Prima lezione di teologia

 

Giuseppe Ruggieri, Prima lezione di teologia, Laterza, Bario 2011, pp.169 Euro 12,00

 

Descrizione:

La teologia applica la metodologia scientifica al discorso su Dio e vuole quindi accordare il pensiero di questo mondo con il messaggio cristiano. Ma il discorso su Dio nel cristianesimo del Nuovo Testamento non è in ultima analisi una negazione del sapere di questo mondo? E, allora, la teologia è compatibile con il cristianesimo? Ed è possibile una teologia che resti fedele al messaggio di Gesù di Nazaret?

“La teologia, come viene qui intesa, è semplicemente il ‘discorso su Dio’ che gli uomini non riescono a evitare, la cui presenza si riscontra quindi in tutte le culture umane. Tutti gli uomini sono ‘teologi’, parlano cioè di Dio sia affermandolo e pregandolo, ma anche negandolo o dubitando di lui. Ma questo discorso su Dio nella storia degli uomini tutti ha suscitato anche dei discorsi che hanno la caratteristica di essere funzionali, secondari. Nella storia dell’Occidente (ma non solo in essa) al discorso su Dio che si ritrova nel linguaggio comune si è infatti aggiunto un discorso sul discorso che ha avuto sempre una duplice motivazione: la prima, piuttosto critica e negativa, che rende attenti a non trasferire in Dio i sentimenti dell’uomo che spesso sono discutibili e pericolosi; la seconda (che è poi il risvolto della prima), piuttosto positiva, che tende a dare rigore al discorso a partire da ciò che è specifico di Dio in qualunque modo lo si concepisca. E anche questo discorso sul discorso su Dio si chiama teologia”: Giuseppe Ruggieri introduce alla disciplina che studia Dio, prendendo in esame l’esperienza religiosa cristiana nella sua dimensione dottrinale e di riflessione intellettuale.

 

 

Ora di religione: tutelare la libertà di scelta

L’Osservatore Romano dedica oggi un lungo articolo al tema dell’ora di religione nelle scuole e approfondisce, in particolare, la questione del diritto dei genitori a decidere in materia. “Sono i genitori, e non lo Stato”, scrive il giornale del Vaticano, “ad avere il diritto di educare i propri figli conformemente alle loro convinzioni e lo Stato deve cercare di aiutarli in questo, nella più assoluta neutralità. Lo Stato è costituzionalmente obbligato a garantire ai genitori che i docenti di religione dei loro figli minorenni vengano designati dalla gerarchia della Chiesa della quale essi fanno parte. Designazione che deve essere completamente libera per le Chiese e necessariamente rispettata dallo Stato”.

La presa di posizione del quotidiano della Santa Sede è dovuta al fatto che domani “si tiene a Strasburgo, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, un’importante udienza nella quale sono in gioco, in parte, la libertà religiosa e l’autonomia delle Chiese, delle confessioni e delle comunità religiose riguardo all’insegnamento del proprio credo”. La questione in discussione è “se ai cittadini europei viene garantito che l’insegnamento religioso ricevuto dai loro figli minorenni nelle scuole corrisponda alle loro convinzioni”.




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tuttoscuola.com

Bachelet. Testimoniare da cristiani nella vita e nella politica

Bachelet. Testimoniare da cristiani nella vita e nella politica,  La Scuola, Brescia 2011, 156 pagine, 9 euro

 

La scelta di Vittorio Bachelet


Un discorso del cardinale Martini del 1995 contestava il ruolo di un moderatismo cattolico come stampella di regime e  si rifaceva alla «vocazione ad una società avanzata» della dottrina sociale della Chiesa; una «socialità di tipo  relazionale, che punta sui diritti delle persone, delle comunità, a cominciare dalla famiglia, e dei gruppi sociali e infine  dello Stato di tutti…».
Non riguarda direttamente il protagonista della monografia dedicata da Angelo Bertani a Vittorio Bachelet, ma si  iscrive in un contesto nel quale attorno al personaggio si snoda una riflessione più generale. A partire dal titolo:  Bachelet. Testimoniare da cristiani nella vita e nella politica (La Scuola, Brescia 2011, 156 pagine, 9 euro). Il curatore –  he già in altre occasioni si è interessato di Bachelet – aggiunge oggi alcune valutazioni su un momento storico, come  l’attuale.
«Oggi – scrive Bertani – i cattolici si chiedono come fare ad essere più presenti nella società. L’interrogativo è  complesso e persino ambiguo, ma una risposta c’è: fare come Bachelet. Educare, aiutare a crescere tanti cittadini   redenti, laici cristiani come Vittorio Bachelet. Non è facile, ma forse non ci proviamo neppure perché troppo alta e  disinteressata appare la loro testimonianza, troppo pericolosa la loro libertà, poco redditizia la loro militanza».
Ma nelle cinquanta pagine dell’introduzione, un terzo del volumetto, su alcuni testi illuminanti del «messaggio  educativo» di Bachelet (esemplare nella sua «antropologia della mitezza») c’è la chiave di lettura di qualcuno che «ci  ha aiutato a uscire dal cristianesimo di cristianità: quello che si affidava al conformismo e all’intimidazione,  all’abitudine, alle strutture, alle leggi. E a camminare verso un cristianesimo della coscienza e dell’amore, di  comunione e di carità, dell’evangelo e del Concilio».
Troviamo ancora, nell’introduzione, una ricchezza di riferimenti: ecco che spuntano Giuseppe Dossetti, Aldo Moro,  padre Adolfo Bachelet, il gesuita fratello maggiore di Vittorio: non per il gusto della citazione appropriata ma con il  criterio della perennità che quelle parole attribuiscono ai valori.
E se è un raffinato riferimento quello al testo di una lettera inviata dal cardinale Ercole Consalvi nell’anno di grazia  1800 all’allora ambasciatore del Vaticano (non si chiamavano ancora nunzi) a Parigi, monsignor Annibale della Genga  – il futuro Leone XII –, e nella quale era avveniristicamente contenuta l’esortazione a rendersi conto che la rivoluzione  rancese c’era stata, è meritorio, come fa Bertani, ricordare, civicamente parlando, la trama di  riconciliazione tessuta da Adolfo Bachelet con alcuni protagonisti delle sanguinose vicende degli anni settanta.
Il «nucleo incandescente del linguaggio evangelico » viene evocato nel rapporto Dossetti-Bachelet, anche se con esiti  diversi. Bertani torna inoltre più volte sulla esemplare testimonianza espressa dalla famiglia di Vittorio Bachelet; e  riporta alcuni passi di una intervista nella quale, a vent’anni dalla morte, il figlio Giovanni rifletteva sul significato di  quel sacrificio che, ricorda, è stata «l’occasione, pur tristissima, di mettere alla prova quello che diceva papa Giovanni:  nche se qualcuno dice di essere nostro nemico, e si comporta come tale, noi non ci sentiamo nemici di nessuno».
Si rammenteranno le parole di Giovanni che, il giorno delle esequie del padre, inducevano al perdono e nello stesso  tempo alla giustizia in difesa della democrazia: «Vogliamo pregare per quelli che hanno colpito il mio papà perché,  senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, nelle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta,  sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri».
Con questo spirito si potranno leggere gli otto interventi contenuti nella seconda parte del libro, che disegnano un  percorso culturale e spirituale. Del quale è stato un tornante la «scelta religiosa» impressa all’Azione cattolica in anni  di grande tensione: «Scelta religiosa – affermava Bachelet che ne era stato il gestore – è anche, allora capacità di  aiutare i cristiani a vivere la loro vita di fede in una concreta situazione storica, ad essere “anima del mondo”, cioè  fermento, seme positivo per la salvezza ultima, ma anche servizio di carità non solo nei rapporti personali, ma nella  costruzione di una città comune in cui si siano meno poveri, meno oppressi, meno gente che ha fame».

Angelo Paoluzi

Ripensare l’integrazione degli immigrati

“Il presidente ha ragione bisogna ripensare la legge o siamo destinati al declino”:

intervista ad Andrea Riccardi, a cura di Marco Ansaldo.

 

«Sì, il presidente Giorgio Napolitano ha ragione: c’è la possibilità di riprendere in mano le politiche sull’immigrazione. E dunque occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Perché l’integrazione è un tema centrale di quest’epoca. Lo  faremo, allora, nell’interesse del Paese, della generazione dei bambini immigrati e delle loro famiglie».
Per Andrea Riccardi è un periodo davvero intenso. Citato pubblicamente ieri dal capo dello Stato per l’importanza del nuovo ministero che gli è stato affidato, ma anche elogiato da un ministro del passato governo (Gianfranco Rotondi, il  quale ha detto che lo storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio «ha una bella storia personale»), sa  di avere dietro di sé anche l’attenzione del Vaticano e dello stesso Pontefice, che lo conosce bene e lo stima. Riccardi  allora si schernisce, e si dice ancora «scombussolato» per la chiamata del premier Mario Monti a partecipare al nuovo esecutivo in un ruolo chiave, benché senza portafoglio. E tuttavia «felice» per la nuova avventura.
Lo incontriamo mentre esce dal suo ministero, a Roma, a Largo Chigi.

Il presidente della Repubblica ha parlato di «assurdità e follia» per il fatto che i figli degli immigrati nati in Italia non siano cittadini italiani. È uno dei temi centrali del suo ministero. Che cosa ne pensa?
«Mi sembra che il capo dello Stato abbia dato – per la seconda volta nel giro di pochi giorni – un contributo al  ripensamento dell’identità italiana. Ponendo l’accento sull’importanza di sapere chi siamo e dove andiamo. Un argomento decisivo».


Perché?

«Intanto perché giunge nell’anniversario dei 150 anni dell’unità d’Italia. Proprio quest’anno i giovani hanno potuto  riscoprire le loro radici, direi con un orgoglio maturo».


E poi?

