La condizione giovanile in Italia: il Rapporto Giovani

Il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, giunto alla quarta edizione, è diventato in questi anni un solido punto di riferimento sulla complessa e dinamica realtà giovanile.

Oltre all’aggiornamento annuale sulle scelte formative, sui percorsi lavorativi, sulla progettazione di una propria famiglia, su valori, aspettative e atteggiamento verso le istituzioni delle nuove generazioni, il Rapporto 2017 contiene tre focus dedicati ad altrettanti temi chiave:  il primo riguarda lo scenario post Brexit e le possibilità di rilancio di un processo in grado di superare nuovi timori e vecchi confini. Il secondo, dedicato alle nuove tecnologie di comunicazione e ai social network, analizza come stia mutando quantitativamente e qualitativamente il loro uso e quale sia l’impatto di tale mutamento sulla vita sociale e relazionale. Il terzo, infine, riguarda le condizioni di vulnerabilità e disagio, con un’analisi sia dell’aspetto emotivo sia di quello comportamentale, in connessione con il contesto familiare, sociale ed educativo.

Il filo rosso che unisce i vari capitoli è il racconto di una generazione in equilibrio precario tra rischi da cui difendersi e opportunità a cui tendere, penalizzata da freni culturali e istituzionali che non permettono una piena valorizzazione di potenzialità troppo spesso misconosciute e sottoutilizzate.

In libreria dal 20 aprile il nuovo volume di Rapporto giovani 2017 edito da il Mulino

25 febbraio 2017 – RedazTonPortfolio-home

 

I temi trattati nel Rapporto

Il Rapporto Giovani mette a disposizione dati, analisi, riflessioni, proposte di intervento che consentano di migliorare la conoscenza e la capacità di azione sulla realtà giovanile, confermandosi uno strumento utile non solo ai ricercatori, ma anche agli stessi giovani, alle loro famiglie, agli educatori, ai giornalisti, agli imprenditori e ai decisori pubblici.
La nuova edizione ci offre un quadro aggiornato di questo “capitale umano in formazione”, illustrandone i valori di riferimento, le aspettative, l’impegno sociale, le scelte formative, i percorsi professionali. Ecco perché si tratta di un prezioso punto di riferimento per chi vuole essere aggiornato su comportamenti e aspirazioni delle giovani generazioni nel nostro Paese.
L’edizione 2016 propone, inoltre, approfondimenti specifici su temi attuali come la sfida del confronto multiculturale, la fruizione del tempo libero, le startup e la sharing economy.
Ne emerge un ritratto a tutto tondo delle nuove generazioni, fragili di fronte alle molte difficoltà del presente, ma anche “affamate” di opportunità e di occasioni per mettersi in gioco.


Gli autori:

  • Sara Alfieri

  • Rita Bichi

  • Fabio Introini

  • Elena Marta

  • Daniela Marzana

  • Diego Mesa

  • Ivana Pais

  • Cristina Pasqualini

  • Maura Pozzi

  • Alessandro Rosina

  • Emiliano Sironi

  • Pierpaolo Triani

Lavoro, il 70% dei giovani resta a casa per mancanza di opportunità

L’indagine dell’Istituto Toniolo in un campione di oltre seimila persone tra i 18 e 32 anni. E la mancanza di prospettive mette un freno anche alla nascita del primo figlio

MILANO – Bassi salari, precarietà, difficoltà a trovare lavoro. Sono questi gli ostacoli principali che impediscono ai giovani di lasciare. Lo documenta il Rapporto Giovani 2017 (RG2017) dell’Istituto Toniolo realizzato con il sostegno di Intesa Sanpaolo e della Fondazione Cariplo. L’indagine si è basata su un campione di 6172 giovani tra i 18 e i 32 anni e mostra come il lavoro e la situazione economica generale rappresentino per oltre il 70% dei giovani italiani elementi che hanno pesato abbastanza o molto, nell’ultimo anno, nell’impedire l’uscita dalla casa dei genitori.

La categoria più penalizzata risulta quella dei Neet, i giovani inattivi che non studiano e non hanno un impiego, per la quale lavoro e congiuntura economica sono stati ostacoli rilevanti in più dell’80% dei casi (83% per il lavoro, 84,6% per la situazione economica). Da segnalare il caso dei lavoratori con contratto a tempo determinato, il 79,4% dei giovani occupati con questi contratti, percepisce la propria condizione occupazionale come un motivo rilevante nel ritardare l’uscita dalla casa dei genitori (contro il 70,1% dei lavoratori a tempo indeterminato). Tale categoria sembra essere anche la più penalizzata (assieme ai Neet) relativamente alla situazione economica: l’81% la ritiene una causa rilevante nel vanificare le proprie aspirazioni di autonomia.

Rispetto alla nascita del primo figlio, i risultati sono coerenti con quelli visti per la conquista dell’autonomia. I freni maggiori per la maggior parte degli intervistati sono: le difficoltà nelle condizioni abitative (critiche per più del 50% degli intervistati) e soprattutto il lavoro e la situazione economica (con percentuali costantemente sopra il 60%). Anche in questo caso i più penalizzati sono ovviamente i Neet e i lavoratori con contratto a tempo determinato, con uno scarto ancor più netto (circa 15 punti percentuali) rispetto alle altre categorie (lavoratori autonomi e occupati a tempo indeterminato). Bassa fecondità e ritardo nell’uscita dalla casa dei genitori per via dei bassi salari e del precariato continuano dunque a rappresentare una criticità irrisolta del contesto italiano.

Alla luce di questi dati emerge che il 92,2% dei giovani italiani dichiara di non essere riuscito a realizzare i propri desideri formulati l’anno passato di uscire dalla famiglia di origine. Un mondo giovanile, quindi, in equilibrio precario tra rischi da cui difendersi e opportunità a cui tendere, con freni culturali e istituzionali alla messa pienamente in campo di tutto il proprio potenziale, troppo spesso misconosciuto e sottoutilizzato.

Il rapporto mostra anche come rispetto ad aspettative e progettualità i giovani italiani non si distinguano in modo rilevante rispetto ai coetanei degli altri paesi europei, mentre più ampio che altrove è il divario tra ciò che vorrebbero fare e quello che riescono effettivamente a realizzare.

Secondo l’indagine il percorso formativo è determinante sulla carriera lavorativa, sia sulle pratiche di partecipazione sociale e politica. In tale contesto il 31% dei giovani con licenza media o titolo inferiore e il 31,6% di chi possiede una qualifica professionale ha dichiarato di aver svolto volontariato, la percentuale sale al 41,4% tra coloro che hanno concluso gli studi con il diploma di scuola superiore e al 51,7% nei laureati. Invece per quanto riguarda la partecipazione ad attività di pressione pubblica (petizioni, raccolte firme, manifestazioni di piazza, campagne di sensibilizzazione sui social network, etc…) il 69 % degli intervistati con la laurea ha dichiarato di avere preso parte, contro il 49,7% di quelli con licenza media o inferiore.

Una crescente attenzione viene, inoltre, assegnata alle soft (o life) skills, le cosiddette competenze traversali, in grado non solo di aumentare l’occupabilità, ma soprattutto di trasformare il sapere tecnico in partecipazione di successo ai processi innovativi. I dati del Rapporto giovani mostrano come la consapevolezza di aver maturato tali competenze sia sensibilmente maggiore tra i laureati (63%) rispetto a chi ha avuto percorsi di formazione più breve: diplomati 55%, licenza media 50%, qualifica professionale 47%.

“Le basse opportunità di occupazione e le inefficienze del mercato del lavoro stanno frenano il pieno e qualificato contributo delle nuove generazioni ai processi di crescita del paese- spiega Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica di Milano e coordinatore del Rapporto Giovani – ma stanno anche tenendo in stallo da troppo tempo persone oramai trentenni che per motivi anagrafici non possono più essere considerate giovani, ma nemmeno adulte perché ancora lontani dalla conquista di una piena autonomia dai propri genitori e di formazione di una propria famiglia.

I ventenni Neet (Not in Education Employment or Training) si stanno trasformando in trentenni Nyna (Not Young and Not Adult).Sprecando le capacità e la vitalità dei trentenni, sospesi in un limbo indefinito, il Paese non può crescere”.

http://www.repubblica.it/economia/2017/05/01/news/istituto_toniolo_giovani-164362470/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1

 

 

III DOMENICA DI PASQUA

Prima lettura: Atti 2,14.22-33

[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così:

«Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso.

Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo: “Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza”.

Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: “questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione”. Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».

 

 

  • Nella prima lettura di oggi leggiamo la parte centrale del lungo discorso di Pietro pronunciato a Gerusalemme la mattina di Pentecoste, che abbiamo iniziato domenica scorsa e termineremo nella prossima. Nella prima parte Pietro ha messo in relazione il dono delle lingue con l’effusione dello Spirito appena avvenuta, ed è ricorso alle Scritture pro-fetiche per accreditare il suo discorso e far capire che gli avvenimenti di cui egli e i suoi ascoltatori erano testimoni riguardavano i «tempi ultimi», vale a dire i tempi della presenza di Dio in maniera forte e definitiva. Ora cerca di chiarire lo stretto rapporto del dono dello Spirito con la vita, la morte e la risurrezione di Gesù.

     La vicenda dell’uomo Gesù si è svolta completamente nel segno di una particolare vicinanza di Dio. Egli infatti è «uomo accreditato da Dio» e ciò è dimostrato «per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi» (At 2,22; cf. Lc 24,19). «Come voi ben sapete»: gli ascoltatori di Pietro sono a conoscenza della vicenda terrena di Gesù.

     Pietro fa un rapido accenno alla morte di Gesù per sottolineare che Dio è presente anche in questo momento, come lo era stato nella sua vita, dato che Gesù è consegnato agli uomini per essere ucciso secondo «il prestabilito disegno e la prescienza di Dio» (At 2,23; cf. IPt 1,20). Siamo qui messi di fronte a un profondo e sconcertante mistero. Come possiamo pensare Dio che ingloba nel «suo prestabilito disegno» la morte e addirittura la morte di croce del giusto «accreditato presso di lui»?

     Pietro non indugia su questo, come pure accenna soltanto alla colpa degli uomini che l’hanno ucciso «per mano degli empi». Egli passa ad annunciare la gloria della risurrezione. Gli accenni alla vita e alla morte sono stati fatti per sottolineare che è lo stesso Gesù di Nazareth che è vissuto e morto in mezzo agli ascoltatori, colui che «Dio ha risuscitato» (At 2.24, cf 3 15; 13, 32.34; 17,31) Si tratta dell’annuncio centrale del discorso dell’ Apostolo, il Kerigma, sul quale si fonda il cristianesimo.

     Pietro a questo punto ricorre alla Scrittura per dare credito alle sue parole, come aveva fatto per illustrare la grandezza del dono dello Spirito.

     La lunga citazione del Salmo (At 2, 25-28; Sal 16.8-11) ci mostra la Risurrezione di Gesù come motivo di speranza e estrema fiducia in Dio. Il Salmista, infatti, proclama la sua speranza durante un pericolo mortale.

     Egli ha nella preghiera l’esperienza mistica della vicinanza di Dio per cui pur nella condizione precaria in cui ancora si trova può proclamare: «Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; poiché egli sta alla mia destra, perché io non vacilli» (At 2,25, Sal 16,8). La speranza si basa su una capacità interiore di percepire la presenza divina. Questo da gioia e rinnova la speranza, anzi da la certezza che Dio non abbandonerà alla morte il suo «santo» (chasid in ebraico, il fedele all’alleanza divina che mette in pratica la Torà).

     Pietro, dopo la citazione, si rivolge in modo familiare ai suoi ascoltatori, che chiama «fratelli» e spiega che le parole del Salmo non vanno attribuite alla persona di Davide, ma alla luce degli avvenimenti che hanno coinvolto Gesù di Nazareth possono essere riletti come riferiti al Cristo «questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne vide corruzione» (At 2.27, Sal 16,10). Per Gesù la presenza di Dio e la certezza della sua vicinanza dopo la morte è diventata realtà nella risurrezione, ma per i fedeli che contemplano le grandi opere di Dio rimane una speranza e il Salmo aiuta a guardare alla risurrezione come opera del Dio che è vicino anche a ciascuno di noi.

     In conclusione Pietro riassume l’annuncio che più gli preme di trasmettere: «Questo Gesù, Dio l’ha risuscitato e noi ne siamo testimoni, innalzato pertanto alla destra (alcuni manoscritti hanno «dalla destra») di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33).

 

Seconda lettura: 1 Pietro 1,17-21

Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri. Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.

 

  • I versetti della lettera attribuita a Pietro sono stati scelti come commento al discorso dell’apostolo della prima lettura. L’uomo Gesù accreditato da Dio con segni e prodigi e risuscitato dai morti è il Cristo «predestinato già prima della fondazione del mondo» (1Pt 1.21; cf At 2,23). Si approfondisce quindi il mistero di Gesù nei suoi rapporti con Dio Padre. Attraverso Gesù conosciamo il Padre, lo preghiamo e sappiamo che Egli è giudice «che senza riguardi personali giudica ciascuno secondo le sue opere» (1Pt 1,17). Dio giudica con obiettività, è quindi giudice giusto come ci avverte il Deuteronomio (10,17): «Il Signore vostro Dio è il Dio grande, forte e terribile, che non usa parzialità e non accetta regali, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli da pane e vestito».

     Il comportamento cristiano deve essere improntato al «timore» di Dio. Timore che biblicamente è la faccia speculare dell’amore, un amore filiale che comporta rispetto e obbedienza.

     Su questa terra siamo orientati verso Dio e dobbiamo vivere questa vita come un pellegrinaggio, che si concluderà solo nel mondo avvenire, quando saremo definitivamente con Dio. Qui sulla terra siamo sempre «come forestieri» (Lv 25,23; cf. Sal 39 (38), 13: 119 (118), 19. 54; Eb 11,13).

