XIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Prima lettura: Zaccaria 9,9-10

Così dice il Signore: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».

 

Il testo profetico che stiamo leggendo, riflette la situazione della comunità giudaica dopo l’esilio, sotto la dominazione straniera, all’epoca delle campagne di Alessandro Magno. Il profeta vuole rispondere alla domanda angosciante del popolo: Chi governa il mondo? Alessandro o il Signore che abita in Sion?

     Il Signore invierà in Gerusalemme un re messianico, che si presenterà non come il grande re macedone, ma in modo umile, vincendo non con le armi della violenza e mediante il gioco delle alleanze politiche. Anche il popolo messianico, se vuole realmente avere la vittoria, deve rinunciare alla violenza, alla vendetta delle armi: l’arco di guerra sarà spezzato.

     Per questo la città di Gerusalemme è invitata alla gioia. Presto arriverà questo re liberatore, che stabilirà la giustizia e la salvezza. Cavalcherà un asino pacifico: non userà quindi la forza militare come gli altri re. Con la sua parola annunzierà la «pace» universale. Il suo dominio pacifico sarà fondato sulla non-violenza

 

Seconda lettura: Romani 8,9.11-13

Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.  E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.

 

La «carne» per Paolo non indica qui il corpo, o la sessualità dell’uomo, ma il modo di vivere dominato dall’egoismo e dal peccato. È lo stato di un uomo che, schiavo delle proprie paure di morire, non riesce a donarsi a nessun altro se non a se stesso. Essere sotto il dominio dello «spirito», significa invece un’esistenza suscitata e guidata dallo Spirito Santo.

     Il cristiano appartiene a Cristo perché ha il suo Spirito, cioè ha fatto l’esperienza di essere morto e risorto con lui. Riproduce in sé gli stessi atteggiamenti del Servo del Signore che non ha resistito al male.

     Ora egli può non vivere più nella carne, cioè costretto continuamente a difendersi, perché accerchiato dalle paure di perdere la propria vita donandosi agli altri. Può invece vivere nello Spirito, cioè fare le opere dello Spirito, che sono quelle dell’amore gratuito perfino ai nemici.

 

Vangelo: Matteo 11,25-30

In quel tempo Gesù disse:  «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

 

Esegesi

     Dopo aver rimproverato severamente le città sulla riva del lago di Genesaret, per non aver accolto la buona notizia del Regno di Dio, Gesù osserva che attorno a lui c’è della gente che lo ascolta. Sono i piccoli: gente senza parola, gli oppressi e gli affaticati, obbligati a portare pesi insopportabili, un cumulo di precetti che impediscono un libero incontro con Dio. E Gesù benedice Dio che rivela i segreti della sua sapienza proprio a questi piccoli.

     Il brano inizia con una lode al Padre, l’unico che ha saldamente in mano le sorti del cielo e della terrà, eppure si china dolcemente verso il povero e l’umile. Gesù esprime la sua gioia perché vede che questo si sta realizzando nei suoi discepoli che lo seguono e l’ascoltano. Dio ha distrutto così la sapienza dei sapienti e ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti.

     Ma come avviene questa rivelazione? Per mezzo di Gesù Cristo, la sapienza personificata. A lui il Padre ha dato tutto (cf. Dn 7,13-14). Solo lui, il Figlio, può comunicare la conoscenza del Padre.

     E guardando le folle stanche e sfiduciate, senza pastore, Gesù le invita a cercare in lui il vero riposo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». Invece della legge dei farisei egli offre loro le parole del «Discorso della montagna» (Mt 5-7). Agli occhi umani questo sembrerebbe una beffa. Ma solo per chi non ha lo spirito del Figlio, che è mite e umile di cuore. Gesù, che sta per incominciare una lotta contro le forze del male che lo porteranno alla morte violenta in croce, affronta questa battaglia con lo spirito mite dell’agnello. Questo stesso spirito egli dona ai poveri e ai deboli che lo seguono.

 

Meditazione

      La prima lettura presenta una figura messianica connotata dalla canawah, che è piccolezzae umiltà. Il re di cui parla Zaccaria è un curvato, un obbediente; secondo la versione greca dei LXX è un mite, come Gesù nel testo evangelico. E tanto nel re di Zaccaria quanto nel messia Gesù, la connotazione di umiltà e mitezza non si esaurisce sul piano morale, ma è elemento rivelativo dell’essere e dell’agire di Dio. Matteo presenta Gesù come figura di rivelazione e di iniziazione alla rivelazione: mentre, con la sua umiltà, rivela l’umiltà di Dio, Gesù si propone anche come fonte di umiltà per i suoi discepoli.

     Nel testo evangelico, il versetto 25 inizia affermando che Gesù, «rispondendo» o «prendendo la parola», disse… Gesù reagisce con la preghiera («Ti rendo lode, Padre») a quanto narrato precedentemente: nel capitolo undicesimo emerge la constatazione dello scarso interesse suscitato dalla persona, dalla predicazione e dalle opere di Gesù (cfr. Mt 11,1-24). Gesù integra nella preghiera l’insuccesso, mette tutto davanti al Padre e conferma il suo «sì», il suo «amen», la sua decisione irrevocabile di adesione a Lui. Il suo «sì» al Padre non è condizionato dal successo della sua missione, ma è un’adesione radicale che anche situazioni sfavorevoli o contraddittorie non intaccano.

     La preghiera di Gesù ringrazia il Padre non tanto per l’azione di nascondimento nei confronti di alcuni, quanto per l’azione di rivelazione nei confronti di altri. L’adesione di alcuni, definiti piccoli e semplici, che, credendo alla parola e alle opere compiute da Gesù, hanno colto in lui la rivelazione del Padre, diviene svelamento e giudizio del cuore di altri, la cui sapienza intellettuale e dotta si rivela inconsistente davanti alla semplicità dei piccoli: «Grande è la misericordia di Dio: egli rivela i suoi segreti agli umili» (Sir 3,20 secondo il testo ebraico).

     Le parole di Gesù nei vv. 28-29 abbozzano un vero e proprio itinerario di sequela del discepolo. Abbiamo anzitutto la chiamata: «Venite a me»; quindi la necessaria rinuncia alla volontà propria per obbedire alla volontà del Signore («prendete il mio giogo»). Per «volontà propria» non si intende la libera determinazione dell’uomo, ma la sua volontà egocentrica, autoreferenziale, «carnale». Quindi c’è l’attitudine discepolare, l’obbedienza del discepolo al suo maestro e Signore («Imparate da me») e infine il riposo, la pienezza di vita trovata nel Signore («troverete ristoro per la vostra vita»).

     Il «giogo» di Gesù non designa dettami religiosi o comandi da eseguire, ma una relazione, un legame, onorando così l’etimologia della parola (l’indoeuropeo yug, cfr. anche il sanscrito yoga) che designa l’azione di «riunire», «mettere insieme». Il giogo di Gesù leggero e soave è in continuità con il comando biblico di amare e con l’idea che colui che ama fa con gioia la volontà dell’amato. Anche l’atto di comandare l’amore, assurdo se posto in bocca a un terzo, è pienamente sensato se posto in bocca all’amante. L’amante può dire «Amami!», l’amante può chiedere amore.

     Gesù promette riposo a chi assume il suo giogo (cfr. Mt 11,29). Un’esistenza credente che sia perennemente stressata dagli impegni pastorali e si configuri come frenetica attività che non conosce sosta e riposo, dimentica quell’affidamento a Cristo che è fonte di riposo nella fatica e di consolazione nelle contraddizioni. E che plasma il volto del credente non a immagine e somiglianza di manager iperattivi e sempre nervosi, ma del Cristo mite e umile, paziente e benevolo.

     Al tempo stesso, un giogo resta un giogo e nulla toglie la fatica di portarlo. Amare è un lavoro impegnativo e la sequela Christi comporta sforzo e fatica. Di fronte alla tentazione diffusa di eliminare dal vivere ciò che è faticoso e comporta sofferenza in nome dell’idolatria del «tutto, subito e senza sforzo», occorre ribadire che non si danno grandi realizzazioni umane e spirituali senza fatica, dedizione, sacrificio. Né possiamo dimenticare che il giogo dell’obbedienza portato da Gesù durante tutta la sua vita è divenuto, alla fine della sua vita, un portare la croce.

 

Preghiere e racconti

Beati i miti

 Il nostro campo è invaso dall’ingiustizia. Tutte le risposte del mondo all’ingiustizia sono violenza attiva o consentita. Opporvi la dolcezza del Cristo è scandalo.

 Chi può misurare il coraggio richiesto a coloro che accettassero questo scandalo della mitezza? Ma c’è scandalo più grande  ed autentico, questo  dello scandalo dei cristiani che hanno lasciato a un Gandhi la responsabilità di levare nel mondo una massa di uomini che si affidavano alla forza incoercibile di quella mitezza?

 E tuttavia, ancora una volta, non c’è scelta. Il Cristo “mite ed umile di cuore” è un fatto. Non possiamo né rettificarlo né adattarlo.

(Madeleine DELBRÊL, Noi delle strade, Gribaudi, 2008, Milano, 123).

Zelo e umiltà

«Occorre che vi sia l’insieme di zelo e di umiltà, del riconoscimento cioè dei propri limiti. Da una parte lo zelo: se veramente incontriamo Cristo sempre di nuovo, non possiamo tenercelo per noi stessi. […] Ma questo zelo, per non diventare vuoto e logorante per noi, deve collegarsi con l’umiltà, con la moderazione, con l’accettazione dei nostri limiti. E poco oltre aggiungeva che il nostro dev’esser anche tempo di interiorità. Infatti, potremo servire gli altri, potremo donare solo se personalmente anche riceviamo, se cioè noi stessi non ci svuotiamo. Da quest’esperienza di interiorità potremo ricevere in dono sempre di nuovo un grande arricchimento. Solo così potremo trasmettere agli uomini «più di quello che è nostro, vale a dire: la presenza del Signore».

(Benedetto XVI, Discorso ai sacerdoti e ai diaconi permanenti della Baviera, il 14 settembre 2006).

Preghiera di un pagliaccio

Padre, sono un fallito, però ti amo.

Sono vari anni che sto nelle tue mani, presto verrà il giorno in cui volerò da te…

La mia bisaccia è vuota, i miei fiori appassiti e scoloriti, solo il mio cuore è intatto.

Mi spaventa la mia povertà però mi consola la tua tenerezza.

Sono davanti a te come una brocca rotta, però con la mia stessa creta puoi farne un’altra come ti piace…

Signore, cosa ti dirò quando mi chiederai conto?

Ti dirò che la mia vita, umanamente, è stata un fallimento, che ho volato molto basso.

Signore, accetta l’offerta di questa sera…

La mia vita, come un flauto, è piena di buchi…

ma prendila nelle tue mani divine.

Che la tua musica passi attraverso me e sollevi i miei fratelli, gli uomini, che sia per loro ritmo e melodia, che accompagni il loro camminare, allegria semplice dei loro passi stanchi…

(Manoscritto spagnolo).

L’amicizia

“L’amicizia possiede le medesime peculiarità dell’acqua di un fiume: può aggirare gli ostacoli, superare le rocce, adattarsi a valli e monti, trasformarsi in un lago per colmare una conca e proseguire il suo cammino.

Così come il fiume non dimentica che la sua meta è il mare, l’amicizia non scorda che la sua unica ragion d’essere è dimostrare l’amore verso gli altri.”

(Paulo COELHO, Il manoscritto ritrovato ad Accra, Bompiani, Milano, 2012, 104-105).

Essere bambini

Mentre la beata Umiliana giaceva nel suo letto, dentro la sua cella, chiusa nella torre, ecco un bambino di quattro anni o poco meno, dal volto bellissimo. Giocava con impegno proprio nella sua cella davanti a lei. Quando lo vide provò una grande gioia e rivolgendogli la parola disse: O amore dolcissimo, o carissimo bambino, non sai fare altro che giocare? E il bambino con il suo sguardo tranquillo le rispose: Che altro volete che faccia? E la benedetta Umiliana umilmente disse: Voglio invece che tu mi dica qualcosa di bello su Dio. E il bambino disse: Credi che sia bene che uno parli di se stesso? E con queste parole disparve.

