EPISCOPALE PIEMONTESE, Evangeliario secondo il rito romano, EMP, Padova 2010, ISBN: 8825025106, pp.340, Euro 140 Nel volume sono riportati tutti i brani dei vangeli letti nelle domeniche, nelle solennità e quelli per le messe rituali.
Le pericopi sono disposte secondo l’ordine canonico dei vangeli e per ognuna di esse è indicata la celebrazione in cui viene letta.
Quattro Vangeli da baciare e ascoltare di Gianfranco Ravasi in “Il Sole 24 Ore” del 16 gennaio 2011 II diacono ha incensato prima e cantato poi il testo evangelico della solennità; richiude il volume, lo eleva e lo porta processionalmente verso il papa che presiede la celebrazione.
Il pontefice accoglie e bacia questo libro dalla legatura d’argento tempestata di gemme e con esso benedice l’assemblea che ha ascoltato in piedi.
Molti ricordano questa scena visibile nelle trasmissioni televisive dei riti papali: il gesto, che può essere ripetuto anche nelle altre liturgie locali solenni, esprime la venerazione per la Parola sacra, proclamata a voce e cristallizzata nella pagina scritta.
Già nell’ebraismo la Torah era ed è nel cuore stesso della sinagoga.
Infatti, una copia manoscritta della «Legge», i primi cinque libri della Bibbia (Pentateuco), usata per la pubblica lettura, è custodita nell”aron haqodesh, l’«arca santa» del luogo di culto.
Si tratta di un rotolo di pergamena sul quale un sofer, uno scriba, ha trascritto a mano l’intero testo ebraico di quei libri, con inchiostro nero brillante così da far sfolgorare ogni lettera e parola, e – secondo un’antica tradizione – con calamo vegetale o animale, perché ogni penna metallica avrebbe evocato la materia con cui si approntano le armi, negando così la missione di pace della Parola.
Anche il cristianesimo ebbe i suoi “lezionari”, ossia i testi liturgici che contenevano i brani biblici (le “pericopi”) proclamate nella celebrazione eucaristica.
Al loro interno si distinguevano gli “evangeliari” che contenevano solo i quattro Vangeli: uno studioso tedesco, Theodor Klauser, nel suo Das römische «Capitulare Evangeliorum» (Münster 1935), ne ha classificati un migliaio di latini, attestati tra il 645 e il 750.
All’interno, poi, degli evangeliari è da identificare una categoria più specifica sorta in epoca successiva, l’«evangelistario»: proprio perché nella liturgia si leggono, di volta in volta, a brani e non integralmente i quattro Vangeli, si pensò di preparare volumi nei quali fossero raccolti solo quelle “pericopi” distribuite nella sequenza delle varie domeniche e feste.
Questi «evangelistari», dall’evidente finalità pratica, acquistarono uno splendore particolare perché le loro pagine furono costellate di miniature, di capilettera in oro o argento, e furono raccolte in legature o teche impreziosite da smalti, avori e gemme.
Negli anni 80 si decise di elaborare – nello spirito del fervore liturgico post- conciliare – un «evangeliario» per le Chiese d’Italia che «avesse l’ambizione di competere per decoro e bellezza con gli splendidi esemplari trasmessi dall’antichità».
Apparve, così, nel 1987, per i tipi dei Fratelli Accetta, editori palermitani, Haec sunt Verba sancta.
Evangeliario delle Chiese d’Italia, un prodotto pregevole, ma certo non all’altezza di quegli «splendidi esemplari» del passato coi quali si voleva gareggiare.
Un nuovo Evangeliario secondo il rito romano, voluto dalla Conferenza Episcopale del Piemonte e della Valle d’Aosta, è ora disponibile per tutte le comunità ecclesiali italiane: in esso si nota il tentativo di fondere i due generi dell’«evangeliario» e dell’«evangelistario».
Infatti, da un lato, si hanno i testi integrali dei quattro Vangeli; d’altro lato, però, essi sono suddivisi secondo i vari brani che la liturgia propone nella sua articolazione annuale (anzi, triennale).
All’opera si può assegnare la definizione di «nobile semplicità» che il Concilio Vaticano II proponeva per lo stile liturgico sia per il candore della legatura, sia per il nitore tipografico, sia per la sobrietà delle immagini, riproduzioni di sculture in marmo di Trani, eseguite nel 2001da Novello Finotti per la facciata della Basilica di S.
Giustina a Padova.
Certo, si potrebbe pensare anche a un dialogo più intenso e serrato con l’arte contemporanea, auspicabile dopo gli anni del divorzio che si è consumato nel secolo scorso.
Qualcosa del genere fu tentato con coraggio dalla Conferenza Episcopale Italiana col suo recente Lezionario domenicale e festivo in tre volumi: l’idea era felice e suggestiva, anche se l’attuazione fu guidata con poco rigore e il risultato fu eterogeneo e diseguale.
Su questa scia si muove ora anche la Chiesa di Milano che sta allestendo un suo «evangeliario», illustrato da artisti contemporanei di alta qualità, considerato come il suggello della recente riforma del lezionario del rito ambrosiano (una riforma oggetto di discussioni e critiche varie da parte di alcuni esperti).
Significativo è, comunque, lo sforzo di riannodare il confronto con l’arte dei nostri tempi, propugnato da Paolo VI già nel 1964 in un memorabile discorso tenuto agli artisti nella Cappella Sistina, evento e appello reiterato il 21 novembre 2009 da Benedetto XVI nello stesso luogo mirabile, sulla scia anche della Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II del 1999.
Si tratta di un incontro necessario e benefico sia per la liturgia sia per l’arte che nella storia sempre s’incrociarono, generando capolavori straordinari in una continua evoluzione: si pensi solo ai trapassi tra paleocristiano, romanico, gotico, rinascimentale, barocco, neoclassico o alla rivoluzione della polifonia rispetto alla “monodia” del gregoriano…
Ora, purtroppo, da un lato in ambito ecclesiale si ricorre spesso soltanto al ricalco di moduli, stili e generi di epoche precedenti o si adotta il puro e semplice artigianato o, peggio, ci si adatta alla bruttezza dei nuovi quartieri urbani e dell’edilizia aggressiva, innalzando edifici sacri simili, come diceva sarcasticamente padre David M.Turoldo, a garage sacrali ove è parcheggiato Dio e vengono allineati i fedeli.
D’altro lato, però, l’arte ha imboccato le vie della città secolare, archiviando i temi religiosi, i simboli, le narrazioni, le figure e quel “grande codice” che era la Bibbia.
Ha abbandonato, come pericolosa, ogni proposta di messaggio, si è consacrata a esercizi stilistici sofisticati o provocatori e fin blasfemi, si è rinchiusa nel cerchio dell’autoreferenzialità, si è asservita alle mode e alle esigenze di un mercato spesso artificioso ed eccessivo.
Le parole di Benedetto XVI possono essere di stimolo ad ambedue gli ambiti: «Non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare coi credenti, con chi, come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita.
La fede non toglie nulla al vostro genio, alla vostra arte, anzi, li esalta e li nutre, li incoraggia a varcare la soglia e a contemplare con occhi affascinati e commossi la meta ultima e definitiva, il sole senza tramonto che illumina e fa bello il presente».

Camillo Ruini: «La stabilità è un bene Opportuno il contributo di chiunque possa darlo»