     I versetti 18-19 propongono due metafore per presentare la liberazione dal male degli esseri umani Quella del riscatto dello schiavo e quella sacrificale. Dio in Cristo ci ha liberati dalla schiavitù del peccato, analogamente a quanto ha compiuto per il suo popolo Israele, liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto. In Gesù però «la mano potente di Dio» sembra si sia nascosta nell’impotenza di una morte vergognosa. Siamo di nuovo di fronte al mistero dell’operare di Dio e dobbiamo fare grande attenzione di non ridurre la redenzione operata da Cristo ad atto dovuto per placare la giustizia divina. Lo scritto apostolico vuole dirci che la redenzione è opera grande e assolutamente divina, il paragone con il riscatto è fatto proprio per sottolineare la grandezza del dono e al tempo stesso la povertà estrema degli esseri umani che non possono vantare nessun merito di fronte a Dio se non quello di essere stati tanto amati gratuitamente da lui.

 

Vangelo: Luca 24,13-35

Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.

Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.

Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».

Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

 

Esegesi

    L’episodio dell’apparizione di Gesù ai discepoli in cammino è appena accennato da Marco (16,12-13), Luca, invece lo narra con molti particolari: precisa anche il nome del villaggio, a cui sono diretti, Emmaus, e la distanza da Gerusalemme, circa sette miglia. Essi stanno parlando degli avvenimenti che riguardano Gesù. Senza preavviso. Gesù stesso si mette al loro fianco ed entra nei loro discorsi.

     Essi non lo riconoscono, come la Maddalena (cf. Gv 20,14). I loro occhi ne sono ancora incapaci (Lc 24,16). Il Risorto si può riconoscere come tale solo con gli occhi della fede, che è un dono dello Spirito.

     Il loro interrogarsi e discutere degli avvenimenti è un atteggiamento premiato da Gesù, che li guida ad adoperare le Scritture per cercare il senso teologico profondo degli avvenimenti stessi.

     Gesù compie un esercizio di interpretazione tipico dei maestri ebrei: le Scritture vanno continuamente rilette e scrutate per trovarne delle nuove interpretazioni, che non elidano le precedenti, ma le arricchiscano. Uno dei metodi adoperati dai maestri è proprio quello adottato da Gesù, vale a dire accostare tanti versetti presi dai diversi libri formando così

una «collana» (hariz) di testi: «Cominciando da Mosè» (Torà, Pentateuco) e da tutti i profeti (quelli che noi chiamiamo libri storici e profetici) spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27).

     La Parola così si apre (dianoigo, Lc 24,32) aprendo la mente e il cuore: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc 24,32).

     Il riconoscimento del Risorto da parte dei due discepoli non avviene, però, attraverso la spiegazione delle Scritture, ma nel gesto dello spezzare il pane. Le Scritture non forniscono delle dimostrazioni. Il riconoscere il Risorto è un dono di fede dello Spirito, non il frutto di una dimostrazione: anche la comprensione delle Scritture necessita dello stesso dono.

     Una volta riconosciuto il Risorto, scatta l’impegno di annunciarlo. I discepoli da Emmaus ritornano di corsa a Gerusalemme per far partecipi gli altri della loro gioiosa scoperta.

 

Meditazione 

     L’annuncio pasquale risuona in modo diverso nei testi biblici odierni: nel resoconto scettico dei due di Emmaus («Egli è vivente»: Lc 24,23), nell’annuncio vigoroso della predicazione di Pietro («Questo Gesù Dio l’ha risuscitato»: At 2,32), nella comunicazione di fede che Pietro indirizza alle comunità destinatarie della sua prima lettera («Dio l’ha risuscitato dai morti»: 1Pt 1,21).

    Il Risorto manifesta la sua presenza negli apostoli che sono divenuti suoi testimoni e che annunciandolo lo rendono presente tra gli uomini (At 2,32); nella fede e nella speranza che abitano i credenti (1Pt 1,21); nella riunione comunitaria e liturgica degli Undici a Gerusalemme (Le 24,33-35); nella Parola spiegata e nel Pane condiviso (Lc 24,25-32).

     Il tema del cammino è presente nelle tre letture. La resurrezione di Cristo è profetizzata dal mutamento attuato da Dio del cammino di morte del fedele in cammino di vita (Salmo 16 citato in At 2,25-28); la fede nel Cristo risorto nasce nei due di Emmaus durante un cammino che non è solo geografico, ma spirituale e che attraversa la disillusione e il dubbio, il vuoto e lo scetticismo (vangelo); la fede nel Cristo risorto da origine a un tipo di presenza cristiana nel mondo descritta come paroikía, cammino nel timore e nella speranza, cammino come in terra straniera (II lettura).

    Per i due di Emmaus l’incontro con il Risorto segna il passaggio dalla de-missione alla missione e diviene la storia di una ricreazione. Le loro orecchie ascoltano la spiegazione della Scrittura, il loro cuore viene rianimato e scaldato, i loro occhi si aprono, la loro parola ritrova capacità di comunicazione e di comunione, le loro persone ridiventano capaci di relazione: insistono perché Gesù, che prima avevano trattato con sufficienza, si fermi con loro e sieda a tavola con loro. Essi ritrovano il coraggio della relazione e della speranza. E trovano la forza di ritornare alla comunità che avevano abbandonato. Sì, a volte è difficile rimanere nella chiesa e la tentazione dell’abbandono si può far sentire, per i più svariati motivi. Ma il motivo unico che rende vivibile la chiesa è la fede nel Risorto: grazie ad essa è possibile non solo perseverare, ma fare della perseveranza un’esperienza di resurrezione, una partecipazione spirituale alla vita del Risorto. La chiesa, pur con le sue povertà e i suoi peccati, è il corpo di Cristo, il reale luogo della fraternità che impedisce la riduzione della fede a docetismo o a gnosi.

    La presenza del Risorto è invisibile e silenziosa. Essa si rende visibile nel volto di uno straniero, di un pellegrino che diviene improvvisato compagno di strada, e parla attraverso le parole della Scrittura. La Bibbia e l’altro uomo, la Parola di Dio contenuta nelle Scritture e il volto dell’altro, soprattutto dello straniero e del povero, sono luoghi per eccellenza in cui la presenza del Risorto può incontrarci ricordandoci il comando evangelico: ama Dio e il tuo prossimo.

    Il forestiero sconosciuto diventa il portatore della rivelazione. Lo straniero incontrato da Cleopa e dall’altro discepolo anonimo non viene riconosciuto e deve scontrarsi con la loro diffidenza e sufficienza, salvo rivelarsi poi l’inviato di Dio. Il riconoscimento dello straniero passa attraverso un lavoro di memoria che restituisce i due discepoli alla loro storia. Più che sconosciuto, era non-riconosciuto. Riconosciutolo, non lo vedono più, ma sono rinviati a se stessi e possono riannodare i fili della loro storia e ricompattare la loro comunità. Lo straniero che ci visita, che incrocia i nostri cammini, incontra spesso, analogamente, la nostra diffidenza, il nostro senso di superiorità, la nostra paura, il nostro odio. Ma in verità, noi lo temiamo perché ci conduce al confronto con noi stessi. Lo straniero fa di noi degli stranieri: lui è straniero per me e io sono straniero per lui. Egli rivela, personalizzandola con la sua diversità evidente, una dimensione nascosta, e temibile, di me. Riconoscere lui (senza appropriarsi di lui) significa anche riconoscere noi stessi (senza disappropriarci di noi). Allora l’incontro può divenire apparizione.

 

Immagine della Domenica

 

Camminando si fa il cammino

Tu che cammini, sono le tue tracce

il cammino e null’altro;

tu che cammini, non c’è cammino,

il cammino si fa camminando.

Camminando si fa il cammino

e volgendo indietro lo sguardo

si vede il cammino sul quale mai più

si ritornerà a camminare.

Tu che cammini, non c’è cammino,

tranne delle scie nel mare.

(A. Machado)

 

Preghiere e racconti

 

A Emmaus per guardare negli occhi il Viandante

Abu Gosh – identificata al tempo dei Crociati come il villaggio di Emmaus – era l’ultima tappa del nostro pellegrinaggio in Terra Santa. Salimmo dapprima in alto sulla collina, dove dal giardino a terrazza delle Suore di Maria, Arca dell’Alleanza, avremmo potuto ammirare ancora una volta Gerusalemme, netta fra le colline all’orizzonte, solenne nelle sue sagome di pietra, immersa nella sua ineguagliabile luce dorata. In quel posto gli “ozevanim” – gli Ebrei costretti a lasciare la Città Santa – solevano piangere e strapparsi le vesti, per esprimere il senso di lacerazione e perfino di bestemmia provato nel separarsi da Sion. La nostalgia prendeva anche il nostro cuore. Dalla collina scendemmo alla Chiesa crociata, purissima nelle sue linee gotiche. Un’antica iscrizione marmorea all’esterno della Cripta riportava il nome della “X Legio Fretensis”, la legione romana di occupazione ai tempi del cristianesimo nascente. La Comunità monastica, col suo canto in latino, ebraico e francese, rendeva quel luogo una sorta di sigillo orante del dialogo necessario fra le fedi e le culture. Lo splendore del giardino, inondato dal sole dell’estate, che esaltava i colori e bruciava nell’aria i profumi, rendendoli quasi tocchi d’incenso, sembrò ancor più illuminarsi alla luce del racconto: era la narrazione del giorno della storia che avrei voluto vivere, “il primo giorno della settimana” dopo i dolorosi e misteriosi eventi di quella Pasqua singolare. In quel giorno, anonimo agli occhi delle cronache, due discepoli del Nazareno erano in cammino verso quel villaggio, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre discutevano, lo Straniero si avvicinò e prese a camminare accanto a loro. I loro occhi erano però impediti nel riconoscerlo. Fu lui a rompere il ghiaccio. «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?», chiese. Si fermarono, col volto che tradiva la profonda tristezza del cuore: essi lo avevano amato, avevano creduto in lui, giocando la loro vita nella decisione di seguirlo. Ed ora tutto era finito, nel modo più doloroso, certamente il più scandaloso per loro: morto appeso al palo della vergogna, il Rabbi che li aveva incantati, il loro Maestro, pareva essere stato smentito dai fatti. Quel suo grido sulla Croce aveva fatto risuonare assordante il silenzio del Padre, di cui pure tanto aveva parlato: «Elì, Elì, lemà sabactàni?» – «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». L’amore non può perdonare la morte: perciò il loro cuore era triste, perché la morte pareva aver inghiottito il loro Signore, e con lui ogni loro speranza, per sempre.

Uno dei due – si chiamava Clèopa – rispose allo Straniero con una battuta, fra il lamentoso e l’ironico: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Lo Straniero sembrò far più caso al dolore, che all’ironia, e domandò col tono che scioglie le labbra e fa venir fuori la pena nascosta: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse colui che avrebbe liberato Israele; invece, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Solo alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». Le parole erano uscite dalla bocca di Clèopa come un fiume in piena. Il suo compagno (chi era? io? tu?) era rimasto in silenzio, del tutto partecipe, come se l’altro avesse saputo esprimere perfettamente il tumulto del suo cuore. Lo Straniero ebbe una reazione singolare. Senza mezzi termini apostrofò i due: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Da pii figli d’Israele, i due erano abituati a far memoria della straordinaria storia d’amore fra il Dio unico e il popolo eletto, rivivendola ogni volta con partecipazione intensa, in ogni tappa. Mai però il loro cuore si era acceso così all’ascolto di qualcuno. Fra lo stupore e il timore cominciò a farsi strada in loro una domanda: perché le parole di quello Straniero prendevano così la loro anima? Non aveva qualcosa in comune quella voce con quella del Profeta di Galilea, in cui avevano creduto? Possibile che fosse lui? La sua morte era fuori discussione. Ma profezie enigmatiche non erano mancate nella sua predicazione: «Distruggete questo tempio – aveva ad esempio detto una volta – e in tre giorni lo farò risorgere». Chiunque fosse quell’uomo, era bello ascoltarlo e il cuore si struggeva alle sue parole. Era come una tenebra che andava rischiarandosi, come quella della notte prossima alla luce dell’aurora.

Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andar oltre. Perderlo proprio ora appariva loro inaccettabile. Che chiarisse l’enigma. O, almeno, che il balsamo della sua parola continuasse ancora per un po’ a scendere sulle ferite del loro cuore. Fu per questo che insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Per un curioso paradosso quelle parole, mentre descrivevano l’esteriore calare della notte nei tramonti infuocati sulle alture della Giudea, evocavano ai due le tenebre scese dentro di loro, l’assenza di futuro che era seguita al rantolo del Profeta abbandonato sulle braccia della Croce. Forse perciò egli cedette alla richiesta con remissività, quasi per un atto di tenerezza compassionevole ed entrò per rimanere con loro. La locanda era semplice, una delle tante disposte ad accogliere i viandanti per il ristoro del cibo e del riposo sulle strade polverose della terra d’Israele al termine del giorno. Una volta a tavola, lo Straniero prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Era il gesto del capofamiglia nella cena pasquale. Era il gesto che Lui aveva compiuto per loro la sera di quell’ultima cena. Ed ora a compierlo era quello che avevano pensato fosse solo uno Straniero. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero: «Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». Ma egli sparì dalla loro vista. Non aveva detto alla donna, andata al sepolcro il mattino del giorno dopo il sabato: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre»? Non aveva promesso ai discepoli di precederli in Galilea? E al profeta Elia sul monte il Signore non era passato accanto fugace, come una “voce del silenzio”?