«Perché ha posto il problema dei nuovi italiani e fatto cenno alla legge che porta il suo nome, la Turco-Napolitano del  1998, che segnala un percorso per stabilizzare gli stranieri, seguendo una logica che va dal momento dell’emergenza a quello della stabilizzazione del fenomeno».

Però oggi le prospettive sono diverse.
«Sì, lo sono perché ora abbiamo un popolo di bambini che sono figli di immigrati. I nati in Italia giuridicamente  stranieri superano il mezzo milione. E i minori residenti sono quasi un milione.
Insomma, parlano l’identica lingua, vedono i medesimi paesaggi, vivono la stessa storia, sono legati al nostro mondo.  Senza di loro l’Italia sarebbe più vecchia e con minori capacità di sviluppo».


Qual è la sua intenzione allora?

«Occorre ripensare la legge sulla cittadinanza. Questo proprio perché abbiamo fiducia nella nostra identità. Che è forte  e al tempo stesso flessibile. Capace di integrare».

Un obiettivo ambizioso. Ma non vede dei rischi?
«Io piuttosto vedo convergere in questo progetto, come nelle grandi scelte della politica, l’identità nazionale con  l’interesse nazionale. E anche con l’interesse dei soggetti in questione, cioè i bambini e le loro famiglie».

In quanto fondatore di Sant’Egidio è un argomento a lei caro. Non si attirerà però delle critiche?
«Veramente, e lo dico in modo assolutamente modesto, sono anni che auspico che questo tema sia trattato in modo  ragionevole, legale, e soprattutto umano. Prima di ricevere questo incarico avevo già deciso di parlare di integrazione. Lo faccio ora a maggior ragione».

E dal punto di vista storico come lo considera?
«Credo che il tema dell’immigrazione sia importante tanto quanto la questione dei confini nell’Otto- Nocevento. E  andrebbe affrontato perciò in modo preveggente, freddo e ragionevole».

Si dice che l’Italia abbia una società invecchiata, se non addirittura sclerotizzata. Ma è davvero così?
«Beh, sul tema dell’immigrazione ci si gioca sul serio il futuro, e la possibilità di acquisire nuove energie. L’integrazione  è un passaggio importante. Gli stranieri ringiovaniscono il Paese. È una grande possibilità per il domani. E per tutti i cittadini italiani».

Napolitano ieri ha ricordato il significato della sua nomina a ministro, citando «l’integrazione nella società e nello Stato italiano». Un invito chiaro a puntare su questo aspetto?
«Io sono grato che Napolitano abbia fatto cenno al mio ministero. Anzi confesso che non sono ancora abituato a  pronunciare questa parola, sono ancora fresco di nomina. Ma credo che rappresenti un segnale per affrontare la questione in modo non partigiano».

 

Documentazione

 

Sabato 19 novembre 400 persone hanno partecipato alle prime ‘Assises nationales de la diversité culturelle’ a Parigi. La giornata, fatta di conferenze e di laboratori, organizzata da ‘Témoignage chrétien’ e ‘Salamnews’, si è conclusa con un appello per una società interculturale.

 

Tertio Millennio Film Fest


Il cinema dei miracoli


“Finalmente un ruolo lontano dal narcisismo televisivo e dal ribellismo stereotipato” si legge nella motivazione del Premio rivelazione degli RdC Awards consegnato dai dicasteri del Pontificio Consiglio della Cultura e del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali a Filippo Scicchitano; il giovanissimo “attore per caso” (così ha definito se stesso il protagonista di Scialla! scritto e diretto da Francesco Bruni) ha ricevuto il riconoscimento martedì 22 novembre durante la conferenza stampa di presentazione del Tertio Millennio Film Fest (6-11 dicembre), intitolato “Amore, morte, miracoli. Per una fenomenologia della società contemporanea” e organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo presieduta da Dario Edoardo Viganò. Quest’anno il festival sarà preceduto l’1 e il 2 dicembre dal convegno internazionale “Film and Faith”, come hanno spiegato monsignor Franco Perazzolo, del Pontificio Consiglio della Cultura e monsignor Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Una conferenza stampa atipica, quella della galassia di iniziative che portano il marchio Tertio Millennio Film Fest, composta da anteprime, presentazioni di film restaurati, convegni, incontri, concorsi “per sguardo e smartphone”, in cui accanto ai ringraziamenti di rito ai tanti operatori di cinema presenti, alla poesia per immagini o in versi – da Seamus Heaney a Terrence Malick, passando per Bresson e il suo Il diavolo probabilmente – si sono affacciati anche i Novissimi, le realtà ultime che tanta cultura contemporanea è abituata a ignorare: un rapido memento mori (monsignor Viganò ha citato una frase del cardinale Tomás Spidlík: “Tra noi e il verme non c’è granché spazio”) che ha ottenuto il duplice scopo di ravvivare l’attenzione dell’uditorio e provocare un salutare brivido lungo la schiena, ricordando quanto sia facile sprecare la vita in questioni “di seconda classe”.

(silvia guidi)

©L’Osservatore Romano 23 novembre 2011)

 

 

Tertio Millennio in arrivo

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Giunto alla XV edizione, il Tertio Millennio Film Fest, organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo, presieduta da Dario E. Viganò, propone ancora una volta il cinema quale momento di riflessione sui problemi e gli avvenimenti del mondo contemporaneo e motore per delle domande che nessuno può più permettersi di eludere.
Il tema centrale per l’edizione 2011, è “Amore, morte, miracoli. Per una fenomenologia della società contemporanea”, perché il miracolo, la morte e l’amore sono cifre fondamentali del cinema: “Il Tertio Millennio Film Fest è per tradizione momento di riflessione sulla condizione dell’uomo nel mondo moderno, usando l’orizzonte cinematografico quale mezzo per ragionare e sviscerare i problemi e i disagi contemporanei, ma anche occasione per riflettere sull’ineffabile”, dichiara Dario E. Viganò, Presidente FEdS e Direttore Artistico del Festival, che spiega: “Il tema centrale di quest’anno sottolinea come l’uomo sia da sempre in bilico tra la vita, il razionalismo e misticismo. In questo mondo, in cui sembra esserci poco spazio per il miracolo, il cinema si trova ad assumere su di sé il compito di restituirne la potenza, lo stupore, il bagliore sacrale, senza ridurlo a un effetto scenico, una superfetazione visiva, un trucco tra i tanti”.
I film saranno proiettati presso il Cinema Sala Trevi (vicolo del Puttarello, 25), sala della Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma dal 6 all’11 dicembre. Tra le anteprime più attese, Atmen e Attack the Block. Il primo, diretto da Karl Markovics è il candidato per l’Austria agli Oscar 2012 come miglior film straniero. Una storia di disagio, quella di Roman, che uscito dal carcere sulla parola si trova a dover affrontare i fantasmi del proprio passato.
Il secondo, Attack the Block di Joe Cornish, è un film di fantascienza dai risvolti sociali in cui i veri alieni sono i teppisti di periferia. Tra le anteprime, trova spazio anche Sette opere di misericordia di Gianluca e Massimiliano De Serio. Il film, che ha vinto numerosi premi all’estero e sarà distribuito in Italia a gennaio 2012, è incentrato sulle vicende della giovane Luminiţa che, per cambiare la sua vita, mette in atto un piano audace che la porta a scontrarsi con Antonio, anziano e malato, che cambierà la sua vita. Sempre in anteprima, anche un Evento Speciale, la proiezione di S.O.S/State of Security, documentario di Michèle Ohayon, che racconta attraverso testimonianze e interviste le falle dell’intelligence statunitense in occasione dell’attentato dell’11 settembre.
Infine sarà la volta dell’atteso Hors Satan di Bruno Dumont, film di raccordo con la rassegna Il miracolo, probabilmente. La storia di un giovane, la cui vita è scandita dalla caccia e dalla preghiera, e il suo rapporto con la ragazza che abita in una fattoria limitrofa e si prende cura di lui. Un’ambientazione particolarissima per un film presentato a Cannes 64 nella sezione “Un Certain Regard”.
Il secondo giorno del Festival riserva al pubblico ulteriori eventi speciali a partire da I giorni contati di Elio Petri, opera restaurata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino in collaborazione con La Cineteca di Bologna presso il Laboratorio L’Immagine Ritrovata. Introdotto al pubblico da Alberto Barbera, il film (1962) focalizza con precisione ed efficacia l’estraneità del protagonista dalla società.
A seguire, un incontro con il Direttore dell’Institut Lumière di Lione e delegato generale del Festival di Cannes che riceve dalla Fondazione Ente dello Spettacolo il Premio Speciale Cinema per essersi distinto nell’opera di divulgazione del lavoro di conservazione e valorizzazione del patrimonio cinematografico. Al termine della cerimonia di premiazione, Thierry Frémaux presenterà un’antologia di film restaurati dei fratelli Lumière.
L’8 dicembre sarà la volta del Focus talent: Răzvan Rădulescu & Melissa de Raaf, coppia di sceneggiatori e registi protagonista del risveglio del cinema rumeno. Con First of All, Felicia, il loro esordio dietro la macchina da presa, e Shelter di Dragomir Sholev, l’ultima collaborazione, racconteranno al pubblico il loro sodalizio artistico.
Anche quest’anno, il festival riserva al pubblico degli Incontri con autori e attori italiani. Il 9 dicembre sarà il regista Francesco Patierno che – insieme ai protagonisti del suo Cose dell’altro mondo – racconterà la genesi del film e risponderà alle domande degli spettatori. Il 10 dicembre saranno gli attori Cristiana Capotondi e Antonio Catania ad incontrare il pubblico ripercorrendo in “Cinema è sogno” le loro carriere e trasportando gli spettatori nel magico splendore del mondo del cinema.
Quest’anno il Festival sarà arricchito anche dalla rassegna “Il miracolo, probabilmente (L’occhio laico della messa in scena)”: la sezione si apre con Ordet – La parola, capolavoro del 1955 di Carl Theodor Dreyer, per arrivare ai giorni nostri con Lourdes, vincitore di Premio FIPRESCI, Premio SIGNIS e Premio “La Navicella” alla 66. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Stellet Licht di Carlos Reygadas, Premio della Giuria al 60. Festival di Cannes, e Il ragazzo con la bicicletta dei fratelli Dardenne, Grand Prix al 64. Festival di Cannes e Premio Bresson a Venezia 68. Opere che, come Il tempo dei miracoli di Goran Paskaljevic e Hors Satan, raccontano come il miracolo oggi si insinui tra le pieghe del reale, più che sovvertirlo.
Sempre nell’ambito del Festival, è prevista l’annuale assegnazione degli RdC Awards, che avverrà nel corso di una serata di gala venerdì 9 dicembre, a partire dalle ore 20.30.
Come di consueto, il Festival sarà anticipato da un Convegno Internazionale (1-2 dicembre presso la Pontificia Università Lateranense): “Film and Faith”, diviso in cinque sessioni, sarà occasione per analizzare le implicazioni della Fede e le sue narrazioni nel mondo contemporaneo, per sviscerare l’essenza del sacro nelle immagini cinematografiche.
Un altro convegno, invece, collaterale al Festival, avrà luogo dal 14 al 16 dicembre nella cornice dell’Abbazia Greca a Grottaferrata: “L’Anima nell’Arte. Prospettive ed approdi dell’era digitale”, organizzato dall’associazione Art Promotion con il Patrocinio del Pontificio Consiglio della Cultura, del Ministero della Pubblica Istruzione, della Fondazione Ente dello Spettacolo, si rivolge a quanti, soprattutto nelle nuove generazioni, sentono profondamente l’urgenza della spiritualità.
Cinematografo.it22 novembre 2011