L’intervista Sul citofono della casa che guarda il Vaticano non è scritto «cardinale» o «eminenza» , ma solo il cognome: Ruini.
Anche ora che non è più il capo dei vescovi italiani e il vicario del Papa, la sua autorevolezza e il suo prestigio tra i cattolici — e non solo— sono intatti.
Cardinal Ruini, lei ha organizzato un convegno sui 150 anni dell’Unità d’Italia.
Come mai l’unificazione, che si fece contro la Chiesa, oggi è difesa dalla Chiesa stessa? «Lo abbiamo fatto spontaneamente, ci pareva importante dare il nostro contributo.
Ma fin dall’ 800 nella realtà cattolica e anche in ambienti ecclesiastici si guardava con simpatia e coinvolgimento all’Unità.
A dividere la Chiesa dalla nuova Italia era la questione romana, l’indipendenza dal potere politico.
Poi, in particolare nella seconda metà del ’ 900, il contributo dei cattolici alla storia unitaria è stato grande.
Quando ho cercato di approfondire il tema dei 150 anni, avevo in mente la lettera ai vescovi italiani del 6 gennaio 1994, in cui Giovanni Paolo II insiste sulla missione dell’Italia in Europa in un modo che ci appare sorprendente.
Oggi è difficile trovare un italiano che si esprima in questi termini sull’Italia» .
Lei pensa che oggi l’unità nazionale sia in pericolo? «Un pericolo immediato non lo vedo.
Vedo piuttosto una tendenza alla divaricazione tra il Centro Nord e il Sud.
Bisogna cercare di invertire questa tendenza, governarla e superarla; altrimenti a lungo termine può diventare pericolosa» .
Sta emergendo un separatismo anche meridionale? «Non direi un separatismo ma una profonda insoddisfazione, che non è una novità.
Già molti anni fa — almeno dall’ 86, quando arrivai alla Cei come segretario— notavo nella cultura meridionale una lettura dell’unificazione come un danno per il Sud.
Forse adesso è venuta più fuori, ma non nasce ora» .
L’espansione della Lega la preoccupa? «Non credo sia da collegarsi a una volontà separatista, ma più che altro a una rivendicazione delle autonomie locali e in genere di concretezza.
Il federalismo corrisponde alla ricchezza plurale della nostra società, perché l’Italia è il Paese delle cento città.
E può aiutare a responsabilizzare le classi dirigenti locali.
Certo bisogna che sia un federalismo solidale, bilanciato da un’autorità centrale abbastanza forte sul piano non solo della legislazione ma del governo concreto» .
Oggi siamo alla fine di un ciclo politico, o è importante la stabilità sino alla fine della legislatura? «Guardate, della fine dei cicli è meglio parlare quando si sono conclusi e un nuovo ciclo è nato.
Parlarne prima è piuttosto avventuroso.
Non è facile prevedere queste cose» .
Sarebbe auspicabile che i centristi cattolici contribuissero alla stabilità? «La stabilità è certamente un bene per il Paese.
Quindi è opportuno che ogni forza che può farlocontribuisca.
I modi possono essere tanti.
Certo la stabilità non è l’unico bene: accanto a essa c’è la capacità di fare riforme.
Entrambe, stabilità e riformabilità, rimandano allo stesso problema: una guida che possa essere stabile ma anche in grado di prendere decisioni.
Viviamo un periodo di velocissimi mutamenti in tutto il mondo.
Ogni paese, ogni persona è costretta ad adeguarsi in tempi rapidi.
Questo è forse il più grande problema del nostro tempo: nel Vaticano II, con la Gaudium et spes, si dice che la caratteristica del tempo presente è il mutamento.
Era vero nel ’ 65; lo è molto di più nel 2011.
E questo richiede una certa agilità.
È vero fino a un certo punto che il nostro Paese sia poco stabile.
È più vero che è lento nel prendere decisioni» .
Sta dicendo che occorrono riforme per dare più poteri ai governi? «Il problema della debolezza istituzionale dell’esecutivo c’è fin dall’inizio, dal ’ 48.
Anche al tempo di De Gasperi ricordo che ci fu una serie di suoi governi.
Da molti anni questa mia personale valutazione mi ha portato a consigliare, a chi veniva a parlare con me, di trovare la maniera per rafforzare l’esecutivo: sempre nel rispetto della distinzione dei poteri dello Stato» .
Il bipolarismo è un valore o una gabbia che può essere scardinata? «Credo che il bipolarismo, come tutte le forme politiche, abbia pregi e svantaggi.
La Chiesa non ha competenza a intervenire su una o l’altra forma; io posso dire una parola a titolo personale, non di più.
Il bipolarismo è un tentativo di adattare all’Italia, e alla molteplicità dei suoi soggetti politici, uno schema che consenta l’alternanza e una certa governabilità.
Un modo di adeguare il bipartitismo a una realtà complessa come la nostra» .
Nel 2008 lei era considerato favorevole a un accordo tra i cattolici e il Pdl, che non ci fu.
Oggi lo ritiene ancora possibile? «È improprio parlare di un accordo tra i cattolici e il Pdl: molti cattolici sono nel Pdl o lo sostengono, altri lo avversano o comunque non lo amano.
L’accordo a cui vi riferite è nel novero delle cose possibili.
Ciò che può contribuire alla stabilità politica è opportuno.
Ma non tocca a me dare indicazioni operative che non mi competono» .
Ma in chiave storica, secondo lei, dalla Chiesa è venuto un appoggio al berlusconismo? Se sì, dura tuttora? Perché la Chiesa sembra diffidare tanto del centrosinistra? «Queste due categorie, berlusconismo e antiberlusconismo, non servono a molto, per comprendere le dinamiche ecclesiali.
Non è mai stato un problema per noi, né in un senso né nell’altro.
Se vogliamo decifrare la linea della Chiesa nel lungo periodo, è abbastanza semplice: basta approfondire le parole di Giovanni Paolo II a Palermo, nel novembre ’ 95.
Il Papa disse che l’unità dei cattolici non era più intorno a un partito ma a contenuti essenziali e vincolanti; mentre per il resto ci poteva essere un pluralismo anche tra i cattolici.
Questa è sempre stata la linea su cui ci siamo mossi» .
Questi valori essenziali sono stati fatti propri più dalla destra che dalla sinistra? «Ognuno di voi può osservarlo nella realtà empirica.
Non sono cose che si giudicano a priori» .
Infatti le stiamo guardando a posteriori.
«Ma se si chiede alla Chiesa di dare lei stessa questo giudizio, ricadremmo nello schema precedente, quello dell’unità politico-partitica dei cattolici.
Noi non diamo indicazioni di voto.
E credo che questo sia apprezzato dall’opinione pubblica: la gente preferisce che noi indichiamo alcuni obiettivi ed essere poi lei a giudicare della congruenza delle forze politiche con ciò che diciamo.
E naturalmente, anche tra la gente, non tutti tengono conto delle nostre indicazioni» .
Nel referendum sulla fecondazione assistita ne hanno tenuto conto.
«Lì era diverso.
Lì non c’erano in gioco i partiti, si andava direttamente sui contenuti.
Il referendum ci consentiva quindi più libertà di intervento.
C’era da fare una scelta.
Noi l’abbiamo fatta.
Fortunatamente non è stata una scelta isolata» .
Ma non siete stati troppo accondiscendenti con Berlusconi? «Nella Chiesa, come sapete, ci sono vari atteggiamenti.
Personalmente non amo dare giudizi pubblici sui comportamenti privati delle singole persone, specialmente quando questi giudiziverrebbero subito letti e interpretati in chiave di lotta politica.
È chiaro comunque che ciascuno di noi deve cercare di dare una testimonianza positiva, tanto più importante quanto maggiore è la sua notorietà» .
Lei non ha mai avuto l’impressione che i politici facessero propri a parole i valori della Chiesa in modo strumentale? «Giudicare le intenzioni è molto difficile.
Che i leader pensino anche a un ritorno in termini politici non è strano, forse è anche normale.
D’altra parte sono scelte che hanno anche dei costi.
Non è che uno appoggiando la Chiesa ci guadagni di sicuro.
Quello che la Chiesa dice, infatti, è spesso controcorrente».
Che impressione le hanno fatto le immagini degli scontri del 14 dicembre a Roma? Vede il rischio di una stagione violenta? «Bisogna distinguere protesta e violenza.
Quando la protesta non è violenta, i giovani vanno ascoltati.
Più che il rifiuto della riforma universitaria, credo che queste proteste esprimano una preoccupazione di fondo: oggi le aspettative per i giovani non sono crescenti, ma purtroppo decrescenti.
E questo problema va fronteggiato in due modi.
È necessario fare riforme che diano maggiore spazio ai giovani, perché la società italiana penalizza i giovani, a cominciare dai bambini.
E bisogna che tutti— anche le famiglie, che tendono a essere molto protettive — accettino che nel mondo globalizzato i risultati anche personali si ottengono oggi con fatica maggiore di ieri.
La competizione geopolitica è diventata molto più dura e questo è un fatto irreversibile che riguarda tutto l’Occidente.
Bisogna dunque educare i ragazzi, fin da piccoli, ad affrontare le difficoltà, e non volerli proteggere da tutto.
Quanto alla violenza, è qualcosa che purtroppo si ripete dal ’ 68.
La mia personale allergia risale agli anni 70, quando mi occupavo di studenti a Reggio Emilia: ricordo la fatica di conquistare la possibilità di espressione che da tempo veniva rifiutata.
Per imporre il pensiero unico era facile che si arrivasse a forme di intimidazione» .
Il Papa ha paragonato il nostro tempo al crollo dell’Impero romano…
«Chi ha seguito gli scritti del teologo e del cardinale Ratzinger, e poi di Benedetto XVI, sa che da tempo ha questa preoccupazione: vengono meno i fondamenti morali, culturali e antropologici su cui si fonda la nostra civiltà.
L’imperare del consumismo e del relativismo.
L’eliminazione della specificità irriducibile dell’uomo rispetto agli altri viventi.
E in particolare l’odio dell’Europa verso se stessa, l’odio del proprio passato e delle radici cristiane.
Lo stesso cristianesimo, oltre a essere oggetto di odio, sembra talvolta odiare se stesso e rinnegare la propria rilevanza storica e perfino salvifica.
Ricordo quanto fu contestata dall’interno della Chiesa la dichiarazione Dominus Iesus, che nel 2000 affermava un punto base del Nuovo Testamento: Gesù Cristo è l’unico Salvatore!» .
Quali sentimenti le ha suscitato il libro-intervista del Papa? «Sono stato colpito dalla sua disarmante sincerità, dal suo esporsi sui temi più difficili, e dalla lucidità con cui li affronta.
La linea è sempre quella.
Da una parte Benedetto XVI denuncia la gravità dei problemi nella società e anche dentro la Chiesa.
Dall’altra non indulge mai a una lettura pessimistica, alla fine c’è sempre una grande fiducia: dovuta alla fede in Dio ma anche alla fiducia nell’uomo, quando l’uomo può esprimersi nella sua piena dimensione, come soggetto libero, intelligente e responsabile» .
Lei come passerà la notte di Natale? Per chi pregherà e per chi invita a pregare? «Come ogni anno, andrò alla messa di mezzanotte del Papa in San Pietro.
Pregherò per la Chiesa, per la pace nel mondo, per il mio Paese, per tutti coloro che soffrono e per i tanti che mi chiedono di pregare per loro.
Ma il Natale richiama specialmente Betlemme, le origini umili e indifese del cristianesimo, la povertà e debolezza del Bambino che nasce per noi.
Questi inizi devono essere una caratteristica permanente.
Non possono essere relegati al passato.
Natale ci serve per ritrovare l’origine e vedere il presente in quella chiave: il Natale non è una bella favola per i bambini ma una realtà, più reale delle cose che tocchiamo con mano ogni giorno» in “Corriere della Sera” del 24 dicembre 2010

Natale alla ricerca di una morale comune

Caro direttore, la realtà testarda che si impone anche se non sempre vorremmo accettarla, l´attualità incalzante che lascia emergere preoccupanti tensioni, che ci ributta continuamente addosso le conseguenze pesanti dell´attuale crisi economica e politica, ci costringono alla fine a stare di fronte a una domanda cruciale: è ancora possibile una “morale comune” (common morality) nella nostra società plurale? Si può ancora parlare di una “percezione morale” (moral insight) per sua natura universale e propria di ogni uomo in quanto uomo? È ancora valida l´affermazione cara a Lewis che esiste «un´attitudine di rispetto e di gratitudine per ciò che ci è stato donato», attitudine propria di ogni uomo nei confronti di quell´eredità di saggezza pratica che tutte le tradizioni, le culture e le religioni hanno assicurato, in tutte le parti del globo, alla grande catena delle generazioni? Su questi temi Benedetto XVI, nel recente discorso di auguri alla Curia, ha usato parole provocanti parlando dell´ethos  contemporaneo per il quale «… non esisterebbero né il male in sé, né il bene in  sé.
Esisterebbe soltanto un “meglio di” e un “peggio di”.
Niente sarebbe in se stesso bene o male.
Tutto dipenderebbe dalle circostanze, tutto potrebbe essere bene o anche male.
La morale viene sostituita da un calcolo delle conseguenze e con ciò cessa di esistere».
«Contro di esse – ha aggiunto Benedetto XVI – Giovanni Paolo II nella sua enciclica Veritatis splendor del 1993 indicò con forza profetica nella grande tradizione razionale dell´ethos cristiano le basi essenziali e permanenti dell ´agire morale».
Importanti correnti del pensiero morale concordano nell´affermare che per cogliere l´autentica natura della morale si debba partire dalla esperienza elementare del bene che ogni uomo vive.
Se si guarda alla genesi di questa esperienza morale, ci si rende conto che essa si radica in un desiderio di compimento di sé che prende forma dalla promessa suscitata dalle inclinazioni e dagli affetti originari.
A partire dalle relazioni primarie di riconoscimento reciproco con la mamma e il papà, il bambino, mediante la parola, acquista coscienza pratica di se stesso e diventa capace di apertura e comunione con gli altri.
A questo proposito il dialogo tra Gesù e il giovane ricco raccontato dal Vangelo è particolarmente significativo anche a una pura lettura razionale perché vi possiamo trovare conferma della triplice scansione dell´esperienza morale elementare: desiderio-riconoscimento-comunione.
Il giovane ricco si avvicina a esù e chiede: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?».
Accogliendo la domanda, Gesù gli risponde: «Dà ai poveri».
Lo invita cioè a riscoprire la decisività del nesso tra il bene e la relazione.
Il desiderio di compimento che anima il giovane ricco si realizza, dunque, in questo riconoscimento che apre a una vita comune, condivisa: è questa la forma originaria dell´esperienza del bene e la verità antropologica della moralità.
Se i comandamenti sono la via al bene, il principio della moralità è il bene stesso.
Ed è nella relazione che questo si rivela primariamente.
Del bene si deve fare esperienza perché il desiderio di bene trovi la via della piena attuazione.
A conferma di questo, nell´episodio evangelico, Gesù rilancia ancora e indica un´altra più impegnativa relazione: «Una volta che hai dato tutto vieni e seguimi».
In questa proposta è contenuta una “pretesa” singolare: l´uomo apprende ad attuare il bene nella relazione con l´origine personale del bene e comprende quali sono le cose buone da fare continuando a intrattenere relazioni buone.
L´esperienza elementare del bene e della moralità consiste dunque nel beneficio primario della relazione.
Non si origina da un´idea del bene che sia contenuta nel cosmo o nel bios, né si deduce dalla natura razionale dell´uomo.
Per la costruzione di una moralità comune sembra emergere dunque come modello di riferimento su cui lavorare insieme quello che afferma, da una parte, che la moralità non inizia con il comandamento, ma dall´interno di una ricca e complessa esperienza elementare del bene come articolata unità di desiderio, promessa, parola, riconoscimento e comunione; dall´altra, che alla fine compete alla ragione discernere il senso di questa esperienza morale, comune a tutti gli uomini, per definire i beni umani fondamentali e quindi per sancire il loro universale significato morale.
Fattori questi decisivi in una società plurale come la nostra.
patriarca di Venezia in “la Repubblica” del 23 dicembre 2010

“Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”

Messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace 2010

 

Pubblichiamo di seguito il testo del Messaggio di Benedetto XVI per la 43ª Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà il 1° gennaio 2010 sul tema: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”.


Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato

1. IN OCCASIONE DELL’INIZIO DEL NUOVO ANNO, desidero rivolgere i più fervidi auguri di pace a tutte le comunità cristiane, ai responsabili delle Nazioni, agli uomini e alle donne di buona volontà del mondo intero. Per questa XLIII Giornata Mondiale della Pace ho scelto il tema: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. Il rispetto del creato riveste grande rilevanza, anche perché « la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio»1 e la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, numerose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppo umano integrale – guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristici e violazioni dei diritti umani –, non meno preoccupanti sono le minacce originate dalla noncuranza – se non addirittura dall’abuso – nei confronti della terra e dei beni naturali che Dio ha elargito. Per tale motivo è indispensabile che l’umanità rinnovi e rafforzi « quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino».2

2. Nell’ Enciclica Caritas in veritate ho posto in evidenza che lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri derivanti dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, considerato come un dono di Dio a tutti, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera, in special modo verso i poveri e le generazioni future. Ho notato, inoltre, che quando la natura e, in primo luogo, l’essere umano vengono considerati semplicemente frutto del caso o del determinismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità.3 Ritenere, invece, il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vocazione e il valore dell’uomo. Con il Salmista, pieni di stupore, possiamo infatti proclamare: « Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? » (Sal 8,4-5). Contemplare la bellezza del creato è stimolo a riconoscere l’amore del Creatore, quell’Amore che « move il sole e l’altre stelle».4

3. Vent’anni or sono, il Papa Giovanni Paolo II, dedicando il Messaggio della Giornata Mondiale della Pace al tema Pace con Dio creatore, pace con tutto il creato, richiamava l’attenzione sulla relazione che noi, in quanto creature di Dio, abbiamo con l’universo che ci circonda. « Si avverte ai nostri giorni – scriveva – la crescente consapevolezza che la pace mondiale sia minacciata… anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura ». E aggiungeva che la coscienza ecologica « non deve essere mortificata, ma anzi favorita, in modo che si sviluppi e maturi, trovando adeguata espressione in programmi ed iniziative concrete».5 Già altri miei Predecessori avevano fatto riferimento alla relazione esistente tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, nel 1971, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, Paolo VI ebbe a sottolineare che « attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, (l’uomo) rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione ». Ed aggiunse che in tal caso « non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana”.6

4. Pur evitando di entrare nel merito di specifiche soluzioni tecniche, la Chiesa, « esperta in umanità », si premura di richiamare con forza l’attenzione sulla relazione tra il Creatore, l’essere umano e il creato. Nel 1990, Giovanni Paolo II parlava di « crisi ecologica » e, rilevando come questa avesse un carattere prevalentemente etico, indicava l’« urgente necessità morale di una nuova solidarietà».7 Questo appello si fa ancora più pressante oggi, di fronte alle crescenti manifestazioni di una crisi che sarebbe irresponsabile non prendere in seria considerazione. Come rimanere indifferenti di fronte alle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici, la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agricole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodiversità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle aree equatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti « profughi ambientali »: persone che, a causa del degrado dell’ambiente in cui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontare i pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? Come non reagire di fronte ai conflitti già in atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risorse naturali? Sono tutte questioni che hanno un profondo impatto sull’esercizio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione, alla salute, allo sviluppo.

5. Va, tuttavia, considerato che la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato. Saggio è, pertanto, operare una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul senso dell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo.8 L’umanità ha bisogno di un profondo rinnovamento culturale; ha bisogno di riscoprire quei valori che costituiscono il solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti. Le situazioni di crisi, che attualmente sta attraversando – siano esse di carattere economico, alimentare, ambientale o sociale –, sono, in fondo, anche crisi morali collegate tra di loro. Esse obbligano a riprogettare il comune cammino degli uomini. Obbligano, in particolare, a un modo di vivere improntato alla sobrietà e alla solidarietà, con nuove regole e forme di impegno, puntando con fiducia e coraggio sulle esperienze positive compiute e rigettando con decisione quelle negative. Solo così l’attuale crisi diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità.

6. Non è forse vero che all’origine di quella che, in senso cosmico, chiamiamo « natura », vi è « un disegno di amore e di verità »? Il mondo « non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso… Il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà».9 Il Libro della Genesi, nelle sue pagine iniziali, ci riporta al progetto sapiente del cosmo, frutto del pensiero di Dio, al cui vertice si collocano l’uomo e la donna, creati ad immagine e somiglianza del Creatore per « riempire la terra » e « dominarla » come « amministratori » di Dio stesso (cfr Gen 1,28). L’armonia tra il Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura descrive, è stata infranta dal peccato di Adamo ed Eva, dell’uomo e della donna, che hanno bramato occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature. La conseguenza è che si è distorto anche il compito di « dominare » la terra, di « coltivarla e custodirla » e tra loro e il resto della creazione è nato un conflitto (cfr Gen 3,17-19). L’essere umano si è lasciato dominare dall’egoismo, perdendo il senso del mandato di Dio, e nella relazione con il creato si è comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di esso un dominio assoluto. Ma il vero significato del comando iniziale di Dio, ben evidenziato nel Libro della Genesi, non consisteva in un semplice conferimento di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla responsabilità. Del resto, la saggezza degli antichi riconosceva che la natura è a nostra disposizione non come « un mucchio di rifiuti sparsi a caso»,10 mentre la Rivelazione biblica ci ha fatto comprendere che la natura è dono del Creatore, il quale ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo possa trarne gli orientamenti doverosi per « custodirla e coltivarla » (cfr Gen 2,15).11 Tutto ciò che esiste appartiene a Dio, che lo ha affidato agli uomini, ma non perché ne dispongano arbitrariamente. E quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce col provocare la ribellione della natura, « piuttosto tiranneggiata che governata da lui».12 L’uomo, quindi, ha il dovere di esercitare un governo responsabile della creazione, custodendola e coltivandola.13

7. Purtroppo, si deve constatare che una moltitudine di persone, in diversi Paesi e regioni del pianeta, sperimenta crescenti difficoltà a causa della negligenza o del rifiuto, da parte di tanti, di esercitare un governo responsabile sull’ambiente. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ricordato che « Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli».14 L’eredità del creato appartiene, pertanto, all’intera umanità. Invece, l’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in pericolo la disponibilità di alcune risorse naturali non solo per la generazione presente, ma soprattutto per quelle future.15 Non è difficile allora costatare che il degrado ambientale è spesso il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici, che si trasformano, purtroppo, in una seria minaccia per il creato. Per contrastare tale fenomeno, sulla base del fatto che « ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale »,16 è anche necessario che l’attività economica rispetti maggiormente l’ambiente. Quando ci si avvale delle risorse naturali, occorre preoccuparsi della loro salvaguardia, prevedendone anche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voce essenziale degli stessi costi dell’attività economica. Compete alla comunità internazionale e ai governi nazionali dare i giusti segnali per contrastare in modo efficace quelle modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad esso dannose. Per proteggere l’ambiente, per tutelare le risorse e il clima occorre, da una parte, agire nel rispetto di norme ben definite anche dal punto di vista giuridico ed economico, e, dall’altra, tenere conto della solidarietà dovuta a quanti abitano le regioni più povere della terra e alle future generazioni.

8. Sembra infatti urgente la conquista di una leale solidarietà inter-generazionale. I costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni non possono essere a carico delle generazioni future: « Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch’è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere. Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future, una responsabilità che appartiene anche ai singoli Stati e alla Comunità internazionale».17 L’uso delle risorse naturali dovrebbe essere tale che i vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gli esseri viventi, umani e non umani, presenti e a venire; che la tutela della proprietà privata non ostacoli la destinazione universale dei beni;18 che l’intervento dell’uomo non comprometta la fecondità della terra, per il bene di oggi e per il bene di domani. Oltre ad una leale solidarietà inter-generazionale, va ribadita l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà intra-generazionale, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo e quelli altamente industrializzati: « la comunità internazionale ha il compito imprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro».19 La crisi ecologica mostra l’urgenza di una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo. È infatti importante riconoscere, fra le cause dell’attuale crisi ecologica, la responsabilità storica dei Paesi industrializzati. I Paesi meno sviluppati e, in particolare, quelli emergenti, non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto al creato, perché il dovere di adottare gradualmente misure e politiche ambientali efficaci appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzarsi più facilmente se vi fossero calcoli meno interessati nell’assistenza, nel trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie più pulite.

9. È indubbio che uno dei principali nodi da affrontare, da parte della comunità internazionale, è quello delle risorse energetiche, individuando strategie condivise e sostenibili per soddisfare i bisogni di energia della presente generazione e di quelle future. A tale scopo, è necessario che le società tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti improntati alla sobrietà, diminuendo il proprio fabbisogno di energia e migliorando le condizioni del suo utilizzo. Al tempo stesso, occorre promuovere la ricerca e l’applicazione di energie di minore impatto ambientale e la « ridistribuzione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che ne sono privi possano accedervi».20 La crisi ecologica, dunque, offre una storica opportunità per elaborare una risposta collettiva volta a convertire il modello di sviluppo globale in una direzione più rispettosa nei confronti del creato e di uno sviluppo umano integrale, ispirato ai valori propri della carità nella verità. Auspico, pertanto, l’adozione di un modello di sviluppo fondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisione del bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani.21

10. Per guidare l’umanità verso una gestione complessivamente sostenibile dell’ambiente e delle risorse del pianeta, l’uomo è chiamato a impiegare la sua intelligenza nel campo della ricerca scientifica e tecnologica e nell’applicazione delle scoperte che da questa derivano. La « nuova solidarietà », che Giovanni Paolo II propose nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1990,2 2 e la « solidarietà globale », che io stesso ho richiamato nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2009,23 risultano essere atteggiamenti essenziali per orientare l’impegno di tutela del creato, attraverso un sistema di gestione delle risorse della terra meglio coordinato a livello internazionale, soprattutto nel momento in cui va emergendo, in maniera sempre più evidente, la forte interrelazione che esiste tra la lotta al degrado ambientale e la promozione dello sviluppo umano integrale. Si tratta di una dinamica imprescindibile, in quanto « lo sviluppo integrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’umanità».24 Tante sono oggi le opportunità scientifiche e i potenziali percorsi innovativi, grazie ai quali è possibile fornire soluzioni soddisfacenti ed armoniose alla relazione tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, occorre incoraggiare le ricerche volte ad individuare le modalità più efficaci per sfruttare la grande potenzialità dell’energia solare. Altrettanta attenzione va poi rivolta alla questione ormai planetaria dell’acqua ed al sistema idrogeologico globale, il cui ciclo riveste una primaria importanza per la vita sulla terra e la cui stabilità rischia di essere fortemente minacciata dai cambiamenti climatici. Vanno altresì esplorate appropriate strategie di sviluppo rurale incentrate sui piccoli coltivatori e sulle loro famiglie, come pure occorre approntare idonee politiche per la gestione delle foreste, per lo smaltimento dei rifiuti, per la valorizzazione delle sinergie esistenti tra il contrasto ai cambiamenti climatici e la lotta alla povertà. Occorrono politiche nazionali ambiziose, completate da un necessario impegno internazionale che apporterà importanti benefici soprattutto nel medio e lungo termine. È necessario, insomma, uscire dalla logica del mero consumo per promuovere forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti. La questione ecologica non va affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila all’orizzonte; a motivarla deve essere soprattutto la ricerca di un’autentica solidarietà a dimensione mondiale, ispirata dai valori della carità, della giustizia e del bene comune. D’altronde, come ho già avuto modo di ricordare, « la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo; esprime la tensione dell’animo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali. La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di «coltivare e custodire la terra» (cfr Gen 2,15), che Dio ha affidato all’uomo, e va orientata a rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio».25

11. Appare sempre più chiaramente che il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi, gli stili di vita e i modelli di consumo e di produzione attualmente dominanti, spesso insostenibili dal punto di vista sociale, ambientale e finanche economico. Si rende ormai indispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti ad adottare nuovi stili di vita « nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti».26 Sempre più si deve educare a costruire la pace a partire dalle scelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico. Tutti siamo responsabili della protezione e della cura del creato. Tale responsabilità non conosce frontiere. Secondo il principio di sussidiarietà, è importante che ciascuno si impegni al livello che gli corrisponde, operando affinché venga superata la prevalenza degli interessi particolari. Un ruolo di sensibilizzazione e di formazione spetta in particolare ai vari soggetti della società civile e alle Organizzazioni non-governative, che si prodigano con determinazione e generosità per la diffusione di una responsabilità ecologica, che dovrebbe essere sempre più ancorata al rispetto dell’ « ecologia umana ». Occorre, inoltre, richiamare la responsabilità dei media in tale ambito, proponendo modelli positivi a cui ispirarsi. Occuparsi dell’ambiente richiede, cioè, una visione larga e globale del mondo; uno sforzo comune e responsabile per passare da una logica centrata sull’egoistico interesse nazionalistico ad una visione che abbracci sempre le necessità di tutti i popoli. Non si può rimanere indifferenti a ciò che accade intorno a noi, perché il deterioramento di qualsiasi parte del pianeta ricadrebbe su tutti. Le relazioni tra persone, gruppi sociali e Stati, come quelle tra uomo e ambiente, sono chiamate ad assumere lo stile del rispetto e della « carità nella verità ». In tale ampio contesto, è quanto mai auspicabile che trovino efficacia e corrispondenza gli sforzi della comunità internazionale volti ad ottenere un progressivo disarmo ed un mondo privo di armi nucleari, la cui sola presenza minaccia la vita del pianeta e il processo di sviluppo integrale dell’umanità presente e di quella futura.