Storditi com’erano dall’emozione, cominciarono a ridirsi l’uno all’altro ciò che avevano vissuto con lui lungo la strada: al racconto si sovrapponevano le domande. Come avevano potuto non capire? Quelle parole, quella voce, la luce sulle Scritture… Perché non l’avevano riconosciuto subito? La tristezza a volte fa brutti scherzi, e ancor più la paura e la diffidenza verso l’altro. Ma ora la luce era così grande che – pur essendo notte, e perciò sconsigliabile il viaggio – decisero di partire senza indugio per far ritorno a Gerusalemme. Il tempo volò, tanto che quando giunsero era mattino e trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, mentre dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narrarono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Da allora la loro vita fu cambiata per sempre. E con la loro lo fu la vita del mondo. Nulla sarebbe più stato lo stesso. Il fatto che Dio avesse fatto sua la morte e che così l’avesse vinta era la notizia più sconvolgente della storia, quella che avrebbe dato a tutti la speranza della vita. Perciò avrei voluto essere lì quel giorno, come il compagno di Cléopa: a quello Straniero fattosi compagno del cammino, come tanti altri nel tempo, più di me e meglio di me, ho dato la mia fede e la vita. Anche a me è accaduto che le sue parole facessero ardere il cuore. Perciò, anche per me tutto è cambiato allora. Nella locanda di Emmaus si sono aperti anche i miei occhi: e quel giorno qualunque è diventato per me, come per tanti, il giorno più importante della storia, il giorno dell’incontro che ti dà luce per vivere e per morire e la speranza di vincere la morte in te e in tutti, per sempre. È il giorno che ha illuminato la vita dei santi, da Paolo ad Agostino, da Francesco a Tommaso, da Domenico a Ignazio di Loyola, da Alfonso de’ Liguori a Madre Teresa di Calcutta, fino agli innumerevoli, nascosti profeti della carità, che nelle situazioni più difficili danno la vita per chi manca di tutto, o agli innamorati servitori del Vangelo, che lo ascoltano per vivere di esso ed annunciarlo fino agli estremi confini della terra… Un’incontro, quello di Emmaus, che le cronache non riportano, ma che la testimonianza di fede dell’evangelista Luca alla fine del suo Vangelo ha saputo trasmetterci con freschezza singolare, tanto che il cuore di chi crede vi si può riconoscere, fino a identificarsi con l’innominato compagno di Clèopa, fino a percepire quel tramonto, vissuto un giorno di duemila anni fa, in una locanda sulle alture della Giudea, come l’alba del nuovo inizio di tutto, per tutti…

(Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, in Il Sole 24 Ore (23 agosto 2009).

 

Non andare via, Signore

 Signore, se la porta del mio cuore dovesse restare chiusa un giorno,

abbattila ed entra, non andare via.

Se le corde del mio cuore, non dovessero cantare il tuo nome un giorno,

ti prego aspetta, non andare via.

Se non dovessi svegliarmi al tuo richiamo un giorno,

svegliami con la tua pena… non andare via.

Se un altro sul tuo trono io dovessi porre un giorno,

tu, mio Signore eterno, non andare via.

(Rabindranath Tagore).

 

Da chi andremo?

«Da chi altri andremo, Signore?

Solo Tu hai parole di vita»,

eppur sempre la strada porta a fuggire dal monte del sangue.

Il sepolcro ha pesante la pietra

e il tuo fianco è squarciato per sempre:

come dunque possiamo capire il mistero, se tu non lo sveli?

Mentre il sole già volge al declino,

sii ancora il viandante che spiegale Scritture

e ci dona il ristoro con il pane spezzato in silenzio.

Cuore e mente illumina ancora

perché vedano sempre il tuo volto

e comprendano come il tuo amore

ci raggiunge e ci spinge più al largo.

A te, Cristo, risorto e vivente, dolce amico che mai abbandoni

con il Padre e lo Spirito santo

noi cantiamo la gloria per sempre.

(Inno di D.M. Turoldo, Neanche Dio può stare solo, Piemme, Casale Monferrato 1991, pp. 107-108).

 

Resta con noi, Signore

Resta con noi, Signore Gesù, perché senza di te il nostro cammino rimarrebbe immerso nella notte. Resta con noi, Signore Gesù, per condurci sulle vie della speranza che non muore, per nutrirci con il pane dei forti che è la tua parola.

Resta con noi sino all’ultima sera, quando chiusi i nostri occhi, li riapriremo davanti al tuo volto trasfigurato dalla gloria e ci troveremo tra le braccia del Padre nel regno del divino splendore.

Su questa strada sempre pellegrini – peso di solitudine nel cuore – vienici incontro tu, il Vivente tra i morti, e spezzaci il pane dell’amore. Su questa lunga strada dove, al tramonto, si stendono le nostre ombre, accendi, o Viandante avvolto di mistero, il vivido bivacco della tua parola e sapremo dal suo bruciante ardore che più viva, più forte la nostra Speranza è risorta.

Sì, apri la nostra mente a comprendere la Parola che sola può dissipare i dubbi che ancora sorgono nel nostro cuore. Quante volte anche noi, incapaci di riconoscerti, ti abbiamo rinnegato! Ma tu, il Giusto, con mite patire ti sei fatto vittima di espiazione per i nostri peccati. Ora non lasciarci esitanti e turbati: la tua presenza infonda in noi la pace, il tuo spirito rischiari il nostro sguardo e ci renda gioiosi testimoni del tuo amore.

Accogliete Cristo per essere da lui accolti

Fratelli carissimi, avete sentito che il Signore apparve lungo il cammino a due discepoli che non ancora credevano, ma che tuttavia parlavano di lui, ma non mostrò loro un aspetto per il quale fosse possibile riconoscerlo. Il Signore agì dunque all’esterno mostrandosi agli occhi del corpo in accordo con quando accadeva loro nell’intimo, agli occhi dell’anima. Essi infatti nell’intimo amavano e dubitavano e, d’altro lato, il Signore all’esterno era presente, ma non mostrava la sua identità. Stette con loro che parlavano di lui, ma poiché dubitavano, nascose l’aspetto in base al quale avrebbero potuto riconoscerlo. Parlò con loro, rimproverò l’ostinazione della loro mente, svelò i misteri della Scrittura che si riferivano a lui e, tuttavia, poiché nei loro cuori era ancora un pellegrino rispetto alla loro fede, finse di andare più lontano. […] Dovevano essere messi alla prova per vedere se, sebbene non fossero ancora pronti ad amarlo come Dio, erano in grado di amarlo come pellegrino. Ma poiché questi due discepoli con i quali camminava la Verità non potevano sottrarsi alla carità, gli offrirono accoglienza come a un pellegrino. Perché diciamo «gli offrirono» dal momento che sta scritto: «Lo costrinsero» (Lc 24,29)? Da questo esempio si ricava che i pellegrini non devono essere soltanto invitati, ma attirati all’ospitalità. I due discepoli preparano la mensa, offrono i cibi e allo spezzare del pane riconoscono quel Dio che non avevano riconosciuto quando spiegava le Scritture. Veniamo illuminati non tanto ascoltando i precetti, ma mettendoli in pratica. Non sono stati illuminati dunque nell’ascoltare i precetti di Dio, ma lo sono stati nel metterli in pratica poiché sta scritto: «Non quelli che ascoltano la Legge sono giusti al cospetto di Dio, ma quelli che la mettono in pratica saranno giustificati» (Rm 2,13). Chi dunque vuole comprendere ciò che ha ascoltato si affretti a mettere in pratica quello che già è riuscito a capire. Vedi, il Signore non fu riconosciuto mentre parlava, accettò di essere riconosciuto mentre mangiava. Perciò, fratelli carissimi, amate l’ospitalità, amate le opere di carità. Per questo Paolo dice: «Si pratichi fra voi la carità fraterna e non vogliate dimenticare l’ospitalità. Grazie ad essa alcuni furono graditi avendo accolto come ospiti degli angeli» (Eb 13,1-2). E Pietro scrive: «Siate ospitali gli uni verso gli altri, senza mormorare» (1Pt 4,9). E la Verità stessa dice: «Sono stato forestiero e mi avete accolto» (Mt 25,35). […] Accogliete Cristo alla vostra mensa per poter essere da lui accolti nel banchetto eterno. Offrite ora ospitalità a Cristo pellegrino, affinché nel giorno del giudizio non siate stranieri e ignoti a Lui, ma vi accolga fra i suoi nel Regno, con l’aiuto di chi vive e regna, Dio nei secoli dei secoli.

Amen.

(GREGORIO MAGNO, Omelie sui vangeli 23,1-2, in Opere di Gregorio Magno, pp. 294-296).

 

Preghiera

Signore Gesù, grazie perché ti sei fatto riconoscere nello spezzare il pane. Mentre stiamo correndo verso Gerusalemme e il fiato quasi ci manca per l’ansia di arrivare presto, il cuore ci batte forte per un motivo ben più profondo.
Dovremmo essere tristi, perché non sei più con noi. Eppure ci sentiamo felici. La nostra gioia e il nostro ritorno frettoloso a Gerusalemme, lasciando il pasto a metà sulla tavola, esprimono la certezza che tu ormai sei con noi.
Ci hai incrociati poche ore fa su questa stessa strada, stanchi e delusi. Non ci hai abbandonati a noi stessi e alla nostra disperazione. Ci hai smosso l’animo con i tuoi rimproveri. Ma soprattutto sei entrato dentro di noi. Ci hai svelato il segreto di Dio su di te, nascosto nelle pagine della Scrittura. Hai camminato con noi, come un amico paziente. Hai suggellato l’amicizia spezzando con noi il pane, hai acceso il nostro cuore perché riconoscessimo in te il Messia, il Salvatore di tutti.
Quando, sul far della sera, tu accennasti a proseguire il tuo cammino oltre Emmaus, noi ti pregammo di restare.
Ti rivolgeremo questa preghiera, spontanea e appassionata, infinite altre volte nella sera del nostro smarrimento, del nostro dolore, del nostro immenso desiderio di te. Ma ora comprendiamo che essa non raggiunge la verità ultima del nostro rapporto con te. Per questo non sappiamo diventare la tua presenza accanto ai fratelli.
Per questo, o Signore Gesù, ora ti chiediamo di aiutarci a restare sempre con te, ad aderire alla tua persona con tutto l’ardore del nostro cuore, ad assumerci con gioia la missione che tu ci affidi: continuare la tua presenza, essere vangelo della tua risurrezione.
Signore, Gerusalemme è ormai vicina. Abbiamo capito che essa non è più la città delle speranze fallite, della tomba desolante. Essa è la città della Cena, della Croce, della Pasqua, della suprema fedeltà dell’amore di Dio per l’uomo, della nuova fraternità. Da essa muoveremo lungo le strade di tutto il mondo per essere autentici “Testimoni del Risorto”. Amen»

(Carlo Maria Martini, Partenza da Emmaus, Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi Religiosi, Milano, 1983, pagg. 8-9).

 

Preghiera

Resta con noi, Signore Gesù, perché senza di te il nostro cammino rimarrebbe immerso nella notte. Resta con noi, Signore Gesù, per condurci sulle vie della speranza che non muore, per nutrirci con il pane dei forti che è la tua parola.

Resta con noi sino all’ultima sera, quando chiusi i nostri occhi, li riapriremo davanti al tuo volto trasfigurato dalla gloria e ci troveremo tra le braccia del Padre nel regno del divino splendore.

 

III Domenica di Pasqua   

 

Pontormo (Carucci, Jacopo detto 1494-1556), Cena in Emmaus,Firenze, Galleria degli Uffizi.

© 2014. Foto Scala Firenze – Su concessione Ministero Beni e Attività Culturali.

«”Rimani con noi, Signore, perché si fa sera” (cf. Lc 24,29). Fu questo l’invito accorato che i due discepoli, incamminati verso Emmaus la sera stessa del giorno della risurrezione, rivolsero al Viandante che si era ad essi unito lungo il cammino. Carichi di tristi pensieri, non immaginavano che quello sconosciuto fosse proprio il loro Maestro, ormai risorto. Sperimentavano tuttavia un intimo “ardore”, mentre Egli parlava con loro “spiegando” le Scritture. La luce della Parola scioglieva la durezza del loro cuore e “apriva loro gli occhi”. Tra le ombre del giorno in declino e l’oscurità che incombeva nell’animo, quel Viandante era un raggio di luce che risvegliava la speranza ed apriva i loro animi al desiderio della luce piena. “Rimani con noi”, supplicarono. Ed egli accettò. Di lì a poco, il volto di Gesù sarebbe scomparso, ma il Maestro sarebbe “rimasto” sotto i veli del “pane spezzato”, davanti al quale i loro occhi si erano aperti» (Giovanni Paolo II, Mane nobiscum Domine 1).
Jacopo Carucci, più noto come il Pontormo, con il suo stile artistico inconfondibile colloca l’episodio evangelico in un tempo che appare come sospeso. Il gesto benedicente di Gesù, posto frontalmente al centro del dipinto che presenta uno sfondo scuro e profondo, attira immediatamente l’attenzione dello sguardo. Al realismo degli oggetti e del pane posti sulla tavola fa da contrappunto l’atmosfera che caratterizza l’intero dipinto. I discepoli non hanno ancora riconosciuto nel viandante che aveva percorso con loro un tratto di strada Gesù Risorto.
L’artista raffigura invece proprio l’istante in cui Gesù sta per spezzare il pane e in cui si aprirono loro gli occhi e riconobbero il Signore. L’apparizione miracolosa di Gesù incontra perciò i gesti ordinari dei personaggi implicati nella scena. I due discepoli sono seduti su semplici sgabelli di legno ed hanno i piedi nudi. Uno di loro è intento a versare del vino in un calice di vetro, l’altro si accinge a tagliare il pezzo di pane che ha in mano. Sono presenti anche altri personaggi, alcuni monaci certosini, che assistono alla scena che avviene sotto lo sguardo divino, poiché nello spezzare il pane la luce soprannaturale della verità raggiunge i discepoli.
 
Il verismo voluto dall’artista incontra la solenne e raffinata gestualità del Cristo che fissa l’osservatore e lo coinvolge nella sua azione, rendendo contemporaneo a tutte le generazioni cristiane l’evento salvifico e chiamando a raccolta, attorno a quella mensa, anche i discepoli delle future generazioni.
Ancora oggi la Chiesa prega perché nella fractio panis possa riconoscere il Cristo crocifisso e risorto che apre il cuore dei suoi discepoli all’intelligenza delle Scritture e si rivela ai suoi nell’atto dello spezzare il pane (cf. Preghiera Colletta). Tra le prove, le tribolazioni e le persecuzioni della storia la Chiesa fa esperienza dell’incontro con il Risorto che riconosce lungo il cammino che condivide con l’umanità intera e, confortata dalla sua presenza, si rivolge al suo Signore nella preghiera: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno già volge al declino» (
Lc 24,29
).