(fra’ Vito da Cortona)

Mite e umile di cuore

Cristo è ancor oggi per noi un maestro mite e colmo d’amore per gli uomini che continua a prendersi cura della nostra salvezza. Lo dichiara apertamente nei vangeli come abbiamo appena letto: «Venite, imparate da me perché sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29). Quant’è grande la condiscendenza di colui che ci ha fatto! La creatura non abbia timore! Venite, imparate da me. Il Signore è venuto a consolare i suoi servi che erano caduti. Ecco come si comporta Cristo: si mostra pieno di compassione; sebbene il peccatore dovesse essere punito, sebbene la stirpe di quelli che provocavano la sua ira dovesse essere annientata, egli rivolge parole di pace ai colpevoli. «Venite, imparate da me, perché sono mite e umile di cuore» (ibidem).

      Dio è umile, l’uomo orgoglioso. Il giudice è clemente, il colpevole superbo. Le parole dell’artefice sono umili, quelle dell’argilla sembrano quelle di un re. […] Venite, osservate la sua ineffabile bontà. Chi non amerà il Signore che non colpisce? Chi non ammirerà il giudice che supplica a favore del colpevole? La semplicità delle sue parole ti stupisce. «Io sono il Creatore e amo la mia opera. Io sono l’artista e ho cura di ciò che ho plasmato. Se volessi ricorrere alla mia autorità, non libererei l’umanità caduta; se non curassi la sua malattia incurabile con farmaci appropriati, non guarirebbe; se non la confortassi, morirebbe; se mi limitassi a minacciarla, perirebbe. Per questo motivo pongo su di lei che giace a terra l’unguento della bontà. Mi piego su di lei pieno di compassione per rialzarla dalla sua caduta. Chi sta in piedi non può rialzare da terra chi è caduto se non si china a tendergli la mano. «Venite, imparate da me perché sono mite e umile di cuore». Non dico parole vane vi ho mostrato le mie opere; il «perché sono mite e umile di cuore» vedilo da ciò che sono diventato. Guarda la forma, pensa alla dignità e venera la mia condiscendenza a causa tua. Pensa da dove sono venuto, dove mi trovo a conversare con te. Il cielo è il mio trono e io sto a parlare con te. Nell’alto sono glorificato e nella mia paziente bontà non mi adiro «perché sono mite e umile di cuore».

(PSEUDO-GIOVANNI CRISOSTOMO, Basso martire, in PG 50,721-722)

Il segreto di un bambino

Non si può amare un bambino per la sua abilità e per ciò che fa, in quanto egli non può ancora nulla, non fa ancora assolutamente nulla di utile; non si può amare un bambino per il fatto che possiede o dovrebbe mostrare qualcosa di speciale;  al contrario, egli non ha ancora nulla di proprio, se lo si vuole amare, gli si deve voler bene per se stesso. Questo è tutto il segreto di un bambino, che ci costringe con il semplice suo esserci ad amarlo e vive dell’essere amato gratuitamente. In questo, ossia nel fatto di pensare così di noi stessi, starebbe la nostra redenzione; nell’avere, una buona volta, il coraggio di vivere gratis e di avere fiducia in noi stessi, di sentirci legittimati semplicemente per il fatto di esistere.

(E. DREWERMANN, Psicologia del profondo e esegesi, I, 505 s.)

In mitezza e umiltà

«Essi però non comprendevano quelle parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni» (Mc 9,32). Tale ignoranza da parte dei discepoli non nasce tanto dalla limitatezza della loro mente, quanto dall’amore che essi nutrivano per il Salvatore. Questi uomini che vive-vano ancora secondo la carne ed erano ignari del mistero della croce, si rifiutavano di credere che colui che essi avevano riconosciuto quale Dio vero sarebbe morto ed essendo abituati a sentirlo parlare in parabole, poiché inorridivano alla sola idea della sua morte, cercavano di attribuire un senso figurato anche a quello che diceva apertamente a proposito della sua cattura e della sua passione. «E giunsero a Cafarnao. Entrati in casa chiese loro: “Di che cosa stavate discutendo lungo la via?”. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande» (Mc 9,33-34). Sembra che la discussione tra i discepoli a proposito del primo posto fosse nata perché avevano visto che Pietro, Giacomo e Giovanni erano stati condotti in disparte sul monte e che qui era stato affidato loro qualcosa di segreto. Ma già da prima erano convinti, come racconta Matteo (cfr. Mt 16,18-19), che a Pietro erano state date le chiavi del Regno dei cieli, e che la chiesa del Signore doveva essere edificata sulla pietra della fede, dalla quale egli stesso aveva ricevuto il nome. Ne concludevano o che quei tre apostoli dovevano essere superiori agli altri o che Pietro era superiore a tutti. Il Signore, vedendo i pensieri dei discepoli, cerca di correggere il loro desiderio di gloria col freno dell’umiltà e fa loro intendere che non si deve cercare di essere primi; così, dapprima li esorta con il semplice comandamento dell’umiltà e, subito dopo, li ammaestra con l’esempio dell’innocenza del bambino. Dicendo infatti: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Mc 9,37) […] li esorta, a motivo della loro malizia, a essere anche loro come bambini, cioè a conservare la semplicità senza arroganza, la carità senza invidia e la devozione senza ira. Prendendo poi in braccio il bambino, indica che sono degni del suo abbraccio e del suo amore gli umili e che, quando avranno messo in pratica il suo comandamento: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), solo allora potranno gloriarsi.

(BEDA IL VENERABILE, Commento al vangelo di Marco, CCL 120.n. 551).

Preghiera

A volte, Signore, la piccolezza del mio essere creatura mi appare inadeguata e insufficiente a contenere i miei più grandi desideri. E faccio di tutto per rompere quelli che avverto come limiti al mio bisogno di espandermi, di ‘sentirmi grande’: essere più degli altri, ricevere più degli altri, contare più degli altri.

Tu vieni incontro a questo prepotente bisogno di emergere e mi proponi di metterlo a servizio dell’amore, facendomi l’ultimo di tutti, il servo di tutti, il più pacifico, il più mite, il più misericordioso, accogliente verso tutti…

Manda dall’altro il tuo Spirito di sapienza, perché faccia della mia vita un’opera di pace.

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Comunità domenicana di Santa Maria delle Grazie, La grazia della predicazione. Tempo ordinario – Parte prima, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano»  95 (2014) 5, pp. 36.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A, Milano, vita e Pensiero, 2010.

– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità. Anno A, Padova, Messaggero, 2001.  

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù,  Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007. 

PER L’APPROFONDIMENTO:

XIV DOM TEMP ORDINARIO

Nota esplicativa dell’«Istituto di Catechetica» a proposito del «Corso IRC»

La «pubblicità» con cui si convoca il corso allude al fatto che l’«Istituto di Catechetica» (Facoltà di Scienze dell’Educazione) dell’Università Pontificia Salesiana non ha organizzato il classico incontro sulla tematica dell’IRC del mese di aprile né intende organizzare l’abituale corso estivo a Pozza di Fassa; dunque questo gruppo di persone (che si autodefinisce «Amici dell’Università Salesiana») invita a un «nuovo corso», da celebrare a Pozza di Fassa nel mese di luglio. Nel riguardo di questo ed altri impliciti riferimenti, l’«Istituto di Catechetica» si sente obbligato a precisare i seguenti particolari:

 

  • Il gruppo di persone che organizza il corso non ha nessun rapporto né con l’Istituto né con l’Università Pontificia Salesiana.

  • I due firmatari dell’iniziativa non rappresentano l’Università Pontificia Salesiana. Il prof. Zelindo Trenti è uno professore emerito dellaFacoltà di Scienze dell’Educazione, di conseguenza, non appartiene all’«Istituto di Catechetica» e tantomeno è autorizzato a rappresentarlo. Inoltre, il sig. Roberto Romio non ha nessun «vincolo ufficiale» né con l’Università Pontificia Salesiana, in genere, né con l’«Istituto di Catechetica», in particolare.

  • Il «corso IRC» (1‐5 luglio) non ha relazione – né direttamente né indirettamente – con le attività dell’«Istituto di Catechetica» che, pertanto, lamenta e disapprova tassativamente l’essere stato citato nella «pubblicità» di tale corso.

  • L’«Istituto di Catechetica» riconosce e apprezza il lavoro svolto dal prof. Trenti e dal gruppo di collaboratori negli ultimi anni e non intende fare tabula rasa del medesimo; tuttavia si sente, da un lato, libero nel programmare autonomamente le sue attività e, dall’altro, aperto al dialogo e alla collaborazione con tutti quanti siano interessati – in questo caso – nella riflessione sull’IRC.

  • Infine, il gruppo promotore del corso si riferisce all’«Istituto di Catechetica» come se fosse a conoscenza della riflessione e programmazione che l’istituto porta avanti. Ancora una volta lamentiamo questo fatto, avvenuto proprio quando l’«Istituto di Catechetica» voleva presentare pubblicamente il «Programma–IRC 2014‐2017».
 

ISTITUTO DI CATECHETICA

Facoltà di Scienze dell’Educazione

UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA

Roma, 30 giugno 2014.

Nuovo curricolo di Scienze dell’Educazione: Educazione e religione

Nel contesto attuale è opportuno proporre un curricolo formativo orientato prioritariamente alla preparazione di educatori e professori per l’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA, secondo l’Intesa firmata il 28 giugno 2012 tra il MIUR e la CEI. Per informazioni:

ica@unisal.it
SCARICA IL 
DEPLIANT !!!

 

(+39) 06.87290202 / o6.87290651

 

Il Nuovo Curricolo prevede tre cicli:

¡ Baccalaureato in Scienze dell’Educazione, con indirizzo in «Educazione Religiosa»:

Ciclo universitario di tre anni, caratterizzato da 180 Ects, al termine del quale viene conseguito il primo titolo accademico o Baccalaureato.

¡ Licenza in Scienze dell’Educazione, con specializzazione in «Educazione e Religione»:

Ciclo universitario di due anni comprendente 120 Ects, al termine del quale viene conseguito il secondo titolo accademico o Licenza.

¡ Dottorato in Scienze dell’Educazione, con specializzazione in «Educazione e Religione»:

Ciclo universitario al termine del quale viene conseguito il terzo titolo accademico  o Dottorato.

 

L’Università Pontificia Salesiana – attraverso la Facoltà di Scienze dell’Educazione e, in particolare, dell’Istituto di Catechetica – cerca di essere attenta a cogliere le novità e le tendenze della domanda religiosa e a tradurla in itinerari e prospettive formative.

Nel contesto attuale è opportuno proporre un curricolo formativo orientato prioritariamente alla preparazione di professori per l’insegnamento della religione cattolica, secondo l’intesa firmata il 28 giugno tra il «MIUR» e la «CEI».

 

Primo Ciclo

Baccalaureato in Scienze dell’Educazione, indirizzo «Educazione Religiosa»

Profilo

Intende preparare persone che maturano una competenza professionale nell’ambito della scuola e della comunità cristiana, competenti cioè per operare in ambito pedagogico, catechetico e pastorale, sia gestendo direttamente momenti di formazione, sia preparando e organizzando tali momenti.

In particolare, il curricolo si articola in percorsi per la preparazione di «Operatori nell’ambito della scuola e della pastorale scolastica» ed «Educatori e Animatori nelle comunità cristiane e negli organismi ecclesiali».

Ammissione e competenze

Il Baccalaureato in Scienze dell’Educazione con indirizzo in «Educazione religiosa» ha la durata di sei semestri; per l’iscrizione si richiede il «Diploma di maturità»; si conclude con l’esame di Baccalaureato o Laurea e possono essere riconosciuti corsi fino a 4 semestri con accreditamenti opportunamente valutati.

Il corso fornisce competenze didattiche adeguate, fondate sulla conoscenza delle discipline biblico-teologiche, filosofiche e storico-giuridiche, di indirizzo didattico e pastorale; una adeguata padronanza dei metodi che riguardano l’educazione religiosa e, al contempo, le competenze comunicative richieste per l’interazione educativa, sia a livello individuale che istituzionale, e per applicare correttamente i criteri con cui riflettere criticamente sulle credenze, sui valori, sulle tradizioni religiose e culturali  proprie e altrui, così come la capacità di realizzare interventi educativi in stile cooperativo e dialogico nell’ambito della scuola e della comunità..