12. La Chiesa ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso. Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui « quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.27 Non si può domandare ai giovani di rispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a rispettare se stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale.28 I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri. Volentieri, pertanto, incoraggio l’educazione ad una responsabilità ecologica, che, come ho indicato nell’Enciclica Caritas in veritate, salvaguardi un’autentica « ecologia umana » e, quindi, affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura.29 Occorre salvaguardare il patrimonio umano della società. Questo patrimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale naturale, che è fondamento del rispetto della persona umana e del creato.

13. Non va infine dimenticato il fatto, altamente indicativo, che tanti trovano tranquillità e pace, si sentono rinnovati e rinvigoriti quando sono a stretto contatto con la bellezza e l’armonia della natura. Vi è pertanto una sorta di reciprocità: nel prenderci cura del creato, noi constatiamo che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi. D’altra parte, una corretta concezione del rapporto dell’uomo con l’ambiente non porta ad assolutizzare la natura né a ritenerla più importante della stessa persona. Se il Magistero della Chiesa esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi. In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della « dignità » di tutti gli esseri viventi. Si dà adito, così, ad un nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo. La Chiesa invita, invece, ad impostare la questione in modo equilibrato, nel rispetto della « grammatica » che il Creatore ha inscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode e amministratore responsabile del creato, ruolo di cui non deve certo abusare, ma da cui non può nemmeno abdicare. Infatti, anche la posizione contraria di assolutizzazione della tecnica e del potere umano, finisce per essere un grave attentato non solo alla natura, ma anche alla stessa dignità umana.30

14. Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. La ricerca della pace da parte di tutti gli uomini di buona volontà sarà senz’altro facilitata dal comune riconoscimento del rapporto inscindibile che esiste tra Dio, gli esseri umani e l’intero creato. Illuminati dalla divina Rivelazione e seguendo la Tradizione della Chiesa, i cristiani offrono il proprio apporto. Essi considerano il cosmo e le sue meraviglie alla luce dell’opera creatrice del Padre e redentrice di Cristo, che, con la sua morte e risurrezione, ha riconciliato con Dio « sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli » (Col 1,20). Il Cristo, crocifisso e risorto, ha fatto dono all’umanità del suo Spirito santificatore, che guida il cammino della storia, in attesa del giorno in cui, con il ritorno glorioso del Signore, verranno inaugurati « nuovi cieli e una terra nuova » (2 Pt 3,13), in cui abiteranno per sempre la giustizia e la pace. Proteggere l’ambiente naturale per costruire un mondo di pace è, pertanto, dovere di ogni persona. Ecco una sfida urgente da affrontare con rinnovato e corale impegno; ecco una provvidenziale opportunità per consegnare alle nuove generazioni la prospettiva di un futuro migliore per tutti. Ne siano consapevoli i responsabili delle nazioni e quanti, ad ogni livello, hanno a cuore le sorti dell’umanità: la salvaguardia del creato e la realizzazione della pace sono realtà tra loro intimamente connesse! Per questo, invito tutti i credenti ad elevare la loro fervida preghiera a Dio, onnipotente Creatore e Padre misericordioso, affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna risuoni, sia accolto e vissuto il pressante appello: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2009

BENEDICTUS PP. XVI

_________________________________

1 Catechismo della Chiesa Cattolica, 198.

2 BENEDETTO XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 7.

3 Cfr n. 48.

4 DANTE ALIGHIERI, Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, 145.

5 Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 1.

6 Lett. ap. Octogesima adveniens, 21.

7 Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 10.

8 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 32.

9 Catechismo della Chiesa Cattolica, 295.

10 ERACLITO DI EFESO (535 a.C. ca – 475 a.C. ca), Frammento 22B124, in H. Diels-W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidmann, Berlin 19526.

11 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 48.

12 GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 37.

13 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 50.

14 Cost. Past. Gaudium et spes, 69.

15 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34.

16 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 37.

17 PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 467; cfr PAOLO VI, Lett. enc. Populorum progressio, 17.

18 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 30-31.43.

19 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 49.

20 Ibid.

21 Cfr SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II-II, q. 49,5.

22 Cfr n. 9.

23 Cfr n. 8.

24 PAOLO VI, Lett. enc. Populorum progressio, 43.

25 Lett. enc. Caritas in veritate, 69.

26 GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 36.

27 BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 51.

28 Cfr ibid., 15.51.

29 Cfr ibid., 28.51.61: GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 38.39.

30 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 70.

 

 

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 15 dicembre 2009 –

Intervista a Giuseppe De Rita: «Il terziario senza più valori È questo a preoccupare la Chiesa»

L’intervista «Bisogna essere sinceri.
Certe volte è un po’ difficile interpretare correttamente le parole del Santo  Padre».
No, per carità, nessuna polemica.
Il professor Giuseppe De Rita è da sempre un cattolico molto attento e consapevole: quindi osservante e molto rispettoso ma anche abituato ad esprimere il suo parere con molta tranquillità e libertà intellettuale.
In che senso difficile, professore? «Perché parliamo del Pontefice della Chiesa universale.
Ed è complicato capire se si riferisca all’intero pianeta o alla crisi della civiltà occidentale, all’Africa sub-sahariana o alla vecchia Europa, o addirittura alla nostra Italia».
Fatto sta, professore, che Benedetto XVI ha proposto una riflessione sulla necessità di cambiare i nostri stili di vita…
«Come non dargli ragione? Lui stesso deve essersi reso conto di aver messo un po’ tutto in quell’elenco.
La fame, lo squilibrio tra poveri e ricchi, la carenza delle materie prime nel Pianeta, l’emergenza ecologica.
È il fascino di questi discorsi.
Ed è, insieme, il loro limite.
Cioè il non fermarsi di volta in volta su un punto, uno solo…
Mi pare chiaro che siamo tutti chiamati a mutare il modo di vivere, di modificare i consumi.
La crisi è evidente a chiunque.
Così come è chiaro che non si può continuare a consumare nel modo che abbiamo conosciuto per decenni» In questo quadro il Pontefice insiste su un punto: la rivalutazione dell’agricoltura «non in senso nostalgico ma come risorsa del futuro».
Lei, professor De Rita, pensa che sia un’esortazione realizzabile in un mondo come il nostro? «Guardi, qui mi piacerebbe soffermarmi sul caso italiano.
Il nostro è stato un Paese per secoli a tradizione agricola.
Ma ora non si può ragionevolmente immaginare un ritorno a un mondo che non c’è più.
L’agricoltura funziona, in una realtà contemporanea come quella italiana, quando si intreccia con altri tre mondi.
Cioè con la stessa industria, e allora abbiamo l’agro-industria, uno dei settori di eccellenza dell’Italia.
Quando si collega al turismo, ed eccoci all’agri-turismo, che si è ormai sviluppato ovunque, dai masi nel Trentino alle masserie pugliesi».
Infine, sottolinea De Rita, c’è un’altra realtà: «Quel tipo di agricoltura che si intreccia con la realtà urbana.
Parlo delle coltivazioni curate dai pendolari, dai pensionati che hanno comprato un piccolo terreno e lo coltivano.
Come si vede osservando queste tre diramazioni, se si dice “agricoltura” in Italia non si indica più una zona economica composta da poveracci e da emarginati sociali.
Forse, qualche difficoltà possono averla quei coltivatori a lungo “protetti” dagli incentivi dell’Unione Europea.
Ma non è una realtà così corposa da trasformarsi in fenomeno sociale».
Una piccola pausa: «Certo, se l’analisi del Papa va poi applicata, come dicevo, a quelle aree africane semidesertiche dove l’agricoltura è una necessità primaria ma stenta, per ragioni climatiche e geologiche, a sfamare le popolazioni, il discorso cambia radicalmente…» Un dubbio.
Il richiamo dell’Angelus di ieri non svela forse quell’antico sospetto con cui la Chiesa sembra aver guardato per decenni alla civiltà industriale? Non c’è veramente il rimpianto per il mondo agricolo regolato da leggi morali precise? «Ritengo che a pensarla così sia rimasto solo qualche parroco in pensione novantacinquenne di chissà quale piccolo paese….
In realtà mi pare che dalle parole del Santo Padre emerga un’altra questione.
Cioè che la Chiesa vede concludersi un mondo “certo”, sicuro, cioè il grande sviluppo legato all’industria così come l’abbiamo conosciuta.
E di conseguenza si interroga sulla nuova zona di incertezza sociale costituita oggi da un terziario dove inevitabilmente vince il personalismo e la soggettività.
Ed è in quell’area che affondano le radici del relativismo contemporaneo e quindi della secolarizzazione.
Lì tutto diventa opinabile…
E la Chiesa, giustamente, si preoccupa».
in “Corriere della Sera” del 15 novembre 2010