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Comunità domenicana di Santa Maria delle Grazie, La grazia della predicazione. Tempo di Quaresima e Tempo di Pasqua, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano»  95 (2014) 2, pp.67.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A, Milano, Vita e Pensiero, 2010.

– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità. Anno A, Padova, Messaggero, 2001.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J.M. BERGOGLIO – PAPA FRANCESCO, Matteo, il Vangelo del compimento, a cura di Gianfranco Venturi, LEV 2016.

– UFFICIO LITURGICO NAZIONALE (CEI), Svuotò se stesso… Da ricco che era si è fatto povero per voi. Sussidio CEI quaresima-pasqua 2014.

– Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

 

PER L’APPROFONDIMENTO:

PASQUA III DOMENICA DI PASQUA (A)

Dio in programma. Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017)

Dio in programma. Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017)

Copertina flessibile – 23 mar 2017

di Flavio Pajer (Autore)

EUR 15,73

Copertina flessibile, 23 mar 2017

 

 

 

Così come gli Stati nazionali dell’Europa moderna si sono costruiti mediante laboriosi rapporti con i poteri religiosi delle Chiese, anche il processo di unificazione europea (giunto faticosamente al suo sessantennio) non ha potuto – e non può  – fare a meno dell’apporto delle religioni. Che oggi non è più; diplomatico o politico, ma educativo – a valenza culturale, civica, etica – offerto mediante una complessa tipologia di modelli di istruzione religiosa che da un paese all’altro, da una Chiesa all’altra, da un decennio all’altro, si rivelano come la cartina di tornasole di una società; europea prima maggioritariamente “cristiana”, poi via via secolarizzata e, infine, post-secolare. Il volume presenta una ricognizione sui sistemi educativi del continente, utile per rintracciare le fasi dell’evoluzione subita dagli insegnamenti in materia di religione, ma anche per individuare, oltre il mosaico dei modelli didattici, le ragioni delle politiche educative adottate da governi, Chiese, associazioni religiose e filosofiche e organismi dell’Europa unita, per negoziare, promuovere, gestire una “cultura religiosa” a misura della scuola pubblica, che deve educare alla nuova cittadinanza in contesti di multireligiosità.

 

Un’ora di religione per tutti

di Giovanni Santambrogio

 

Che ne è degli anni, più o meno concitati, di dibattito sulla laicità della scuola e la necessità di rivedere l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione? In Italia significava marginalizzare l’”occupazione cattolica”. Sono bastati pochi decenni per ridimensionare la problematica e fare apparire quelle discussioni come archeologia. Da una preoccupazione ideologica – contenere l’influenza della Chiesa – si è passati al polo opposto: garantire l’identità religiosa della nuova popolazione scolastica. In mezzo a questi due estremi c’è un cambio d’epoca in cui le migrazioni hanno globalizzato le culture influendo sulla stessa secolarizzazione. L’Italia e, più in generale, l’Europa hanno compiuto un mutamento in tre tappe: dall’insegnamento concordatario (Stato- Chiesa) si è passati al pluralismo intra-cristiano (l’attenzione all’equilibrio tra cattolici, protestanti e ortodossi) per approdare al pluralismo interreligioso.

L’insegnamento della religione finisce d’essere una questione confessionale e di battaglia ideologica per diventare un punto imprescindibile nella formazione dello studente e di accesso alle culture: un rispetto delle identità, un ascolto delle diversità. Questioni che investono l’attenzione alla persona e, allo stesso tempo, costituiscono un fondamento della nuova convivenza, dove il riconoscimento dell’altro si fonda non solo sui diritti ma sul suo essere portatore di valori, di tradizioni, di riti, di una fede. Ciò che prima doveva stare fuori dalle aule, espressione di un privato e di una scelta individuale, ora trova cittadinanza all’interno dei sistemi educativi.

Flavio Pajer – autore di Dio in programma. Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017), con prefazione di Luciano Pazzaglia – è riconosciuto come un autorevole esperto in materia di insegnamento della religione a scuola e di sistemi scolastici. Storico direttore della rivista «Religione e scuola», promossa dall’editrice Queriniana, ha rivestito cariche istituzionali in Italia e in Europa, dove è tuttora membro dell’Intereuropean Commission on Church and School. Alla luce di questa lunga esperienza ha scandagliato i mutamenti della ricezione religiosa e i cambiamenti nell’insegnamento della religione nelle diverse realtà della Ue. Dal suo saggio escono, oltre a un interessante confronto tra soluzioni didattiche, una storia della laicità e un racconto della scuola dove alla domanda religiosa è corrisposta, man mano, una differente risposta politica. Il libro molto documentato (con una ricca appendice di apparati) si presenta come un utile strumento per insegnanti, educatori e per chi si occupa di gestione di politiche scolastiche. La religione oggi torna a rivestire un ruolo centrale. Come affrontarla? Il rischio di manipolarla facendola diventare una “religione civile”, cioè un succedaneo della vecchia educazione civica, è forte.

Flavio Pajer, Dio in programma.
Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017) , ELS La Scuola, Brescia, pagg. 240,€ 18,50

in “Il sole 24 Ore” del 2 aprile 2017

 

Europa: “Dio in programma”, insegnamento della religione a scuola nei diversi Stati Ue. Dialogo tra fede e cultura

14 aprile 2017 @ 17:09

“Dio in programma. Scuola e religioni nell’Europa unita (1957-2017)”: è uno dei contributi forniti da Els La Scuola (marchio dell’editrice Morcelliana) per una riflessione sull’integrazione europea in occasione del 60° dei Trattati di Roma. Il volume, curato da Flavio Pajer, intende interpretare “il ruolo importante, che hanno già avuto e avranno sempre più, scuola e religioni in una unione votata alla cooperazione pacifica, al rispetto della dignità umana, alla libertà, alla democrazia, alla solidarietà tra e i popoli europei”. “Così come gli Stati nazionali dell’Europa moderna – spiega l’editrice – si sono costruiti mediante laboriosi rapporti con i poteri religiosi delle Chiese, anche il processo di unificazione europea (giunto faticosamente al suo sessantennio) non ha potuto, e non può, fare a meno, in particolare, dell’apporto delle religioni”. Apporto che oggi “non è più diplomatico o politico, ma educativo – a valenza culturale, civica, etica – offerto mediante una complessa tipologia di modelli di istruzione religiosa che da un Paese all’altro, da una Chiesa all’altra, da un decennio all’altro, si rivelano come la cartina di tornasole di una società europea prima maggioritariamente cristiana, poi via via secolarizzata e, infine, post-secolare”.

Il volume illustra i rapporti tra l’insegnamento religioso, i diversi sistemi scolastici e il più generale contesto storico europeo “non in termini astratti, ma attraverso la ricostruzione storica di come tali rapporti si sono realizzati negli ultimi decenni, cogliendo le ragioni delle scelte di politica culturale e scolastica con cui Chiese, governi, organizzazioni religiose e filosofiche, orientamenti pedagogici, istituzioni accademiche, organismi europei hanno via via contribuito a regolare la presenza della religione a scuola”. Come scrive nella presentazione lo storico dell’educazione e delle istituzioni scolastiche Luciano Pazzaglia, “l’insegnamento religioso, se è raccomandabile che abbia anche una funzione sociale, deve, prima di tutto aiutare gli studenti a rendersi conto che la religione ha dimensioni e identità sue proprie e che le norme religiose non possono essere scambiate con quelle civili né, tanto meno, con quelle giuridiche”. Flavio Pajer è professore di Pedagogia e didattica delle religioni.

Preso da: http://agensir.it/quotidiano/2017/4/14/europa-dio-in-programma-insegnamento-della-religione-a-scuola-nei-diversi-stati-ue-dialogo-tra-fede-e-cultura/

 


Dettagli prodotto

  • Copertina flessibile: 235 pagine
  • Editore: Morcelliana (23 marzo 2017)
  • Collana: Saggi
  • Lingua: Italiano
  • ISBN-10: 8837230729
  • ISBN-13: 978-8837230722
  • Peso di spedizione: 277 g

Religioni in dialogo tra le culture. Riforma – Dialogo – Cultura

Gent.ma Professoressa,

Gent.mo Professore,

Presso l’Università “Nicolaus Copernicus” – TORUN (Polonia) si terrà dal 14 al 16 settembre 2017 il V Congresso Internazionale di Scienze Religiose sul tema Religioni in dialogo tra le culture. Riforma – Dialogo – Cultura.

La sezione XIX RELIGIONI ED EDUCAZIONE AL DIALOGO di questo meeting prenderà in esame le varie realtà che il mondo attuale pone di fronte alle religioni e alla cultura: l’educazione delle nuove generazioni e i nuovi paradigmi da assumere per comprendere i rapidi cambiamenti in atto su vari fronti. La riflessione su questi temi, fatta da esperti, offrirà sicuramente stimoli per un interessante dibattito a tutti i partecipanti, provenienti dall’Europa e da altri paesi del mondo. Il confronto sarà facilitato perché è possibile dialogare in tre lingue: in inglese, italiano e polacco. Le persone interessate possono consultare la locandina e il modulo di domanda che si trova sul sito web del Congresso: www.vkongresreligii.umk.pl (pagina è fatta anche nelle lingua inglese: https://vkongresreligii.umk.pl/pages/main_page/?langu=en

Cordiali saluti,

Coordinatori della Sezione Religioni ed educazione al dialogo

Prof. nadzw. dr Mirosław Stanisław Wierzbicki

Prof. PWSZ dr hab. Elżbieta Osewska

 

Information/Informazioni/Informacje:

D. Mirosław Stanisław Wierzbicki SDB
Professore straordinario di Pedagogia Religiosa
Facoltà di Scienze dell’Educazione
Università Pontificia Salesiana di Roma
Piazza dell’Ateneo Salesiano 1
00139 – Roma
Tel. (+39) 06 408 87290408
Mobile (+39) 38 98 80 5612
e-mail: WIERZBICKI@unisal.it
www.rivistadipedagogiareligiosa.it


 

Dear Professors,

The University “Nicolaus Copernicus” of TORUN (Poland), will host the 5th International Congress of Religious Studies on the theme: Religions in Dialogue with Cultures. Reform – Dialogue – Culture. Date: from 14 to 16 September 2017.

The 19th Session of this meeting, RELIGIONS AND EDUCATION IN DIALOGUE, will examine the challenges posed to Religion and Culture by the different realities of today’s world: the education of the new generation and new paradigms to be adopted for understanding the rapid changes taking place on various fronts. The reflections that will be made by experts on these subjects will surely offer participants, from Europe and other countries of the world, the needed stimuli for an interesting debate. Discussions will be easier because you can converse in any of these three languages: English, Italian and Polish. Interested persons can see the poster and the application form in the Congress website: www.vkongresreligii.umk.pl (page is also available in English language: https://vkongresreligii.umk.pl/pages/main_page/? = en langu

 

Coordinators of Section Religions and Education for dialogue

Prof. nadzw. dr Mirosław Stanisław Wierzbicki

Prof. PWSZ dr hab. Elżbieta Osewska

 

 

Rome, 3 March 2017

 

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Szanowna Pani Profesor,

Szanowny Panie Profesorze,

w dniach 14-16 września 2017 roku odbędzie się w Toruniu na Uniwersytecie Mikołaja Kopernika, V Międzynarodowy Kongres Religioznawczy zatytułowany Religia w dialogu kultur. Reformacja – Dialog – Kultury.

W sekcji XIX Religie a wychowanie do dialogu chcemy dyskutować na temat współczesnej wizji świata, edukacji nowych pokoleń oraz ukierunkowania myśli ludzkiej w czasie szybkich przemian kulturowych. Refleksja na wskazany tematy z pewnością przyniesie ciekawe dyskusje.

Do XIX sekcji zapraszamy prelegentów zarówno z Polski, jak również z innych krajów Europy i świata. Komunikację ułatwi nam posługiwanie się trzema językami: angielskim, włoskim i polskim.

Pragniemy serdecznie zachęcić do przyjazdu we wrześniu do Torunia oraz uczestnictwa w tym wydarzeniu. Osoby chętne prosimy o zgłaszanie swojego udziału za pomocą formularza zgłoszeniowego, znajdującego się na stronie Kongresu pod adresem: https://vkongresreligii.umk.pl/pages/main_page/?langu=en.Na stronie można również odnaleźć informacje o opłatach konferencyjnych, zakwaterowaniu, imprezach towarzyszących.

Z serdecznymi pozdrowieniami,

Koordynatorzy obrad Sekcji Religie a wychowanie do dialogu

Prof. nadzw. dr Mirosław Stanisław Wierzbicki

Prof. PWSZ dr hab. Elżbieta Osewska

 

 

Rzym, 3 marca 2017 r.

V Congresso delle Scienze Religiose
La religione nel dialogo delle culture. Riforma – Dialogo – Culture

 

Presentazione della Sezione XIX

XIX (Q) RELIGIONI E EDUCAZIONE AL DIALOGO

 

Coordinatori: D. Prof. Miroslaw Wierzbicki,

Prof. PWSZ dr hab. Elżbieta Osewska

 

Nell’argomento Religioni ed educazione al dialogo è ampiamente incluso il concetto della religione, dell’ecumenismo, della storia e dell’educazione. Il tema presentato si adatta bene alla percezione contemporanea del mondo e all’educazione delle nuove generazioni, come orientamento del pensiero umano. È da tempo che l’educazione e il dialogo tra culture e religioni sono considerati una base dell’esistenza umana. Le religioni sono considerate infatti un grande potenziale per lo sviluppo e l’educazione dell’uomo aprendo l’essere a problemi metafisici e culturali. Nelle religioni molti sono riferimenti all’educazione e al dialogo: diversi ricercatori sono interessati a verificare l’influenza che esse hanno sulla formazione analizzando il rapporto persona-religione in un determinato territorio. In questo modo, il dialogo religione ed educazione aprirebbe all’alterità di ogni essere umano “invitando e aiutando ad incontrare se stesso”, trovando le sue radici nella filosofia, pedagogia e psicologia, che le considerano un buon modo per cercare la verità e i valori. L’educazione al dialogo richiede una personalità matura e creativa, competente nella comunicazione e nella creazione di un clima, di fiducia, gentilezza, apertura, accettazione degli altri e la passione per l’educazione. Queste caratteristiche migliorano la capacità d’apertura dialogica tra Dio e l’uomo attraverso la sua sensibilità e curiosità cognitiva.