I Domenica di Avvento (annoA)

I DOMENICA DI AVVENTO

Lectio – Anno B

Prima lettura: Isaia 63,16-17.19; 64,2-7

 

Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, cosi che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti.

Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te,  abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.

Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani.

 

v Nel suo contesto originario di «preghiera penitenziale», questo testo composito di Isaia, può essere considerato come una riflessione sulla storia della salvezza. Da una parte essa si sofferma su quanto Dio ha fatto per il popolo biblico («Orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te abbia fatto tanto per chi confida in lui»). Dall’altra confessa le incorrispondenze e le infedeltà che, lungo la sua storia, questo stesso popolo ha accumulato, fino a trasformare l’identità di Dio «padre» e «redentore» in un avversario che di esso più non si prende cura («Avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità… ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore»).

Certo, il tempo di avvento non è tempo penitenziale come la quaresima. L’avvento è il tempo della preghiera, dell’attesa, della gioia messianica, il tempo mariano per eccellenza. Tuttavia, questo testo contiene una preghiera che proprio la liturgia dell’avvento ci propone con frequenza, riferendola alla nascita di Gesù («Se tu squarciassi i cieli e scendessi!»).

Come pure, in questo tempo liturgico ci verrà proposto con più assiduità (nelle letture della messa e della Liturgia delle ore) il libro del profeta Isaia. Per la sua promessa di salvezza e per le sue profezie messianiche — che si realizzeranno in Gesù — Girolamo non esitava a chiamare questo profeta «il primo degli evangelisti».

Il termine «redentore», riferito a Dio, traduce l’ebraico goèl, che si applicava a colui che si impegnava a riscattare un parente venduto come schiavo o a vendicarne la morte. Israele, schiavo dei suoi peccati e delle sue infedeltà, tende le mani a Dio per ricordargli che lui solo può diventare suo goèl, «redentore», come lo era stato al tempo della schiavitù egiziana e all’epoca dell’esilio in Babilonia. Questo intervento è motivato dal rapporto filiale che lega Israele a JHWH «Tu sei nostro padre», anche se non ancora nel senso pieno del NT), e che lega ogni uomo alla divinità (noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani).

 

Seconda lettura: 1 Corinzi 1,3-9


 

Fratelli, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!

Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza.  La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo. Egli vi renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!

 

v «Grazia» e «pace» sono le parole con le quali Paolo inizia il suo scritto ai Corinzi e con le quali abitualmente saluta i destinatari delle sue lettere. Il termine charis (in greco, «grazia») va compreso in tutta la sua portata salvifica: esso indica il dono, il favore che Dio fa all’uomo, soprattutto attraverso la persona di Gesù, il salvatore dell’umanità. Il termine eirène (in greco, «pace») indica invece la nuova condizione di vita in cui la salvezza ha collocato il credente: una condizione di perdono, di riconciliazione, di amicizia con Dio e di fraternità con il prossimo. Essa, tuttavia, si realizzerà pienamente solo quando «la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo» sarà totale e definitiva.

Il brano — come si vede anche per il vangelo — è stato scelto e proposto per questo richiamo alla venuta del Signore, che san Paolo ama chiamare con il termine greco parousìa («presenza», «venuta» del Signore). Si tratta della seconda venuta del Signore. E, come dicevamo sopra, l’avvento ci propone, per queste due prime domeniche la riflessione su questa seconda venuta, suggerendoci gli atteggiamenti e le disposizioni per meglio prepararla.

 

Vangelo: Marco 13,33-37


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

 

Esegesi

 

Il brano evangelico contiene la conclusione del «Discorso escatologico» che, nei vangeli sinottici, precede il racconto della passione. L’averlo scelto per questo tempo di avvento — che ha inizio con questa domenica — è motivato dal fatto che le prime due domeniche di questo tempo liturgico sono orientate alla riflessione sulla seconda venuta del Signore, quella finale. I testi della celebrazione eucaristica (comprese le preghiere) ci collocano quasi alla fine del tempo e del mondo e ci propongono gli atteggiamenti da avere per andare incontro al Signore Gesù. Le altre due domeniche (la III e la IV) sono invece dedicate alla preparazione della venuta storica di Gesù di Nazareth nel suo natale.

La parola chiave del brano evangelico è il verbo «vegliare». Nel suo significato etimologico esso indica «scacciare il sonno», «stare svegli» (in greco, agrypnèo), soprattutto nel momento in cui il sonno — inteso anche nel significato di assopimento spirituale — sembra vincere ogni resistenza che gli viene opposta (vedi Salmo 13,4: «…conserva la luce ai miei occhi, perché non mi sorprenda il sonno della morte»). È, quindi, il verbo che meglio descrive il cristiano come uomo di attesa e di avvento, nonostante le molte tentazioni a fermarsi, a voltarsi indietro, ad assopirsi.

Accanto a questo verbo, il brano evangelico ne propone altri, come «fare attenzione» (ripetuto quattro volte in questo discorso di Gesù:  vv. 5.9.23.33) e «vigilare» (v. 35, in greco, gregorèo, quasi un sinonimo di «vegliare»). Si tratta di un richiamo molto importante per il credente: è, infatti, un momento particolare e decisivo quello della venuta del Signore — chiamato con il termine greco kairòs, che significa il tempo esatto, il momento preciso della salvezza — e il credente non vi può giungere impreparato, rischiando il fallimento totale della propria esistenza. «Alla sera, a mezzanotte, al canto del gallo, al mattino»: queste quattro indicazioni cronologiche indicano la suddivisione delle ore della notte presso i Romani in quattro veglie (corrispondenti ai quattro turni di guardia — o «vigiliae» — delle sentinelle dalle 18 alle 6 del mattino). Gli Ebrei, invece, dividevano la notte in tre veglie.

 

Meditazione


La venuta escatologica del Signore: questo il centro dell’annuncio che proviene dalla pagina evangelica. In Isaia troviamo l’implorazione che il Signore intervenga e porti la salvezza a un popolo che vive nell’angoscia e nelle tenebre; nel vangelo Gesù chiede di vigilare in vista della venuta finale del Figlio dell’uomo che accadrà nella notte del mondo; Paolo, rivolgendosi a una comunità lacerata da divisioni, ribadisce che il nome dei cristiani è «quelli che attendono la manifestazione di Gesù Cristo» (1Cor 1,7).

L’annuncio della venuta del Signore e il comando di vigilare interrogano il credente sul suo rapporto con il tempo. Rapporto molto problematico per noi che «non abbiamo tempo» e particolarmente drammatico oggi che il futuro ha cambiato di segno e da sinonimo di promessa è divenuto sinonimo di minaccia. Sicché suscita paura più che speranza, incita al ripiegamento su di sé e non allo slancio creativo e progettuale.

La vigilanza richiesta non si limita alla veglia nella notte, ma vuole condurre l’uomo a essere all’altezza della propria umanità e della propria fede. Vigilare significa avere i sensi svegli, resistere al rischio dell’ottundimento che il trascorrere del tempo può far nascere. Significa aderire alla realtà, senza fuggire nell’immaginazione e nell’idolatria; significa essere responsabili verso se stessi, il proprio corpo, la cose e le relazioni, gli altri, la propria condotta, il proprio ministero, e infine verso Dio stesso. E ciò che si oppone al lasciarsi andare e all’indifferenza.

Colui che vigila assume coscientemente il proprio ministero e lavora svolgendo il compito che gli è stato affidato. La vigilanza è fedeltà alla terra nella piena coscienza di essere alla presenza di Dio. La vigilanza nasce da un’unificazione della persona di fronte al Signore che la conduce a essere lucida, presente a se stessa, alla realtà, agli altri. Il vescovo è «colui che veglia» (epískopos) sul gregge affidategli. Ma la vigilanza è una responsabilità di tutti i cristiani, che non può essere delegata all’uno o all’altro: «Quello che dico a voi lo dico a tutti: vigilate!» (v. 37).

La vigilanza è la matrice di ogni virtù cristiana, la tela di fondo che da unità alla fede. Un padre del deserto ha affermato: «Non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante» (abba Poemen). E Basilio: «Proprio del cristiano è vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio, sapendo che all’ora che non pensiamo il Signore viene». La vigilanza conduce il cristiano a una memoria mortis non disperata, ma vissuta alla luce del Signore che viene.