62ma Assemblea generale dei vescovi italiani

La 62ª Assemblea Generale della CEI si è aperta nel pomeriggio dell’8 novembre 2010, ad Assisi, con la prolusione del Card.
Angelo Bagnasco, Presidente della CEI.
Subito dopo il Nunzio Apostolico in Italia, S.E.
Mons.
Giuseppe Bertello, ha letto ai Vescovi il saluto del Papa.
Il giorno seguente, dopo la Celebrazione Eucaristica nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, si è passati all’esame della prima parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale Romano.
Il 10 novembre il Presidente della CEI presiederà la celebrazione eucaristica nella Basilica Inferiore di Assisi.
La riflessione dei Vescovi si porterà poi sul ruolo e i rapporti fra le Chiese e l’Unione Europea.
Sarà presentata una proposta di rilancio delle erogazioni liberali per il sostentamento del clero e il Libro bianco informatico delle opere realizzate grazie all’otto per mille.
Saranno fornite informazioni circa lo stato di avanzamento della rilevazione delle opere sanitarie e sociali ecclesiali in Italia, la XXVI Giornata mondiale della gioventù (Madrid, 16-21 agosto 2011), il XXV Congresso Eucaristico Nazionale (Ancona, 3-11 settembre 2011), il VII Incontro mondiale delle famiglie (Milano, 30 maggio – 3 giugno 2012).
Suddivisi in piccoli gruppi, i Vescovi si confronteranno sulle proposte di attuazione pratica degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, recentemente pubblicati.
   Comunicato Stampa 62a Assemblea Generale CEI.doc    Prolusione card.
Bagnasco
   Messaggio Benedetto XVI    Omelia Card.
Bagnasco
 Crociata: «Vescovi vicini al sentire della gente» Crociata: attenzione maggiore per la famiglia I vescovi italiani reclamano «un’attenzione maggiore e una cura più grande» nei confronti delle famiglia in una situazione economica nella quale «rischiano di essere quelle più dimenticate».
E ricordano che le scelte elettorali dei cattolici debbono basarsi su una attenta vautazione «delle prese di posizione e delle iniziative» dei partiti, nella quale il criterio suggerito dalla Chiesa è quello «culturale e valoriale, più e prima che direttamente politico».
Lo afferma il segretario della Cei,mons.
Mariano Crociata,  che nella prima conferenza stampa ad Assisi per fare il punto sui lavoro dell’assemblea della Conferenza episcopale, ha ricordato che la Cei è preoccupata per «i problemi concreti, quelli del lavoro, della disoccupazione, un dramma di cui le famiglie si fanno carico in tanti modi non trovando sostegno altrove».
Crociata ha sottolineato anche che  «chi è più in evidenza, chi sta più in primo piano ha un’incidenza maggiore, sul piano della comunicazione, per lo stile di vita e i valori».
Ma ha tenuto a prendere le distanze dalla ricerca di «capri espiatori» nell’uno o nell’altro dei partiti: «ad avere una rilevanza pubblica, a proiettare un’immagine pubblica siamo in tanti, a diversi livelli.
Anche noi vescovi, voi giornalisti, i vostri direttori».
«Solo così – ha scandito – il nostro discorso non è moralismo ma richiamo alle gravi responsabilità che tutti abbiamo nei confronti della collettività».
No allo scaricabarile delle responsabilità «Potrà apparire troppo generico, spero non qualunquistico – ha aggiunto il vescovo – ma ritengo che il senso della democrazia sia proprio questo sentirci tutti corresponsabili, anche se non nella stessa misura e modo».
«Se tante cose non funzionano – ha aggiunto – è perchè continuiamo a fare questo gioco di scarico delle responsabilità, la ricerca di un solo responsabile, di un capro espiatorio.
La prospettiva di un’antropologia negativa, di un cambiamento costume degli italiani è una cosa che tocca profondamente noi vescovi, una cosa che ci diciamo tra preti.
Ma dobbiamo anche dirci – ha detto ancora Crociata – che tutto questo non è il prodotto di una sola causa, per quanto le cause non sono tutte uguali.
Dobbiamo essere onesti nel guardare a tutte le cause nella loro articolazione, perchè solo così riusciremo ad affrontare i problemi».
Quanto alla nuova leva di politici cattolici richiesta da Benedetto XVI, Crociata ha confermato l’impegno della Chiesa per la formazione dei cattolici impegnati in politica che, ha detto, «deve essere rivisitato e riformulato nel nostro tempo che chiede risposte sempre nuove», mentre fin da subito «ci sono persone che hanno responsabilità pubblica ed hanno bisogno di essere accompagnati come credenti impegnati in politica.
Una presenza che – ha assicurato il presule – non vogliamo trascurare insieme all’accompagnamento di chi va avanti».
Vescovi vicini al sentire della gente I vescovi riuniti ad Assisi per la loro Assemblea straordinaria «si ritrovano – dunque – nell’orizzonte tracciato dal card.
Angelo Bagnasco nella sua prolusione di ieri con varietà e vivacità di voci ma con intento unitario e costante che trova nel magistero del Santo Padre un punto sentito di unità e di accordo».
Anche se è emersa, e non poteva essere altrimenti, una «varietà di sensibilità nell’unitarietà della premura» in quanto come è noto anche all’interno dell’Episcopato italiano oggi «lo spettro di sensibilità è abbastanza variegato».
Tutti i vescovi, comunque, «sono preoccupati di trovare nella radice pastorale del loro ministero la motivazione da cui partire e da tenere sempre presente per guardare ai problemi sociali, economici e culturali che il paese vive e che tutti stiamo attraversando».
Essi, del resto, «vivono un rapporto diretto con il territorio e la gente.
I loro interventi sono il riflesso della riflessione su quanto hanno ascoltato dal cardinale presidente Bagnasco e sui problemi di carattere nazionale, ma, nello stesso tempo, sono espressione di un’esperienza che raccoglie le domande, le attese, i problemi che la gente delle tante diocesi d’Italia si trova a vivere in una sintesi che permette di cogliere una nazione reale, un popolo cristiano molto unitario ma anche con molta complessità e varietà dei mille territori e comuni in cui si articola il Paese».
Ieri la prolusione del cardinale Bagnasco «La politica deve interessare i cattolici, e deve entrare nella loro mentalità un’attitudine a ragionare delle questioni politiche senza spaventarsi dei problemi seri che oggi, non troppo diversamente da ieri, sono sul tappeto».
È questo uno dei passi salienti della prolusione tenuta del card.
Angelo Bagnasco, presidente della Cei, alla 62ma Assemblea generale dei vescovi italiani, che si è aperta ieri, lunedì, ad Assisi, fino all’11 novembre.
Nel testo, il cardinale esorta i cattolici ad adottare in politica «un giudizio morale che non sia esclusivamente declamatorio, ma punti ai processi interni delle varie articolazioni e responsabilità sociali e istituzionali».
«Famiglie in difficoltà, adulti che sono estromessi dal sistema, giovani in cerca di occupazione stabile anche in vista di formare una propria famiglia»: queste, per il card.
Bagnasco, le «situazioni che continuano a farsi sentire», in tempo di crisi.
Di qui la richiesta che «le riforme in agenda siano istruite nelle maniere utili», in modo da assicurare «maggiore stabilità per il Paese intero».
Per quanto riguarda la «scena politica», il presidente della Cei parla di «caduta di qualità, che va soppesata con obiettività, senza sconti e senza strumentalizzazioni, se davvero si hanno a cuore le sorti del Paese, e non solamente quelle della propria parte».
  «Se la gente perde fiducia nella classe politica, fatalmente si ritira in se stessa», l’ammonimento della Cei, che in politica raccomanda una «tensione necessaria tra ideali personali, valori oggettivi e la vita vissuta, tra loro profondamente intrecciati».
Per i vescovi italiani, «non è più tempo di galleggiare», perché il rischio «è che il Paese si divida non tanto per questa o quella iniziativa di partito, quanto per i trend profondi che attraversano l’Italia e che, ancorandone una parte all’Europa, potrebbero lasciare indietro l’altra parte.
Il che sarebbe un esito infausto per l’Italia, proprio nel momento in cui essa vuole ricordare – a 150 anni dalla sua unità – i traguardi e i vantaggi di una matura coscienza nazionale».
Il presidente della Cei chiede quindi un «esame di coscienza» e propone di «convocare ad uno stesso tavolo governo, forze politiche, sindacati e parti sociali e, rispettando ciascuno il proprio ruolo ma lasciando da parte ciò che divide, approntare un piano emergenziale sull’occupazione».
«Grande vicinanza», poi, nei confronti delle «popolazioni che di recente sono state colpite da esondazioni e allagamenti».
«Calamità naturali», ma anche «incuria e imperizia troppo spesso riservate all’habitat umano» dimostrano che l’Italia ha bisogno «di un piano puntuale di messa in sicurezza del territorio», cui va data priorità.
Aspettarci che i cattolici circoscrivano il loro apporto nell’ambito sempre importante della carità – ha ribadito il presidente della Cei – significa scadere in una visione utilitaristica, quando non anche autoritaria.
I cattolici non possono consegnarsi all’afasia, ideologica o tattica: se lo facessero tradirebbero le consegne di Gesù ma anche le attese specifiche di ogni democrazia partecipata.
«Dobbiamo muoverci senza complessi di inferiorità», questa l’esortazione del card.
Bagnasco: «Siamo, e come, interessati alla vita della società; in essa ci si coinvolge con stile congruo, ma a determinarci non solo l’istinto di far da padroni né le logiche di mera contrapposizione».
Di qui l’invito a reagire al «conformismo»: «Se i credenti conoscono solo le parole del mondo, e non dispongono all’occorrenza di parole diverse e coerenti, verranno omologati alla cultura dominante o creduta tale, e finiranno per essere anche culturalmente irrilevanti».
«La mitezza non è scambiabile con la mimetizzazione, l’opportunismo, la facile dimissione dal compito», ha proseguito il cardinale, che ha esortato a salvare «l’autonomia della coscienza credente rispetto alle pressioni pubblicitarie, ai ragionamenti di corto respiro, ai qualunquismi, alle lusinghe».
Cattolici «scomodi»? Talvolta forse sì, ma «non per posa o per pregiudizio, quanto per sofferta, umile, serena coerenza».
Infine Bagnasco chiede un «piano emergenziale sull’occupazione» messo a punto da governo, forze politiche, sindacati e parti sociali in spirito di collaborazione.
«È possibile – chiediamo rispettosi – convocare ad uno stesso tavolo governo, forze politiche, sindacati e parti sociali e, rispettando ciascuno il proprio ruolo ma lasciando da parte ciò che divide, approntare un piano emergenziale sull’occupazione? Sarebbe un segno – osserva Bagnasco – che il Paese non potrebbe non apprezzare».
Il messaggio del Papa: nella famiglia si plasma il volto di un popolo È all’interno della famiglia «che si plasma il volto di un popolo».
Per questo «è quanto mai opportuna» la scelta dei vescovi italiani di «chiamare a raccolta intorno alla responsabilità educativa tutti coloro che hanno a cuore la città degli uomini e il bene delle nuove generazioni».
E di porre questa «alleanza» accanto alla famiglia, al fine di riconoscerne e sostenerne «il primato educativo».
Lo scrive il Papa nel messaggio inviato ieri all’Assemblea dei vescovi italiani riuniti ad Assisi e letto in aula dal nunzio in Italia, monsignor Giuseppe Bertello.

Iraq, attentati contro cristiani

Secondo una fonte del ministero della Difesa iracheno, le vittime degli attacchi alle abitazioni dei cristiani a Baghdad nelle ultime 24 ore è di “sei morti e 33 feriti”.
Gli attentati hanno preso di mira anche una “chiesa, che è rimasta danneggiata”.
Diverge il bilancio anche sugli attentati di ieri sera: secondo il vicario episcopale siro-cattolico Mons.
Pios Kasha, nei attacchi contro tre abitazioni dei cristiani sono rimasti ferite tre persone, tra i quali un bimbo di quattro mesi.
Una fonte del ministero dell’Interno aveva riferito invece che gli attacchi, con ordigni artigianali, non avevano provocato vittime.
Gli attacchi arrivano dieci giorni dopo il massacro nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad, costato la vita a 46 civili, fra cui due preti, e a sette agenti delle forze di sicurezza.
L’attentato è stato rivendicato dall’ala irachena di al Qaida, che aveva poi minacciato di colpire ancora i cristiani.
   La comunità cristiana di Baghdad, che contava 450 mila fedeli nel 2003, prima del rovesciamento del regime di Saddam Hussein, è ora calata a 150 mila a causa di un massiccio esodo verso i Paesi vicini, l’Europa, il Nord America e l’Australia.
L’appello dell’arcivescovo di Baghdad.
Un accorato appello al Papa, alla Chiesa universale e alla comunità internazionale è stato lanciato attraverso l’agenzia vaticana Fides, da monsignor Atanase Matti Shaba Matoka, arcivescovo siro-cattolico di Baghdad,  “Il terrore – ha detto Matoka – bussa alle nostre porte.
Vogliono cacciarci via, e ci stanno riuscendo.
Il paese è in preda alla distruzione e al terrorismo.
I cristiani soffrono sempre più e vogliono abbandonare il paese.
Non abbiamo più parole”.
Nonostante i proclami, il governo non fa nulla per fermare quest’ondata di violenza che ci travolge – denuncia l’arcivescovo – Ci sono poliziotti davanti alle chiese, ma oggi sono le case dei nostri fedeli a essere aggredite.
Sono state colpite famiglie cristiane caldee, siro-cattoliche, assire e di altre confessioni, nel distretto di Doura”.
Quindi ha affermato: “Un profondo sconforto avvolge la nostra comunità.
L’ondata di attacchi è sempre più forte.
Dieci giorni fa la strage nella nostra cattedrale.
Oggi hanno colpito le nostre case.
Le famiglie piangono, tutti vogliono fuggire.
È terribile”.
Bertone.
Il segretario di Stato vaticano, card.
Tarcisio Bertone, auspica che “le autorità irachene prendano in seria considerazione” la situazione dei cristiani nel Paese, dopo la nuova ondata di attacchi a Baghdad questa mattina.
Rispondendo alle domande dei giornalisti a margine della presentazione a Roma del primo bilancio della fondazione della Casa sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, il “primo ministro” vaticano ha ricordato che “è una sofferenza indicibile quella delle comunità cristiane sparse nel mondo e in questo momento soprattutto in Iraq”.
L’attentato di oggi, ha proseguito, “è un fatto molto doloroso.
Stiamo riflettendo, come ha già fatto il Sinodo dei vescovi su questo grosso problema della persecuzione dei cristiani.
Questa sofferenza indicibile delle comunità cristiane sparse nel mondo è, in questo momento, soprattutto in Iraq.
Ma pensiamo anche ad altri paesi come il Pakistan e altri”.
Il Vaticano, ha spiegato Bertone, è “riconoscente perchè sia il governo francese che quello italiano hanno messo a disposizione mezzi per trasportare i feriti più gravi”.
Avvenire 9 11 2010