Articolazione del curricolo (180 Ects)

Attività di base (30 ECTS)

Filosofia dell’Educazione

Storia dell’educazione e della pedagogia

Pedagogia generale

Psicologia dello sviluppo

Pedagogia interculturale

Teologia dell’Evangelizzazione

 

Attività caratterizzanti (38 ECTS)

Antropologia e comunicazione (oppure Introduzione alle scienze della comunicazione)

Ermeneutica dell’esperienza religiosa

Filosofia del linguaggio

Didattica generale

Pedagogia della Scuola

Storia delle religioni

Educazione e Scienze della religione

Scuola cattolica

 

Attività integrative (87 ECTS)

Psicologia generale

Metodologia del lavoro scientifico

Sociologia generale (oppure Sociologia dell’educazione)

Filosofia

Introduzione alla filosofia

Filosofia teoretica

Filosofia morale

Antropologia filosofica

Storia della filosofia moderna

Storia della filosofia contemporanea

Scrittura

Introduzione alla Sacra Scrittura (oppure Educazione e fonti bibliche)

Pentateuco e Libri storici

AT – Libri profetici

AT – Libri sapienziali e Salmi

NT – Vangeli Sinottici e Atti degli Apostoli

NT – Vangelo di Giovanni e Lettere giovannee

NT – Lettere apostoliche

Teologia

Introduzione alla Teologia

Patristica

Teologia fondamentale

Mistero di Dio

Cristologia

Ecclesiologia ed Ecumenismo (oppure Ecclesiologia)

Mariologia

Sacramenti in genere, Battesimo, Confermazione

Sacramenti: Eucaristia, Ordine e Ministeri (oppure Nozioni fondamentali di Liturgia, Anno Liturgico, Liturgia delle Ore)

Teologia morale fondamentale

Diritto Canonico

Introduzione alla Teologia spirituale

Altre attività

Lavoratori e attività a scelta dello studente (10 ECTS)

Lingua straniera (5 ECTS)

Prova finale (10 ECTS)

 

Secondo Ciclo

Licenza  in Scienze dell’Educazione, specializzazione in «Educazione e Religione»

Profilo

Intende preparare persone competenti, capaci di operare nell’ambito dell’insegnamento della religione cattolica, abilitate a organizzare, gestire e promuovere le attività che riguardano la religione nella scuola e nella comunità.

In particolare, questo curricolo si articola in percorsi per la preparazione di quadri dirigenti ed esperti per settori specifici dell’attività ecclesiale, al servizio della scuola e della comunità cristiana:

Docenti di Insegnamento della Religione cattolica; Educatori nelle comunità cristiane e negli organismi ecclesiali; Dirigenti e Coordinatori a livello ecclesiale presso Uffici Scuola e Servizio dell’Insegnamento della Religione cattolica; Formatori di insegnanti di religione, di cultura religiosa; Esperti di pastorale scolastica; Ricercatori e consulenti a livello superiore, di scienze religiose e di cultura religiosa (centri di studio, attività editoriale e multimediale).

Ammissione e competenze

La Licenza in Scienze dell’Educazione, con specializzazione in «Educazione e Religione» ha la durata di quattro semestri e presuppone l’acquisizione del Baccalaureato in Scienze del­l’Educazione con indirizzo in «Educazione Religiosa» (o di altro titolo riconosciuto equivalente, con accreditamenti opportunamente valutati). Si conclude con l’esame di Licenza.

Il fornisce le conoscenze e le competenze necessarie per l’elaborazione di progetti e itinerari formativi di cultura religioso-cristiana in dialogo con la realtà multiculturale e multireligiosa: capacità di utilizzare le conoscenze nell’ambito dell’insegnamento religioso nella Chiesa con le loro fasi, i dinamismi, i contenuti, le metodologie che gli sono propri; capacità di analizzare, interpretare e orientare i processi dell’insegnamento religioso nell’ambito della scuola; capacità di applicare correttamente i criteri, di utilizzare le metodologie appropriate, di progettare e coordinare iniziative di pastorale scolastica. 

Articolazione del curricolo (120 Ects) 

Attività di base (36 ECTS)

Evangelizzazione e contesti culturali

Catechetica fondamentale

Teologia pratica generale

Teologia dell’educazione

Psicologia ed educazione religiosa (oppure Psicologia della religione)

Sociologia della religione

Educazione e pluralismo religioso-culturale

Attività caratterizzanti (40 ECTS)

Didattica dell’insegnamento della religione cattolica

Pastorale scolastica e universitaria

Formazione degli insegnanti di Religione

Legislazione e organizzazione scolastica ecclesiale (oppure Legislazione e organizzazione scolastica)

Deontologia professionale nelle istituzioni scolastiche

Dialogo interculturale e interreligioso

Laboratori e seminari

Due a scelta tra quelli indicati nella programmazione didattica

L/S di Pastorale scolastica

Seminario sulla dimensione religiosa nell’educazione

Seminario di Pedagogia religiosa

L/S di progettazione educativa

Attività integrative e a libera scelta (14 ECTS)

Metodologia della ricerca pedagogica

Filosofia della religione

Teologia della religione

CM sulla scuola cattolica

Metodi di insegnamento

Storia della Scuola

Sistema preventivo (oppure Pedagogia salesiana)

Pedagogia religiosa dei portatori di handicap

Sociologia della gioventù

Valutazione dell’insegnamento nella scuola

Tecnologie educative

CM di pastorale e catechesi biblica

Pedagogia familiare (oppure Psicologia della Famiglia)

Pastorale e catechesi familiare

Internet, insegnamento e apprendimento

Teorie e tecniche della dinamica di gruppo

Fede e cultura

Relazione tra fede e ragione

Bioetica

Ecologia

Altre attività

Tirocinio di metodologia nell’insegnamento della religione (10 ECTS)

Tesi (20 ECTS)

Curricolo strutturato in base all’intesa «MIUR–CEI» per i Docenti di Religione Cattolica 


 

Master per Coordinatori dell’animazione catechistica diocesana- 3° Edizione

Ancora Aperte le iscrizioni al Master Universitario di I livello 3° Edizione 2014/15

SCARICA il DEPLIANT e la scheda registrazione!

Si è conclusa con soddisfazione di tutti la seconda esperienza del Master per coordinatori dell’animazione catechistica diocesana, promosso dall’Istituto di Catechetica in collaborazione con l’Ufficio Catechistico Nazionale. Siamo lieti di comunicare l’inizio della terza edizione del master per l’anno 2014/15

  1. La proposta e le sue motivazioni

La coordinazione della catechesi è un compito importante all’interno della Chiesa particolare (DGC 272) e il servizio diocesano della catechesi è chiamato ad assumere diverse e delicate funzioni, che richiedono un gruppo di persone «veramente esperte» in materia (DGC 267).

Il ricambio di Direttori degli Uffici catechistici nell’ambito delle Diocesi italiane, l’esigenza di una qualificazione specifica e di aggiornamento per loro e per il personale che li affianca a vari livelli nell’animazione catechistica diocesana, convincono l’Istituto di Catechetica della Facoltà di Scienze dell’Educazione (FSE), su richiesta e in collaborazione con l’Ufficio Catechistico Nazionale (UCN), a proporre un Master di primo livello per Coordinatori dell’animazione catechetica diocesana.

 

  1. Obiettivi formativi

Il Master, con finalità non solo di aggiornamento ma anche di formazione di futuri quadri dirigenti, intende abilitare le persone indicate dall’Ordinario all’assunzione di responsabilità e coordinamento a livello diocesano della pastorale catechistica.

In particolare, intende qualificare il Coordinatore dell’animazione catechetica (Direttore UCD e suoi collaboratori, membri di equipe della catechesi diocesana, zonale/vicariale), che:

–       è capace di utilizzare in modo appropriato e critico le strumentazioni catechetico-pastorali e di segnalare alle parrocchie e ai catechisti gli strumenti necessari per il lavoro catechistico;

–       è capace di applicare i principi della progettazione catechetico-pastorale ed è in grado di elaborare un programma di azione, che indichi obiettivi chiari, proponga orientamenti e mostri azioni concrete in armonia con la vita ecclesiale e le finalità dei progetti pastorali diocesani nel contesto di un’adeguata esperienza di comunità cristiana;

–       è abilitato al coordinamento dell’attività catechetica a vari livelli;

–       è in grado di avviare la formazione dei catechisti;

–       è in grado di assumere responsabilità di coordinamento e direzione negli UCD.

 

  1. Destinatari

Il Master è rivolto a Direttori e Collaboratori degli Uffici Catechistici Diocesani (UCD).

 

  1. Condizioni di ammissione

Per accedere al Master si richiede il Baccalaureato in Educazione religiosa presso la FSE dell’UPS o il Baccalaureato in Teologia oppure il Baccalaureato in Scienze Religiose conseguito presso un ISSR o almeno il certificato con voti del completamento del corso seminaristico di teologia (in questo caso è richiesto un colloquio d’ingresso).

Per chi non ha i titoli richiesti, ma chiede di essere presente alle attività, su richiesta dell’Ordinario e ai fini di un impegno o servizio presso l’UCD, è previsto un Attestato di partecipazione.

Il numero minimo d’iscritti per l’attivazione del Master è di 20 e il numero massimo di 40 unità. Se necessario (per un numero di richieste superiori a 40), potrà esserci una selezione per definire il numero dei partecipanti. 

 

  1. Durata e frequenza

Il Master si svolgerà tra il giugno 2014 e il dicembre 2015. Le lezioni in presenza avranno il seguente calendario:

1° incontro (26-28 giugno 2014): introduttivo (località Monopoli (BA);

2° incontro (7-12 luglio 2014): settimana estiva;

3° incontro (16-18 settembre 2014);

4° incontro (14-16 ottobre 2014);

5° incontro (11-14 novembre 2014);

6° incontro (9-12 dicembre 2014): conclusivo.

La frequenza alle lezioni in presenza e in distanza è obbligatoria e per il conseguimento del Master si richiederà non meno del 75% di presenza.

Sede del Master sarà l’Università Pontificia Salesiana, Piazza dell’Ateneo Salesiano, 1 – 00139 ROMA.

Indirizzo email: master.catechetica@unisal.it

 

  1. Organizzazione formativa

In linea con gli intenti del progetto, il Master intende garantire non solo la conoscenza dei contenuti ma la capacità di padroneggiarli, elaborarli, gestirli e applicarli.

Il Master, che prevede lezioni di didattica frontale e formazione a distanza, con forte accentuazione applicativa, con relative ore di studio personale documentato su testi, dispense, materiale didattico fornito dai docenti, è strutturato in 1500 ore, pari a 60 ECTS[1], di cui:

20 ECTS di didattica frontale con incontri residenziali;

23 ECTS di integrazione con formazione a distanza (e-learning);

11 ECTS di Tirocinio;

1 ECTS per interventi coordinamento e abilitazione all’uso della piattaforma online;

5 ECTS per il lavoro finale.

I docenti saranno congiuntamente indicati dai due organismi proponenti, salvaguardate le norme accademiche.

            Il Direttore del Master valuterà la possibilità di riconoscimento di crediti acquisiti (fino a un massimo di 10), con conseguente riduzione del carico formativo a chi ha già partecipato a corsi di perfezionamento, svolti da università o enti di ricerca e di cui si offrirà idonea attestazione.

 

  1. Programma didattico

Il Master prevede le seguenti aree tematiche e contenuti della formazione:

Modulo 1: L’identità della catechesi (4 ECTS – 14 ore di lezioni in presenza; 18 ore d’integrazione online; studio personale)

1.1.      La catechesi nel processo evangelizzatore della Chiesa (Romano)

1.2.      Il movimento catechistico in Italia (Biancardi)

Modulo 2: I contenuti della catechesi (8 ECTS – 32 ore di lezioni in presenza; 32 ore d’integrazione online; studio personale)

2.1. Bibbia e Liturgia (Pastore)

2.2. Temi dell’orizzonte antropologico-culturale (Romano)

2.3. Scrittura, Tradizione e Magistero (DV 10) nell’ambito della catechesi (Benzi)

2.4. I contenuti della catechesi nell’arte. Laboratorio (Mazzarello–Tricarico)

2.5. I contenuti della catechesi nelle celebrazioni della fede. Laboratorio (Massimi)

Modulo 3. Formazione dei catechisti (3 ECTS – 12 ore di lezioni in presenza; 12 ore d’integrazione online; studio personale)

3.1. Identità e spiritualità (Marin)

3.2. Itinerari formativi (Soreca)

Modulo 4: Comunicazione e metodologia (13 ECTS – 46 ore di lezioni in presenza; 58 ore d’integrazione online; studio personale)

4.1. L’ispirazione catecumenale (Sartor)

4.2. L’animazione biblica della catechesi (Candido)

4.3. I soggetti della catechesi (Cacciato-Romano-Orlando)

4.4. La comunicazione e i linguaggi nella catechesi (Moral)

4.5. La sussidiazione nella catechesi in Italia (Catechismi CEI, Catechismo della Chiesa Cattolica, …) (Sciuto)

4.6. L’uso dei mezzi di comunicazione sociale nella pastorale catechistica (Spadaro)

4.7. Metodologia catechetica. Laboratorio (Bulgarelli)

Modulo 5: Pedagogia e psicologia (5 ECTS – 20 ore di lezioni in presenza; 20 ore d’integrazione online; studio personale)

5.1. Educazione, insegnamento e fede (Moral)

5.2. Educazione della fede con persone disabili (Donatello)

5.3. Dinamica di gruppo (Mastromarino)

5.4. Intervento educativo nel dialogo intergenerazionale (Quinzi)

Modulo 6: Area organizzativo-gestionale (10 ECTS – 34 ore di lezioni in presenza; 46 ore d’integrazione online; studio personale)

6.1. Legislazione e amministrazione catechetica (Pinheiro-Bezze-Calabresi)

6.2. Pastorale integrata (Dal Toso-Diaco)

6.3. Progettazione catechetica (Montisci)

6.4. Progettazione e programmazione: Settori UCD; organizzazione di Uffici. Laboratorio (Montisci-Sciuto)

 

Tirocinio (11 ECTS) (Benzi-Montisci)

Interventi di coordinamento e abilitazione all’uso della piattaforma online (1 ECTS) (Maluccio)

Elaborato finale (Portfolio) (5 ECTS)

 

  1. La quota d’iscrizione per l’intera attività formativa è di 1700 euro, pagabile in 4 rate.Costi

Il versamento si faccia unicamente mediante i moduli di c/c postale forniti dalla Segreteria Generale, oppure attraverso il bonifico bancario intestato a: Pontificio Ateneo Salesiano, p.zza Ateneo Salesiano 1, presso la Banca Popolare di Sondrio, Ag. 19 di Roma.