Costitutivo della vigilanza è l’attenzione («State attendi»: v. 33). Si tratta di una tensione interiore di tutta la persona verso il fine assegnato alla vita. È un movimento di unificazione personale estremamente dinamico: è il fondamento spirituale dell’azione. L’attenzione è già preghiera: è invocazione, anelito, implorazione, ma poi anche discernimento, riconoscimento, contemplazione della presenza del Signore.

Colpisce che secondo la parabola dell’uomo partito per un lungo viaggio, il momento del suo ritorno sarà nella notte. Tempo in cui occorre tenere gli occhi ben aperti, in cui è più difficile non lasciarsi sopraffare dal sonno, in cui occorre lottare contro la pesantezza del corpo e dell’animo. In cui più che mai si deve attuare la vocazione dei cristiani ad essere luce. La notte è simbolo di tempi bui, di tenebre interiori e storiche, personali e comunitarie, civili ed ecclesiali. La venuta del Signore non le abolisce, ma è proprio in esse che egli viene già oggi, nel quotidiano della vita. Si tratta di abitare la notte acuendo lo sguardo spirituale, lottando contro la pigrizia, vigilando. La notte è il tempo della tentazione e questo tempo è il nostro oggi. L’attesa della venuta del Signore diviene così sforzo di discernimento dei segni della sua presenza.

 

Preghiere e racconti


Uomini di avvento

«La salvezza è una sola: che noi ricominciamo a ricordare e ad accettare umilmente quello che noi siamo. E siamo uomini, e a noi è affidato e concesso avere come destino Dio stesso; a noi sin dall’inizio Dio ha donato la sua vita divina, e per questo il nostro divenire umano deve compiersi nello splendore fiammeggiante di Dio.

[…] Dobbiamo soltanto diventare sensibili a quell’anelito del nostro cuore, -sempre oppresso e pure mai del tutto soffocato, e più esperto di qualunque astuzia-, che vuole proteggere se stesso. In questo modo siamo già veri uomini dell’avvento, che lasciano realmente che Dio venga in loro e hanno per lui un interrogativo sempre pronto; uomini che cercano il tenue apparire del volto di Dio non soltanto nel passato, ma anche nel proprio futuro, trovando proprio in questo il Dio della loro storia. Avremo anche una sensibilità per Dio in tutto ciò che ci attende come destino di una vita matura: le tenebre del dolore e della solitudine; la notte delle amare delusioni, dove tutte le stelle sognate cadono dal cielo; il vuoto bruciante della rinuncia e della bontà mai ricambiata. Tutto quello che ci può togliere i nostri orizzonti familiari, che smantella le istituzioni della nostra sicurezza borghese e ci strappa al nostro suolo, tutto ciò noi lo sperimenteremo come forme diverse del Dio che si avvicina. Così, la nostra fede diventerà quella fede che Dio ama sopra ogni cosa (ha detto una volta Péguy): una speranza tutta tesa, senza difese, al Dio che viene.

[…] (Allora) capiremo, anche se confusamente, che nell’avvento di Dio c’ è insieme l’avvento mirabile della nostra propria esistenza, come l’amore di Dio ha misteriosamente progettato sin dall’inizio (cf. Ef 1,4). Chiaro avvento dell’interiore mistero di grazia della creatura, avvento dell’uomo nuovo nell’avvento di Dio. Allora potremo anche noi alzare la nostra testa, stanca e sopraffatta (cf. Lc 1,28), accendere le nostre lampade e cantare i nostri canti, piano e origliando se già canta con noi colui che è il nostro beato futuro: DIO».

(J.B. METZ Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974, 37-42).

 

Attenzione e vigilanza

Giocando sull’assonanza fra prosoché (attenzione) e proseuché (preghiera) l’antica tradizione cristiana ha affermato lo stretto legame tra queste due realtà: «L’attenzione che cerca la preghiera troverà la preghiera: la preghiera infatti segue all’attenzione ed è a questa che occorre applicarsi» (Evagrio Pontico). In tempi più recenti Simone Weil, riprendendo Malebranche, ha parlato dell’attenzione in termini di preghiera. L’attenzione è la preghiera naturale che l’uomo fa alla verità interiore perché gli si disveli. L’attenzione è faticosa e dolorosa e nell’animo umano vi è qualcosa che vi si oppone con grande veemenza, molto più violentemente di quanto alla carne ripugni la fatica.

All’attenzione si accompagna la vigilanza. Il «vigilante» è l’uomo sveglio, non addormentato, non intontito, è l’uomo lucido e critico, non passivo, è l’uomo responsabile e cosciente. È l’uomo che si lascia colpire e interpellare dagli eventi. Come dimenticare che l’esperienza che ha condotto il Budda allo stato di «svegliato», di «illuminato», è passata attraverso la presa di coscienza della tragica esperienza della malattia, della vecchiaia e della morte? L’homo vigilans è presente a sé e agli altri, alle realtà umane e storiche, ha radici in se stesso e non attende dall’esterno di sé la conferma al proprio agire e alla propria identità. È l’uomo paziente e perseverante, profondo, capace di dare continuità ad una scelta… Non stupisce che un padre del deserto abbia detto: «L’unica cosa di cui abbiamo bisogno è uno spirito vigilante» (Abba Poemen). All’opposto dell’homo vigilans si colloca l’homo dormiens, colui che resta al di qua delle proprie possibilità, che ha paura, che vive orizzontalmente più che in profondità, che si disperde in mille cose da fare o in tante cose da possedere, che è pigro e negligente, che trascina la sua vita come se fosse illimitata considerandola un divertissement.

È colui che non ha passione, è nella sonnolenza, cioè nella morte. Nella mitologia greca Hypnos (Sonno) è gemello di Thanatos (Morte)! Il vigilante è colui che lotta contro il sonno e dunque contro la morte ponendosi come uomo di luce.

(Luciano MANICARDI, La vita interiore oggi. Emergenza di un tema e sue ambiguità, Magnano, Qiqajon, 1999, 20-21).

 

Il desiderio della venuta del Signore

Noi aspettiamo il giorno anniversario della nascita di Cristo: il nostro spirito dovrebbe come slanciarsi, pazzo di gioia, incontro al Cristo che viene, tutto teso in avanti con un ardore impaziente, quasi incapace di contenersi e di sopportare ritardo… Chiedo per voi, fratelli, che il Signore, prima di apparire al mondo intero, venga a visitarvi nel vostro intimo. Questa venuta del Signore, sebbene nascosta, è magnifica, e getta l’anima che contempla nello stupore dolcissimo dell’adorazione. Lo sanno bene coloro che ne hanno fatto l’esperienza; e piaccia a Dio che quelli che non l’hanno fatta ne provino il desiderio!

(GUERRICO D’IGNY, Sermoni per l’avvento del Signore, II, 2-4).

 

L’attesa, una maniera di vivere

«La nascita è un’attesa

ma, contrariamente

a ciò che si vorrebbe credere,

l’attesa non è una parentesi:

è una maniera di vivere…».

(Jean DEBRUYNE, Nascere, Ed. Paoline).

 

Essere svegli

Un giovane chiese al maestro: “Che cosa devo fare per salvare il mondo?”.

Il saggio rispose: “Tutto quello che serve per far sorgere il sole domani mattina”

“Ma allora a cosa servono le mie preghiere e le mie buone azioni, il mio impegno?”.

Il saggio lo guardò con tranquillità e gli rispose: “Ti servono ad essere ben sveglio quando sorgerà il sole”.

 

La vigilanza

Il credente si prepara alla lotta spirituale con la vigilanza: il NT chiede a più riprese di essere sobri e temperanti, di stare in guardia, di vegliare, di stare svegli, di stare  attenti, di essere pronti. La vigilanza è atteggiamento umano e spirituale con cui l’uomo è presente a se stesso e a Dio: è attitudine di lucidità e di criticità che lo mantiene perseverante e non distratto, non dissipato. L’uomo vigilante è attento a tutto il reale, lucido nei confronti di se stesso e della realtà, attento agli eventi e agli incontri, sollecito al proprio ministero, responsabile, capace di pazienza e di profondità. Al contrario, chi non vigila è un uomo addormentato, intontito, che vive sotto il segno della paura, della superficialità, della pigrizia e della negligenza. È l’uomo che teme il faccia a faccia con se stesso, che preferisce la tenebra alla luce, che evita di mettersi in discussione e di confrontarsi… In obbedienza al comando del Signore («Vegliate e pregate per non soccombere nella tentazione»: Matteo 26,41), la tradizione spirituale ha associato la vigilanza alla lotta spirituale e alla preghiera, che di tale lotta è l’arma per eccellenza, ed ha fatto della vigilanza l’arte della purificazione dei pensieri, della “custodia del cuore”, il momento fondamentale della lotta contro il peccato. È dunque ovvio che, nella formazione alla lotta spirituale, occorre condurre alla adesione alla realtà (e anzitutto alla realtà propria, personale, riconoscendo e dando il nome alle lacune, alle debolezze e alle negatività che ci abitano) e alla strutturazione dello spazio interiore (educando a leggere, pensare, interpretare gli eventi, dialogare interiormente). E questo, naturalmente, mentre si introduce all’ascolto della Parola di Dio nella Scrittura, dunque alla conoscenza del Signore.

(Luciano MANICARDI, La lotta spirituale, in CENTRO REGIONALE VOCAZIONI [PIEMONTE-VALLE D’AOSTA], Corso di avvio all’accompagnamento spirituale. Atti, a cura di Gian Paolo Cassano, Casale Monferrato, Portalupi, 2007, 143-144).

 

Vigilanza nella solitudine

Poco tempo fa un prete mi ha detto di avere annullato l’abbonamento al New York Time perché si era accorto che le continue cronache di guerre, di delitti, di giuochi di potere e di manipolazioni politiche non facevano altro che disturbargli la mente ed il cuore, impedendogli di meditare e di pregare.