Si può affermare che le religioni, ancora oggi, “accendono le menti e ispirano le discussioni” sulla scena internazionale. In questo senso a religione l’uomo cerca sempre di più “l’infinito” nella sua coscienza. Per questo nelle discussioni circa la religione c’è sempre posto per le nuove opportunità che aprono al dialogo e alle domande esistenziali


ENGLISH

5th International Congress of Religious Studies

Religion in the dialogue with culture. Reformation – Dialogue – Culture

 

Presentation of Section XIX

XIX (Q) RELIGION AND EDUCATION FOR DIALOGUE

 

Coordinators: Ks. Prof. Miroslaw Wierzbicki

Prof. PWSZ dr hab. Elżbieta Osewska

 

The concepts of religion, ecumenism, history and education are largely included in the discussions on Religion(s) and Education for dialogue. The theme presented is well suited to the contemporary perception of the world and education of the new generations, as the orientation of human thought. It is from time immemorial that education and dialogue between cultures and religions are considered the basis of human existence. Religions are in fact considered a great potential for the development and education of man, opening him to metaphysical and cultural problems. In religions are many references to education and dialogue: numerous researchers are interested in verifying the influence they have on formation, as well as analyzing the relationship between the human person and religions in a given territory. In this way, the dialogue between religion and education would open to the otherness of every human being, “inviting and helping man to encounter himself”. It finds its roots in philosophy, pedagogy and psychology, which are considered good channels for the search for truth and values. Education to dialogue requires a mature and creative personality, competent in communication and in the creation a climate of trust, kindness, openness, acceptance of others and the passion for education. These characteristics improve the capacity of dialogical openness between God and man through his sensitivity and cognitive curiosity.

It can be affirmed that religions, even today, “light up the minds and inspire discussions” on the international scene. In this sense of religion, man is always looks for more: the “infinity” in his consciousness. For in discussions about religion, there is always room for new opportunities which open to door to dialogue and the existential questions

 

 

V Kongres Religioznawczy

Religia w dialogu kultur. Reformacja – Dialog – Kultury

 

Prezentacja sekcji XIX

XIX (Q) RELIGIE A WYCHOWANIE DO DIALOGU

 

Koordynator: Ks. Prof. Mirosław Wierzbicki

Prof. PWSZ dr hab. Elżbieta Osewska

 

Przedmiotem sekcji Religie a wychowanie do dialogu jest problematyka szeroko rozumianego religioznawstwa, ekumenizmu, historii i wychowania. Tematyka ta dobrze się wpisuje we współczesne postrzeganie świata, edukacji nowych pokoleń oraz ukierunkowania myśli ludzkiej w okresie szybkich przemian kulturowych i religijnych.

Od dawna wychowanie oraz dialog pomiędzy kulturami i religiami stanowił podstawę egzystencji ludzkiej. Religie wnoszą do współczesnego społeczeństwa duży potencjał w rozwoj i wychowanie człowieka, który posiada głębokie fundamenty wskazujące jednocześnie na swoistą wrażliwość, na problemy metafizyczne i kulturę. W religiach pojawia się wiele ujęć wychowania do dialogu, podczas których badacze analizują tę problematykę w powiązaniu z kształtowaniem postaw osób w relacji do religii koegzystujących na danym obszarze. W tym sensie dialog podkreśla inność każdego człowieka, a jednocześnie „zaprasza i pomaga w spotkaniu się z samym sobą”. Wskazanie na dialog ma swoje źródło w wielu rozważaniach filozoficznych, pedagogicznych czy psychologicznych, z których wynika, że był on uważany za dobry sposób poszukiwań prawdy i wartości. Wychowanie do dialogu wymaga więc dojrzałej i twórczej osobowości, odpowiednich kompetencji komunikacyjnych w tworzeniu klimatu, wzbudzaniu zaufania, życzliwości, otwartości, akceptacji drugiego człowieka oraz pasji wychowawczej. Cechy te wzmacniają zdolność dialogicznej otwartości na Boga i drugiego człowieka oraz wrażliwości i ciekawości poznawczej.

Należy podkreślić, iż religie, również dzisiaj, rozpalają umysły i wzbudzają dyskusje na arenie międzynarodowej. Człowiek dalej poszukuje nieskończoności, bo religia jest częścią świadomości ludzkiej, a nie jedynie pewnym etapem historii tej świadomości.

PASQUA DI RISURREZIONE

Prima lettura: Atti 10,34a.37-43

In quei giorni, Pietro prese la parola e disse: «Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.  E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.

E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

 

Il discorso in casa di Cornelio è l’ultimo dei discorsi cristologici di Pietro nel libro degli Atti (cf. 2,12-36; 3.11-26; 4,8-22).

    La catechesi su Gesù è ancora sulle sue linee essenziali: «consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret», cioè investito dello Spirito di Dio (battesimo) e insignito di particolari poteri taumaturgici Gesù si era presentato a Israele. Partendo dalla Galilea aveva percorso «tutta la Giudea».

    L’opera di Gesù è riassunta da pochi verbi; qualcuno di meno di quelli di Mt 4,23: «passò» per le contrade della Palestina, «beneficando» e «risanando» gli uomini dalle possessioni diaboliche ovvero dalle loro malattie. Sono omessi i due verbi di Matteo «predicava» e «insegnava nelle loro sinagoghe».

    Ma il suo agire dimostrava che «Dio era con lui», in altre parole era l’«Emmanuele» predetto dal profeta Isaia (7,14), traduceva con i fatti la bontà di Dio in mezzo agli uomini.

     Gesù ha svolto la sua missione davanti a tutto il popolo poiché davanti a tutti ha parlato e compiuto i suoi prodigi, ma per quanto riguarda il prodigio conclusivo e dimostrativo della sua missione, la risurrezione dai morti, ha voluto un gruppo scelto di testimoni con i quali si è a lungo trattenuto, dando sufficienti prove della realtà del suo nuovo stato di vita.

     Gli apostoli sono quelli che possono attestare la sopravvivenza di Gesù dopo che i nemici l’avevano messo in croce. Essi l’hanno visto prima di morire e l’hanno rivisto vivo dopo la morte; possono perciò assicurare che è risorto, che non è rimasto nella tomba.

     La sorte di Gesù si è rovesciata; egli è stato giudicato e condannato, ma dalla risurrezione è diventato lui il giudice di tutti, di quanti sono attualmente vivi e di quelli che sono già morti. Tutti si sono confrontati o saranno chiamati a confrontarsi con lui per ricevere il premio o la condanna delle loro buone o cattive azioni. Se si vuole evitare un incontro spiacevole con lui occorre credere, cioè ripercorrere la strada che egli ha percorso.

     Pietro sta parlando in casa di Cornelio, un ufficiale romano, e ad ascoltarlo sono i suoi familiari, alcuni «congiunti e amici intimi» (10,14), tutta gente che non faceva parte del popolo della promessa, quindi della salvezza, ma si trattava di una discriminazione che con Gesù era destinata a cadere.

     L’apostolo l’aveva già intravisto nella visione avuta a Joppe (10,9-15) e compreso meglio dal racconto di Cornelio (10,30-35); ora ne ha una conferma dal cielo mentre gli è dato costatare che lo Spirito di Dio sta discendendo su coloro che l’ascoltavano, per la maggior parte incirconcisi.

     Era la Pentecoste dei gentili che richiamava quella sui rappresentanti d’Israele che era già avvenuta (At 2,1-12).

 

Seconda lettura: Colossesi 3,1-4

Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. 

 

2  La comunità di Colossi è alle prese con i primi confronti o le prime contaminazioni con la cultura del mondo circostante, giudaico e greco.

     I giudei dell’Asia minore, alla pari dei greci, parlano di potenze cosmiche intermedie tra Dio e gli uomini, di signorie, potestà, dominazioni. Per l’autore esse possono rimanere solo che siano subordinate all’unico Signore, Cristo (1,15-20; 2,9-15).

     Gesù ha affrancato l’uomo da qualsiasi giogo, come lo ha reso libero da rituali inutili, da «feste, noviluni, sabati», «cibi e bevande» (2,8,16-17).

     Il cristiano è chiamato a ripercorrere il cammino di Cristo, un’esperienza di morte e di vita, di mortificazione e di risurrezione. Si tratta di morire agli «elementi di questo mondo», di finire con tutte quelle pratiche, astinenze imposte in nome di un’«affettata», falsa «religiosità, umiltà e austerità riguardo al corpo» (2,23).

     Il cristiano è un uomo nuovo e il suo mondo non è tanto di quaggiù, quanto del cielo, di lassù. Nel battesimo egli è disceso nel fonte e risalendo ha lasciato nell’acqua la sua vecchia appartenenza con tutte le sue inclinazioni peccaminose e ha assunto l’immagine del Cristo glorioso.

     Egli vive ancora sulla terra ma è un essere di un altro mondo, per questo deve assumere comportamenti degni della sua nuova condizione. Occorre «cercare» e «pensare alle cose di lassù», ciò che è consono con il mondo e il modo di vivere del Cristo risorto.

     L’autore non specifica quali sono le cose di lassù e quali quelle della terra, ma lo dice subito dopo quando chiede di «mortificare quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi» che designa con il termine «vizi». E aggiunge: «Voi deponeste tutte queste cose, ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene» (3,5-8). Tutte azioni che appartenevano, è detto sinteticamente, all’«uomo vecchio» in contrapposizione al l’«uomo nuovo che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine del suo creatore» (3,9-10).

     I comportamenti dell’uomo nuovo che si avvicina a quello celeste sono invece caratterizzati da «sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza. Al di sopra di tutto vi è poi la carità che è il vincolo di perfezione» (3,12-14).

     La vita cristiana è sempre un preludio di quella celeste che è segnata dal Cristo glorificato. Allora verrà sublimata anche quella di coloro che credono in lui.

     La vita terrestre si spiega solo alla luce della sua apoteosi celeste.

 

Vangelo: Giovanni 20,1-9

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.  Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.  Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.  Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

 

Esegesi 

    Gli evangelisti sinottici parlano delle donne che si recano al sepolcro di buon mattino per compiere i riti sul cadavere di Gesù; Giovanni incentra l’attenzione su una donna particolare: Maria di Magdala. Ella trova la pietra rimossa e ne deduce che il corpo è stato trafugato e corre ad avvertire Pietro e il discepolo prediletto, che la tradizione identifica con l’evangelista Giovanni.

     Questi si portano immediatamente al sepolcro, al quale giunge per primo il discepolo più giovane. Egli da uno sguardo fugace all’interno, vede le bende abbandonate, ma, per deferenza verso il più anziano, non entra e lo aspetta sulla soglia. Pietro entra nella cella mortuaria e vede le bende e il sudario «avvolto» a parte. Il vangelo di Giovanni non parla delle sue reazioni. Luca (24,12) dice che tornò indietro pieno di stupore (thaumazo in greco, verbo che indica grande perplessità).

     «Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8). Che cosa vide? non è il vedere di Tommaso (Gv 21,29), ma il vedere interiore. Egli di fronte al sepolcro vuoto non pensa, come la Maddalena, che hanno trafugato il cadavere o non sospende il giudizio come Pietro, ma crede sulla Parola di Gesù, a sua volta fondata sulla tradizione delle Scritture ebraiche. Il frutto della comprensione delle Scritture è il credere; non, però, un frutto «automatico», ma dono dello Spirito, che raggiunge le persone in modo misterioso ed è accolto da ciascuno in maniera diversa. Anche la Maddalena e Pietro avevano avuto comunanza con Gesù e conoscevano le Scritture, ma a loro non basta ancora per credere dinanzi al sepolcro vuoto. Essi «non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20,9).

 

Meditazione 

    L’annotazione temporale di Gv 20,1, con cui inizia il testo evangelico proclamato nel giorno di Pasqua, ci offre un simbolico aggancio con la veglia notturna in cui abbiamo ripercorso il cammino della storia della salvezza per giungere a contemplare il volto del Cristo risorto. L’annuncio pasquale è risuonato in tutta la sua straordinaria forza e ha squarciato le tenebre: «Cristo è risorto dai morti – così canta il tropario della liturgia bizantina – e con la morte ha calpestato la morte, donando la vita a coloro che giacevano nei sepolcri». Ora siamo anche noi nel «primo giorno della settimana» e come credenti siamo chiamati ad entrare nel dinamismo di questo giorno che segna il passaggio dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce: «la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo… – canta il salmo 117 – Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo».

     La liturgia della Parola di questo giorno richiama con forza la nostra realtà di testimoni del Risorto: la Pasqua di Cristo, quel giorno mirabile che solo il Signore ha potuto fare, diventa il ritmo del nostro tempo. Camminare così nella esistenza quotidiana è veramente passare dalla morte alla vita, è fare Pasqua ogni giorno e vivere sempre radicati sul terreno della nostra fede. Potremmo allora cogliere nelle tre letture altrettante modalità che caratterizzano la testimonianza del discepolo di Cristo in rapporto alla fede pasquale: una testimonianza che diventa annuncio (At 10,37-43), una testimonianza che si trasforma in attesa (Col 3,1-4) e una testimonianza che si nutre di fede (Gv 20,1-9).

     La testimonianza che Pietro offre nella casa del pagano Cornelio è mediata da una parola proclamata, gridata, da un annuncio: «questa è la Parola che egli ha inviato ai figli di Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti» (At 10,36). La parola inviata e l’evangelo della pace hanno un volto: Gesù. E Pietro concentra la sua attenzione sul racconto di Gesù, un vangelo in miniatura in cui vengono scandite le tappe essenziali della vicenda terrena di Gesù di Nazaret, «il quale passò beneficando e risanando… perché Dio era con lui» (v. 38). Il nucleo centrale di questo evangelo è scandito da tre verbi che rivelano la dinamica del mistero pasquale (il centro del kerigma proclamato dalla comunità apostolica): «lo uccisero appendendolo ad una croce, ma Dio lo ha risuscitato il terzo giorno e volle che si manifestasse… a testimoni prescelti da Dio, a noi…» (vv. 39-41). L’incontro personale con il Risorto (che Pietro caratterizza attraverso una comunione di mensa: «abbiamo mangiato e bevuto con lui», v. 41) dona autorevolezza alla testimonianza e questa diventa il fondamento dell’annuncio: «ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio» (v. 42). Si diventa annunciatori del Risorto e della sua signoria sulla storia, della vita nuova che egli comunica, solo perché si è testimoni di Lui.