IBAN: IT76T0569603219000004600X29

 

  1. Valutazione

Le verifiche saranno effettuate al termine dei vari interventi sui contenuti del corso e periodicamente sull’esperienza di tirocinio concordata.

Un portfolio accompagnerà l’intera esperienza formativa. In esso s’inseriranno: sintesi delle unità tematiche dei diversi moduli, riflessioni personali ed eventuali verifiche.

La valutazione del Master si farà in base a due “lavori finali” da consegnare alla fine del medesimo: 1/ Portfolio personale; 2/ Realizzazione di un modello concreto di organizzazione e coordinamento di un UCD. Entrambi i lavori verranno realizzati in progress dai candidati durante il corso.

I criteri di valutazione di questo elaborato conclusivo riguardano: la verifica della sintesi di ogni modulo, accompagnata dalle opportune riflessioni personali; verifica della capacità di applicazione delle conoscenze acquisite nel modello di organizzazione e gestione dell’UCD preparato.

            Per conseguire il titolo finale, i lavori dovranno essere consegnati improrogabilmente entro il 31 dicembre 2015.

 

  1. Staff

Direttore del Master: C. Pastore (Direttore ICa).

Vice Direttore del Master: G. Benzi (Direttore UCN)

Coordinamento didattico: U. Montisci – J.L. Moral

Comitato scientifico: G. Benzi, M.L. Mazzarello, U. Montisci, J.L. Moral, C. Pastore, S. Soreca, M. Wierzbicki.

Segreteria del Master: A. Maluccio.



[1] Gli ECTS esprimono la quantità di lavoro che ogni unità di corso richiede rispetto al volume globale di lavoro necessario per portare a termine con successo un anno di studi completo nell’istituto, cioè: lezioni in aula, lavoro pratico, ricerche o indagini sul terreno, studio personale – in biblioteca o a casa – nonché gli esami o eventuali altri modi di valutazione.  L’ECTS è quindi basato sul volume globale di lavoro dello studente e non si limita esclusivamente alle ore di frequenza; secondo le nuove impostazioni universitarie, un ECTS corrisponde a 25 ore di lavoro complessivo.

 

 

l testo degli Orientamenti per l’Annuncio e la Catechesi

“Abbiate fiducia che il popolo santo di Dio ha il polso per individuare le strade giuste. Accompagnate con larghezza la crescita di una corresponsabilità laicale; riconoscete spazi di pensiero, di progettazione e di azione alle donne e ai giovani: con le loro intuizioni e il loro aiuto riuscirete a non attardarvi ancora su una pastorale di conservazione – di fatto generica, dispersiva, frammentata e poco influente – per assumere, invece, una pastorale che faccia perno sull’essenziale. Come sintetizza, con la profondità dei semplici, Santa Teresa di Gesù Bambino: “Amarlo e farlo amare”. Sia il nocciolo anche degli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi che affronterete in queste giornate”.
(Papa Francesco ai vescovi italiani – 19/05/2014)
 

Il testo Incontriamo Gesù, redatto dalla Commissione Episcopale per la dottrina della fede l’annuncio e la catechesi e sancito dal voto della 66a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (Roma, 19-22 maggio 2014), è il frutto del lungo cammino svolto per delineare gli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia. […] Incontriamo Gesù è un documento che vuole orientare la pastorale catechistica per quanto le compete aiutandola a ridefinire i suoi compiti all’interno dell’azione evangelizzatrice della Chiesa, intesa come orizzonte e processo. Non si tratta dunque di un testo che voglia descrivere tutta la pastorale: esso si concentra specificamente sull’annuncio e la catechesi ovviamente anche nei loro rapporti con l’insieme delle azioni pastorali. 

Annuncio, sette parole chiave

Un documento frutto di un ampio lavoro sinodale, la cui stesura ha visto una consultazione amplissima, dalle centinaia di contributi scritti alla partecipazione di circa 700 persone ai vari momenti di riflessione: gli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia,Incontriamo Gesù, sono stati presentati a Bari – nel contesto del Convegno dei direttori degli uffici catechistici diocesani – da Mons. Marcello Semeraro: il Vescovo di Albano, nonché presidente della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi, li ha sintetizzati in sette dimensioni.
Anzitutto “un chiaro riferimento all’evangelizzazione in quanto orizzonte e processo”. Quindi, “l’importanza del primo annuncio”; “l’assoluta precedenza della catechesi e della formazione cristiana degli adulti e, all’interno di essa, del coinvolgimento delle famiglie nella catechesi dei piccoli”; “la centralità della comunità nel processo di discernimento e progettazione dell’educazione nella fede”; “l’ispirazione catecumenale della catechesi”; “la formazione dei catechisti e – in forma curriculare e permanente – la formazione dei presbiteri e dei diaconi”. Infine, “la proposta mistagogica ai preadolescenti, agli adolescenti e ai giovani”. 
Gli Orientamenti non costituiscono un nuovo “Documento di base” per l’iniziazione cristiana, ma si propongono di aiutare le Chiese locali ad avere “uno slancio comune nell’annuncio del Vangelo”. Strutturati in quattro capitoli con un’introduzione e una conclusione, descrivono l’azione evangelizzatrice della comunità cristiana e il primato della formazione cristiana di adulti e giovani (I cap.), si soffermano sul primo annuncio (II cap.), si concentrano sull’iniziazione cristiana (III cap.) e, infine, evidenziano il servizio e la formazione di evangelizzatori e catechisti, nonché degli Uffici catechistici diocesani (IV cap.). Alla fine di ogni capitolo vengono offerte delle “proposte pastorali” affidate alle diocesi e alle parrocchie. Conclude il tutto un’appendice con un “glossario”, “vademecum dei concetti espressi negli Orientamenti anche ad uso delle iniziative di formazione”.

Montessori – Il Decalogo dell’Educatore

Nei giorni scorsi, sfogliando gli appunti presi durante la mia formazione Montessori, ho trovato questo decalogo, che mi piace molto e che vorrei condividere con voi:

  1. Non toccate il bambino contro la sua volontà.
  2. Non parlate MAI male di un bambino, né in sua presenza, né in sua assenza.
  3. Concentrate i vostri sforzi nel rinforzare ed incoraggiare ciò che vi è di positivo nel bambino.
  4. Investite tutta la vostra energia nella preparazione dell’ambiente. Curatelo in modo meticoloso. Aiutate il bambino a sentirsi a proprio agio e a sentirsi responsabile del luogo in cui vive o lavora. Mostrategli come utilizzare il materiale e come (e dove) riporlo*.
  5. Siate sempre pronti a reagire quando il bambino ha bisogno di voi. Ascoltate e rispondete sempre al bambino quando si rivolge a voi.
  6. Rispettate il bambino che fa un errore e che si corregge da sé ma siate pronti ad intervenire in caso di utilizzo improprio** del materiale e di azioni che possono mettere in pericolo il bambino stesso o gli altri.
  7. Rispettate il bambino che si riposa, guarda gli altri lavorare, riflette su ciò che fa, vuole fare o farà. Non obbligatelo a passare ad un’altra attività.
  8. Aiutate il bambino che cerca un’attività e non riesce a trovarla.
  9. Proponete regolarmente al bambino le attività che ha rifiutato in precedenza. Aiutatelo ad acquisire le capacità che ancora non ha e a superare le sue imperfezioni. Fatelo nel rispetto dell’ambiente e con parole amabili. Siate una presenza amorevole. Fate in modo che la vostra presenza e la vostra disponibilità siano percepite pare il bambino che cerca e che restino in disparte per quello che ha già trovato la sua attività.
  10. Trattate sempre il bambino con grande delicatezza e offritegli sempre il meglio che potete.

Sono regole pensate per la scuola ma importantissime anche a casa.

Leggi anche: Steiner e Montessori – due metodi a confronto

*questo vale per il materiale Montessori come per qualunque altro oggetto presente in casa. Spesso diamo per scontato che il bambino capisca al volo, dopo una breve dimostrazione o dopo averci osservati all’opera, come utilizzare un determinato oggetto. Spendiamo qualche minuto per mostrargli, gesto per gesto, come maneggiare e riporre gli oggetti di uso quotidiano. Gli insegneremo ad averne cura, trasmettendogli un’attitudine che durerà nel tempo e che si rifletterà su molti aspetti della sua vita.

**l’utilizzo creativo non è considerato un utilizzo improprio. L’utilizzo improprio è quello che danneggia il bambino o il materiale, o che mette in pericolo cose o persone. Quando un bambino utilizza un oggetto in modo diverso da quello per cui è stato concepito, facendolo in modo intelligente ed ingegnoso, è bene non interferire.

SS. PIETRO E PAOLO

Prima lettura: Atti 12,1-11

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.

Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere.

     Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Alzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione. Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui.  Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva». 

 

L’ultima comparsa di Pietro negli Atti l’abbiamo in 15,7-11, dove si dimostra persona equilibrata e responsabile che cerca di mediare fra due opposte posizioni, a proposito delle condizioni da imporre ai pagani convertiti. Egli è la figura dominante del racconto proprio fino a questo cap. 12, per cedere dopo il ruolo di protagonista a Paolo. L’episodio in esso contenuto, dell’arresto di Pietro e della sua liberazione, si estende fino al v. 19 (la pericope liturgica finisce con il v. 11), e risulta particolarmente colorito per la sua ambientazione, tra la notte e il giorno, nella città di Gerusalemme:

     «Pietro uscì e prese a seguirlo […]10Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada […]12 Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera.

     13Appena ebbe bussato alla porta esterna, una fanciulla di nome Rode si avvicinò per sentire chi era. 14Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse ad annunziare che fuori c’era Pietro».

     Ma le cose più importanti sono, naturalmente, altre: la liberazione prodigiosa che indica come è il Signore a garantire il cammino inarrestabile del Vangelo nel mondo e, poi, la vicinanza della comunità attorno al suo apostolo: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva» (v. 11); «Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (v. 5).

     «Egli allora, fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva tratto fuori del carcere, e aggiunse: “Riferite questo a Giacomo e ai fratelli”» (v. 17). In questo caso Giacomo, considerato come il capo dei giudeocristiani di Gerusalemme e che guiderà questa chiesa dopo la partenza di Pietro, era parente di Gesù, ed è distinto da Giacomo apostolo, fratello di Giovanni, già messo a morte da Erode (v. 2). L’episodio degli stessi Atti letto nella vigilia (At 3,1 -10) presenta un altro momento importante della vicenda di Pietro che dice: «Non possiedo ne argento ne oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù, il Nazareno, cammina!» (v. 6).

 

Seconda lettura: 2 Timoteo 4,6-8.17-18 

Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.  Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. 

 

La lettura dedicata a Paolo riguarda una retrospettiva sulla sua vita passata, prossima alla fine, che gli consente di farne un bilancio davanti a Dio. Nel v. 6 l’immagine della libagione, che nei sacrifici comportava l’uso di vino, acqua e olio (Es 29,40; Nm 28,7), secondo il testo greco non riguarda «il sangue», parola supplita impropriamente nella versione italiana, perché la metafora si applica anche alla morte naturale e non implica per sé una morte cruenta nel martirio.