In visita in Spagna, Benedetto XVI

L’architetto Jordi Bonet mette a punto gli ultimi dettagli prima della visita di Benedetto XVI, domenica 7 novembre.
Sicurezza, acustica, visibilità, tutto dev’essere perfetto perché la Sagrada Familia, chiesa cattolica e monumento simbolo di Barcellona, riceva la consacrazione del papa.
In costruzione da centoventotto anni e sempre incompiuto, il luogo sarà aperto al culto (fino ad ora le messe erano celebrate nella cripta) e la chiesa diventerà basilica.
Il monumento di 4500 metri quadrati accoglierà domenica 7000 persone e 700 coristi, spiega Bonet.
È capo architetto da ventisei anni.
“Il numero sette”, precisa, in riferimento al numero di architetti che si sono succeduti dopo la morte di Gaudi nel 1926, ognuno dei quali ha seguito fedelmente le istruzioni e i plastici lasciati dal maestro.
“Non pensavo che un giorno avrei potuto vedere l’interno della chiesa terminato”, ammette commosso quest’uomo di 84 anni, prima di sottolineare l’importanza della consacrazione della chiesa.
“La gente finiva per considerarla un parco di attrazioni…”.
Ora, durante la giornata, ogni mezz’ora, tre minuti di musica d’organo verrà a ricordare ai 2,5 milioni di visitatori annuali che la Sagrada Familia è anche un luogo di preghiera.
Il completamento di quest’opera faraonica nata dall’immaginazione dell’architetto modernista catalano Antoni Gaudi dovrebbe durare ancora quindici anni: il tempo di finire la torre-lanterna centrale dedicata a Cristo, che dominerà la città, a 170 metri d’altezza.
“Gaudi era un uomo molto devoto che voleva che la sua opera riflettesse la sua fede.
Ha concepito tutto il tempio come una catechesi.
Tutto ciò che è costruito esprime e spiega il contenuto della Bibbia”, ricordano all’arcivescovado di Barcellona, che gestisce la chiesa attraverso una fondazione, alimentata da donatori privati e dalle entrate.
Ma per organizzare la visita papale, la Catalogna ha dovuto sborsare un ammontare rimasto segreto, cosa che non a tutti è piaciuta.
Giovedì circa 3000 persone hanno manifestato a Barcellona per la difesa della laicità e contro l’uso di denaro pubblico per accogliere il papa.
Il loro slogan: “Io non ti aspetto”.
Altre manifestazioni sono previste in margine alla visita: omosessuali invitati ad abbracciarsi lungo il corteo papale, conferenza sulla “Santa Mafia: l’impero economico della Chiesa”e altri raduni di femministe “peccatrici”.
A poche settimane dalle elezioni catalane, il 28 novembre, i partiti politici cercano di sfruttare politicamente l’avvenimento.
La consacrazione del monumento catalano più conosciuto al mondo serve di pretesto ai manifestanti nazionalisti.
Il sindaco di Barcellona, Joan Herreu, del Partito socialista catalano (PSC), ha invitato i suoi concittadini ad appendere ai balconi bandiere catalane.
Un manifesto catalano di sostegno e di benvenuto al papa firmato da 36 personalità, tra cui i principali dirigenti di Convergencia i Unio (CiU), partito nazionalista dato per vincitore alle prossime elezioni, è stato inserito questa settimana nel quotidiano italiano Corriere della Sera.
Ricorda che la Catalogna è “una terra con coscienza di nazione” e fa riferimento alla decisione del papa di ufficiare in catalano, oltre che in latino ed in spagnolo.
Il capo del governo, il socialista José Luis Rodriguez Zapatero, non si recherà alla messa celebrata dal papa, che incontrerà invece all’aeroporto di Barcellona, prima della sua partenza.
La legge sul matrimonio omosessuale e la recente liberalizzazione dell’aborto hanno raffreddato le relazioni tra la Chiesa e Madrid.
Sono provvedimenti che hanno fatto scendere in piazza centinaia di migliaia di cattolici, guidati da un clero rappresentato dal conservatore arcivescovo di Madrid, presidente della conferenza episcopale.
In questi due giorni, il papa non mancherà di ricordare le posizioni della Chiesa sull’aborto e sulla famiglia.
In prossimità del viaggio, il Vaticano ha tuttavia definito “corrette” le sue relazioni con il governo spagnolo.
Ma al di là delle considerazioni politiche, il papa si reca soprattutto in un paese di forte tradizione cattolica in via di scristianizzazione.
Per questo viaggio lampo sottolinea ancora una volta la sua preoccupazione per le società europee segnate da una diminuzione della pratica della fede cattolica.
Secondo il Centro di investigazione sociale (CIS), mentre l’80% degli spagnoli si dichiarava cattolico otto anni fa, oggi la fa solo il 72%; il 13% si dichiara praticante ma il 25% dice ormai di essere ateo.
E, nel 2009 il numero dei matrimoni civili ha superato per la prima volta quello dei matrimoni religiosi.
A San Giacomo di Compostela sabato, e a Barcellona domenica, Benedetto XVI avrà l’occasione di mettere in guardia contro il “laicismo” e la secolarizzazione dell’Europa, dimentica, a suo avviso, delle sue radici cristiane.
Ne ha fatto una delle priorità del suo pontificato.
Il papa tornerà in Spagna nell’agosto 2011, per celebrare le Giornate mondiali della gioventù, organizzate e Madrid in “Le Monde” del 7 novembre 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)  Iniziato da Santiago de Compostela il secondo viaggio di Benedetto XVI in Spagna Possibile in Europa l’incontro tra fede e laicità  Verità sull’uomo, libertà rispettosa, giustizia per tutti a cominciare dai più poveri:  il Papa indica alla Spagna e all’Europa le coordinate su cui edificare il presente e progettare il futuro.
Da Santiago de Compostela, dove è giunto sabato mattina, 6 novembre, Benedetto XVI rilancia la sua convinzione che l’uomo europeo non debba chiudersi nell’orizzonte ristretto del contingente ma aprirsi alla trascendenza, preoccupandosi delle necessità materiali, di quelle morali e sociali, di quelle spirituali e religiose.
Perché – dice al suo arrivo nel capoluogo galiziano – “tutte queste sono esigenze autentiche dell’uomo” e solo in questo modo “si opera in modo efficace, integro e fecondo per il suo bene”.
Così il Papa entra subito nel vivo di un viaggio che egli stesso si incarica di spiegare e di motivare ai giornalisti in volo verso la Spagna.
Si tratta di un cammino – rivela – alla ricerca della fede, per ritrovare in essa il senso della bellezza espresso nella sua forma più alta dall’arte.
Un itinerario che dimostra la possibilità per la fede stessa di entrare in contatto con il mondo di oggi.
“Essere in cammino – confida – è iscritto nella mia biografia”.
Nelle risposte alle domande poste a nome dei cronisti dal direttore della Sala Stampa della Santa Sede, il gesuita Federico Lombardi, il Pontefice anticipa le tematiche delle due fitte giornate in terra spagnola:  il senso del pellegrinaggio; il significato della consacrazione della basilica della Sagrada Familia, capolavoro di Antoni Gaudí; le difficoltà che attraversa l’istituzione familiare; l’efficacia del binomio fede e cultura; la nuova evangelizzazione dell’Europa.
In particolare Benedetto XVI indica nell’esperienza del pellegrinaggio il paradigma della vita dell’uomo alla continua ricerca di Dio.
Essere pellegrino – afferma – è l’essenza della nostra fede.
In questa prospettiva, l’itinerario compostelano è significativo perché ricorda i passi delle moltitudini di fedeli che hanno diffuso la fede cristiana in Europa e, in un certo senso, l’hanno profondamente rinnovata.
Così anche oggi – aggiunge il Papa – si avverte il bisogno di ritrovarsi, di camminare insieme per riscoprire Dio e rinnovare il vecchio continente.
Della necessità di “segni” per il nostro tempo il Pontefice parla riferendosi in particolare alla consacrazione della Sagrada Familia a Barcellona.
E ricorda che tra i motivi ispiratori del genio di Gaudí c’era la volontà di operare una sintesi fra continuità e novità, fra tradizione e creatività.
Il grande architetto catalano – sottolinea – ha avuto il coraggio di inserirsi nella tradizione artistica delle grandi cattedrali e di tradurla in splendida novità, racchiudendo nella sua opera natura, Scrittura e liturgia.
In questo processo di rinnovamento nella continuità si inserisce anche la famiglia, che oggi – riconosce il Papa – ha bisogno di essere rinnovata nella fedeltà alla sua essenza di cellula fondamentale della società.
Proprio per il suo ruolo specifico, essa rappresenta il nucleo fondamentale intorno al quale ricostruire una convivenza civile dove non ci sia spazio per contrapposizioni artificiose tra religione e società.
Per il futuro dell’uomo – si dice certo Benedetto XVI – occorre un incontro e non uno scontro tra fede e laicità, anche laddove le spinte della secolarizzazione si avvertono in forme più aggressive.
Una persuasione, questa, ribadita successivamente durante la visita alla cattedrale compostelana.
La Chiesa – assicura il Papa – “desidera servire con tutte le sue forze la persona umana e la sua dignità”, consapevole che la verità è la condizione per un’autentica libertà.
Servire i fratelli infatti – ribadisce nel pomeriggio celebrando la messa nella piazza dell’Obradoiro – non è per il cristiano una semplice opzione ma una parte essenziale del proprio essere.
Da qui l’appello all’Europa perché sia capace di aprirsi alla trascendenza e alla fraternità:  solo avendo cura di Dio, infatti, si può anche avere cura dell’uomo.
(©L’Osservatore Romano – 7 novembre 2010)   In cammino Il viaggio in Spagna di Benedetto XVI esprime simbolicamente la realtà più profonda degli itinerari che il vescovo di Roma compie nel mondo.
A dirlo è stato il Papa stesso, nel consueto incontro con i giornalisti, durante il volo che l’ha portato a Santiago de Compostela, quando ha ricordato che il cammino – iscritto nella sua biografia personale già con le tappe in diverse università tedesche – rappresenta l’esperienza di ogni credente.
Nell’instabilità inevitabile della vita e nel passaggio su questo mondo, la fede è infatti innanzi tutto pellegrinaggio, espresso, per chi crede, dalla figura esemplare di Abramo.
Nel medioevo, i diversi cammini di Compostela – quella “via lattea” sulla terra indicata in cielo dal biancore delle stelle – hanno formato spiritualmente l’Europa.
E anche oggi il camino è percorso da chi affronta il pellegrinaggio (o semplicemente la via) per dare il rituale abbraccio al señor Santiago e così lasciarsi abbracciare da Dio stesso.
Come ha fatto il Pontefice nella meravigliosa cattedrale romanica e barocca profumata dall’incenso del botafumeiro, pellegrino insieme a tantissimi altri nella storia e nell’attualità, in un continente e in un mondo che tante volte sembrano dimentichi di Dio ma in realtà ne hanno nostalgia.
Nella visione del Papa infatti il cammino indica proprio questo:  l’uscita dalla quotidianità e dalla logica dell’utile, per trascenderle e trovare una nuova libertà.
Tra Santiago e Barcellona – dove svettano le guglie della Sagrada Familia – il nuovo itinerario di Benedetto XVI si muove fra tradizione e rinnovamento creativo, tra verità e bellezza, secondo la dinamica espressa in modo mirabile e visionario da Antoni Gaudí nel tempio espiatorio a cui lavorò per tutta la vita.
L’edificio, la cui consacrazione è all’origine dell’itinerario papale, è nato dalla devozione ottocentesca a san Giuseppe (il patrono di Joseph Ratzinger) e alla Sacra Famiglia, e anche oggi esprime nell’arte la centralità e l’importanza dell’istituzione familiare, realtà importante non solo per i cattolici, ma per l’intera società, che su di essa si fonda.
Se la ricerca dell’incontro tra fede e arte, parallelo a quello tra fede e ragione, segna la storia cristiana sin dai primi secoli, restando urgente nel tormentato panorama della contemporaneità, a un altro incontro – ha detto il Papa ai giornalisti – deve guardare oggi la Chiesa nel mondo occidentale caratterizzato dal secolarismo:  è quello tra fede e laicità.
In molti Paesi europei, come nella Spagna di oggi, superando la logica dello scontro prevalsa in alcuni periodi dell’Ottocento e del Novecento e che talvolta si riaccende nell’intolleranza.
Ha naturalmente colpito la circostanza di questo ritorno in Spagna di Benedetto XVI dopo la visita a Valencia nel 2006, e mentre già si prepara la giornata mondiale della gioventù di Madrid.
Un segno di amore per il Paese lo ha definito il Papa, sottolineando che le circostanze di questi viaggi mostrano una realtà più profonda:  la forza e il dinamismo attuali della fede in una terra storicamente cristiana.
Il Paese, che nel Cinquecento con “una pleiade di grandi santi” ha saputo rinnovare e dare forma al cattolicesimo moderno, vuole oggi continuare a proporre la via di Cristo, nell’ottica di una “universalità senza confini” rappresentata da Compostela, che nel medioevo era alle sponde dell’oceano, finis terrae.
Per questo il vescovo di Roma, accolto da un calore che ha dissipato la nebbia autunnale, prosegue nella comunione della Chiesa il suo cammino.
g. m. v.
(©L’Osservatore Romano – 7 novembre 2010)   La cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Santiago de Compostela La Chiesa è trasparenza di Cristo in mezzo agli uomini Benedetto XVI è giunto nella mattina di sabato 6 novembre a Santiago de Compostela, prima tappa del suo diciottesimo viaggio internazionale.
Il velivolo con a bordo il Papa è atterrato intorno alle 11.20 all’aeroporto internazionale della città galiziana, dove si è svolta la cerimonia di benvenuto.
Dopo il saluto rivoltogli dal principe delle Asturie, il Pontefice ha pronunciato il primo discorso in terra spagnola.
Eccone qui di seguito il testo.
Pubblichiamo una nostra traduzione italiana del discorso del Papa.
Altezze Reali, Distinte Autorità Nazionali, Regionali e Locali, Signor Arcivescovo di Santiago di Compostela, Signor Cardinale Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, Signori Cardinali e Fratelli nell’Episcopato, Cari fratelli e sorelle, Amici tutti.
Grazie, Altezza, per le deferenti parole che mi ha rivolto a nome di tutti, e che sono l’eco profondo dei sentimenti di affetto verso il Successore di Pietro dei figli e delle figlie di queste nobili terre.
Saluto cordialmente coloro che sono qui presenti e tutti quelli che si uniscono a noi attraverso i mezzi di comunicazione sociale, ringraziando anche quanti hanno collaborato generosamente, ai diversi livelli ecclesiale e civile, perché questo breve ma intenso viaggio a Santiago di Compostela e Barcellona sia molto fruttuoso.
 Nel più profondo del suo essere, l’uomo è sempre in cammino, è alla ricerca della verità.
La Chiesa partecipa a questo anelito profondo dell’essere umano e si pone essa stessa in cammino, accompagnando l’uomo che anela alla pienezza del proprio essere.
Allo stesso tempo, la Chiesa compie il proprio cammino interiore, quello che la conduce attraverso la fede, la speranza e l’amore, a farsi trasparenza di Cristo per il mondo.
Questa è la sua missione e questo è il suo cammino:  essere sempre più, in mezzo agli uomini, presenza di Cristo, “il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 30).