     Ma nella vita quotidiana del credente, la testimonianza del Risorto acquista una paradossale profondità: si trasforma in quella luminosa promessa espressa con la parola di Paolo in Col 3,3-4: «…voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando Cristo vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria». Commentando questo versetto, D. Bonhoeffer dice: «Vicinissimo a noi, là dove, nel suo maestoso nascondimento, Dio è tutto in tutto, dove il Figlio siede alla destra del Padre, là, il miracolo dei miracoli, si trova preparata la nostra vera vita. La nostra vita è nascosta con Cristo in Dio: sì, noi viviamo già come a casa nostra, al cuore stesso del nostro esilio». Paolo indica così al credente in quale direzione deve orientare la propria esistenza, la propria ricerca, in quale luogo deve fissare lo sguardo del proprio cuore: «se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù… rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (vv. 1-2). Noi sappiamo che il nostro sguardo si lascia catturare e trascinare verso il basso: ed è proprio lì che noi incontriamo i tanti luoghi di morte che riempiono i nostri occhi e il nostro cuore di tristezza. E alla fine, procedere con gli occhi bassi vuol dire camminare senza

direzione. È necessaria una meta su cui fissare lo sguardo. E Paolo ci dice che questa meta è in alto, verso un luogo simbolico, lì «dove è Cristo seduto alla destra di Dio» (v. 1), lì dove il Signore Gesù ci ha preparato un posto, nella casa del Padre. Cercare le cose di lassù vuol dire desiderare questo luogo di comunione, sentirlo come la nostra vera casa, dove siamo figli liberi e amati.

     Il testo di Gv 20,1-9 ci presenta tre modi di reagire di fronte a un segno misterioso: la tomba vuota. In modi differenti ci offrono una testimonianza che precede l’incontro con il Risorto, una testimonianza che si radica sulla fede. Maria di Magdala è la prima che si avvicina al sepolcro «quando era ancora buio» (v. 1 ). È la prima che ha il coraggio di lasciarsi provocare da una realtà che conserva ancora tutta la dimensione dell’assurdo e dello scandalo. Maria è stata ai piedi della croce; ha resistito di fronte allo spettacolo della croce, ha sopportato il silenzio della morte (cfr. 19,25). È ancora buio attorno a lei: c’è ancora pau-ra e angoscia, fallimento e incomprensione. È ancora buio dentro di lei: c’è solitudine e smarrimento. Ma Maria ha un desiderio: cercare il suo Maestro (cfr. 20,13.16). E chi cerca ama. E anche se il suo amore deve maturare nell’incontro con un volto inatteso e nuovo, diverso da quello che lei vorrebbe vedere e trattenere, tuttavia è vero amore: si sente coinvolta completamente da esso, sente che la sua vita è vuota senza la presenza di Cristo. Pietro è il credente la cui fede è continuamente chiamata a compiere salti di qualità, a percorrere vie nuove; e per questo a volte fatica scontrandosi con la propria debolezza e la pro-pria presunzione. Nel suo cuore c’è la ferita bruciante del rinnegamento: non ha saputo vegliare un’ora sola con Gesù, non ha sopportato la vista dello scandalo della croce. Ma nel suo cuore c’è come una nostalgia: c’è il ricordo di quel giorno in cui, avendo avuto la possibilità di abbandonare il suo maestro, non l’ha fatto; anzi ha detto «Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (6,69). Ma, soprattutto, nel cuore di Pietro c’è il ricordo della fiducia che Gesù ha posto in lui: lo ha fatto testimone in mezzo ai fratelli, nonostante tutto! E dopo il rinnegamento, con il suo sguardo di perdono, Gesù rinnoverà questa fiducia (cfr. 21,15-19). E ora Pietro corre con questi pensieri, con questa fede e questi dubbi, con queste paure ed esitazioni. E forse per questo non riesce a correre forte: la sua corsa non è incerta, sa dove andare e sa cosa vuole vedere; ma questa corsa è appesantita, affaticata. Ha bisogno di incontrare nuovamente quello sguardo dal quale aveva avuto inizio il suo cammino e con il quale verrà nuovamente confermato nella sua fede. Ed infine, il discepolo amato. È colui che sa vedere e per questo crede. La sua corsa è veloce; è la corsa di chi ha lo sguardo interiore penetrante, di chi intuisce una novità, di chi si lascia abitare dal mistero. Prima ancora di incontrare il Risorto, alla vista delle bende e del sudario, il suo sguardo va oltre: supera l’abisso dell’assenza, afferma, nel vuoto della tomba, che Cristo ha vinto ciò che appartiene al tempo, sa decifrare il linguaggio dei segni, scopre una misteriosa presenza. E per que-sto diventa il testimone nella lunga attesa perché, con il suo sguardo che va oltre, potrà indicare ai discepoli questa presenza finché il Cristo ritorni (cfr. 21,22).

     Maria, colei che ama; Pietro, il credente; il discepolo amato, colui che vede e vigila: tre modi diversi di camminare incontro al Risorto e di testimoniarlo nella fede. Ma tutti uniti da un unico desiderio: quello dell’incontro. E capaci di lasciarsi coinvolgere da questo incontro, capaci di essere testimoni della risurrezione; perché capaci di lasciare convertire la loro vita dal Risorto. Non ogni esistenza è liberata dalla morte, sottratta dalla vanità, ma soltanto quella che ripercorre il cammino tracciato dal Crocefisso e Risorto; solo una vita donata conduce alla risurrezione. Una vita gelosamente trattenuta non vince la morte, ma va incontro a una seconda morte. A Pasqua si celebra la vittoria di un preciso modo di vivere: di colui che ama il Risorto, di colui che crede nel Risorto, di colui che sa vedere oltre, nella luce del Risorto

 

Immagine della Domenica

Moral de Hornuez (Segovia) – Pasqua 2016

 


Pasqua

«Un forte vento toglierà la pietra

anche al nostro sepolcro.

Il futuro è già presente

e viene incontro,

luce adorna come fiori le piaghe,

‘resurrezione’ ha nome il nostro giorno».

(David M. Turoldo)

 

Preghiere e racconti

 

La lavanda dei piedi

In una breve e improvvisata omelia, il Santo Padre ha parlato del gesto di Gesù di lavare i piedi come un’eredità a noi trasmessa. Francesco ha ricordato che “Lui è Dio e si è fatto servo, servitore nostro e questa è l’eredità” e ha spiegato che “anche voi dovete essere servitori nell’amore”.

Il Papa ha ricordato che Gesù compie questo gesto di lavare i piedi, “che è simbolico, lo fanno gli schiavi, i servi ai commensali”. Gesù, ha aggiunto, “compie un lavoro, un servizio da schiavo, da servo. Questo lo lascia come eredità tra noi”. Per questo, ha osservato, “dobbiamo essere servitori gli uni degli altri”.

Francesco ha aggiunto che, in questo giorno, in cui la Chiesa commemora l’Ultima Cena, “fa anche, nella cerimonia, questo gesto di lavare i piedi, che ci ricorda che noi dobbiamo essere servi gli uni degli altri”.

In conclusione, il Santo Padre ha spiegato che avrebbe poi fatto quel gesto ma ha invitato tutti a pensare nel proprio cuore agli altri, “all’amore che Gesù ci dice dobbiamo avere per gli altri e pensare anche a come possiamo servire meglio le altre persone, perché così ha voluto Gesù per noi”.

 (Papa Francesco, La lavanda dei piedi è un’eredità che Gesù ci trasmette, 17 Aprile 2014)

 

La Pasqua secondo Papa Francesco

– “Colui che esisteva prima che Abramo fosse nato, che volle diventare vicino nel cammino con noi, il Buon Samaritano che ci sceglie sconfitti dalla vita e dalla nostra labile libertà, che morì e fu sepolto, e il suo sepolcro sigillato, è risorto e vive per sempre”.

Sono queste le parole, pronunciate dall’allora arcivescovo di Buenos Aires durante l’omelia di Pasqua del 2000, con le quali si apre l’editoriale dell’ultimo numero de La Civiltà Cattolica.

Un po’ come è stato fatto per lo scorso Natale, la celebre rivista dei gesuiti ha raccolto alcune parole che il Card. Bergoglio ha pronunciato in occasione delle feste pasquali. Queste espressioni sono diventate poi “parole-chiave” del pontificato del Papa “venuto dalla fine del mondo”.

Una prima riflessione si svolge sulla pietra che ostruiva l’ingresso del sepolcro. Nel pensiero del Card. Bergoglio, questa pietra rappresenta il fallimento delle attese, delle speranze di ogni singolo uomo e di tutti gli uomini. Si tratta di un ostacolo che sembra insormontabile e che induce l’uomo a chiedersi chi potrà mai rimuoverlo.

La riflessione del futuro pontefice si sofferma poi sul grido di Gesù sulla croce e sul terremoto. Secondo Bergoglio, l’ultimo grido di Gesù ha permesso al centurione di fare la sua professione di fede, ad alcuni di manifestare il proprio affetto verso Gesù in un momento così doloroso: è come se, anche in mezzo al massimo del male, ci potesse essere ancora spazio per un barlume di bene.

Per quanto riguarda il terremoto, i vangeli ci parlano di due eventi di questo genere: il primo avvenuto durante la morte di Gesù, il secondo dopo la sua resurrezione: esso è allo stesso tempo angoscia per il dramma dell’esistenza e scuotimento profondo dell’essere umano quando accoglie in se stesso il mistero della morte e resurrezione.

Un altro elemento su cui l’arcivescovo di Buenos Aires si è soffermato è il movimento. L’evento della resurrezione mette tutti in moto: i vangeli ci mostrano un andirivieni “verso il” e “dal” sepolcro. Dunque non si tratta di contemplare un evento distante nel tempo, perché questo avvenimento “non è relegato ad una storia lontana che è accaduta duemila anni fa…, è una realtà che continua a darsi ogni volta che ci mettiamo in cammino verso Dio e ci lasciamo da Lui incontrare”.

La formazione gesuita del Card. Bergoglio lo ha portato a fare un’analisi introspettiva dei protagonisti dei brani della resurrezione. Egli in particolare si è soffermato davanti alla paura delle donne davanti alla tomba vuota: “Si tratta di quella paura istintiva ad ogni speranza di felicità e di vita, la paura che non sia vero quello che sto vivendo o quello che mi dicono, la paura della gioia che ci è donata da una effusione di gratitudine”.

(La Pasqua secondo Papa Francesco, Un editoriale di “La Civiltà Cattolica” raccoglie alcune parole pronunciate dal card. Bergoglio durante le feste pasquali).

 

Quel seme di Risurrezione che si scorge in un sorriso

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro.

Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte (…).

Maria di Magdala, in quell’ora tra il buio e la luce, tra la notte e il giorno, quando le cose non si vedono ma supplisce il cuore, va’ sola, e non ha paura. Come la sposa del Cantico: lungo la notte cerco l’amato del mio cuore. L’alba di Pasqua è piena di coloro che più forte hanno fatto l’esperienza dell’amore di Gesù: Maria di Magdala, il discepolo amato, Pietro, le donne.

Il primo segno è così umile: non un’apparizione gloriosa, ma un sepolcro vuoto nel fresco dell’alba. È poco e non è facile da capire. E Maria non capisce, corre da Pietro non per annunciare la risurrezione del Maestro ma per denunciare una manovra dei nemici, un ulteriore dolore: hanno portato via il Signore. Non abbiamo più neanche un corpo su cui piangere.

Tutti corrono in quel primo mattino: Maria, Pietro, Giovanni… Non si corre così per una perdita o per un lutto. Ma perché spunta qualcosa di immenso, fa capolino, urge il parto di una cosa enorme, confusa e grandiosa. Arrivano al sepolcro e li aiuta un altro piccolo segno: i teli posati, il sudario avvolto con cura. Se qualcuno avesse portato via il corpo, non l’avrebbe liberato dai teli o dal sudario. È stato altro a liberare la carne e la bellezza di Gesù dal velo oscuro della morte.

La nostra fede inizia da un corpo assente. Nella storia umana manca un corpo per chiudere in pareggio il conto delle vittime, manca un corpo alla contabilità della morte. I suoi conti sono in perdita. E questo apre una breccia, uno spazio di rivolta, un tuffo oltre la vita uccisa: la morte non vincerà per sempre. Anche se adesso sembra vincente: il male del mondo mi fa dubitare della Pasqua, è troppo; il terrorismo, il cancro, la corruzione, il moltiplicarsi di muri, barriere e naufragi; bambini che non hanno cibo, acqua, casa, amore; la finanza padrona dell’uomo mi fanno dubitare.

Ma poi vedo immense energie di bene, donne e uomini che trasmettono vita e la custodiscono con divino amore; vedo giovani forti prendersi cura dei deboli; anziani creatori di giustizia e di bellezza; gente onesta fin nelle piccole cose; vedo occhi di luce e sorrisi più belli di quanto la vita non lo permetta. Questi uomini e queste donne sono nati il mattino di Pasqua, hanno dentro il seme di Pasqua, il cromosoma del Risorto.

Perché Cristo non è semplicemente il Risorto. Egli è la Risurrezione stessa, è l’azione, l’atto, la linfa continua del risorgere, che fa ripartire da capo la vita, la conduce di inizio in inizio, trascinandola in alto con sé: forza ascensionale del cosmo verso più luminosa vita. E non riposerà finché non sia spezzata la tomba dell’ultima anima, e le sue forze non arrivino a far fiorire «l’ultimo ramo della creazione» (M. Luzi).

 

Per il mattino di Pasqua

Io vorrei donare una cosa al Signore,

ma non so che cosa.

Andrò in giro per le strade

zuffolando, così,

fino a che gli altri dicano: è pazzo!