È una storia triste, perché fa nascere il sospetto che solo cancellando il mondo vi si possa vivere, che soltanto circondandosi di una calma spirituale, da noi stessi creata, si possa condurre una vita spirituale. Una vera vita spirituale, invece, fa esattamente il contrario: ci rende tanto vigili e consapevoli del mondo che ci circonda, che tutto ciò che esiste e che accade entra a far parte della nostra contemplazione e della nostra meditazione, invitandoci a rispondere liberamente e senza timore.

È questa vigilanza nella solitudine che muta la nostra esistenza. La differenza sta tutta nel modo in cui guardiamo e ci rapportiamo alla nostra storia personale, attraverso la quale il mondo ci parla.

(Henri J.M. NOUWEN, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo, Brescia, 1980, 44-45).

 

Tu vegli su noi

Mio Dio, io sono convinto che tu vegli

su coloro che sperano in te,

e che non si può mancare di nulla

quando da te si attende ogni cosa,

per cui ho deciso di vivere in avvenire

senza alcuna preoccupazione

e di deporre in te

tutte le mie inquietudini…

Gli uomini possono spogliarmi

dei beni e dell’onore,

le malattie possono togliermi

le forze e i mezzi per servirti,

io posso perfino perdere

la tua grazia col peccato,

io non perderò mai la speranza,

ma la conserverò

fino all’ultimo istante

della mia vita.

(Jean Guitton, Preghiere per L’Anno Santo).

 

Preghiera

Signore del giorno e della notte,

Dio del cielo e della terra,

si avvicina l’ora della tua venuta.

Non lasciarci intorpidire in un’attesa sonnolenta.

Desta i nostri cuori alla Parola

che non cessi di rivolgerci

attraverso i secoli dei secoli.

 

Padrone dello spazio e del tempo,

nostro Dio, nostro Padre,

non lasciarci riaddormentare:

rendici attenti all’occasione di salvezza che ci offri,

a questi segni incipienti del Regno del tuo Figlio

che vive presso di te e tra noi

ora e sempre.

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

– Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.

– G. TURANI, Avvento e natale 2011. Sarà chiamato Dio con noi. Sussidio liturgico-pastorale, San Paolo, 2011.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche di Avvento e Natale, a cura di Enzo Bianchi et al., Milano, Vita e Pensiero, 2005.

La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.

– J.B. METZ, Avvento-Natale, Brescia, Queriniana, 1974.

Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

si celebra in questo mese la giornata dell’UNICEF per orientare la propria azione con  la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rigths of the Child), approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989.

Costruita armonizzando differenti esperienze culturali e giuridiche, la Convenzione enuncia per la prima volta, in forma coerente, i diritti fondamentali che devono essere riconosciuti e garantiti a tutti i bambini e a tutte le bambine del mondo.

Essa prevede anche un meccanismo di controllo sull’operato degli Stati, che devono presentare a un Comitato indipendente un rapporto periodico sull’attuazione dei diritti dei bambini sul proprio territorio.

 

La Convenzione è rapidamente divenuta il trattato in materia di diritti umani con il maggior numero di ratifiche da parte degli Stati. Ad oggi sono ben 193 gli Stati parti della Convenzione

La Convenzione è composta da 54 articoli e da due Protocolli opzionali (sui bambini in guerra e sullo sfruttamento sessuale).

Sono quattro i suoi principi fondamentali:

a)         Non discriminazione (art. 2): i diritti sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a tutti i minori, senza distinzione di razza, sesso, lingua, religione, opinione del bambino/adolescente o dei genitori.

b)         Superiore interesse (art. 3): in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l’interesse del bambino/adolescente deve avere la priorità.

c)         Diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino (art. 6): gli Stati decono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini, anche tramite la cooperazione tra Stati.

d)        Ascolto delle opinioni del minore (art. 12): prevede il diritto dei bambini a essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata considerazione le opinioni.

 

L’Italia ha ratificato la Convenzione con Legge n. 176 del 27 maggio 1991 e ha fino ad oggi presentato al  Comitato sui Diritti dell’Infanzia quattro Rapporti.

Più che presentare le solite tiritere( inascoltate e non lette) , vi proponiamo quello che dice Oscar Brenifier, il filosofo dei bambini (e dei loro genitori)

Parlare di filosofia con i bambini: impresa impossibile?

No, al contrario. I più piccoli sono naturalmente predisposti a porsi le domande sul senso della vita, un’abitudine che, anzi, si perde man mano ci si avvicina all’età adulta..

Oscar Brenifier(presente a più incontri in Italia), che attività proporrà ai ragazzi durante l’atelier?
Un atelier di filosofia è un luogo di riflessione. Non si tratta né di esprimersi né di ostentare le proprie conoscenze, ma di realizzare delle esperienze di pensiero. Fare delle ipotesi, esaminarle insieme in modo critico, scoprire le assurdità nelle nostre abitudini menatali e pensare l’impensabile.

Quali tematiche tratterà?
I temi non sono così importanti. Possiamo utilizzare i miei libri di filosofia per i bambini sulle grandi questioni, o  sull’amore e l’amicizia, o anche le domande che proporranno i bambini stessi. Ma quello che importa è soprattutto vedere come noi pensiamo e pensare ai nostri stessi pensieri.

Qual è il segreto per attirare l’attenzione dei bambini?
I bambini amano le domande, ce le pongono e noi le poniamo a loro. Si tratta di far scoprire loro il piacere di pensare, di mettere in scena il pensiero, di scoprire o svegliare il piacere del pensiero. Devono imparare che pensare non è necessariamente un dovere scolastico o morale, una sorta di punizione.

Come ha scoperto che sa comunicare così facilmente con i bambini in tema di filosofia?
E’ come per la ginnastica o la pittura. Certe persone hanno delle attitudini innate, che sono più vive, più coscienti, più precoci: è la loro maniera di essere, sono sempre state così. Altre sono più lente, o risentono di un certo timore: con queste si tratta di essere più pazienti.

Che cosa possono imparare gli adulti dalla filosofia dei bambini?
Non c’è una filosofia dei bambini, c’è semplicemente la filosofia: l’arte di pensare. Ma questa pratica fa spesso paura agli adulti, per timore della verità e della coscienza. Fare filosofia con i bambini è dunque una possibilità: quella di prendersi il tempo di pensare alle questioni importanti dell’esistenza, un’igiene benefica e necessaria un po’ a tutti.

Da dove deriva l’idea che sta alla base dei libri?
Come accade per la maggior parte dei libri che scrivo, derivano dalla pratica, dai lavori che faccio con adulti e bambini. Ormai da tanti anni lavoro sul concetto di filosofia pratica, con l’idea di introdurre il grande pubblico alla filosofia, intesa non come un’attività accademica, ma come un modo di affrontare la nostra vita, ciò in cui crediamo, quello che facciamo. Ciò ricorda il modo che si aveva di fare filosofia nell’antichità, o in Oriente, invece di considerarla solo come una materia scolastica. La filosofia prende quindi la forma di un dialogo, più che del solito monologo del professore.

Secondo lei come mai la divulgazione della filosofia è cresciuta negli ultimi anni?
E’ vero, l’interesse per la filosofia è cresciuto presso il grande pubblico negli ultimi tempi: io stesso lo vedo dal successo dei miei libri, tradotti in trenta lingue, e dalla richiesta di filosofia pratica che arriva da persone di estrazione diversa. Credo che questo fenomeno sia in qualche modo una risposta alle decostruzione dei valori tradizionali, un risultato del postmoderno. La gente ora cerca valori, cerca il significato della vita, si pone domande sulla sua esistenza e sui principi sociali, ma molti non hanno intenzione di tornare ai tradizionali dogmi politici, morali o religiosi.

Cos’è l’Istituto di Pratica Filosofica, da lei fondato?
Ho fondato l’Institut de Pratiques Philosophiques quindici anni fa, insieme a mia moglie Isabelle Millon, che è anche una mia collaboratrice; l’idea era quella di promuovere la filosofia come pratica a tutti i livelli sociali. Abbiamo iniziato a proporre dei workshop filosofici o dei “Cafè-philosophique” alle biblioteche comunali, ottenendo un buon successo. Adesso teniamo queste attività in prigioni, centri sociali, scuole, uffici, eccetera. Ho anche sviluppato il concetto di “consulto filosofico”, dove le persone vengono da me singolarmente per discutere su argomenti per loro importanti. Adesso formiamo molti insegnanti e chiunque voglia imparare questa attività per trarne giovamento nella propria vita o per applicarla sul luogo di lavoro. Abbiamo tenuti seminari del genere in quaranta Paesi, Italia compresa.

 

Chi é

Oscar Brenifier è il filosofo dei bambini (e dei loro genitori).  E’ uno specialista di filosofia per l’infanzia, direttore dell’Institut de Pratiques Philosophiques, autore di numerosi libri di filosofia per bambini, lavora da anni sul concetto di filosofia pratica, con l’idea di introdurre il grande pubblico alla filosofia. Durante l’Atelier di filosofia l’autore inviterà  genitori e bambini a dialogare intorno a diversi temi e idee proposte per esaminarle in modo attento e ciascuno scoprirà che i differenti problemi parlano a ognuno diversamente e che è piacevole e arricchente discuterne insieme. Obiettivo di questa esperienza quale che sia l’età dei partecipanti è capire nuove idee, approfondirle, problematizzarle fra domande e obiezioni, chiarirle mettendone a fuoco i concetti fondamentali. Obbiettivo è fare filosofia, renderla pratica e praticarla, inserendola nella dimensione dell’ascolto, del sentire e del sentirsi. Obbiettivo è imparare a pensare e fornire anche ai bambini gli strumenti del pensiero filosofico.

 

PERCHE’ FARE FILOSOFIA CON I BAMBINI?