Perciò, anch’io mi sono messo in cammino per confermare nella fede i miei fratelli (cfr.
Lc 22, 32).
Vengo come pellegrino in questo Anno Santo Compostelano e porto nel cuore lo stesso amore a Cristo che spingeva l’Apostolo Paolo a intraprendere i suoi viaggi, con l’anelito di giungere anche in Spagna (cfr.
Rm 15, 22-29). Desidero unirmi così alla grande schiera di uomini e donne che, lungo i secoli, sono venuti a Compostela da tutti gli angoli della Penisola Iberica e d’Europa, e anzi del mondo intero, per mettersi ai piedi di san Giacomo e lasciarsi trasformare dalla testimonianza della sua fede.
Essi, con le orme dei loro passi e pieni di speranza, andarono creando una via di cultura, di preghiera, di misericordia e di conversione, che si è concretizzata in chiese e ospedali, in ostelli, ponti e monasteri.
In questa maniera, la Spagna e l’Europa svilupparono una fisionomia spirituale marcata in modo indelebile dal Vangelo.
Proprio come messaggero e testimone del Vangelo, andrò anche a Barcellona, per rinvigorire la fede del suo popolo accogliente e dinamico.
Una fede seminata già agli albori del cristianesimo, e che germinò e crebbe al calore di innumerevoli esempi di santità, dando origine a tante istituzioni di beneficienza, cultura ed educazione.
Fede che ispirò il geniale architetto Antoni Gaudí a intraprendere in quella città, con il fervore e la collaborazione di molti, quella meraviglia che è la chiesa della Sacra Famiglia.
Avrò la gioia di dedicare quella chiesa, nella quale si riflette tutta la grandezza dello spirito umano che si apre a Dio.
Provo una gioia profonda nell’essere di nuovo in Spagna, che ha dato al mondo una moltitudine di grandi Santi, fondatori e poeti, come Ignazio di Loyola, Teresa di Gesù, Giovanni della Croce, Francesco Saverio, fra tanti altri; Spagna che nel secolo xx ha suscitato nuove istituzioni, gruppi e comunità di vita cristiana e di azione apostolica e, negli ultimi decenni, cammina in concordia e unità, in libertà e pace, guardando al futuro con speranza e responsabilità.
Mossa dal suo ricco patrimonio di valori umani e spirituali, cerca pure di progredire in mezzo alle difficoltà e offrire la sua solidarietà alla comunità internazionale.
Questi apporti e iniziative della vostra lunga storia, e anche di oggi, insieme al significato di questi due luoghi della vostra bella geografia che visiterò in questa occasione, mi spronano ad allargare il mio pensiero a tutti i popoli di Spagna e d’Europa.
Come il Servo di Dio Giovanni Paolo ii, che da Compostela esortò il Vecchio Continente a dare nuovo vigore alle sue radici cristiane, anch’io vorrei esortare la Spagna e l’Europa a edificare il loro presente e a progettare il loro futuro a partire dalla verità autentica dell’uomo, dalla libertà che rispetta questa verità e mai la ferisce, e dalla giustizia per tutti, iniziando dai più poveri e derelitti.
Una Spagna e un’Europa non solo preoccupate delle necessità materiali degli uomini, ma anche di quelle morali e sociali, di quelle spirituali e religiose, perché tutte queste sono esigenze autentiche dell’unico uomo e solo così si opera in modo efficace, integro e fecondo per il suo bene.
Cari amici, vi ripeto la mia gratitudine per il vostro cordiale benvenuto e la vostra presenza in questo aeroporto.
Rinnovo il mio affetto e la mia vicinanza agli amatissimi figli di Galizia, di Catalogna e degli altri popoli della Spagna.
Nell’affidare all’intercessione di san Giacomo Apostolo la mia presenza tra voi, supplico Dio che giunga a tutti la sua benedizione.
Molte grazie.
(©L’Osservatore Romano – 7 novembre 2010)   La visita di Benedetto XVI alla cattedrale di Santiago de Compostela Senza verità non c’è autentica libertà Nella tarda mattinata di sabato 6 novembre il Papa ha visitato la cattedrale di Santiago de Compostela, per pregare davanti alla tomba dell’apostolo Giacomo.
Dopo il saluto rivoltogli dall’arcivescovo Julián Barrio Barrio, il Pontefice ha pronunciato il seguente discorso.
Di seguito una nostra traduzione italiana del discorso del Papa.
Signori Cardinali, Cari Fratelli nell’Episcopato, Distinte Autorità, Cari sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose, Cari fratelli e sorelle, Amici tutti.
Ringrazio Monsignor Julián Barrio Barrio, Arcivescovo di Santiago di Compostela, per le cortesi parole che mi ha appena rivolto e alle quali rispondo con piacere, salutando tutti con affetto nel Signore e ringraziandovi per la vostra presenza in questo luogo così significativo.
Andare in pellegrinaggio non è semplicemente visitare un luogo qualsiasi per ammirare i suoi tesori di natura, arte o storia.
Andare in pellegrinaggio significa, piuttosto, uscire da noi stessi per andare incontro a Dio là dove Egli si è manifestato, là dove la grazia divina si è mostrata con particolare splendore e ha prodotto abbondanti frutti di conversione e santità tra i credenti.
I cristiani andarono in pellegrinaggio, anzitutto, nei luoghi legati alla passione, morte e resurrezione del Signore, in Terra Santa.
Poi a Roma, città del martirio di Pietro e Paolo, e anche a Compostela, che, unita alla memoria di san Giacomo, ha accolto pellegrini di tutto il mondo, desiderosi di rafforzare il loro spirito con la testimonianza di fede e amore dell’Apostolo.
In questo Anno Santo Compostelano, come Successore di Pietro, ho voluto anch’io venire in pellegrinaggio alla Casa del “Señor Santiago” (san Giacomo ndt.), che si appresta a celebrare l’anniversario degli ottocento anni dalla sua consacrazione, per confermare la vostra fede e ravvivare la vostra speranza, e per affidare all’intercessione dell’Apostolo i vostri aneliti, fatiche e opere per il Vangelo.
Nell’abbracciare la sua venerata immagine, ho pregato anche per tutti i figli della Chiesa, che ha la sua origine nel mistero di comunione che è Dio.
Mediante la fede, siamo introdotti nel mistero di amore che è la Santissima Trinità.
Siamo, in un certo modo, abbracciati da Dio, trasformati dal suo amore.
La Chiesa è questo abbraccio di Dio nel quale gli uomini imparano anche ad abbracciare i propri fratelli, scoprendo in essi l’immagine e somiglianza divina, che costituisce la verità più profonda del loro essere, e che è origine della vera libertà.
Tra verità e libertà vi è una relazione stretta e necessaria.
La ricerca onesta della verità, l’aspirazione ad essa, è la condizione per un’autentica libertà.
Non si può vivere l’una senza l’altra.
La Chiesa, che desidera servire con tutte le sue forze la persona umana e la sua dignità, è al servizio di entrambe, della verità e della libertà.
Non può rinunciare ad esse, perché è in gioco l’essere umano, perché la spinge l’amore all’uomo, “il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa” (Gaudium et spes, 24), e perché senza tale aspirazione alla verità, alla giustizia e alla libertà, l’uomo si perderebbe esso stesso.
Permettetemi che da Compostela, cuore spirituale della Galizia e, allo stesso tempo, scuola di universalità senza confini, esorti tutti i fedeli di questa cara Arcidiocesi, e tutti quelli della Chiesa in Spagna, a vivere illuminati dalla verità di Cristo, professando la fede con gioia, coerenza e semplicità, in casa, nel lavoro e nell’impegno come cittadini.
Che la gioia di sentirvi figli amati di Dio vi spinga anche ad una amore sempre più profondo per la Chiesa, collaborando con essa nella sua opera di portare Cristo a tutti gli uomini.
Pregate il Padrone della messe, perché molti giovani si consacrino a questa missione nel ministero sacerdotale e nella vita consacrata:  oggi, come sempre, vale la pena dedicarsi per tutta la vita a proporre la novità del Vangelo.
Non voglio concludere senza prima esprimere felicitazione e ringraziamento a tutti i cattolici spagnoli per la generosità con la quale sostengono tante istituzioni di carità e di promozione umana.
Non stancatevi di mantenere queste opere, che apportano beneficio a tutta la società, e la cui efficacia si è manifestata in modo speciale nell’attuale crisi economica, così come in occasione delle gravi calamità naturali che hanno colpito vari Paesi.
Con questi sentimenti, prego l’Altissimo che conceda a tutti l’audacia che ebbe san Giacomo per essere testimone di Cristo Risorto, e così rimaniate fedeli nei cammini della santità e vi spendiate per la gloria di Dio e il bene dei fratelli più abbandonati.
Molte grazie.
(©L’Osservatore Romano – 7 novembre 2010)   All’arrivo in Galizia l’incontro con il principe ereditario e la preghiera sulla tomba dell’apostolo Giacomo Alla sorgente del fiume di spiritualità che ha reso fertile l’Europa cristiana dal nostro inviato Mario Ponzi Benedetto XVI vive a Santiago de Compostela un’emozione che ha radici antiche.
Nella città di san Giacomo, ai piedi della “Collina della Gioia”, il monte Gozo, nel cuore della Galizia, ha pregato alla sorgente di quel fiume di spiritualità che ha reso fertile l’anima cristiana dell’Europa.
Una fonte alla quale da decenni giungono schiere di fedeli, seguendo un cammino divenuto patrimonio storico dell’umanità.
Essere a Santiago de Compostela per il Papa significa però anche vivere uno di quei ricordi che, come spesso gli accade, lo rimandano alla sua gioventù.
Con suo fratello, monsignor Georg Ratzinger, aveva più volte progettato di percorrere insieme il cammino di Santiago:  un progetto mai giunto a compimento per motivi diversi.
Indubbiamente c’era anche questo nella soddisfazione mostrata dal Papa mentre serrava le braccia attorno al busto della grande statua di san Giacomo.
Un gesto usuale per ogni pellegrino che viene a Santiago.
Come usuale è nella cripta compostelana il riecheggiare della preghiera della Chiesa universale, modulata sulle rime di quella elevata in questo stesso luogo il  7 novembre 1982 da Giovanni Paolo ii:  “Veniamo qui come pellegrini di tutti i cammini del mondo.
Ora vieni con noi all’incontro di tutti i popoli.
Europa ritrova te stessa”.
Ed è forse proprio in questa preghiera il significato più profondo delle poco meno di otto ore che il Papa trascorre in terra galiziana.
 È un viaggio eminentemente pastorale quello iniziato sabato mattina 6 novembre, da Benedetto XVI.
Oltre Santiago de Compostela – dove con la sua presenza il Papa ha inteso onorare la ricorrenza del giubileo giacobeo celebrato il 25 luglio scorso – c’è Barcellona, pronta a vivere una cerimonia attesa da decenni, la consacrazione del simbolo cattolico della Catalogna, la Sagrada Familia.
Il protocollo stesso della visita è stato concepito in modo snello.
Accompagnano Benedetto XVI, oltre al segretario di Stato Tarcisio Bertone, i cardinali spagnoli di curia Cañizares Llovera, Martínez Somalo e Herranz Casado; il sostituto, arcivescovo Filoni; i monsignori Gänswein, segretario particolare, Xuereb, della segreteria particolare; Chica Arellano, officiale della segreteria di Stato; Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche, con i cerimonieri Krajewski e Karcher; il gesuita Federico Lombardi, il medico personale del Pontefice Polisca; l’organizzatore dei viaggi papali Gasbarri e il direttore del nostro giornale.
All’aeroporto internazionale di Lavacolla – dove il velivolo con a bordo il Papa è atterrato attorno alle 11.20 di sabato – Benedetto XVI è stato accolto dal principe delle Asturie Felipe, con la consorte.
Già dalle prime parole, pronunciate all’aeroscalo, il Papa ha lasciato intuire il senso del suo pellegrinare fino a questo luogo, un tempo ritenuto finis terrae.
Parla alla Spagna e all’Europa.
Le invita a edificare il presente e a progettare il futuro “a partire dalla verità autentica dell’uomo, dalla libertà che rispetta questa verità e mai la ferisce”.
Il Papa ribadisce così lo stretto rapporto tra verità e libertà, da lui stesso più volte sottolineato a cominciare dalle pagine della Caritas in veritate, per ripetere che la Chiesa abbraccia entrambe “per servire con tutte le sue forze l’uomo e la sua dignità”.
Un concetto che il Pontefice ha ripetuto più tardi nella cattedrale di Santiago, dove è giunto dopo aver percorso undici chilometri in papamobile, accompagnato dall’arcivescovo Barrio Barrio, dal nunzio apostolico in Spagna, arcivescovo Fratini, e dal presidente della Conferenza episcopale spagnola, il cardinale Rouco Varela.
Lungo il percorso sino a Piazza dell’Immacolata – il luogo del primo appuntamento con la città – la popolazione di Santiago e di buona parte della Galizia si è stretta in massa attorno a lui.
Non si è presentata come una folla anonima.
Ogni tratto dell’itinerario era caratterizzato da una presenza ben identificata:  ai parrocchiani della vicaria di Santiago, come annunciava il primo striscione visibile appena fuori dall’aeroscalo, all’imbocco della carretera 634, l’onore di inaugurare il clima festante.
Più avanti, nella zona della casa per anziani “Asilo di san Marco”, i parrocchiani delle vicarie di Coruña e di Pontevedra.
Nei pressi di Porta Europa si è udito il suono delle gaitas, le famose cornamuse celtiche, suonate da un complesso che indossava i caratteristici costumi neri.
Nei pressi di un grande prato avevano sistemato cannoni di quelli usati per sparare la neve:  lanciavano coriandoli bianchi.
Oltre la porta c’erano i parrocchiani di San Lazaro, di Fotiña, di Os Tilos, e poi studenti di collegi, di scuole cattoliche e pubbliche:  è stato proclamato un giorno di festa per consentire a tutti di vedere il Papa.
E ancora, in località as Cancelas davanti alla parrocchia di San Gaetano, i rappresentanti di tutte le altre parrocchie del centro storico cittadino.
Gremite anche piazza dell’Immacolata e le vie adiacenti.
Tanto che la papamobile ha dovuto fare un giro completo attorno al complesso arcivescovile perché tutti potessero vedere Benedetto XVI.
La ricorrenza giubilare gli ha consentito di entrare in cattedrale attraverso la porta santa.
All’interno lo attendevano, oltre ai membri del capitolo, una folta rappresentanza dell’arcidiocesi, composta da bambini che si stanno preparando a ricevere la prima comunione, insieme con i loro catechisti, alcuni ospiti dell’asilo per anziani “San Marco”, altri del Cottolengo di Santiago, un gruppo di malati e infine i rappresentanti del consiglio pastorale dell’arcidiocesi.
Prima di raggiungerli, il Papa ha compiuto l’ultimo tratto del “cammino”, con la cappa del pellegrino sulle spalle.
È stato un momento intenso.
Come suggestivo è stato il rito del “botafumeiro” con il quale si è conclusa la visita alla cattedrale compostelana.
Si tratta di un’usanza che si rinnova durante le celebrazioni solenni:  un gigantesco turibolo è appeso al soffitto con delle corde.
Riempito di incenso e acceso, viene fatto oscillare lungo l’asse della navata centrale da alcuni addetti.
È uno spettacolo che ha visibilmente impressionato anche il Papa.