E mi fermerò soprattutto coi bambini

a giocare in periferia,

e poi lascerò un fiore                                    

ad ogni finestra dei poveri

e saluterò chiunque incontrerò per via

inchinandomi fino a terra.

E poi suonerò con le mie mani

le campane sulla torre

a più riprese

finché non sarò esausto.

E a chiunque venga

– anche al ricco – dirò:

siedi pure alla mia mensa

(anche il ricco è un povero uomo).

E dirò a tutti:

avete visto il Signore?

Ma lo dirò in silenzio

e solo con un sorriso.

II

Io vorrei donare una cosa al Signore,

ma non so che cosa.

Tutto è suo dono

eccetto il nostro peccato.

Ecco, gli darò un’icona

dove lui – bambino – guarda

agli occhi di sua madre:

così dimenticherà ogni cosa.

Gli raccoglierò dal prato

una goccia di rugiada

– è già primavera

ancora primavera

una cosa insperata

non meritata

una cosa che non ha parole;

e poi gli dirò d’indovinare

se sia una lacrima

o una perla di sole

o una goccia di rugiada.

E dirò alla gente:

avete visto il Signore?

Ma lo dirò in silenzio

e solo con un sorriso.

III

Io vorrei donare una cosa al Signore,

ma non so che cosa.

Non credo più neppure alle mie lacrime,

queste gioie sono tutte povere:

metterò un garofano rosso sul balcone

canterò una canzone

tutta per lui solo.

Andrò nel bosco questa notte

e abbraccerò gli alberi

e starò in ascolto dell’usignolo,

quell’usignolo che canta sempre solo

da mezzanotte all’alba.

E poi andrò a lavarmi nel fiume

e all’alba passerò sulle porte

di tutti i miei fratelli

e dirò a ogni casa: «pace!»

e poi cospargerò la terra

d’acqua benedetta in direzione

dei quattro punti dell’universo,

poi non lascerò mai morire

la lampada dell’altare

e ogni domenica mi vestirò di bianco.

IV

Io vorrei donare una cosa al Signore,

ma non so che cosa.

E non piangerò più

non piangerò più inutilmente;

dirò solo: avete visto il Signore?

Ma lo dirò in silenzio

e solo con un sorriso

poi non dirò più niente.

(D. M. TUROLDO, O sensi miei…, Milano, Rizzoli, 1993).

 

Il giorno di Pasqua

Restiamocene tranquilli, a occhi chiusi, un istante prima che si levi l’alba del giorno della Risurrezione. È ancora notte fonda, ma già in due o tre case di Gerusalemme c’è qualcuno in movimento. Lumi che si accendono, donne frettolose che si pettinano e vestono. Il Sabato è finito, ed una stella incomparabile, approfittando di tutto quel firmamento che sta abdicando attorno a lei, irradia il volto della nostra prima domenica. Il gallo del calzolaio si prepara ad accettare la sfida che gli è stata lanciata dal compagno dell’altra sponda del Cedron. Non è più la Pasqua degli Ebrei: è la Pasqua dei cristiani! Guardate, ascoltate! Nel silenzio ebraico, all’incrocio di tre strade, avviene un incontro di donne velate che si interrogano sottovoce: «Chi toglierà per noi la pietra dal sepolcro?». Chi la toglierà? Il profumo che esse portano con loro si incarica di rispondere! E così la speranza irresistibile che è nel loro cuore, e l’emanazione di ingredienti mistici nel cuor della notte, preparati dalle mani stesse dell’aurora. Secoli riuniti, santa composizione, la cui dilatazione progressiva come ha poco fa vinto il sonno, così ora si mette in marcia per trionfare della morte! Degli altri avvenimenti di quell’immensa mattina, l’eco smarrita e incoerente dei quattro Vangeli fa ancora risuonare, ad ogni nuova primavera, tutte le chiese della cristianità.

(P. CLAUDEL, Credo in Dio, Torino, SEI, 1964).

 

Sulle tracce di Gesù

II punto cruciale di questo cammino sta nel riconoscere che il Gesù risorto, che compie i desideri dell’uomo, è ancora il Gesù crocifisso, che ha affidato al Padre il compimento dei propri desideri. Ha uniformato la propria volontà alla volontà del Padre. Ha accettato di perdere la propria vita sulla croce, per compiere la missione di proclamare all’uomo peccatore e separato da Dio che il Padre non lo abbandona al fallimento, non lo rifiuta anche se è rifiutato; anzi gli dona il proprio Figlio, per mostrare che neppure il peccato impedisce a Dio di amare l’uomo e di attirarlo a sé in un gesto di perdono, che vince il peccato e la morte.

Tutto questo è implicitamente contenuto nel grido del discepolo prediletto, che rompe il silenzio del mattino: «E il Signore» (Gv 21,7). Questa espressione, infatti, rievoca le professioni di fede della Chiesa primitiva. Gesù, che si è umiliato nella morte, in obbedienza al Padre e per amore degli uomini, è stato glorificato dal Padre ed è stato proclamato Signore, cioè colui che reca pienamente in sé la forza d’amore e di salvezza che è propria di Dio stesso.

Gesù manifesta la sua capacità e volontà di comunicare agli uomini l’amore salvifico del Padre anche attraverso un gesto simbolico. Egli mangia con i discepoli.

L’umile, quotidiano gesto del mangiare è ricco di potenzialità espressive. Può prestarsi a esprimere la comunicazione di beni sempre più grandi e misteriosi, che approfondiscono il bene fisico del cibo e il bene psicologico della conversazione, scambiati durante il pasto comune.

Gesù assume questo gesto umano e lo carica di prodigiose potenzialità. Il pasto descritto nel cap. 21 di Giovanni non risulta essere un convito propriamente eucaristico. Rievoca però il convito di Jahvè col popolo degli ultimi tempi, annunciato nell’Antico Testamento. Si ricollega ai conviti messianici fatti da Gesù con i discepoli o con le folle. Allude all’ultima cena o ad altri conviti di Gesù risorto, che hanno caratteri più propriamente e chiaramente eucaristici e comportano quindi il trapasso del generico simbolismo conviviale nella reale comunione col Signore, che si rende presente trasformando il pane e il vino nella vita e misteriosa realtà del corpo donato e del sangue versato.

(C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009, 258-259).

 

Cantiamo: Alleluia!

Bisogna che «questo corpo corruttibile» – non un altro – «si rivesta di incorruttibilità, e questo corpo mortale» – non un altro – «si rivesta di immortalità. Allora s’avvererà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria». Cantiamo: Alleluia! «Allora si avvererà la parola della Scrittura», parola di gente non più in lotta, ma in trionfo: «La morte è stata inghiottita nella vittoria». Cantiamo: Alleluia! «Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?». Cantiamo: Alleluia! (cfr. 1Cor 15,53-55). […] Cantiamo «Alleluia» anche adesso, sebbene in mezzo a pericoli e a prove che ci provengono sia dagli altri sia da noi stessi. Dice l’Apostolo: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze» (1Cor 10,13). Anche adesso, dunque, cantiamo «Alleluia». L’uomo resta ancora preda del peccato, ma Dio è fedele. E non si dice che Dio non permetterà che siate tentati, ma: «Non permetterà che siate tentati al di sopra delle vostre forze; al contrario, insieme con la tentazione, vi farà trovare una via d’uscita perché possiate reggere». Sei in balìa della tentazione, ma Dio ti farà trovare una via per uscirne e non perire nella tentazione. […]

Oh! Felice alleluia quello di lassù! Alleluia pronunciato in piena sicurezza, senza alcun avversario! Lassù non ci saranno nemici, non si temerà la perdita degli amici. Qui e lassù si cantano le lodi di Dio, ma qui da gente tribolata, là da gente libera da ogni turbamento; qui da gente che avanza verso la morte, lassù da gente viva per l’eternità; qui nella speranza, lassù nella realtà; qui in via, lassù in patria. Cantiamo dunque adesso, fratelli miei, non per esprimere la gioia del riposo, ma per procurarci un sollievo nella fatica. Come sogliono cantare i viandanti, canta ma cammina; cantando consolati della fatica, ma non amare la pigrizia. Canta e cammina! Cosa vuol dire: cammina? Avanza, avanza nel bene, nella retta fede, in una vita buona.

(AGOSTINO DI IPPONA, Discorsi 256,2-3, NBA XXXII/2, pp. 816-818).

 

Pasqua è…

Credere che anche i ladroni possono andare in Paradiso. Dico ladroni perché mi pare che aggiungere “buoni” sia pleonastico.

È credere che in tre giorni possono accadere cose che non sono accadute in trenta secoli.

È credere che i soldi non comprano mai nessuno e se  lo comprano è per distruggerlo.

È credere che anche gli amici veri possono tradire altri amici veri. La causa: troppa sicurezza nel reputarsi “veri”.

È accettare di iscrivere il dolore dentro la storia della nostra vita, accettarlo come compagno. C’è un dolore che annulla l’uomo e c’è un dolore che annulla gli errori dell’uomo.

È uscire dalla metropoli e percorrere i sentieri oltre le mura: sentieri di silenzio, faticosi, scoscesi, puliti, stretti.

È credersi Giuda e Pietro, cireneo e soldato, Pilato e Maddalena, sepolcro e giardino, terremoto e sindone, legno e sangue, mors e alleluja.

È smettere di farsi parola per incominciare a farsi pane, vino, mensa, cenacolo, fuoco, amore.

È incontrarsi con il giardiniere e scoprirlo Cristo; incontrarsi con un viandante e scoprirlo Cristo; incontrarsi con i vecchi compagni e scoprirli Cristo; incontrarsi con i pescatori e …mangiare con Cristo.

È asciguarsi il volto pieno di lacrime e …meravigliarsi che dalle lacrime possano nascere …le risurrezioni.

(Antonio Mazzi).

 

Andate presto, andate a dire…

Voi che l’avete intuito per grazia

correte su tutte le piazze

a svelare il grande segreto di Dio.

Andate a dire che la notte è passata.

Andate a dire che per tutto c’è un senso.

Andate a dire che l’inverno è fecondo.

Andate a dire che il sangue è un lavacro.

Andate a dire che il pianto è rugiada.

Andate a dire che ogni stilla è una stella.

Andate a dire: le piaghe risanano.

Andate a dire: per aspera ad astra.

Andate a dire: per crucem ad lucem.

Voi, che lo avete intuito per grazia,

correte di porta in porta

a svelare il grande segreto di Dio.

Andate a dire che il deserto fiorisce.

Andate a dire che l’Amore ha ormai vinto.

Andate a dire che la gioia non è sogno.

Andate a dire che la festa è già pronta.

Andate a dire che il bello è anche vero.

Andate a dire che è a portata di mano.

Andate a dire che è qui, Pasqua nostra.

Andate a dire che la storia ha uno sbocco.

Andate a dire: liberate, lottate.

Andate a dire che ogni impegno è un culto.

Voi, che lo avete intuito per grazia,

correte, correte per tutta la terra

a svelare il grande segreto di Dio.

Andate a dire che ogni croce è un trono.

Andate a dire che ogni tomba è una culla.

Andate a dire che il dolore è salvezza.

Andate a dire che il povero è in testa.

Andate a dire che il mondo ha un futuro.

Andate a dire che il cosmo è un tempio.

Andate a dire che ogni bimbo sorride.

Andate a dire che è possibile l’uomo.

Andate a dire, voi tribolati.

Andate a dire, voi torturati.

Andate a dire, voi ammalati.

Andate a dire, voi perseguitati.

Andate a dire, voi prostrati.

Andate a dire, voi disperati.

Andate a dire, comunque sofferenti.

Andate a dire, offerenti-sorridenti.

Andate a dire su tutte le piazze.

Andate a dire di porta in porta.

Andate a dire in fondo alle strade.

Andate a dire per tutta la terra.

Andate a dire gridandolo agli astri.

Andate a dire che la gioia ha un volto.

Proprio quello sfigurato dalla morte.

Proprio quello trasfigurato nella Pasqua.

Oggi, proprio ora, qui andate a dire.

Andate a dire.

Ed è subito pace.

Perché è subito Pasqua.

(Sabino Palumbieri, Via Paschalis, Elledici, 2000, pp. 28-29)

 

Quelli che fanno suonare le campane

Qualche mese fa, concludendo la visita pastorale in una parrocchia della mia diocesi, l’ultimo giorno andai in una scuola materna. C’erano tantissimi bambini di tre o quattro anni che si affollavano stupiti intorno a me: non mi conoscevano, mi vedevano come un personaggio esotico. La maestra chiese: “Bambini, sapete chi è il vescovo?”. Tutti diedero delle risposte. Uno disse: “E’ quello che porta il cappello lungo in testa”; un altro, chissà per quale associazione di immagini, disse una cosa bellissima che a me piacque tanto: “il Vescovo è quello che fa suonare le campane”. Forse mi aveva visto in processione, al suo paese, in qualche festa accompagnata dal tripudio delle campane. Il vescovo come colui che fa suonare le campane: è una definizione bellissima, forse poco teologica ma profondamente umana. Sarebbe bello che i vostri fedeli, i vostri amici, coloro che vi conoscono, potessero dare di voi una definizione così. Sarebbe bello che la gente dicesse di tutti noi che siamo “quelli che fanno suonare le campane”: le campane della gioia di Pasqua, le campane della speranza.

(Don Tonino Bello, Parabole e metafore).

 

I macigni rotolati

Ricorrerò alla suggestione del macigno che la mattina di Pasqua le donne, giunte nell’orto, videro rimosso dal sepolcro. Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme, messa all’imboccatura dell’anima, che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. E’ il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato. Siamo tombe alienate. Ognuna col suo sigillo di morte. Pasqua, allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi, e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo del terremoto che contrassegnò la prima Pasqua di cristo. Pasqua è la festa dei macigni rotolati. E’ la festa del terremoto.

(Don Tonino Bello, Parabole e metafore).