Veramente la vita di Paolo è stata una battaglia e una corsa per il Vangelo. Ciononostante, egli non si considera in una posizione speciale di fronte a Dio, ma accomunato con gli altri credenti «che hanno atteso con amore la sua manifestazione» (v. 8b). Giustamente la missione di Paolo viene caratterizzata dal fatto che è stata indirizzata in maniera intenzionale a «tutte le genti» (v. 17). Lo stesso concetto è messo a fuoco nell’appassionato brano autobiografico proposto nella vigilia (Gal 1,11-20) dove si parla dei «pagani», ma si usa in greco anche ethnē (v. 16). Anche qui si ribadisce il dono della rivelazione ricevuta direttamente da Dio (vv. 15-16), analogamente a quanto sottolineato nel macarismo rivolto a Pietro in Mt 16,17. E proprio nello stesso contesto si trova l’eco del conflitto di Paolo con Pietro, i due apostoli associati nell’odierna festività. «[…] visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi — poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani… Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto» (Gal 2,7-11).

 

Vangelo: Matteo 16,13-19

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

 

Esegesi 

     Questo brano evangelico qualificato come il vangelo del «primato», è stato visto nel corso della tradizione da diverse angolazioni, imperniate ora sull’accentuazione e ora sulla contestazione del primato di Pietro che perdura nel ministero petrino del Papa. Noi lo vogliamo ora ricordare per la sua portata ecclesiologica ed ecclesiale, cioè in senso dottrinale e in senso spirituale.

     a) Il contesto

     Nello schema di Mc, seguito da Mt, ci troviamo alla conclusione del ministero pubblico di Gesù in Galilea. D’ora in poi diventa dominante il tema della sua prossima morte a Gerusalemme, sottolineato dai tre annunzi della passione che scandiscono la seconda parte del vangelo; il primo di essi segue immediatamente nei vv. 21-23. La scena si colloca a Cesarea di Filippo che si trova a 50 km a nord del lago di Genezaret, al confine con il territorio pagano. Ora Gesù, non è seguito più dalla folla, ma si trova solo con i suoi discepoli, con i quali tenta un bilancio della predicazione svolta finora, chiedendo quello che su di lui pensa la gente.

     Quindi, alla domanda su cosa ne pensano loro, solo Pietro prende la parola.

     b) Confronto con i Sinottici

     Nella risposta di Pietro, Mt è il più completo («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»), mentre Mc 8,29b («Tu sei il Cristo» e Lc 9,20b «Il Cristo di Dio») sono più semplici. Ma dopo questa confessione di fede, solo Mt contiene la lunga risposta di Gesù dei vv. 17-19, che, dal punto di vista formale, presentano tre strofe di tre righe ciascuna, di cui le ultime due sono costruite con un parallelismo di tipo antinomico.

     e) Il macarismo (v. 17)

     «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli ». Non si hanno altri esempi di macarismi diretti in seconda persona, se non in Dt 33,29a: «Te beato, Israele! Chi è come te, popolo salvato dal Signore? Egli è lo scudo della tua difesa e la spada del tuo trionfo». Anche qui, come nel v. 17 si mette in evidenza il dono di Dio e non un merito umano. Pietro deve ad una rivelazione del Padre la capacità di cogliere nella fede la vera identità di Gesù. La carne e il sangue, l’uomo lasciato a se stesso, non può giungere alla fede.

     d) L’immagine della pietra/roccia (v. 18)

     «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa». Colui che poco prima è stato identificato come Simone, e ora chiamato Pietro, un nome che consente il passaggio all’immagine della «pietra» che serve a qualificare la funzione che lui è chiamato a svolgere nell’edificio della Chiesa.

     Come in italiano, anche in greco il passaggio dal maschile Pietro (gr. petros) al femminile pietra (gr. petra) non permette di notare la ripetizione della stessa parola aramaica kepha’ (pietra, roccia) che si deve presupporre in entrambi i casi, cosa che rende più evidente un gioco di parola  che deve essere stato intenzionale. Il simbolo della roccia come solido fondamento per la costruzione della casa è richiamato alla fine del discorso della montagna: «Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia» (Mt 7,24s).

     e) L’immagine delle chiavi (v. 19)

     «A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Se l’immagine delle chiavi è coerente con quella precedente dell’edificio, nel quale ci deve essere pure un’entrata, non è altrettanto ovvio il passaggio dalle chiavi all’idea di legare e sciogliere, giacche esse rimandano piuttosto alle azioni di entrare ed uscire. Sembra perciò più logico vedere qui sovrapposte due immagini parallele di tipo diverso: le chiavi servono per fare entrare (cf. Is 22,22b: «se egli apre, nessuno chiuderà: se egli chiude, nessuno potrà aprire»), mentre l’azione del legare o sciogliere riguarda un giudizio di tipo dottrinale o disciplinare che sarà ratificato nei cieli.                                               

     Vale ora la pena rileggere alla luce del nostro brano altri passi che parlano di Pietro o del ministero degli Apostoli nel cui quadro anche quello che gli è più specifico trova una sua coerente collocazione.

     j) Gli altri evangelisti su Pietro

     Giovanni riporta una variante della vocazione di Pietro e della sua professione di fede: «Egli (Andrea) incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: ‘Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)’ e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: ‘Tu sei Simone, figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (gr. kêphas) (che vuol dire Pietro)» (Gv 1,41s); si notino le differenze tra Mc 1,16-18, Mt 4,16-20 e Lc 5,11.

     «E (Gesù) continuò: “Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio”. Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”» (Gv 6,65-69).

     Luca ci riporta questa particolare confidenza fatta da Gesù a Pietro nell’ultima cena: «“Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come grano: ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. E Pietro gli disse: “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”.

     Gli rispose: “Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi”». (Le 22,31-34).

     g) Gli altri Apostoli (in Mt)

     «Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: “Tu sei veramente il Figlio di Dio!”» (Mt 14,33): è questa una confessione di fede uguale a quella che si incontrerà in Mt 16,16. La missione fondamentale degli Apostoli riguarda la disciplina all’interno della comunità (Mt 18,18) e, soprattutto, la predicazione: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo» (18,18); «E Gesù, avvicinatesi, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.

     Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”» (28,18-20). Con queste parole finali del Risorto la missione degli Apostoli e quella di Pietro ricevono la loro suprema legittimazione e il loro perenne fondamento. Ed è proprio in una apparizione del Risorto che si colloca il rinnovato conferimento del primato a Pietro, letto nella messa della vigilia, che pure allude alla fine alla sua fedeltà fino al martirio (Gv 21,15-19; v. 19).

Meditazione

     Al cuore della celebrazione odierna vi è la memoria di Pietro e Paolo. Il pescatore di Galilea reso pescatore di uomini e il fariseo zelante della Legge, il persecutore dei cristiani, conquistato da Gesù Cristo e reso apostolo delle genti; Pietro, il primo del gruppo dei Dodici e Paolo, che di quel gruppo non ha fatto parte e non ha conosciuto Gesù storicamente, ma è stato reso apostolo per volontà del Signore; Pietro, l’apostolo dei circoncisi, e Paolo, l’apostolo degli incirconcisi. Vie differenti, vite diverse, itinerari distanti, personalità entrate in conflitto tra di loro (cfr. Gal 2,11 ss.), eppure, in Cristo, entrambi affratellati a tal punto che i loro cammini esistenziali hanno trovato in Roma il luogo del martirio. Un unico cammino di obbedienza al Cristo Signore conduce entrambi, nelle differenze che li caratterizzano, a dare la vita per il Signore.

     Se il vangelo è centrato sulla figura di Pietro e sul suo mandato ecclesiale, la prima e la seconda lettura riguardano momenti dell’esperienza della sofferenza apostolica di Pietro (At 12: l’incarcerazione di Pietro) e di Paolo (2Tm 4: prossimità alla morte di Paolo).

     La prima lettura presenta un frangente particolarmente critico della giovane comunità cristiana di Gerusalemme. Giacomo è stato decapitato; Pietro incarcerato: chi sosterrà la comunità? Di fronte alle persecuzioni che si abbattono sui suoi capi, la comunità prega. Una particella greca con valenza avversativa (At 12,5: « ma una preghiera… » ) dice che la preghiera è la forma con cui la comunità cristiana vive la sua lotta contro i potenti del mondo che scatenano persecuzioni e violenze. Con la preghiera la comunità rimane vicina a Pietro in carcere e intercede per lui, «combatte con e per lui» (come afferma l’insegnamento paolino sulla preghiera: cfr. Rm 15,30; Col 4,12), manifesta la sua obiezione nei confronti della prepotenza dei potenti, persevera nella fede e non si piega agli eventi avversi.

     Nella seconda lettura Paolo, al termine della sua esistenza, in prossimità ormai del traguardo, guarda la sua vita come a ritroso, a partire dal momento finale che sa vicino: e la considerazione che più colpisce è che egli constata di aver conservato la fede (2Tm 4,7). Gesù, in un momento critico del proprio cammino esistenziale, aveva pregato per Pietro, perché la sua fede non venisse meno (Lc 22,32). Paolo, al termine della sua vita, con umile fierezza e senso di gratitudine, riconosce di aver conservato la fede. Al termine di una vita spesa per l’evangelizzazione, la missione, la predicazione della parola, il servizio del vangelo, la fondazione e l’organizzazione di comunità cristiane, Paolo ricorda il suo essere ancora un credente. A dire che la fede non può mai essere data per scontata, anche per gli uomini di chiesa. Forse la grande fatica apostolica è proprio questa: conservare la fede.

     Pietro viene proclamato beato da Gesù perché la confessione di fede in lui quale Messia e Figlio di Dio è frutto di rivelazione del Padre (Mt 16,17), così come Paolo affermerà che è per rivelazione di Dio che egli ha conosciuto l’evangelo e il Figlio Gesù Cristo (Gal 1,12.16). Sia Pietro che Paolo rientrano fra quei piccoli a cui la conoscenza delle cose di Dio, ed essenzialmente la conoscenza di Gesù, in cui si sintetizza il tutto di Dio, viene consegnata per rivelazione, per dono divino (Mt 11,25-27). È la conoscenza pneumatica di Gesù, la relazione con lui, l’amore per lui, sono il cardine attorno a cui ruota il ministero di Pietro e di Paolo.

     Alla confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), risponde la parola di Gesù: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa» (Mt 16,18). Pietro sa bene (come anche Paolo: 1Cor 3,11) che non vi è altra pietra di fondamento dell’edificio della chiesa al di fuori del Cristo risorto (1Pt 2,4 ss.). Ma attraverso le immagini della roccia, delle chiavi e del potere di sciogliere e legare, Pietro è stabilito come il necessario punto di autorità e di comunione nella chiesa. Non la sua persona (il sangue e la carne) da stabilità alla chiesa, ma la sua fede che rinvia a Colui che è il Signore della chiesa.

 

Preghiere e racconti 

Conferma i tuoi fratelli

     Il nostro Salvatore e Signore disse a Pietro: «Simone, Simone, ecco che Satana ha ottenuto di vagliarvi come grano e io ho pregato per te affinché non venga meno la tua fede; ma tu, una volta ritornato a me, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32). È come se dicesse: «Io ti sostengo quando vacilli e così anche tu sii un appoggio per quelli dei tuoi fratelli che sono turbati e accorda loro un po’ della protezione di cui godi. Non spingere quelli che stanno per scivolare, ma nel pericolo rialzali. Io consento che tu inciampi, ma non ti lascio cadere affinché tu mi aiuti a tenere in piedi quelli che vacillano. Così Pietro, questa grande colonna, ha sostenuto tutti quelli che vacillavano e ha impedito loro di crollare; li ha rialzati, li ha resi più saldi e, incaricato di pascolare il gregge di Dio, accettava di essere insultato a causa del gregge e, sotto i colpi, gioiva. Uscendo dal sinedrio malvagio gioiva con il suo compagno perché aveva meritato di essere maltrattato per il nome del Signore (cfr. At 5,41). Gettato in prigione, era contento e tutto felice. Quando, sotto Nerone, fu condannato a morire sulla croce per il Crocifisso, pregava i carnefici di non inchiodarlo nello stesso modo del Signore, ma nel senso contrario, per timore, sembra, che il subire la croce nello stesso modo producesse un’uguale venerazione da parte degli ignoranti. Per questo supplicò che lo si inchiodasse con le mani in basso e i piedi in alto. Aveva imparato, infatti, a scegliere l’ultimo posto, non soltanto nell’onore, ma anche nella vergogna. E se avesse potuto morire dieci volte, cinquanta volte, lo avrebbe accettato volentieri perché ardeva del desiderio di Dio. Anche il divino Paolo esclamava la stessa cosa; talora diceva: «Ogni giorno rischio la morte, come è vero che voi siete il mio vanto in Cristo Gesù» (1Cor 15,31), e tal’altra: «Sono crocifisso con Cristo; non sono più io che vivo è Cristo che vive in me» (Gal 2,20).