I cristiani spariranno dal Medio Oriente?

La presa in ostaggio di cristiani conclusasi, domenica 31 ottobre, con la morte di 46 fedeli siriacocattolici in una chiesa di Bagdad provocherà una nuova fuga di cristiani dall’Iraq? È ciò che temono alcuni responsabili religiosi del paese.
“Non abbiamo più il nostro spazio qui.
Tutti se ne andranno”, ha affermato il vicario episcopale di Bagdad, Mons.
Pios Kasha, il giorno dopo l’attacco.
Per quindici giorni, in ottobre, il Vaticano si è occupato della sorte di queste minoranze cristiane, col timore di “un esodo mortale”.
Quarantacinque anni fa, durante la sua visita storica in Terra santa, papa Paolo VI aveva già espresso il timore che “i luoghi santi si trasformino in musei” dopo la “scomparsa” dei cristiani d’Oriente che figurano tra le più antiche comunità cristiane del mondo.
“Certi osservatori predicono che nel prossimo secolo la Terra santa potrebbe essersi completamente svuotata dei suoi cristiani”, scrive René Guitton, in Ces chrétiens qu’on assassine (Flammarion, 2009).
dati incerti Di fronte a questi timori, le realtà sono differenziate.
I paesi più colpiti dalle partenze sono tra i più instabili della regione.
L’Iraq, che sembra abbia perso quasi la metà della sua popolazione cristiana in una ventina d’anni, il Libano e i territori palestinesi occupati forniscono i maggiori flussi di migrazione.
Ma sia per i cristiani sul posto, che per quelli che emigrano o per quelli che ritornano al paese, i numeri e le percentuali sono difficili da stabilire con precisione.
In Egitto, il numero di Copti varia da un certo numero al suo triplo, a seconda che si faccia riferimento alle statistiche governative o a quelle delle autorità religiose.
Queste ultime affermano che, da dieci anni, “sono emigrati 1,5 milioni di Copti, principalmente verso gli Stati Uniti o il Canada”, riferisce René Guitton.
In generale tutti ammettono che in un secolo la proporzione di cristiani nella regione abbia continuato a diminuire: oggi rappresenterebbero solo dal 3% al 6% delle popolazioni locali (dal 15% al 20% all’inizio del XX secolo), eccezion fatta per il Libano, dove i cristiani costituiscono ancora una forte minoranza.
La tendenza si spiega sia con l’esodo, sia con la natalità più bassa delle famiglie cristiane.
numerose diaspore Nel XIX secolo i cristiani della Siria, del Libano o della Palestina sono espatriati raggiungendo l’Europa o l’America latina.
Ad esempio, in Cile vivono circa 300 000 palestinesi, e il 10% degli argentini sono di origine siro-libanese.
Oggi, chi può, raggiunge gruppi già stabiliti in Europa, negli Stati Uniti, in Canada, nell’America meridionale o in Australia.
I cristiani dell’Iraq, invece, sono costretti a lasciare le loro città per ragioni di sicurezza e talvolta in tutta fretta.
Alcuni raggiungono le province kurde del nord del paese, con il rischio di crearvi una enclave etnico-religiosa.
Fino ad ora questa regione offre delle condizioni di vita più sicure.
Altri hanno raggiunto la Siria o la Giordania, paesi che, man mano che passano gli anni, si mostrano meno accoglienti.
Una parte dei candidati all’esilio va anche verso l’Occidente.
La Francia e la Germania, in questi ultimi due anni, hanno accolto diverse migliaia di cristiani iracheni minacciati nel loro paese.
le cause dell’esodo “I cristiani emigrano per ragioni economiche, a causa dell’instabilità della regione e dei conflitti”, ha riassunto il patriarca di Alessandria dei Copti, Antonios Naguib, in margine al sinodo di ottobre.
L’erosione si spiega per un insieme di ragioni: economiche, politiche, di sicurezza, demografiche, religiose.
Il conflitto israelo-palestinese e la politica delle grandi potenze occidentali nella regione appaiono come una della principali fonti di questo esodo.
Al di là del contesto di insicurezza, i cristiani pagano a volte la loro supposta vicinanza agli Occidentali.
In Iraq, la relativa protezione di cui hanno goduto sotto Saddam Hussein ha anche alimentato delle tensioni tra le varie comunità, secondo Guitton.
Ma da qualche anno, il clero e i fedeli parlano soprattutto dell’islamizzazione crescente delle società nelle quali vivono.
“I musulmani non distinguono religione e politica”, ricordavano i vescovi durante il sinodo.
Al di là della diffusione dell’islam radicale o del terrorismo islamista, attivo particolarmente in Iraq, le comunità in loco ritengono che il confronto con un islam più affermato e identitario rende difficile mantenere una cultura e una pratica cristiana.
Infine, spesso meglio istruiti della media della popolazione grazie alla loro rete di scuole e di università, i cristiani hanno maggiori facilità nell’ottenimento dei visti per raggiungere gruppi di una diaspora precedente, negli Stati Uniti, in Europa o in America latina, pronti ad accoglierli in “Le Monde” del 4 novembre 2010 (traduzione: www.finesettimana.org)

EDUCARE ALLA VITA BUONA DEL VANGELO

PRESENTAZIONE       Gli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 intendono offrire alcune linee di fondo per una crescita concorde delle Chiese in Italia nell’arte delicata e sublime dell’educazione.
In essa noi Vescovi riconosciamo una sfida culturale e un segno dei tempi, ma prima ancora una dimensione costitutiva e permanente della nostra missione di rendere Dio presente in questo mondo e di far sì che ogni uomo possa incontrarlo, scoprendo la forza trasformante del suo amore e della sua verità, in una vita nuova caratterizzata da tutto ciò che è bello, buono e vero.
È questo un tema a cui più volte ci ha richiamato Papa Benedetto XVI, il cui magistero costituisce il riferimento sicuro per il nostro cammino ecclesiale e una fonte di ispirazione per la nostra proposta pastorale.
La scelta di dedicare un’attenzione specifica al campo educativo affonda le radici nel IV Convegno ecclesiale nazionale, celebrato a Verona nell’ottobre 2006, con il suo messaggio di speranza fondato sul “sì” di Dio all’uomo attraverso suo Figlio, morto e risorto perché noi avessimo la vita.
Educare alla vita buona del Vangelo significa, infatti, in primo luogo farci discepoli del Signore Gesù, il Maestro che non cessa di educare a una umanità nuova e piena.
Egli parla sempre all’intelligenza e scalda il cuore di coloro che si aprono a lui e accolgono la compagnia dei fratelli per fare esperienza della bellezza del Vangelo.
La Chiesa continua nel tempo la sua opera: la sua storia bimillenaria è un intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione.
Annunciare Cristo, vero Dio e vero uomo, significa portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà.
Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa.
La scelta dell’Episcopato italiano per questo decennio è segno di una premura che nasce dalla paternità spirituale di cui siamo rivestiti per grazia e che condividiamo in primo luogo con i sacerdoti.
Siamo ben consapevoli, inoltre, delle energie profuse con tanta generosità nel campo dell’educazione da consacrati e laici, che testimoniano la passione educativa di Dio in ogni campo dell’esistenza umana.
A ciascuno consegniamo con fiducia questi orientamenti, con l’auspicio che le nostre comunità, parte viva del tessuto sociale del Paese, divengano sempre più luoghi fecondi di educazione integrale.
Maria, che accompagnò la crescita di Gesù in sapienza, età e grazia, ci aiuti a testimoniare la vicinanza amorosa della Chiesa a ogni persona, grazie al Vangelo, fermento di crescita e seme di felicità vera.
  Roma, 4 ottobre 2010 Festa di San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia                                                                                                      Angelo Card.
Bagnasco                                                                                  Presidente della Conferenza Episcopale Italiana CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA   Orientamenti pastorali 2010.pdf;