 

L’affidamento dell’uomo a Dio               

Nella Pasqua Gesù, da un lato, rivela il mistero dell’amore di Dio per l’uomo; dall’altro, celebra e attua nel modo umanamente più perfetto l’amore, l’obbedienza, l’affidamento dell’uomo a Dio. L’aspetto singolare, eccezionale, unico del sacrificio pasquale è che la rivelazione e la celebrazione – attuazione sono una sola cosa, così come nell’essere di Gesù, Dio e l’uomo, pur rimanendo distinti, diventano una sola cosa.

La Pasqua di Gesù, proprio perché è quella manifestazione-celebrazione dell’amore di Dio ora descritta, tende a raggiungere ogni uomo, sia per manifestargli l’amore di Dio, per annunciargli che il suo peccato è perdonato, per dargli speranza di vita e di gioia oltre la sofferenza e la morte, sia per attrarre ogni uomo nello stesso movimento di celebrazione del mistero, di adorazione di Dio, di conformazione alla volontà del Padre che ha animato tutta la vita di Gesù suggellata nella Pasqua.

L’eucaristia è appunto la modalità istituita da Gesù nell’ultima cena per attuare questa intrinseca intenzione salvifica della Pasqua.  

(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, vol. II: Dalla croce alla gloria, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007, 91-94).

 

Auguri di Pasqua

Fa’ di me, Signore, un arcobaleno di bene,

di speranza e di pace.

Un arcobaleno che per nessun motivo

annunci ingannevoli bontà,

speranze vane e false immagini di pace.

Un arcobaleno sospeso da Te nel cielo,

che annunci il tuo amore di Padre,

la risurrezione del tuo Figlio,

la meravigliosa azione del tuo Spirito Santo.

(H. Camera).  


 

Bonanno Pisano, Pie donne al sepolcro, Porta del Duomo, Pisa.

© Su gentile concessione dell’Opera della Primaziale Pisana Beni Culturali – Patrimonio storico artistico, Pisa.

«“Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana anche la nostra fede” (1Cor 15,14). La risurrezione costituisce anzitutto la conferma di tutto ciò che Cristo stesso ha fatto e insegnato» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 651).
Tale evento avviene secondo le Scritture, realizza la speranza del mondo e determina un inizio qualitativamente nuovo della storia. È inoltre il frutto di un intervento potente di Dio il quale non abbandona la vita del giusto nella tomba e non permette che il suo santo veda la corruzione, ma gli indica il sentiero della vita perché possa avere gioia piena nella sua presenza, dolcezza senza fine alla sua destra (cf.
Sal 16,10-11). L’azione di Dio inaugura un tempo nuovo e un nuovo ordine di cose che pone in crisi il passato: «Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17b).
Nella risurrezione di Gesù ha avuto infatti inizio la risurrezione escatologica di coloro che appartengono a Cristo perché “aspersi del suo sangue” e perché “rinati dall’acqua e dallo Spirito”, finché ciò che avvenuto nel Capo si realizzi pienamente in tutte le sue membra. Gesù del resto aveva detto: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore vivrà» (
Gv 11,25), che vuol dire: «La comunione con Gesù è già ora risurrezione; dove si è stabilita la comunione con lui, è varcato qui e adesso il confine della morte…Ovunque l’uomo entri nell’Io del Cristo, egli è già entrato nello spazio della vita definitiva» (J. Ratzinger).
Ce lo ricorda Sant’Ambrogio il quale nella sua Spiegazione del Simbolo scrive: «Credi che risorgerà anche la carne! Infatti perché fu necessario che Cristo s’incarnasse? Perché fu necessario che Cristo salisse sulla croce? Perché fu necessario che Cristo soggiacesse alla morte, ricevesse la sepoltura e risorgesse, se non per la tua risurrezione? Tutto questo mistero è quello della tua risurrezione. Se Cristo non è risorto, la nostra fede è vana. Ma siccome è risorto, la nostra fede è saldamente fondata». Gli fa eco S. Agostino: «Ha guarito te dalla morte eterna là dove si è degnato di morire in senso temporale. Ed è morto, oppure in Lui è morta la morte? Che morte è, quella che uccide la morte?» (Commento al Vangelo di Giovanni 3,3).
 
Nel riquadro bronzeo della Porta di San Ranieri posta nel braccio meridionale del transetto della cattedrale di Pisa, Bonanno Pisano alla fine del XII sec. ha incastonato la scena della risurrezione di Cristo tra la formella della sua Discesa al Limbo e quella della sua Ascensione al cielo.
L’artista non ha tuttavia presentato Cristo risorto, né l’evento stesso della risurrezione, nascosto agli occhi degli uomini e custodito dal buio di quella notte “veramente beata” che sola meritò di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi (Preconio pasquale). Ciò che vediamo è invece l’edicola del sepolcro che sovrasta il sepolcro stesso sul quale è seduto un angelo che annuncia alle donne che giungono da sinistra la risurrezione del Signore: «Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto» (
Mt 28,5-7).
Sotto il sepolcro le guardie ancora stordite sono assopite in un sonno profondo, simbolo della morte che è stata “ingoiata per la vittoria” (cf.
1Cor 15,54
). Risuonano come non mai nel cuore della Chiesa, in questo giorno di luce, le parole della Sequenza pasquale: «Dimmi, Maria, cos’hai visto per via? Ho visto morire la morte. Ho visto il Signore risorto».

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Comunità domenicana di Santa Maria delle Grazie, La grazia della predicazione. Tempo di Quaresima e Tempo di Pasqua, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano»  95 (2014) 2, pp.67.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A, Milano, Vita e Pensiero, 2010.

– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità. Anno A, Padova, Messaggero, 2001.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J.M. BERGOGLIO – PAPA FRANCESCO, Matteo, il Vangelo del compimento, a cura di Gianfranco Venturi, LEV 2016.

– UFFICIO LITURGICO NAZIONALE (CEI), Svuotò se stesso… Da ricco che era si è fatto povero per voi. Sussidio CEI quaresima-pasqua 2014.

– Immagine della domenica, a cura di García-Orsini-Pennesi.

 

PER APPROFONDIRE:

PASQUA DI RISURREZIONE

Buona Pasqua 2017!

«Un forte vento toglierà la pietra

anche al nostro sepolcro.

Il futuro è già presente

e viene incontro,

luce adorna come fiori le piaghe,

                                ‘resurrezione’ ha nome il nostro giorno».

                            (David M. Turoldo)

 

BUONA PASQUA 2017!

 

XIX Settimana Nazionale di studi: “Strade di felicità …nell’alleanza uomo-donna” AL 38

“Strade di felicità” nell’alleanza uomo-donna (Amoris Laetitia 38), sarà questo il tema della prossima Settimana Nazionale di studi , giunta alla sua diciannovesima edizione.

Il convegno si svolgerà ad Assisi, Domus Pacis,  dal 28 aprile al 1 maggio 2017 ed è rivolto agli operatori della pastorale familiare.

Scarica il depliant e le modalità di partecipazione e iscrizione.

 

Rai, un documentario su Benedetto XVI

Martedì 4 aprile, in occasione dei novant’anni del Papa Emerito, Rai Cultura propone “Benedetto XVI un rivoluzionario incompreso”, in onda alle 21.10 su Rai Storia.

In occasione dei novant’anni del Papa Emerito Benedetto XVI, Rai Cultura propone “Benedetto XVI un rivoluzionario incompreso”, uno speciale firmato da Antonia Pillosio, in onda martedì 4 aprile alle 21.10 su Rai Storia.
Per capire il papato di Joseph Ratzinger, il racconto del documentario parte dal gesto rivoluzionario delle sue dimissioni (11 febbraio 2013), a lungo meditate e annunciate dopo l’inizio dell’anno della fede. Nel documentario, che utilizza anche materiale delle Teche Rai, parlano gli storici Elio Guerriero, Andrea Riccardi e don Roberto Regoli, i vaticanisti Andrea Tornielli e Sandro Magister, i Cardinali Gerhard Ludwig Müller e Gianfranco Ravasi, padre Federico Lombardi e Antonio Paolucci.
Nel video c’è anche il Joseph Ratzinger prima del papato: brillante teologo, professore in quattro università tedesche, Arcivescovo di Monaco e per ventitre anni è Prefetto della Congregazione per la Fede.
Il 19 Aprile 2005 viene eletto Papa con il nome di Benedetto XVI: “Lui dà due spiegazioni per la scelta del suo nome Benedetto – afferma don Roberto Regoli – perché si è rifatto a Benedetto XV il Papa della Prima Guerra Mondiale, colui che si preoccupò della Pace, e poi si è rifatto a San Benedetto da Norcia, il padre della cultura medievale tramite la rete dei monasteri benedettini. E qui c’è tutto il riferimento della questione delle radici culturali dell’Europa”.
Il centro di tutto il pontificato di Benedetto XVI è la problematica della fede e insiste sulla centralità e la bellezza della fede in Cristo, scrivendo tre libri sulla sua vita. “E un caso originale e straordinario, che il Papa stesso abbia scritto una Cristologia – spiega il Cardinale Gerhard Ludwig Müller – ma non solo una classica cristologia, si è concentrato sulla persona di Gesù come appare nella testimonianza biblica.”
I suoi otto anni di pontificato sono stati attraversati anche da momenti difficili: con coraggio e determinazione il Papa ha affrontato il dossier degli abusi sui minori da parte del clero, senza farsi sopraffare dalle critiche dei media e dalle inadempienze episcopali: “Benedetto XVI ha seguito una strada molto coerente – afferma padre Hans Zollner S. J. del Centre for Child Protection- ha dato via libera per fare tutti processi possibili, per condannare i rei e ha incontrato di persona vittime degli abusi”. “E questa fu una delle vicende del pontificato , che ritengo alla lunga uno dei grandi meriti storici di Benedetto XVI. È stato un tempo difficile – aggiunge Padre Federico Lombardi – ma un tempo in cui ha dato un contributo imprescindibile per la storia della Chiesa in questi decenni.”
Al documentario hanno collaborato la Kto, télévision catholique, il Cortile dei Gentili, il Centro Televisivo Vaticano, la Biblioteca Ratzinger e la Fondazione Joseph Ratzinger Benedetto XVI, l’Archivio de L’Osservatore Romano e la Pontificia Università Gregoriana mettendo a disposizione diverso materiale preso dai loro archivi.

La «vita buona» si fa digitale

Dal Consiglio Permanente CEI una riflessione educativa su diocesi, mezzi e linguaggi, riscoprendo e attualizzando il Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa.

E se scoprissimo che la Chiesa italiana aveva un piccolo tesoro a cui finora aveva attinto solo in modo parziale? Sembrano domandarselo i vescovi del Consiglio permanente che la settimana scorsa, nel comunicato finale dei loro lavori, alla fine di un paragrafo dal titolo emblematico – «Media, un approccio educativo» – invitano a «riscoprire e attualizzare il Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa», recuperandolo quindi nella duplice chiave dell’educazione e degli strumenti per renderla efficace.
«Il Direttorio mantiene intatta tutta la sua freschezza», osserva don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale comunicazioni sociali.
E non può essere altrimenti, se si considera da dove arriva e dove si colloca. Il Direttorio viene approvato dall’Assemblea generale della Cei nel maggio 2004. Che epoca era? Tre mesi prima ad Harvard era nato Facebook. I social network non esistevano ancora, l’iPhone sarebbe stato messo in commercio soltanto nel 2007, l’evoluzione tumultuosa della telefonia mobile era appena cominciata. In questo senso, il Direttorio ha sicuramente bisogno di un aggiornamento. Eppure i segnali di ciò che stava per accadere erano stati registrati con una lucidità tutt’altro che scontata.
Un solo esempio. La difficoltà di cercare la verità era già evidente: «La forma di conoscenza privilegiata dalla contemporaneità sembra essere quella dell’ accumulo dei saperi (…). Quando tutto è a disposizione è facile illudersi di poter fare a meno di un sapiente discernimento» (23).
Di un necessario «discernimento» parlano i vescovi nel comunicato. E ha parlato Francesco sabato scorso a Milano. Discernere, evoluzione dell’ antico ‘vedere giudicare agire’. Discernere, ossia dotarsi dell’«abilità critica» che il Direttorio mette al primo posto, tra i compiti degli animatori della cultura e della comunicazione, nuovo profilo pastorale necessario in ogni parrocchia.
Educare per saper discernere; ascoltare per capire e prendere decisioni. Tutta la prima parte del Direttorio è un invito all’educazione e al discernimento; mentre la seconda è di taglio organizzativo. Nulla nasce per caso.
Il Direttorio affonda le sue radici nel 1995 e nel Convegno ecclesiale di Palermo, la stagione di Comunicazione e cultura. Alla fine degli anni Novanta nasce il Progetto culturale e viene rilanciato e riorganizzato tutto il comparto dei mass media Cei: Avvenire, Sir, coordinamento delle radio cattoliche, Sat2000 (poi Tv2000). Il 2002 è l’anno di «Parabole mediatiche», il grande convegno che termina nell’Aula Paolo VI con un memorabile discorso dell’allora cardinale Ratzinger. Da qui prende vita il Direttorio, «in cui – ricorda monsignor Claudio Giuliodori, oggi vescovo assistente ecclesiastico dell’Università Cattolica, allora direttore dell’Ufficio nazionale comunicazioni sociali – la comunicazione e i suoi mezzi diventano progetto organico nell’ azione pastorale della Chiesa».
E siamo a oggi. Il Direttorio della famiglia viene ripreso alla luce dei Sinodi e dell’Amoris laetitia. E il Direttorio sulle comunicazioni sociali viene ripreso alla luce del Convegno ecclesiale di Firenze e del decennio sulla «Vita buona del Vangelo» e dell’educazione, in particolare calibrata sui giovani.
Un possibile sviluppo? Per educare occorrono gli educatori. Quindi, l’obiettivo potrebbe essere avere in ogni parrocchia italiana gli animatori della cultura e della comunicazione, fedeli laici con il ‘carisma del discernimento’, che sappiano far pensare l’intera comunità offrendo notizie, riflessioni e buone letture, affiancando le figure ampiamente riconosciute del catechista, dell’ animatore della liturgia e della carità (n.121). Il Direttorio dedica a questo profilo un intero capitolo. Ripartire da qui, perché educazione e discernimento non si improvvisano.
(Umberto Folena)

da Avvenire del 28 marzo 2017, pag. 16