(TEODORETO DI CIRRO, Sulla divina carità 12-13, SC 257, pp. 290-292).

Il fascino di Paolo 

Vorremmo in questo breve spazio far risaltare una figura di altissimo rilievo nel Nuovo Testamento, quella di Paolo, l’apostolo per eccellenza al quale sono attribuite dal Canone 13 lettere. San Girolamo, il grande traduttore e interprete della Bibbia, non aveva esitato a scrivere che Paolo «non si preoccupava più di tanto delle parole, una volta che aveva messo al sicuro il significato».

E, secoli dopo, un altro grande studioso delle Scritture, Erasmo da Rotterdam, morto nel 1536, ribadiva che, «se si suda a spiegare le idee di poeti e oratori, con questo scrittore (Paolo) si suda ancor più a capire cosa voglia e a che cosa miri». Il suo effettivamente è un linguaggio strano, travolto dall’irrompere del suo pensiero e della sua passione: egli impedisce che l’incandescenza del messaggio da comunicare si raggeli negli stampi freddi dello stile e delle regole, insomma di un bel testo.

Ma proprio questa ribellione diventa la ragione del fascino che l’apostolo ha sempre esercitato coi suoi scritti, a partire dal vescovo e grande oratore francese Bossuet che in un panegirico del 1659 esaltava «colui che non lusinga le orecchie ma colpisce diritto al cuore», mentre un altro francese, il romanziere Victor Hugo nel suo William Shakespeare (1864) inseriva Paolo tra i genii, «santo per la Chiesa, grande per l’umanità, colui al quale il futuro è apparso: nulla è superbo come questo volto stupìto dalla vittoria della luce».

Conquistato dall’apostolo e dai suoi scritti era stato anche Pier Paolo Pasolini che nel 1968 aveva pensato di dedicargli un film del quale è rimasto solo un abbozzo di sceneggiatura, pubblicato postumo nel 1977 col titolo San Paolo (ed. Einaudi). Il notissimo scrittore e regista pensava di trasporre la vicenda e il messaggio dell’apostolo ai nostri giorni, sostituendo le antiche capitali del potere e della cultura visitate da Paolo con New York, Londra, Parigi, Roma e la Germania. Scriveva, infatti, Pasolini:

«Paolo è qui, oggi, tra noi. Egli demolisce rivoluzionariamente, con la semplice forza del suo messaggio religioso, un tipo di società fondata sulla violenza di classe, l’imperialismo, lo schiavismo».

Certo, quella parola disadorna, «senza sublimità di discorso o di sapienza», come Paolo stesso confessava ai Corinzi (I Cor 2,1), ha incrinato tante strutture e tanti luoghi comuni del potere e della cultura imperiale romana. Ma la forza, la passione, l’entusiasmo del suo “messaggio religioso” erano nell’amore per Gesù Cristo. Un amore che gli fa dettare le pagine più intense e splendide. Per questo è del tutto insufficiente e fuorviante la definizione di «Lenin del cristianesimo» che gli riserverà una persona pur acuta e sincera come Antonio Gramsci. Per capire Paolo è necessario prendere in mano e leggere quelle sue lettere che – come diceva il nostro grande poeta Mario Luzi – s’insediano «nell’inquieta aspettativa degli uomini per dare un senso alla speranza».

(G. Ravasi).

Mi ami tu?

Ecco che il Signore, dopo la sua resurrezione, appare di nuovo ai suoi discepoli. Interroga l’apostolo Pietro e spinge a confessare per tre volte il proprio amore colui che aveva rinnegato tre volte per timore. Cristo è risorto secondo la carne, Pietro secondo lo spirito. Mentre Cristo moriva soffrendo, Pietro moriva rinnegando. Il Signore Cristo resuscita dai morti e nel suo amore resuscita Pietro. Ha interrogato l’amore di colui che lo confessava e gli ha affidato le sue pecore. […] Il Signore Cristo volendo mostrarci in che modo gli uomini debbano provare che lo amano, lo rivela chiaramente: va amato nelle pecore che ci sono affidate. Mi ami tu? Ti amo. Pasci le mie pecore. E questo una volta, due volte, tre volte. Pietro non dice altro se non che lo ama. Il Signore non gli domanda altro se non se lo ama.

A Pietro che gli risponde non affida altro se non le sue pecore. Amiamoci a vicenda e ameremo Cristo. Cristo, infatti, eternamente Dio, è nato uomo nel tempo. E apparso agli uomini come uomo e figlio dell’uomo. Essendo Dio nell’uomo, opera molti miracoli. Ha molto sofferto, in quanto uomo, da parte degli uomini, ma è risorto dopo la morte perché era Dio nell’uomo. Ha passato sulla terra quaranta giorni come un uomo con gli uomini. Poi, sotto i loro occhi, è asceso al cielo come Dio nell’uomo e si è assise alla destra del Padre. Tutto questo lo crediamo, non lo vediamo. Ci è stato ordinato di amare Cristo Signore che noi non vediamo e tutti noi proclamiamo: «Io amo Cristo». Ma se non ami il fratello che vedi, come puoi amare Dio che non vedi? (I Gv 4,20). Amando le pecore, mostra di amare il pastore, perché le pecore sono membra del Pastore.

(AGOSTINO, Discorso Morin Guelferbytanus 16, PLS 2,579-580).

Preghiera a Gesù Buon Pastore

O Gesù buon Pastore,

nei santi apostoli Pietro e Paolo

hai dato alla tua Chiesa

due modelli di Pastori

secondo il tuo cuore.

Fa’ che, sul loro esempio

e confortati

dalla loro testimonianza,

impariamo ad amare

e servire i fratelli

con gioia e gratuità.

O santi apostoli Pietro e Paolo

intercede per noi,

affinché possiamo vivere

in comunione nelle diversità dei doni e dei ministeri.

Amen!

(dagli scritti di don Alberiore)

Preghiera al canto del gallo

O eterno creatore di ogni cosa,

tu che governi la notte e il giorno

e stabilisci il momento del tempo

di alleviare le angosce.

Già si sente l’annunciatore del giorno,

della profonda notte vigile,

luce notturna per i viandanti,

che separa la notte dalla notte.

Risvegliato da lui Lucifero,

libera il cielo dalle tenebre,

per lui ogni schiera di coloro che errano,

abbandona le strade del male.

Per lui il marinaio si rinvigorisce

e si placano i flutti del mare,

per lui anche la pietra della chiesa

al suo canto lava il peccato.

Alziamoci perciò subito,

il gallo sveglia chi ancora giace,

e richiama gli assonnati,

il gallo rimprovera quelli che si rifiutano.

Quando canta il gallo ritorna la speranza,

la salute viene restituita agli infermi,

viene riposta l’arma del bandito,

a coloro che cadono ritorna la fede.

O Gesù, salvaguarda chi vacilla,

corrige, e correggici col tuo sguardo,

se ci guardi annulli le colpe:

il peccato si dissolve nel pianto.

Tu luce illumina i sensi

dissipa il torpore dell’animo,

la nostra voce invochi te per primo,

e rivolgiamo a Te le nostre preghiere.

(Ambrogio di Milano)

  

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

 

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Comunità domenicana di Santa Maria delle Grazie, La grazia della predicazione. Tempo di Quaresima e Tempo di Pasqua, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano»  95 (2014) 2, pp.67.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A, Milano, vita e Pensiero, 2010.

– J.M. NOUWEN, Un ricordo che guida, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003.

– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità. Anno A, Padova, Messaggero, 2001.  

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù,  Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.   

PER L’APPROFONDIMENTO:

SS. PIETRO E PAOLO (A) XIII DOM ORD

In cerca di famiglia

Semplificare gli itinerari per l’affido e l’adozione, perché la famiglia è il grembo della vita. È lo spirito che anima la settimana estiva di formazione organizzata dall’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia insieme al Forum delle Associazioni Familiari e alla Caritas Italiana. L’appuntamento è dal 18 al 22 giugno a San Giovanni Rotondo (FG), nel Centro Congressi Padre Pio. Più di 300 gli iscritti, da 35 diocesi. Tra i relatori anche il vescovo Vincenzo Paglia, Presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia.
«Questo convegno – spiega Don Paolo Gentili, Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia – nasce da un’attenta esigenza della Chiesa Italiana alla realtà della nostra Nazione, dove il decremento demografico sta sempre più assumendo un notevole rilievo. In tal senso la riflessione proposta è strettamente collegata al biennio 2014-2015 della Settimana di Studi sulla spiritualità coniugale e familiare dedicata al tema “Maschio e femmina li creò (Gen 1,27): le radici sponsali della persona umana”. La questione demografica infatti non solo è segno di una scarsa vitalità del nostro Paese, ma anche di una mancanza di fecondità della dimensione sponsale.
«Il convegno, in questo orizzonte,- prosegue Gentili – intende sollecitare una maggiore diffusione e una semplificazione degli itinerari per l’affido e l’adozione, con una rinnovata attenzione pastorale a tal riguardo. “È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo i figli diventano custodi dei genitori”. Queste parole di Papa Francesco, nell’omelia pronunciata il 19 marzo 2013, ci offrono la luce per accompagnare la circolarità del dono in famiglia, allargando lo sguardo alle periferie esistenziali dell’uomo e ai figli di Dio che attendono l’abbraccio di un padre e di una madre.
«Così, – conclude il Direttore – attraverso relatori di eccellenza e laboratori di condivisione, gli operatori pastorali e i responsabili delle associazioni di spiritualità familiare, a cui la Settimana estiva si rivolge, potranno gettare le basi per un accompagnamento premuroso della fecondità di ogni famiglia e ridare ali di speranza ai bambini senza famiglia».

Per saperne di più…
 

SS CORPO E SANGUE DI CRISTO

Prima lettura: Deuteronomio 8,2-3.14-16

Mosè parlò al popolo dicendo: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».    

 

Come si vede, siamo davanti al «mistero», che la nostra ragione può solo adorare, se accetta di essere illuminata dalla fede. Per chi crede, poi, la cosa non è per niente impossibile, perché la «parola» di Dio non solo è verace, ma onnipotente, cioè capace di creare eventi o situazioni imprevedibili, o addirittura umanamente impossibili.

     È a questa onnipotenza della «parola» che rimanda il testo del Deuteronomio, il quale ricorda l’episodio della manna (cf. Es 16), per ammonire gli Israeliti ed esortarli ad avere fiducia in Dio. Infatti, nonostante le loro «mormorazioni» durante l’aspro pellegrinaggio nel deserto, egli li ha provveduti di quel cibo misterioso che è appunto la «manna».

     Se ha fatto questo, può fare tante altre cose, anche più grandiose e mirabili, come è l’Eucaristia, in qualche maniera comparabile con la manna, in quanto Gesù la presenta proprio come «cibo» per alimentare la vita spirituale del nuovo popolo di Dio, peregrinante anch’esso nell’aspro deserto della storia, e talvolta tentato di non dar credito al suo Signore. Proprio in certe situazioni di difficoltà e di angustia, sia fisica che spirituale, conviene ricordarsi di quanto ci dice il deuteronomista: Dio «ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3).

     E proprio «dalla bocca» di Gesù sono uscite quelle parole che ci hanno detto l’incredibile: e cioè che proprio lui, nel suo corpo e nel suo sangue, è il «cibo» di cui soprattutto abbiamo estremo bisogno. Il pane quotidiano è importante, e dobbiamo ogni giorno chiederlo al Signore; molto più importante, però, è nutrirsi del corpo di Cristo, che si è definito come il «pane vivo, disceso dal cielo» (Gv 6,51).

 

Seconda lettura: 1 Corinzi 10,16-17

Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?  Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

 

L’idea del «pane» rimanda anche alla «convivialità», in cui gli uomini nutrendosi si scoprono amici, uniti gli uni agli altri, assisi come sono alla stessa mensa. Orbene, nella comunità di Corinto, proprio in occasione della celebrazione eucaristica, riaffioravano divisioni e rivalità che turbavano la pacifica convivenza di quei cristiani (cf. 1Cor 1,11-17; 10,17-2 2).