I bambini si fanno domande che gli adulti hanno perso l’abitudine di farsi o non osano più porsi. I bambini sanno meravigliarsi, le cose evidenti e quotidiane provocano in loro domande, la loro immaginazione li autorizza a pensare l’impensabile. Tuttavia questo fermento si perde abbastanza rapidamente se non nutrito, se ignorato o percepito dall’ambiente circostante come semplice fantasia. D’altra parte il bambino non è cosciente delle implicazioni delle sue intuizioni, delle conseguenze sull’esistenza e sui pensieri. È qui che il dialogo dei bambini con gli adulti si rende utile e necessario per gli uni come per gli altri. Avere il tempo di esaminare le grandi domande, prendere in considerazione in modo critico le diverse ipotesi per approfondirle, imparare a pensare insieme, ecco in cosa consiste l’arte di fare filosofia. Alcuni adulti non vedono l’interesse di fare filosofia con i bambini, pensano che siano troppo piccoli o non si ritengono in grado di gestire tali discussioni. E’ per questi motivi che Oscar Brenifier ha pubblicato diversi libri di filosofia per i bambini, che possono essere usati a casa e a scuola. Gli adulti scopriranno che si può riflettere su temi importanti in modo semplice e ludico.

 

I SUOI LIBRI IN ITALIA


Oscar Brenifier insieme con l’illustratore Jacques Despres ha pubblicato per Isbn Edizioni Il libro dei grandi contrari filosofici, Il libro dell’amore e dell’amicizia, Il senso della vita, Il bene e il male e Il concetto di Dio. Ha lavorato in diversi paesi per promuovere corsi di filosofia. Per l’Unesco ha scritto il rapporto La philosophie non académique dans le monde.
Anche  nell’ultimo libro, “IL CONCETTO DI DIO” Brenifier e Després(suo collaboratore) puntano sempre più in alto. Si interrogano su Dio, con uno stile originale e fantastiche tavole tridimensionali. Cos’è Dio? La domanda è evocativa, affascinante e dà spazio alle più svariate interpretazioni. Ma Oscar Brenifier e Jacques Després non hanno paura di confrontarsi con un’impresa così difficile, e in questo nuovo libro illustrato provano a dare delle risposte, affinando ulteriormente la «pratica filosofica per bambini» sviluppata nei precedenti volumi. Dopo le coppie di contrari filosofici, l’amore e l’amicizia, il senso della vita e il bene e il male, i due affrontano una tematica ancora più elevata. Rivolgendosi ai più piccoli, ma anche ai grandi. Dio esiste? È una semplice superstizione o il mistero alla base dell’origine del mondo? Decide della nostra vita – e della nostra morte – o non ha nessun potere sulle nostre esistenze? Attraverso magnifiche illustrazioni in 3D e brevi frasi che colpiscono nel segno, le riflessioni contenute in questo libro regalano particolari suggestioni e punti di vista sorprendenti. E, pagina dopo pagina, sia i figli che i genitori si ritroveranno a emozionarsi, interrogarsi e crescere insieme.

Dopo il filosofo, secondo i dati  riportati da molti istituti di ricerca sull’infanzia non c’è da stare allegri, ma è bene conoscerli.

Giornata Infanzia: peggiorano le condizioni di vita dei bambini in Italia, e i minori pagano il prezzo più alto della crisi. 1.876.000 vivono in povertà, il 18,6% in condizione di deprivazione materiale. Si allarga la forbice tra Sud e Centro Nord . Sono 10 milioni 229 mila i minori in Italia, pari al 16,9% del totale della popolazione: di essi 1.876.000 vivono in povertà e il 18,6% in condizione di deprivazione materiale. Un pianeta infanzia che in una Italia che invecchia si riduce sempre di più. Napoli, Caserta, Barletta – Andria – Trani sono infatti le uniche province “verdi” italiane in cui la percentuale dei giovani fino ai 15 anni rimane maggioritaria sugli over 65.
La crisi economica rischia di pesare soprattutto sui bambini e sugli adolescenti, in assenza di misure specifiche di tutela. Del resto, dal 2008 ad oggi, sono proprio le famiglie con minori ad aver pagato il prezzo più alto della grande recessione mondiale: negli ultimi anni la percentuale delle famiglie a basso reddito con 1 minore è aumentata dell’1,8%, e tre volte tanto (5,7%) quella di chi ha 2 o più figli. Questo rileva il secondo Atlante dell’Infanzia (a rischio), diffuso da Save the Children che restituiscono moltissime informazioni sulla condizione di bambini e adolescenti del nostro paese: dalle città e territori in cui vivono, alla povertà minorile, dagli spazi di verde e di gioco disponibili, all’inquinamento urbano, dalla dispersione scolastica alla spesa sociale e servizi per l’infanzia. Quest’anno l’Atlante, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dall’unità d’Italia, include anche un approfondimento sui quasi cento ragazzi garibaldini che parteciparono alla spedizione dei mille, un modo anche per confrontare la “giovane Italia” di allora con quella attuale.
“La qualità della vita dei nostri bambini e ragazzi è mediamente incomparabile con quella del secolo scorso”commenta Valerio Neri, Direttore Generale Save the Children Italia. “Tuttavia,se non è più la tubercolosi a uccidere, o la guerra, oggi i nostri minori fanno i conti con la povertà, la scarsità di servizi per l’infanzia, le città inquinate, stili di vita insani che conducono all’obesità. Problemi che l’attuale crisi economica rischia di amplificare se non c’è un’inversione di rotta immediata e si pone la tutela dell’infanzia e adolescenza come una priorità delle scelte politiche-economiche di un paese che finora ha sempre investito molto nelle pensioni e molto meno di quanto avviene altrove per aiutare i minori, i giovani e le famiglie con figli.”
La distribuzione della popolazione minorile: dalle città all’hinterland cittadino
Rispetto al 1861 – all’Italia appena unificata – il numero di minori si è mantenuto costante ma è nettamente cambiata la loro incidenza pari, allora, al 39% contro il 16,9% dell’attuale. Il risultato è che l’Italia è diventato il primo paese al mondo in cui gli anziani sono maggioranza e le città sono affollate di over 65 rispetto agli under 18, con le poche eccezioni delle province di Napoli, Caserta, Barletta – Andria – Trani . Al polo opposto, come città più vecchie, Trieste e Savona . La tendenza tuttavia emergente analizzando la distribuzione della popolazione minorile nei capoluoghi di provincia e nei principali comuni italiani, è il graduale esodo dei minori dai centri storici delle aree metropolitane verso le periferie o i comuni limitrofi, città satellite, hinterland di recente costituzione. E’ il caso di Giugliano in Campania cresciuta esponenzialmente e in gran parte abusivamente negli ultimi vent’anni ai margini di Napoli: qui un abitante su quattro – pari al 25,8% – ha meno di 18 anni, una quota assai maggiore di quella che si registra nel capoluogo limitrofo (21,2%). Ma il discorso vale anche per esempio per Monza e Milano (16,5% di minori contro 14,8%), Prato e Firenze, Modena e Bologna. Il fenomeno è in gran parte dovuto al disagio abitativo delle famiglie giovani con figli, sempre più esposte davanti a un mercato immobiliare bloccato, segnato dall’aumento fuori controllo del prezzo degli affitti, dalla mancanza di un deciso intervento pubblico nel settore abitativo, dalla rinuncia alla pianificazione del territorio. Il paradosso in questo caso è rappresentato dal fatto che un numero sempre maggiore di bambini e di adolescenti finisce per crescere in territori spesso caratterizzati da una riduzione degli standard (urbanistici, ambientali, sociali) e dalla mancanza di servizi per l’infanzia.

I minori di origine straniera


Un gruppo sempre più rilevante ma ancora non adeguatamente tutelato – rileva l’Atlante dell’Infanzia di Save the Children – è quello dei minori di origine straniera: quasi 1 milione di cui 572 mila sono bambini e ragazzi nati in Italia, le cosiddette seconde generazioni. L’Emilia Romagna la regione con la percentuale maggiore di nati da genitori stranieri (23%). Sono di fatto nuovi italiani, ai quali tuttavia una legge molto restrittiva riconosce la cittadinanza e il pieno riconoscimento dei diritti civili solo al compimento del diciottesimo anno (3). Ma è la gestione dell’universo minorile di origine straniera nel suo complesso a destare preoccupazione: un giacimento prezioso che costituisce, sotto vari aspetti, una delle categorie più esposte e meno tutelate. Basti pensare che 1 minore su 2 con il capo famiglia straniero vive oggi in famiglie a basso reddito (4) e che il tasso di bocciati nella scuola secondaria di secondo grado fra gli alunni con cittadinanza non italiana è circa il doppio di quello registrato fra gli studenti italiani.

La povertà e la deprivazione fra i minori


In Italia – sottolinea la sezione dell’Atlante dedicata alle “isole dell’infanzia a rischio” – ben il 24,4% dei minori è a rischio povertà . E sono 1.876.000 i bambini e ragazzi in povertà relativa, cioè che vivono in famiglie che hanno una capacità di spesa per consumi sotto la media. Sono poi 653 mila i bambini e ragazzi in povertà assoluta (privi dei beni essenziali per il conseguimento di uno standard di vita minimamente accettabile). 2 minori su 3 in povertà relativa, e più di 1 minore su 2 in povertà assoluta, vivono nel Mezzogiorno. In particolare è la Sicilia ad avere la quota più elevata di minori poveri (il 44,2% dei minori), seguita dalla Campania (31,9%) e Basilicata (31,1%) mentre la Lombardia (7,3%), Emilia Romagna (7,5%) e Veneto (8,6%) sono le regioni con la percentuale inferiore di minori in povertà relativa. Per quanto riguarda i bambini in povertà assoluta anch’essi si concentrano nel Sud Italia dove rappresentano il 9,3% di tutta la popolazione minorile. Inoltre il 18,6% di minori italiani versa in condizione di deprivazione materiale : nel Nord Est ben il 7% delle famiglie con minori dichiara di aver difficoltà a fare un pasto adeguato almeno ogni 2 giorni e al Sud il 14,7% di famiglie con minori non ha avuto soldi per cure mediche almeno una volta negli ultimi 12 mesi .