     È proprio per contrastare tali atteggiamenti divisionistici che Paolo insegna invece, che l’Eucaristia è segno e strumento nello stesso tempo di «comunione» e di coesione fra tutti i membri della comunità. Ecco il testo brevissimo, ma teologicamente altrettanto ricchissimo: «Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?  Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1Cor 10,16-17).

     È evidente che qui Paolo fa riferimento agli elementi che costituiscono l’Eucaristia, cioè il pane e il vino («calice»), che Gesù con la sua «benedizione» ha trasformato nel suo corpo e nel suo sangue, come l’Apostolo riferirà poco dopo nella stessa lettera (11,23-31).

     Orbene, proprio perché i cristiani di Corinto si nutrono del corpo e del sangue del Signore, sono tutti compaginati in singolare «comunione» con lui. Ed è proprio partendo dal Cristo, «condiviso» nell’Eucaristia, più che dalla buona volontà degli uomini, che questi possono diventare un «corpo solo» anche fra di loro.

     Bellissimo il commento di S. Giovanni Crisostomo a questo brano: «L’Eucaristia si chiama ed è veramente comunione (Koinónia) perché per essa noi veniamo uniti a Cristo e partecipiamo alla sua carne e alla sua divinità; essa è comunione anche perché, per suo mezzo, siamo uniti gli uni agli altri. Appunto perché partecipiamo a un solo pane, diventiamo tutti un solo corpo di Cristo, un solo sangue e membri gli uni degli altri, essendo stati fatti concorporei di Cristo».

 

Vangelo: Giovanni 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 

 

Esegesi

   È l’ultima parte del così detto «discorso eucaristico», che Gesù pronunciò, dopo la moltiplicazione dei pani, «nella sinagoga di Cafarnao» (Gv 6,59). Ed è anche la parte conclusiva in cui in maniera svelata, non più simbolica ed enigmatica come avviene nei versetti precedenti, Gesù dichiara non solo di essere «il pane della vita», presignificato dalla «manna» mangiata dai padri nel deserto (Gv 6,48-50), da accettare mediante la fede, ma addirittura, «realisticamente» da essere mangiato e triturato per la nostra «sussistenza» spirituale. È quanto leggiamo proprio all’inizio del brano evangelico odierno: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (6.51).

     Sono soprattutto le ultime parole a suscitare scandalo, perché sembrano assurde e impossibili: «il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». A questo punto la metafora del «pane» non è più tale; essa diventa crudo e scandalizzante realismo, come dimostra la immediata reazione dei Giudei: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (v. 52).

     Ma Gesù non è che ammorbidisca la espressione, anzi la esaspera aggiungendo un ulteriore motivo di scandalo, e cioè il fatto di «bere» il suo sangue, cosa rigorosamente proibita per degli Ebrei: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (vv. 53-55). Non è simbolico il parlare di Gesù: la sua «carne» donata è «vero cibo»; il suo «sangue» versato è «vera bevanda».

     Ciò che rende grandi e strabilianti queste parole non è solo il realismo a cui esse rimandano, ma soprattutto il risultato che esse producono. Anzi i risultati sono almeno due: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (v. 54). Mangiando e bevendo il corpo e il sangue del Signore si ha: 1) «la vita eterna», che in Giovanni significa l’assunzione a partecipare della «vita» stessa di Dio; 2) a tale «vita eterna» partecipa il nostro stesso corpo con la «risurrezione» finale: «Ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

     È chiaro che, parlando in tal modo, Gesù non può voler dire che nell’Eucaristia abbiamo a che fare con il suo corpo morto per noi sulla Croce: adesso però egli, che fu morto, è tornato alla vita mediante la risurrezione. Perciò partecipando all’Eucaristia, noi partecipiamo alla totalità del suo «mistero» salvifico, proprio come diciamo nella celebrazione eucaristica dopo la consacrazione: «Annunciamo la tua morte, o Signore; proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta».

     Tutto questo presuppone però che l’Eucaristia diventi «vita», non solo «eterna», futura cioè, ma anche vita «presente»: vale a dire che dia senso e dimensione sacrale al nostro vivere quotidiano. È quanto afferma Gesù quando dichiara: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me» (v. 57). È estremamente interessante questo paragone: come Cristo è intimamente legato con il Padre e «vive» di questa strettissima relazione con lui, così il credente che mangia del corpo di Cristo, vive già, nel presente, della vita stessa di Dio mediante questa fusione, vorrei dire quasi fisica, con il Figlio. «È questo il vertice del discorso sul pane di vita: l’alleanza che Dio ha promesso è realizzata in Gesù Cristo» (J. DUPONT).

Meditazione

     Dio nutre il suo popolo; Dio dona il cibo alle sue creature. Questa l’affermazione che attraversa le tre letture. Nel deserto Dio ha nutrito il suo popolo con la manna (prima lettura); Gesù è il pane donato da Dio per la vita del mondo (vangelo); l’unico pane che significa Cristo nutre la comunità cristiana e la fa partecipare all’unica vita del suo Signore (seconda lettura).

     Il cibo che viene da Dio e che consente al popolo di sostenersi nel pellegrinaggio nel deserto, nel faticoso esodo verso la terra promessa (prima lettura), è il pane del popolo pellegrinante verso il Regno, è il pane che ha una valenza escatologica; è il pane che dona unità alla comunità costituendola come unico corpo (seconda lettura), radicandola nel dono di Dio e nel suo amore, e dunque ha una valenza ecclesiologica; è il pane vivo che assume il volto e il corpo di Cristo, che riveste le fattezze della sua vita e della sua umanità, della sua carne e del suo sangue (vangelo), e in quanto tale, esso ha una valenza cristologica.

     Le parole di Gesù: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» ( Gv 6,51 ) non vanno immediatamente intese in senso eucaristico e in riferimento al pane eucaristico. Queste parole indicano Gesù come colui che rivela il Padre e che può dare la vita al mondo con la sua stessa vita, con l’interpretazione della vita umana che egli ha mostrato all’umanità nella sua concreta esistenza. Il «mangiare me» (Gv 6,57), il «mangiare la mia carne e bere il mio sangue» (Gv 6,53.54.56) rinviano il discepolo all’operazione spirituale di assimilare nella propria vita la vita di Cristo. Di questa operazione fa parte la fede, il credere, fa parte l’ascolto della parola delle Scritture, fa parte la prassi, il fare concretamente la volontà del Padre. Non vi fa parte solo la manducazione eucaristica.

     La vita umana di Gesù (la sua carne e il suo sangue), come testimoniata nei vangeli, è il cibo di cui ogni credente è chiamato a nutrirsi affinché la vita di Gesù viva concretamente in lui. La chiesa è il luogo in cui la concreta umanità di ogni credente (la sua carne e il suo sangue) è chiamata a conformarsi all’umanità di Gesù, alla sua vita. Affinché sia vero che una sola vita, un’unica vita lega il Signore e il suo discepolo. Lì la chiesa si ma-nifesta come luogo dell’alleanza tra il Signore e il credente.

     La vita eterna promessa a chi assimila la sua vita (Gv 6,51.54.58), in realtà inizia già qui e ora per il credente. Si tratta di integrare la morte nella vita facendo della vita un atto di

donazione di sé, un atto di amore sulle tracce di Gesù (Gv 13,34). Come atto di amore è quello per cui Gesù si dona come cibo e bevanda agli uomini. Come atto di amore è la morte di Gesù, amore che è all’origine della resurrezione e della promessa della vita per sempre con il Signore nel Regno.

     Nell’affermazione che Gesù è il pane che non proviene dalla terra ma discende dal cielo e che è destinato ad essere mangiato per dare vita agli uomini, si cela il mistero e lo scandalo dello scambio e della comunicazione: per dare vita occorre perdere vita. Ma la vita che perdo in me, la vedo fiorire nell’altro. Per donare agli uomini la vita di Dio, il Figlio di Dio entra nella vita umana, diviene partecipe della carne e del sangue (cfr. Eb 2,14) e invita l’uomo allo scambio, alla relazione, alla partecipazione, alla comunione. Invita l’uomo a mangiare la sua carne e il suo sangue, cioè lo invita e lo abilita a partecipare alla sua vita.

     Vita di Dio e vita dell’uomo si incontrano nell’amore, nell’agape, cibo che veramente nutre l’uomo e realtà che costituisce la vita di Dio: «Dio è amore» (1Gv 4,8.16). L’eucaristia è il sacramento della carità, dell’agape, in cui il dono di Dio agli uomini è la piena narrazione del suo amore per loro e la fonte del loro amarsi come Cristo li ha amati. La comunità che nasce dall’eucaristia è costituita dall’insieme dei «donanti», dei «capaci di dono» perché essi stessi «destinatari di dono», in un circuito di donazione che ha la sua origine nell’alto, da Dio; è formata da «coloro che amano» («Amatevi gli uni gli altri»: Gv 13,34) in quanto essi stessi «amati» («come io ho amato voi»: Gv 13,34).

Preghiere e racconti 

«Amen»

«Se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero è deposto sulla tavola del Signore: voi ricevete il vostro proprio mistero!

Voi rispondete “Amen” a ciò che voi siete, e con la vostra risposta sottoscrivete. Sentite dire: “Corpus Christi ” e rispondete: “Amen!”.

Siate dunque membra del corpo di Cristo, affinché il vostro “Amen” sia vero».

(AGOSTINO, Sermo 272, in PL 38, 1247).

«La messa è finita, andate in pace!»

Al termine della Messa il prete ci congeda con la formula: “La Messa è finita, andate in pace!”. Sono sempre tentato di correggere: andate, perché la Messa non è finita, non finisce mai. Questo infatti è un inizio, non una conclusione. Il sacerdote non vuol dire:   “Bravi, avete fatto il vostro dovere, potete andare tranquilli”; al contrario, è come se dicesse: “Adesso tocca a voi, è il vostro momento”. Dunque non un segnale di “riposo”, ma di “partenza” per una missione. Significa “agganciarsi” alla vita quotidiana. Ci si alza dalla mensa eucaristica e si attacca a lavorare, a costruire il Regno.

(Alessandro Pronzato).

“Signor parroco, signor parroco…”

Un parroco aveva preparato con tanta cura la festa del Corpus Domini. Pienamente soddisfatto, iniziò con grande solennità e raccoglimento la processione. Durante il tragitto, però, ripetutamente il chierichetto a fianco a lui gli tirò la veste: “Signor parroco, Signor parroco…”. Parole che il parroco ogni volta mise subito a tacere. Arrivato in chiesa, pose l’ostensorio sull’altare e solo lì si accorse… che mancava l’ostia.

Il Dio nell’ostensorio

Cantavano le donne lungo il muro inchiodato

quando ti vidi, Dio forte, vivo nel Sacramento,

palpitante e nudo come un bambino che corre

inseguito da sette torelli capitali.

Vivo eri, Dio mio, nell’ostensorio.

Trafitto dal tuo Padre con ago di fuoco.

O Forma consacrata, vertice dei fiori,

dove tutti gli angoli prendono luci fisse,

dove numero e bocca costruiscono un presente

corpo di luce umana con muscoli di farina!

O Forma limitata per esprimere concreta

moltitudine di luci e clamore ascoltato!

O neve circondata da timpani di musica !

O fiamma crepitante sopra tutte le vene!

(F. García Lorca)

La contemplazione eucaristica

La forma per eccellenza di contemplazione eucaristica si ha nell’adorazione silenziosa davanti al Santissimo.

Si può, certo, contemplare Gesù Eucaristia anche da lontano, nel tabernacolo della propria mente (San Francesco era solito dire: “Quando non ascolto la Messa, adoro il corpo di Cristo nella preghiera, allo stesso modo con cui lo adoro durante la celebrazione eucaristica”). Tuttavia, la contemplazione fatta alla presenza reale di Cristo… Stando calmi e silenziosi, e possibilmente a lungo, davanti a Gesù Eucaristia, si percepiscono i suoi desideri su di noi, si depongono i nostri progetti per far posto a quelli di Cristo. La luce di Dio penetra a poco a poco nel cuore. E lo risana.

(Padre Raniero Cantalamessa).

Il giorno della carità

«Se l’Eucaristia è e deve essere il cuore della domenica, quest’ultima non può non essere il “giorno della carità”. Non può non esserlo, perché l’Eucaristia, nella sua più profonda verità, è il “sacramento della carità” […].

In quanto “giorno della carità”, la domenica deve potersi presentare nel segno della “unione fraterna” e della “comunione” nella Chiesa. È questo un aspetto essenziale di quell’amore che l’Eucaristia genera, promuove e alimenta»

(Mi sarete testimoni, 50-52).