Città non a misura di bambini


Le città italiane sono sempre meno a misura di bambino. Il tasso di motorizzazione è altissimo dappertutto e fa segnare una media di 3/4 macchine ogni minorenne: a Roma si contano circa 450 mila minori e 1 milione 890 mila macchine, per un tasso di 4,2 macchine per bambino. In cima alla classifica delle città con il tasso di motorizzazione più alto, Aosta (13,5), Cagliari (5,4), Ferrara (5,1), l’Aquila (4,8)
Inoltre procede senza sosta la cementificazione e impermealizzazione del territorio: si stima che ogni giorno venga cementificata una superfice di circa 130 ettari. In testa alla classifica per cementificazione i comuni di Roma e Venezia, seguite da Napoli e Milano (dove la superficie edificata ha già inglobato i due terzi del territorio comunale).
E rilevante in molte città italiane è l’inquinamento dell’aria: Ancona (140 giornate), Torino (131) e Siracusa (116) spiccano per il maggior numero di giorni di superamento del valore limite di particolato (PM10), polveri sospese nell’aria che penetrano nelle vie respiratorie causando problemi cardio-polmonari e asma. Matera e Nuoro invece le più virtuose con 1 solo giorno di sforamento del limite.
E varia è la disponibilità di luoghi – giardini pubblici, campi, prati, strade – dove i bambini possano giocare: nel Nord e al Centro più di 2 bambini su 3 giocano nei giardini pubblici. Al Sud, dove l’offerta di verde attrezzato è sensibilmente ridotta, la fruizione dei giardini pubblici scende al 16% e una quota maggiore di bambini gioca sulla strada (il 12,2%). Da segnalare il “caso” Campania dove appena 1 bambino su 100 gioca nei prati (in Veneto il 20%) e meno di 3 ogni 100 sulle strade.
Accanto a questi luoghi deputati naturalmente allo svago e al divertimento, aumenta la frequenza da parte dei ragazzi fra gli 11 e i 17 anni dei centri commerciali: 1 ragazzo su 5 dichiara di andarvi almeno una volta a settimana.

In aumento l’obesità infantile


L’Atlante si sofferma anche sulle condizioni di salute e sugli stili di vita dei minori italiani rilevando come – grazie a un’alimentazione abbondante e a stili di vita diversi – rachitismo e gracilità siano problemi ormai relegati ai libri di storia ma, in compenso, ha fatto la sua comparsa l’obesità: si stimano in 1 milione e 100.000 i bambini sovrappeso, di cui quasi 400 mila obesi. In base a una ricerca di CCM- Istituto Superiore di Sanità del 2010, è la Campania la regione con la più alta percentuale di bambini obesi (20,6% nella fascia di età della terza elementare), seguita da Calabria (15,4%) e Puglia (13,6%) a fronte del 9,2% della media nazionale.

La dispersione scolastica


E un altro indicatore importante della condizione dell’infanzia nel nostro paese è quello relativo alla frequenza e dispersione scolastica. Colpisce, a riguardo, il dato relativo ai cosiddetti early school leavers, giovani tra i 16 e i 24 anni che hanno conseguito soltanto l’attestato di scuola secondaria di I grado e che non prendono parte ad alcuna attività di formazione: si stima che siano 1 milione. In termini percentuali si va dal 12,1% del Friuli Venezia Giulia alla percentuale più alta della Sicilia (26%), seguita da Sardegna (23,9%), Puglia (23,4%), Campania (23%) e da alcune regioni del Nord come la Provincia di Bolzano (22,5%) e la Valle D’Aosta (21,2%).
E tra i fenomeni di dispersione si segnala la fuoriuscita dal percorso scolastico degli iscritti al primo anno delle scuole secondarie di II grado (licei, tecnici, professionali, eccetera): il 12,3%, più di 1 su 10 degli studenti, interrompe la frequenza e non si iscrive all’anno successivo. I territori in cui il rapporto tra esclusione sociale e fallimento formativo emerge in maniera più drammatica sembrano essere quelli delle aree metropolitane del Sud: le zone di Napoli, Caserta, Palermo, Bari, Taranto, Cagliari, Reggio Calabria, Catania registrano abbandono scolastico in età molto precoce e percentuali di mancata iscrizione e marcata dispersione molto elevate negli istituti professionali e tecnici. Da questo punto di vista, la scuola italiana non appare in grado da sola di promuovere la mobilità sociale e l’emancipazione dei ragazzi appartenenti alle fasce più deboli della popolazione.

 

Risorse e servizi per l’infanzia – per esempio asili nido – tra tagli e differenze territoriali

“Il quadro dell’infanzia che emerge dall’Atlante e dalle sue numerose mappe, non può non preoccuparci soprattutto laddove si vanno ad analizzare le risorse e le misure messe in campo a tutti i livelli in favore dei bambini e degli adolescenti presenti sul suolo italiano”, prosegue il Direttore Generale Save the Children Italia.
Per quanto riguarda per esempio i finanziamenti e le risorse economiche il futuro non appare confortante: L’analisi territoriale degli interventi e delle risorse poste in essere dalle amministrazioni pubbliche, nazionali, regionali e comunali, rivela un vero e proprio puzzle, un quadro di interventi frammentato e lacunoso, segnato dalla totale di assenza di indirizzi e pratiche comuni, destinato a peggiorare drammaticamente in un prossimo futuro se si considera, ad esempio, che il Fondo sociale nazionale pari a 1 miliardo di euro nel 2007 sarà ridotto a 45 milioni nel 2013. Rispetto poi ai servizi, posti in essere, emergono grandi differenze da regione a regione. Basta guardare per esempio agli asili nido: in cima alla classifica l’ Emilia Romagna dei cui nidi usufruiscono il 29,5% dei bimbi tra 0 e 2 anni, l’Umbria (27,7%), Valle D’Aosta (25,4%) a cui fanno da contraltare la Campania – in fondo alla lista con il 2,7% dei bambini presi in carico dai nidi pubblici, o la Calabria, con il 3,5%.
“L’Italia della spesa e dei servizi per l’infanzia colpisce per le differenze fra regione e regione e anche i tanti sprechi e inefficienze. Un dato per tutti è quello dei fondi europei che rischiamo di rimandare indietro a Bruxelles. Con un calcolo un po’ grossolano, abbiamo stimato che basterebbe il 7% dei 29 miliardi di euro ancora non impegnati per creare 100.000 nuovi posti in asilo nido o strutture educative per l’infanzia nel Sud”, commenta ancora Valerio Neri. “In questo quadro la crisi economica non può essere addotta come giustificazione ma anzi deve essere un incentivo a investire sull’infanzia una volta per tutte se vogliamo che oltre la crisi ci sia un futuro per il nostro paese, cioè per le giovani generazioni. Questo significa una serie di misure e provvedimenti urgenti e fondamentali.  
Quella che registriamo è piuttosto una rimozione della questione infanzia e adolescenza in Italia. A dimostrazione il fatto che non abbiamo allo stato alcun provvedimento organico in atto per fare fronte alla questione della povertà minorile, per combattere la dispersione scolastica, per un intervento forte a favore dei minori che crescono al Sud, per costruire una rete nazionale di servizi per la prima infanzia. C’è, è vero, un nuovo Piano infanzia varato nel 2010, con contenuti importanti. Ma è solo sulla carta: privo com’è di risorse finanziarie, di obiettivi di avanzamento e di sistemi di monitoraggio. Un’ulteriore questione”, prosegue Neri, “è la mancanza di dati e conoscenze aggiornate su una serie di problematiche rilevanti relative all’infanzia in Italia, come per esempio l’abuso, le violenze”. Temi che vengono in rilievo da una delle mappe dell’Atlante realizzata in collaborazione con l’Ansa che riporta le parole/notizie più ricorrenti nei notiziari dell’agenzia con riferimento all’infanzia e ai minori.
“L’Italia è ricca di esperienze di eccellenza per la promozione dei diritti dei minori”, commenta Raffaela Milano, Responsabile Programmi Italia – Europa Save the Children. “Oggi queste esperienze vivono una condizione di estrema difficoltà e solitudine, dal momento che la questione infanzia è sostanzialmente scomparsa dall’agenda istituzionale. Il compito di Save the Children, con il suo programma Italia, è dare voce anche a questa Italia, valorizzando e mettendo in rete queste competenze che rappresentano un patrimonio che l’Italia non può lasciare morire. L’Atlante sarà la nostra agenda di lavoro”.

Notizie utili


E’ possibile scaricare la versione integrale dell’Atlante al seguente link: http://risorse.savethechildren.it/files/comunicazione/Ufficio%20Stampa/SAVE%20-%20AtlanteInfanziaNov11BDopPag.pdf
Le principali mappe e la copertina dell’Atlante sono scaricabili da qui:
http://risorse.savethechildren.it/files/comunicazione/Ufficio%20Stampa/Mappe%20per%20media%20e%20cover.zip

Per ulteriori informazioni:
Ufficio Stampa Save the Children Italia
tel. 06.48070023-071-001
press@savethechildren.it, www.savethechildren.it

Il Programma Italia e i suoi partner

Nel 2011 Save the Children ha attivato un ambizioso programma di cinque anni dedicato ai bambini e agli adolescenti in Italia, proponendosi di rafforzare stabilmente le infrastrutture sociali e di cura per i minori, con particolare attenzione alle aree più deprivate. Gli ambiti principali di intervento sono la lotta alla povertà minorile, la protezione dei minori a rischio di sfruttamento (come i minori stranieri non accompagnati), l’educazione e la scuola, l’uso delle nuove tecnologie, la tutela dei minori nelle emergenze. Una particolare attenzione è dedicata ai minori che vivono nel sud Italia, con l’attivazione di un programma specifico di intervento, “Crescere al Sud”. Tutte le attività promosse da Save the Children prevedono la partecipazione attiva dei bambini e dei ragazzi.
Per la definizione di strategie e la realizzazione dei programmi sul campo, Save the Children nel 2011 ha coinvolto un’ampia rete di organizzazioni partner, nazionali, internazionali e locali, tra le quali: UNHCR, OIM, UNICEF, ANPAS, CISMAI, UISP, CSI, Libera, Caritas, Rete G2 – seconde generazioni, AIMMF, SIP, Consorzio Nova, EIP Italia, Vides Main, CAF, Il Melograno, Pontedincontro, L’Orsa Maggiore, L’Altranapoli, Dedalus, Civitas Solis, Cooperativa ISKRA, Radio Kreattiva, Inventare Insieme.  
Save the Children è inoltre capofila di un network (gruppo CRC) composto da 86 organizzazioni e associazioni impegnate nel monitoraggio dell’attuazione, in Italia, della convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

 

Maria de falco Marotta & Team

Scialla!

 

Il film d’esordio di Francesco Bruni, già vincitore del veneziano “Controcampo italiano”, punta su un cinema di scrittura. Una commedia in bilico tra romanzo di formazione e riflessione satirica che celebra l’incontro fra generazioni e culture

«Li osservo questi uomini, educati ad altra vita che la mia: frutti d’una storia tanto diversa, e ritrovati, quasi fratelli, qui, nell’ultima forma storica di Roma». Ve li sareste mai immaginati i versi di Pasolini in bocca a un boss della malavita (Vinicio Marchioni) che infligge ai suoi sottoposti i 400 colpi di Truffaut e i quadri di Schnabel perché da ragazzo, all’istituto tecnico, ha avuto un professore che gli ha insegnato l’amore per l’arte?

È quel che accade in Scialla!, film esordio di Francesco Bruni, storico sceneggiatore di Virzì (tutti i film), Calopresti, Ficarra e Picone, già vincitore del veneziano “Controcampo italiano”. E non è l’unica bella sorpresa. Costantemente in bilico tra romanzo di formazione e commedia satirica, Scialla! celebra un incontro fra generazioni e culture, dall’evidente valore simbolico. Un padre e un figlio che i casi della vita hanno separato per quindici anni e che improvvisamente devono fare i conti ognuno con l’esistenza dell’altro.

Bruno (Fabrizio Bentivoglio), una sorta di Big Lebowski all’italiana, è un professore disilluso imbevuto di spleen che si è messo a scrivere biografie di calciatori e porno-star e Luca (Filippo Scicchitano) un ragazzino irruento, ignorante e distratto ma pieno di spudorato ottimismo e a suo modo vitale e irriverente. La convivenza forzata, inizialmente problematica e conflittuale renderà migliori entrambi.

I padri, dice Francesco Bruni dovrebbero superare la paura di rappresentare «il limite, il principio di autorità, l’esempio, l’insegnamento». Bruni gioca col gergo adolescenziale e gli immaginari della cronaca con tocco lieve e maturo puntando su un cinema di scrittura che dosa i suoi ingredienti con semplicità. “Scialla” non è solo un titolo ma anche un manifesto programmatico: «in fondo volevo fare una commedia “scialla”, cioè semplice, rilassata», ci spiega il regista.

Nel film si ride molto ma capita anche di emozionarsi, come quando Luca si carica sulle spalle Bruno, ovvero il figlio si prende cura del padre. È l’immagine di Enea che presta soccorso al vecchio padre Anchise che il ragazzo, non cogliendo l’affettuosa metafora, continua a chiamare Ascanio ma è anche l’immagine di un rinnovamento sociale in cui i giovani tornano ad essere una risorsa e i vecchi guariscono dalla sindrome di Peter Pan ammettendo le loro debolezze.

di Stefania Pala
stefania.pala@gmail.com

 

Minori, il pericolo corre sul web

 

i risutati di una indagine condotta dalla rete EU Kids Online Network in 25 Paesi europei

 

 

La Società Italiana di Pediatria, in occasione degli Stati Generali della Pediatria, ha presentato dati allarmanti sui baby-internauti, emersi da una indagine condotta dalla rete EU Kids Online Network in 25 Paesi europei, Italia compresa, in cui sono stati intervistati oltre 25 mila ragazzi (e per ognuno di loro, uno dei genitori) tra i 9 e i 16 anni.

Aumenta il rischio di pedofilia, cyber-bullismo e ‘sexting’ (lo scambio tra coetanei di immagini a sfondo sessuale), e ad esporsi sono bambini sempre più piccoli”– nota l’indagine.

In seconda, terza elementare, accanto a giochi, fumetti e libri, per i bambini già dai 7 anni c’è Internet, finestra sul mondo e anche sulle sue brutture.

Secondo l’indagine, nel 9% dei casi i giovanissimi trasferiscono anche nella realtà gli incontri fatti in rete, il tutto all’insaputa dei genitori che, in sette casi su 10, ignorano le loro abilità e le loro attività davanti allo schermo.

Se da un lato è in crescita il numero dei reati sul web ai danni di bambini e adolescenti, sono “in vorticoso aumento” anche quelli “commessi su internet dagli stessi minori”, ha spiegato all’istituto degli Innocenti a Firenze, il pm della procura fiorentina Ornella Galeotti. Dati confermati a Roma da Marco Valerio Cervellini, responsabile della campagne di comunicazione della Polizia postale.

Nella maggioranza dei casi si tratta di atti di cyber-bullismo, ingiurie, minacce”, ha spiegato il magistrato, secondo il quale l’escalation è legata, oltre che ovviamente al sempre più diffuso uso di internet tra i minori, soprattutto alla “mancata consapevolezza, da parte di bambini e adolescenti, che, paradossalmente, i reati su web vengono perseguiti in modo più severo e stringente che nel mondo reale esterno”.

Se in quest’ultimo infatti – ha spiegato – talvolta si può sperare di portarli a termine e farla franca, su internet la polizia postale è praticamente in grado di ricostruire ogni singolo atto, mossa e gesto effettuato dal minore. I bambini pensano esattamente il contrario e dunque finiscono per compiere gesti illeciti”.

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tuttoscuola.com

 

Altri contributi

 

“Anche per l’omofobia ho l’impressione che gli adulti piú pericolosi siano gli ignoranti o quelli che hanno qualcosa da nascondere, a volte anche a se stessi. Consiglierei a tutti noi educatori di conoscere e amare se stessi e rispondere a tutte le domande dei ragazzi, avendo il coraggio di dire subito con un sorriso “non lo so” e poi studiare insieme a loro, quando la domanda ci trova impreparati: questo serve contro l’omofobia, ma è essenziale anche per l’insegnamento della fisica»”

Una scuola dove nessuno vuole andare ad insegnare

NAPOLI Alla scuola Viviani ci sono 27 cattedre libere ma nessuno ci vuole andare ad insegnare. Già, perché la Viviani non si trova in una zona “normale” ma al Parco verde di Caivano, un quartiere popolare in provincia di Napoli che di verde ha solo il nome ed è ritenuto un fortino della criminalità organizzata. E i professori si rifiutano di andare.

UNA PRESIDE CHE RESISTE

A chi chiede spiegazioni alla preside Eugenia Carfora scopre che qui, la preside, fa anche l’insegnante, la segretaria e la bidella. Perché neanche il personale non docente ci vuole venire a lavorare. La segreteria è chiusa a chiave, dall’inizio dell’anno sono senza amministrativi. Quando arriviamo a scuola troviamo solo 7 docenti su 34 e un numero impressionante di professori in malattia. Per la stessa cattedra di Italiano sono arrivati a pagare fino a 8 docenti. Ma neanche il tempo di sedersi dietro alla cattedra e si sono messi tutti in malattia. Gli altri in graduatoria, invece, rifiutano l’incarico. Al Provveditorato agli studi di Napoli dicono che hanno le mani legate, questa è la normativa e per le zone a rischio non è prevista alcuna eccezione. «Sono arrivata da appena 5 mesi – dice la dirigente Luisa Franzese -. Prometto che alla prima occasione farò visita al Parco Verde” di Caivano». Nel frattempo, un giro in questa scuola di frontiera lo abbiamo fatto noi. In classe ci sono pochissimi banchi. L’evasione scolastica è al 49 %. Nel quartiere gli adolescenti rappresentano manovalanza per la criminalità organizzata. Peri i genitori la scuola è l’ultimo dei pensieri. Ogni famiglia ha almeno un parente in carcere. Quei pochi alunni che frequentano sono quelli che la preside preleva ogni mattina di casa in casa, andando a bussare alle porte di questo quartiere che altri evitano persino di attraversare con la macchina. Ma non tutti hanno gradito. Anzi, quasi subito è partita la contestazione nei suoi confronti.

«BANCHI RUBATI E PISTOLE IN AULA»– Al suo primo giorno di scuola la Carfora trovò tutto sottosopra. Nemmeno i banchi in aula c’erano. Di notte qualcuno li rubava e poi li rivendeva. In una delle aule trovarono nascoste persino delle pistole. «A molti non va a genio la preside perché è un tipo tosto – dicono alcune mamme nel quartiere -. Noi sappiamo solo che senza la sua determinazione i nostri figli a quest’ora starebbero in mezzo alla strada. Senza contare che prima che arrivasse lei questa scuola sembrava uno scantinato: puzzava di urina e c’erano topi ovunque. Lei s’è rimboccata le maniche e l’ha ripulita da cima a fondo». Giorni fa la preside lanciò un appello: «Non abbandonate la mia scuola nelle mani della criminalità». Hanno risposto centinaia di prof da tutta Italia, che qui verrebbero ad insegnare per davvero. Ma per il ministero ci sono le graduatorie da rispettare e sulla carta non c’è distinzione tra fannulloni e docenti. Da mesi scrive al ministero dell’Istruzione chiedendo una diversa procedura per l’assegnazione del personale nelle scuole a rischio. Nessuna risposta. Al suo fianco si è ritrovata solo la parte sana del quartiere, magari minoritaria, ma che ha voglia di cambiare e spera che arrivi qualcuno a dare man forte alla dirigente di ferro. Ma per il momento sono arrivate solo minacce e insulti, compresa una pagina su facebook dal titolo eloquente: «Ti odiamo a morte preside!». Firmato: Parco Verde.

Antonio Crispino21 novembre 2011

 


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