In Te e per Te non saremo che una cosa sola.

Signore, non vengo a riceverti,

ma a chiederti di accogliermi in Te.

Non sei Tu che ti nascondi in me:

sono io che voglio scomparire in Te.

Ti ho portato il mio cuore

per poter amare nel tuo amore.

Ti ho portato il mio spirito,

per poter pensare alla tua luce.

I miei occhi…. per poter vedere come vedi Tu.

Le mie labbra…. per parlare e sorridere nel nome tuo.

Le mie mani…. perché in me tu possa soccorrere tutti.

Ti dono il mio essere perché continui la tua Incarnazione.

Noi non veniamo a riceverti per portarti via separatamente:

veniamo insieme per consegnarci a Te insieme.

Veniamo diversi: ripartiremo uniti nel tuo amore.

Veniamo a te con le nostre discordie e divisioni:

e saremo uniti nella tua Carità.

Veniamo a Te da tutti i punti dell’orizzonte sociale:

ripartiremo per costruire lo stesso Regno.

Veniamo molteplici:

in Te e per Te non saremo che una cosa sola.

(Anonimo).

L’Eucaristia meta di un lungo cammino

Non è facile mettere l’Eucaristia al centro! Non è facile accogliere il messaggio del sacramento dell’Eucaristia nella sua forza.

I testi del Nuovo Testamento alludono spesso all’incomprensione che essa incontra in coloro cui essa è destinata. Il primo documento neotestamentario sull’Eucaristia denuncia la maniera scorretta con cui essa veniva celebrata dai cristiani di Corinto. Luca racconta come durante l’Ultima Cena i discepoli discutessero chi fosse tra loro il più grande. Nel capitolo 6 di Giovanni si incontra l’incomprensione da parte degli ascoltatori di Gesù: “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?”.

Nell’Eucaristia l’amore di Dio si manifesta nelle sue forme più pure e sconvolgenti ed incontra un uomo che è spaesato dinanzi a cose immensamente più grandi di lui.

L’Eucaristia è la meta di un lungo cammino. Confessare umilmente le nostre lacune o anche semplicemente le nostre incertezze e difficoltà, è il primo passo da compiere per riscoprire l’inesauribile ricchezza di questo mistero. 

(Card. Carlo Maria Martini).

«Il Corpus Domini»

Perché c’è tanta fame nel mondo? Perché tantissimi bambini devono morire di fame, mentre altri sono soffocati dall’abbondanza? Perché il povero Lazzaro deve continuare ad aspettarsi invano le briciole del ricco gaudente, senza poter varcare la soglia della sua casa? Certamente non perché la terra non sia in grado di produrre pane per tutti. Nei Paesi dell’Occidente si offrono indennizzi per la distruzione dei frutti della terra, allo scopo di sostenere il livello dei prezzi, mentre altrove c’è chi patisce la fame. La mente umana sembra più abile nell’escogitare sempre nuovi mezzi di distruzione, invece che nuove strade per la vita. È più ingegnosa nel far arrivare in ogni angolo del mondo le armi per la guerra, piuttosto che portarvi il pane. Perché accade tutto questo? Perché le nostre anime sono malnutrite, i nostri cuori sono accecati e induriti. Il mondo è nel disordine perché il nostro cuore è nel disordine, perché gli manca l’amore, perciò non sa indicare alla ragione le vie della giustizia.

Riflettendo su tutto questo, comprendiamo le parole con cui Gesù obietta a Satana, che lo invita a trasformare le pietre in pane: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Perché ci sia pane per tutti, deve prima essere nutrito il cuore dell’uomo.

Perché ci sia giustizia tra gli uomini, deve prima germogliare la giustizia nei cuori, ma essa non si sviluppa senza Dio e senza il nutrimento vitale della sua Parola. Questa Parola si è fatta carne, è diventata persona umana, affinché noi potessimo accoglierla e farla nostro nutrimento. Poiché l’uomo è troppo piccolo, incapace di raggiungere Dio, Dio stesso si è fatto piccolo per noi, così che possiamo ricevere amore dal suo amore e il mondo diventi il suo regno. Questo significa la festa del Corpus Domini. Il Signore che si è fatto carne, il Signore che è diventato pane, noi lo portiamo per le vie delle nostre città e dei nostri paesi. Lo immergiamo nella quotidianità della nostra vita, le nostre strade diventano le sue strade. Egli non deve restare rinchiuso nei tabernacoli discosto da noi, ma in mezzo a noi, nella vita d’ogni giorno. Deve camminare dove noi camminiamo, deve vivere dove noi viviamo. Il nostro mondo, le nostre esistenze devono diventare il suo tempio. Il Corpus Domini ci fa capire cosa significa fare la comunione: ospitarlo, riceverlo con tutto il nostro essere. Non si può mangiare il corpo del Signore come un qualsiasi pezzo di pane. Occorre aprirsi a lui con tutta la propria vita, con tutto il cuore: «Ecco, io sto alla porta e busso», dice il Signore nell’Apocalisse. «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui e lui con me» (3,20).

Il Corpus Domini vuole rendere percepibile questo bussare del Signore anche alla nostra sordità inferiore. Egli bussa forte alla porta della nostra vita d’ogni giorno e dice: «Aprimi! Fammi entrare! Comincia a vivere di me!». Questo non può valere soltanto un attimo, come di sfuggita, durante la santa Messa, e poi di nuovo come prima. È un’esperienza che attraversa tutti i tempi e tutti i luoghi. «Aprimi!», dice il Signore. «Come io mi sono aperto per te. Aprimi il mondo, perché io possa entrarvi, e possa così rischiarare la tua mente intorpidita, vincere la durezza del tuo cuore. Fammi entrare! Io per te mi sono lasciato squarciare il cuore». Il Signore dice questo a ciascuno di noi, lo dice alla nostra comunità nel suo insieme: fatemi entrare nella vostra vita, nel vostro mondo. Vivete di me, per essere veramente vivi. Ma vivere significa anche e sempre: donare ad altri. II Corpus Domini è un invito rivolto a noi dal Signore, ma è anche un grido che noi indirizziamo a lui. Tutta la festa è una grande preghiera: facci dono di Te! Da a noi il vero pane! Arriviamo così a comprendere meglio il Padre nostro, la preghiera per eccellenza. La quarta invocazione, quella per il pane, funge come da collegamento fra le tre invocazioni che riguardano il regno di Dio e le ultime tre che riguardano le nostre necessità. Che cosa chiediamo? Naturalmente il pane per oggi. È la preghiera dei discepoli, che non hanno capitali da parte, ma vivono della quotidiana bontà del Signore: perciò si mantengono in dialogo costante con lui, volgono a lui il loro sguardo, confidano soltanto in lui. E la preghiera di chi non vuole accumulare ricchezze, di chi non cerca una sicurezza mondana, ma si accontenta del necessario per avere tempo da dedicare alle cose veramente importanti. È la preghiera dei semplici, degli umili, di coloro che amano e vivono la povertà nello Spirito Santo.

Ma nella domanda del pane c’è un’altra profondità, il termine greco epioúsios, che noi traduciamo con “quotidiano”, non compare da nessun’altra parte, ma è tipico ed esclusivo del Padre nostro. Per quanto gli esperti discutano ancora sul suo significato, molto probabilmente vuole anche dire: dacci il pane di domani, cioè il pane del mondo a venire. In realtà, soltanto l’Eucaristia può essere la risposta a ciò che questa misteriosa parola, epioúsios, vuole indicare: il pane del mondo futuro, che già oggi ci è dato, affinché già oggi il mondo futuro abbia inizio in mezzo a noi.

Alla luce di quest’invocazione, la preghiera perché venga il regno di Dio e perché la terra diventi come il cielo assume grande concretezza: con l’Eucaristia il cielo viene sulla terra, il domani di Dio si compie già oggi e introduce nel mondo di oggi il mondo di domani.

Ma qui è come sintetizzata anche la richiesta di essere liberati da tutti i mali, dai nostri debiti, dal pericolo della tentazione: dammi questo pane, perché il mio cuore si mantenga vigile, perché possa resistere al male, perché sappia distinguere il bene e il male, perché impari a perdonare e sia forte nella tentazione. Soltanto allora il nostro mondo comincerà a essere veramente umano: se il mondo futuro diventa già in qualche misura l’oggi, se il mondo comincia già oggi a diventare divino. Con la richiesta del pane andiamo incontro al domani di Dio, alla trasformazione del mondo. Nell’Eucaristia ci viene incontro il domani di Dio, il suo Regno già oggi comincia tra di noi. E non dimentichiamo, infine, che tutte le invocazioni del Padre nostro sono espresse col “noi”: nessuno può dire “Padre mio” se non Cristo, il Figlio. Perciò noi, se davvero vogliamo pregare nel modo giusto, dobbiamo farlo con gli altri e per gli altri, uscendo da noi stessi, aprendoci.

Tutto questo è significato da quel “camminare insieme col Signore” che è, per così dire il segno distintivo della festa del Corpus Domini.

Dopo che Gesù ebbe terminato il suo discorso eucaristico nella sinagoga di Cafarnao, molti discepoli lo abbandonarono: era qualcosa di troppo impegnativo, di troppo misterioso. Le loro attese erano più che altro rivolte a una liberazione politica, tutto il resto sapeva ben poco di concretezza. Non è forse così anche oggi? Quante persone, nel corso degli ultimi cent’anni, se ne sono andate perché a loro avviso Gesù non era abbastanza “pratico”. Quello che poi, da parte loro, sono riusciti a realizzare è sotto gli occhi di tutti. E se il Signore oggi ci domandasse: «Volete andarvene anche voi?». In questa festa del Corpus Domini, insieme con Simon Pietro, noi con tutto il cuore vogliamo rispondergli: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68ss.).

(J. RATZINGER [Benedetto XVI], Imparare ad amare. Il cammino di una famiglia cristiana, Milano/Cinisello Balsamo/Città del Vaticano, San Paolo/Libreria Editrice Vaticana, 2007, 106-109).

Preghiera a Gesù nel Tabernacolo

O Dio nascosto nella prigione del tabernacolo! con gioia vengo accanto a voi ogni sera per ringraziarvi dei favori che mi avete concesso e per implorare perdono delle mancanze commesse durante questo giorno che si è dileguato come un sogno.

Gesù, come sarei felice se fossi stata interamente fedele! Ma spesso la sera sono triste perché sento che avrei potuto corrispondere meglio alle vostre grazie. Se fossi stata più unita a voi, più caritatevole con le consorelle, più umile e più mortificata, avrei meno pena ad intrattenermi con voi nell’orazione. Tuttavia, o mio Dio, ben lungi dallo scoraggiarmi alla vista delle mie miserie, vengo a voi con fiducia, ricordando che “Non quelli che stanno bene hanno bisogno del medico, ma i malati”. Vi supplico perciò di guarirmi, di perdonarmi, ed io, Signore, mi ricorderò che l’anima alla quale più avete perdonato, deve amarvi più delle altre. Vi offro tutti i battiti del cuore come altrettanti atti d’amore e di riparazione e li unisco ai vostri meriti infiniti. Vi scongiuro, sposo mio divino, di essere voi stesso il riparatore della mia anima, di agire in me senza tener conto delle mie resistenze; in una parola: non voglio più avere altra volontà che la vostra. E domani, con il soccorso della vostra grazia, ricomincerò una vita nuova.

Dopo essere venuta così ogni sera ai piedi del vostro altare, arriverò infine all’ultima sera della mia vita; allora comincerà per me il giorno senza tramonto dell’eternità, in cui mi riposerò sul vostro Cuore divino dalle lotte dell’esilio. Così sia!

(Preghiera composta da S. Teresa di Lisieux, il 16 luglio 1895, per Sr. Marta di Gesù).

 

* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:

 

Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.

Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.

– Comunità domenicana di Santa Maria delle Grazie, La grazia della predicazione. Tempo di Quaresima e Tempo di Pasqua, in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano»  95 (2014) 2, pp.67.

– C.M. MARTINI, Incontro al Signore risorto. Il cuore dello spirito cristiano, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009.

– E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A, Milano, vita e Pensiero, 2010.

– J.M. NOUWEN, Un ricordo che guida, in ID., Mostrami il cammino. Meditazioni per il tempo di Quaresima, Brescia, Queriniana, 2003.

– F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità. Anno A, Padova, Messaggero, 2001.  

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù,  Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.

– J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 

PER L’APPROFONDIMENTO:

SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO (A)